Ottobre 2014
Abbiamo due soli occhi, e non sempre funzionano al meglio.
La sintesi della mia prima parte di via da astrofilo potrebbe essere racchiusa in questa breve frase.
La realtà è che, in barba alla logica, in questi ultimi venticinque anni mi sono divertito. Ho acquistato, venduto, collezionato ed usato un numero impressionante di strumenti, dai più tradizionali ai più rari e, nei limiti delle possibilità di spesa di una persona normale, blasonati.
Sono diventato un quasi esperto e il continuo testare ottiche diverse è stata palestra osservativa di ottimo livello capace di insegnare non solo cosa fare per portare un’ottica a operare al massimo delle proprie capacità, ma anche a conoscere le profonde e, a volte incolmabili, differenze che separano i vari schemi ottici adottati nell’astronomia visuale.
A fronte di questo risulta però facile trovarsi, in capo a pochi anni, una “collezione” imponente e semi-inutile di ottiche, montature, strumenti vari e abbozzi di progetti (qualcuno mai finito). Il tempo che la vita lavorativa e famigliare concede alla passione comune per l’altra metà del paesaggio non è costante e impone una scelta che, dopo aver avuto più di un centinaio di strumenti diversi, diventa facile da prendere e tende a riconciliare con un approccio più pragmatico al mondo dell’astronomia amatoriale.
“Serve almeno uno strumento di qualità in ogni postazione di osservazione usata e un ottimo “grab and go” che ci possa seguire in quelle manifestazioni, come gli star party, a cui abbiamo ancora voglia di partecipare”. Questo mi sono detto qualche mese fa e ho poi cercato, complice un po’ di fortuna, di trovare quali potessero essere gli strumenti a me adatti.
Così ho cominciato a frequentare nuovamente, come venditore e come acquirente, alcuni mercatini amatoriali e mi sono imbattuto in una generale follia speculativa che riguarda alcune ottiche blasonate definite rare (quando in realtà lo sono ben poco).
Sono inciampato in richieste assurde e ingiustificabili (30 mila dollari per un rifrattore Astro Physics da 18 cm.- dalle prestazioni tra l’altro nemmeno esaltanti - o i 10 mila euro richiesti da un amatore per un microscopico e “normale” AP da 9 cm.). Sorridendo mi sono chiesto se sia davvero possibile che qualcuno, forse obnubilato dalla possibilità (inesistente) di rivendere domani a prezzi ancora superiori a quelli folli a cui acquista oggi, si lasci irretire da certe sciocchezze e sperperi preziosi averi quando esistono strumenti dal prezzo più che dimezzato che rendono di più.
Scrivo questo perché ho sempre cercato di considerare, al di là del possibile coinvolgimento emotivo, gli strumenti astronomici per ciò che hanno rappresentato e per quanto permettono di ottenere (e quindi vedere). In questa ottica ammetto di avere alcune volte trovato che strumenti di alto livello di “un tempo” mostrassero prestazioni superiori a quelle della maggior parte degli strumenti moderni, almeno in campo puramente visuale.
Questo aspetto, che può far storcere il naso agli affezionati del “ma la tecnologia oggi è migliore quindi figuriamoci se i telescopi di trenta anni fa possono essere migliori di quelli di adesso!”, è invece piuttosto comprensibile e deve tenere conto di come sia mutata l’esigenza dell’astrofilo acquirente.
Se 30 anni fa (o più) l’interesse era obbligatoriamente legato all’utilizzo visuale degli strumenti (si pensi all’evoluzione che ha avuto negli ultimi 25 anni la tecnica di ripresa fotografica in campo astronomico), oggi vengono richieste ottiche che lavorino bene con i moderni CCD e a pochi interessano virtuosismi in campo visuale.
Non è quindi così pazzesco riscontrare che i rifrattori da 10 cm. di alto livello degli anni ’70 siano superiori in visuale a rifrattori apocromatici cortissimi di oggi ed è quindi possibile, se si è accorti nell’individuare le proprie reali necessità, ritagliarsi un set-up che rifugga le mode del periodo e sia concretamente adatto a quello che ci interessa maggiormente.
Ma ciò che mi interessava era trovare qualcosa che fosse usabile, entro certi limiti gestibile con montature di portata media (tra i 30 e i 40 chilogrammi), e che non richiedesse opere preparative troppo lunghe. Volevo insomma qualcosa che potesse conciliarsi con gli stretti tempi della vita moderna perché, e questo è il consiglio che offro sempre a chi mi scrive privatamente, lo strumento migliore è quello che si riesce ad usare bene!
Ci sono decine di astrofili che trascorrono il loro tempo nella progettazione e costruzione di strumenti sempre più grandi e, non ottenendo le prestazioni sperate, si gettano capofitto in nuovi più grandiosi progetti senza chiedersi il motivo del loro fallimento. Uno strumento grande richiede condizioni (seeing, preparazione, bilanciamento, collimazione e termoregolazione) ottime, uno ancora più grande, invece, “superlative”.
Non volendo seguire le loro fallimentari orme (più generate da inesperienza che latro) ho ridotto dimensioni, pesi e diametri in accordo con l’antico adagio che più fruibile è lo strumento maggiore tempo si trascorrerà a usarlo per osservare invece che per prepararlo.
Non è una scelta facile ma è, probabilmente, quella più coraggiosa.
Consiglio a chiunque sia sufficiente maturo da accettare di rinunciare alla pletora di strumenti che colleziona di intraprendere una strada analoga, le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare e l’animo, meno oppresso dalla necessità del divenire, potrà rilassarsi.