FOTOGRAFIA PLANETARIA

Foto non dell'autore.

INTRODUZIONE

La curiosità tocca, prima o poi, tutti. Alcuni si limitano, come ho fatto per tantissimi anni, a osservare con stupore e ammirazione il lavoro di altri, molti invece decidono di cimentarsi in prima persona nell’imaging planetario.

Abbiamo trattato, nella sezione ASTRONOMIA ECONOMICA, di quanto si riesca a fare con mezzi di “fortuna”, usando ciò che facilmente già abbiamo, e siamo riusciti ad ottenere risultati lusinghieri. E’ indubbio però che per operare un certo “salto di qualità” si debba necessariamente investire qualche euro in più e intraprendere una strada lunga, che impone dedizione e lavoro.

Nell’imaging planetario oggi è fortunatamente possibile accedere a risultati di discreto rilievo anche con strumentazione relativamente economica.

Prima dell’avvento dei primi CCD (e delle più flessibili camere di ripresa con sensori CMOS), fotografare i pianeti era un calvario. Le emulsioni fotografiche avevano una sensibilità limitata e, per impressionare i supporti, servivano esposizioni a volte superiori al secondo. La Luna, abbagliante, permetteva tempi ancora veloci, in grado di limitare gli effetti della turbolenza atmosferica, ma i pianeti maggiori come Marte, Giove, Saturno, obbligavano ad esposizioni di 1, 2, a volte 4 secondi. Il risultato era un “pasticcio”: pochissimi particolari, immagini estremamente “flou”, problemi di vibrazioni e inseguimento (considerati gli alti ingrandimenti necessari). Si lavorava con cavi flessibili per aprire l’otturatore in posa “B” e cartoncini posti davanti all’obbiettivo, da togliersi solamente quando si era certi che le vibrazioni del telescopio erano terminate per poi contare a “mente” i secondi e richiudere l’obiettivo.

Basta guardare le immagini planetarie registrate dai più grandi telescopi professionali a terra fino a circa 25 anni fa per rendersi conto di quanto poco si potesse fare.

Era snervante: all’oculare Giove era così bello, ma le foto facevano francamente ridere.

Oggi gli amatori più bravi, esperti, e dotati di buona strumentazione ottengono fotografie che rivaleggiano con quelle delle sonde spaziali di 20 anni fa. Il dettaglio è semplicemente imbarazzante e le scoperte di impatti e variazioni atmosferiche da parte degli amatori si susseguono. Tutto merito della possibilità di usare strumenti di ripresa che “congelino” in qualche modo gli effetti del seeing e permettano una facile somma di tanti fotogrammi.

Alcuni astrofili di “vecchio pelo”, che fotografavano negli anni ’80 con le emulsioni fotografiche, si sono “dimenticati” delle fatiche e oggi desiderano riprovare questo tipo di emozione coadiuvati dalle nuove tecnologie. Uno di questi si trova ora a scrivere queste parole, nella vana speranza di non perdersi lungo la strada…

Per essere chiari bisogna dire che qui si è alle “prime armi” e l’intento è quello di testimoniare un “percorso”, di cui lo scrivente non conosce né la durata, né tantomeno il punto di arrivo.

Le meravigliose immagini presenti sul web e realizzate dai tanti e bravissimi astrofili italiani (per non parlare di quelli stranieri) che si cimentano in questo settore devono essere motivo di incoraggiamento e utile traguardo all’orizzonte, nella speranza non certo di giungere ai loro livelli ma, quantomeno, di seguirne le orme e insegnamenti e crescere, pur nel nostro “piccolo”.

INIZIARE DAL "PICCOLO"

Per iniziare ho deciso, scelta personalissima e sicuramente controproducente, di partire dal “piccolo” e di scegliere un telescopio di modesto diametro, sebbene di altissima qualità ottica. Volevo, in virtù del piacere a compiere un “percorso istruttivo e conoscitivo”, fare esperienza con qualcosa che fosse di facile gestione e apprendere i rudimenti della “nuova” tecnica per poi “esportarla” a set-up eventualmente più mirati e impegnativi.

Ho così scelto, tra le ottiche a mia disposizione, un rifrattore apocromatico Takahashi da 10 cm. di diametro: il FC-100N (un doppietto Steinheil in fluorite minerale con una focale di 1 metro e un rapporto focale di 1:10).

La scelta della camera di ripresa è stata più difficile ed è durata ben 1 giorno! Una telecamera con sensore CMOS da 1,2 megapixel in BIANCO e NERO prodotta dalla ZWOptical e conosciuta come ASI 120-MM. (costo 300 euro circa). La scelta del bianco e nero è votata semplicemente al fatto che il rivenditore aveva terminato la scorta dei modelli a colori (…).

A parte gli scherzi (ma c’è del vero in questo) il sensore monocromatico è più sensibile di quello a colori (che ha delle microlenti filtrate) e permette di lavorare inizialmente solo sulla scala di grigi, eventualmente aggiungendo quando si diventa più bravi una ruota portafiltri per le riprese in tricromia.

Il bello di questa piccola ed economica telecamera risiede nella piccolissima dimensione dei suoi pixel (da 3,75 micron di lato) e nella potenziale alta velocità di ripresa (intesa come numero di fotogrammi registrabili per unità di tempo).

LEZIONE n° 1

Dopo la prima prova, effettuata nella notte del 17 maggio del 2013, con esiti disastrosi per via sia delle condizioni di turbolenza atmosferica sia della mia scarsa attitudine a questo tipo di riprese, ho imparato la prima lezione che mi ha portato a concludere quanto segue.

Per una buona fotografia planetaria (indipendentemente strumento e della camera utilizzati) serve un buon filmato! Con le elaborazioni si fa tanto, ovviamente, ma è necessario partire da una buona base. Senza una buona ripresa non si può sperare di “fare miracoli”, e per ottenrla servono necessariamente:

 

1)   OTTIMO SEEING

2)   PERFETTA MESSA A FUOCO

LEZIONE n° 2

L’altra importante lezione che credo di avere imparato è più “filosofica” ma ritengo che sia altrettanto importante. Serve “calma”.

Quando ci si appresta a fotografare i pianeti o la Luna è necessario avere tempo a disposizione e non essere disturbati. Sembra una banalità ma aiuta molto a operare con la necessaria dovizia e non innervosirsi.

A questo proposito ho anche capito che è estremamente utile poter disporre di un piccolo strumento “guida” che faciliti le operazioni di puntamento del telescopio con cui si vuole riprendere. I sensori per la ripresa planetaria sono infatti generalmente molto piccoli e “centrare” il nostro pianeta target con focali lunghe può essere snervante. Un telescopio guida rende il tutto molto più agevole.

Nel mio caso ho deciso di affiancare al Takahashi da 10 cm. un altro rifrattore (economico) da 90 mm. aperto a f10 (un Heyford 90/900) sostenuto in parallelo con un sistema decentrabile nei due assi, come nella fotografia sotto riportata.

LEZIONE n° 3

Nel caso si utilizzi, come sto facendo io, una camera ASI 120MM consiglio di smontarla e di eliminare il dischetto di gommapiuma semi-rigida che fa da contorno al piccolo sensore. L’idea malsana dei costruttori porta infatti continui micro-pelucchi sul sensore che generano macchie nere ovunque sulle riprese. E’ una follia progettuale e non ne comprendo il senso, anche perché offre tutto sommato poca protezione ai circuiti integrati che formano la scheda della camera.

ARTICOLI E CONTRIBUTI

Nel corso del tempo sto cercando di offrire indicazioni ai "praticantanti" che, come me, si affacciano al mondo interessante della ripresa in alta risoluzione. All'interno di questa sezione (nel menù verticale a sinistra e sottostante il titolo FOTOGRAFIA PLANETARIA cui queste righe e quelle sopra fanno da introduzione) troviamo "sottosezioni" dedicate a questa affascinante attività. Buona lettura.

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