102/920 ACHROMATIC MEADE CUSTOM REFRACTOR: "STUFACHRO"

Ottobre - Dicembre 2015

INTRODUZIONE

Quando le cose accadono conviene sempre seguirne il flusso e adattarvisi così da aprire nuovi scenari, cambiare prospettiva, cogliere magari occasioni che inizialmente non si immaginano.

Quando all’inizio di Ottobre 2015 ho incautamente aperto la finestra di e-bay e mi sono imbattuto in una coppia di doppietti in cella da 102 mm. di apertura e 920 di focale ho capito subito che mi sarebbe toccato il loro acquisto. Nessuna necessità mi ha spinto, fin troppo saturo di strumenti inutilizzati, ma l’occasione di una coppia di lenti identiche disponibili ad una cifra interessante mi ha carpito e travolto.

Differentemente da quanto letto sul non sempre utile mondo del web i due obiettivi sono giunti in immacolate condizioni e senza apparenti tolleranze nelle celle che appaiono molto belle, almeno dal punto di vista estetico.

Si tratta di obiettivi che Meade installava sulla sua gamma di rifrattori acromatici LXD500, imitazione economica della prestigiosa e discussa linea LXD650 e 750. Gemello del 102ED f9, la versione acromatica si fregia di una cella simile nell’estetica, un tubo identico, stesso focheggiatore, medesimo cercatore. In una livrea molto accattivante Meade aveva inserito un classico doppietto spaziato in aria (con tre piccoli spaziatori in alluminio) da 4 pollici e rapporto di apertura medio compatto e pari a f9. Questa scelta lo differenziò in modo considerevole dai competitor dell’epoca e dai loro antesignani (Vixen, Celestron, e via dicendo) che avevano tutti focale di un metro.

Sulla carta il rifrattore Meade aveva tutte le carte per essere un best seller nella sua categoria (a cominciare dall’elettronica di gestione della montatura) per finire al prezzo competitivo, ma risultò un “flop” clamoroso.

Meade attraversava al tempo una profonda ristrutturazione interna e di acquisizione da parte di società terze e probabilmente il periodo turbolento ebbe ripercussioni sul così detto “controllo di qualità”. Molti utenti si dissero soddisfatti e magnificarono le prestazioni dei nuovi doppietti ma molti altri (i più) denunciarono ottiche di pessima qualità, aberrazioni di sferica e cromatica residua eccessive, elementi ottici ballerini nelle rispettive celle e un documentato calvario nel rapporto con i centri di assistenza. 

Ottiche che andavano e venivano, forse controllate, forse sostituite, e che all’atto pratico sembravano peggiori di quanto non lo fossero al primo acquisto.

In breve la serie LXD500 si creò una pessima reputazione che ne decretò l’insuccesso commerciale e il rapido ritiro dal mercato. Incredibilmente anche sul web si trova poco a riguardo e il mio articolo ha la presunzione di voler essere utile a chiunque abbia avuto (o abbia intenzione di acquistare) una di queste ottiche.

Venga ovviamente tenuto in considerazione che quanto scriveremo riguarda due soli esemplari ed è limitato alla parte ottica principale (quindi alla cella e al doppietto) e nulla dice del resto dello strumento di allora (focheggiatore, intubazione, montatura, cavalletto) poiché la nostra realizzazione è “custom” a tutti gli effetti.

La foto sopra riportata è tratta dal web e non è dell'autore. Viene postata semplicemente a memoria

del set-up originale completo di montatura serie 500.

SCELTE TECNICHE

Avendo acquistato una coppia di obiettivi il primo pensiero è andato alla realizzazione di un binoscopio con fini applicativi di pura osservazione planetaria visuale.

Prima di intraprendere la non semplicissima avventura ho però voluto testare le ottiche per non rischiare di trovarmi con un prodotto di scarso livello tra le mani o con due ottiche dal comportamento non omogeneo.

Benché ci sia la possibilità di passare all’interferometro i due doppietti e ottenere un responso numerico preciso devo ammettere che il mero dato matematico non rispecchia in modo sempre realistico la bontà sul cielo di un’ottica.

Ho così preferito, e in questo riconosco un approccio molto personale, realizzare una intubazione provvisoria su cui intercambiare le ottiche e osservare con loro alcuni astri campione così da poterne meglio valutare la qualità.

La scelta costruttiva ha volutamente tenuto in considerazione alcuni parametri che dovevano consentire di giungere al risultato con una meccanica semplice, robusta, e velocemente riproducibile. Questo ha idealmente scartato qualsiasi costruzione personalizzata e anche opere di riverniciatura varia.

Con il supporto del tornio di Marco Murelli abbiamo realizzato le sole parti necessariamente adattabili ma per il resto mi sono rivolto alla massima standardizzazione. Due flange di raccordo in alluminio hanno permesso la realizzazione della controcella dell’obiettivo e della centratura del gruppo focheggiatore mentre le tubazioni in alluminio preverniciato in nero opaco antigraffio (tipicamente tubi da stufa) hanno assolto, con le dovute modifiche, all’intubazione e paraluce anteriore. Un vecchio focheggiatore Vixen è stato scelto in accordo con la Super Polaris verdina destinata a reggere lo strumento (ma è stata creata anche una versione con focheggiatore crayford da 2 pollici che presenterò più in là…).

L’amico Marco, a cui ho chiesto di tornirmi le due flange di raccordo, mi aveva rassicurato sulla qualità del doppietto che, passato al reticolo di Ronchi, sembrava possedere una bella lavorazione con un bordo ribattuto quasi inesistente e una correzione di buon livello delle frange con ideale PTV valutabile in circa 1/6 di lambda o superiore.

Immaginavo che, una volta installato sulla controcella e con tutte le opere al tubo, raccordi, e modifiche del caso la collimazione avrebbe dovuto essere rifatta da capo portando le tre coppie di viti di regolazione alla posizione di riposo.

Per il primo test, non essendo pronta la Super Polaris e colonna dedicata, ho installato il tubo, ancora privo di paraluce e di sistema di opacizzazione finale interno, su una Takahashi EM-100 e ho cominciato le operazioni preliminari di allineamento cercatore/ottica principale.

La visione di un gruppo di foglie residue dell’autunno, abbarbicate alle ramaglie di una latifoglia posta a circa 40 metri, sono state il target iniziale che ha messo in evidenza la buona lavorazione delle ottiche ma anche denunciato l’eccessiva lunghezza del tubo ottico che non permette ad oculari plossl tradizionali con un diagonale da 31,8mm. di diametro di andare a fuoco.

Un peccato, forse dovuto alla misura di taglio effettuata con ortoscopici ribassati, che mi obbligherà ad accorciare il lamierino di circa 5 cm.

 

 

 

A sinistra: Lo STUFACHRO 102/920 ancora da finire (manca il paraluce) installato provvisoriamente sulla montatura EM-10 Takahashi per i primi test.

Per valutare l’obiettivo ho atteso che la Luna superasse i rami degli alberi che circondano il mio giardino e l’ho puntata con una iniziale soddisfazione immediata, dovuta sia alla contenuta cromatica residua che all’incisione molto buona a basso ingrandimento, che si è però immediatamente stemperata al potere di 92x forniti dal plossl 10mm.

L’immagine semplicemente tendeva a non focalizzare bene con una rimanenza di flou che lo star test stellare ha immediatamente ricondotto a pronunciato astigmatismo.

Le immagini di intra ed extra focale, se si fa eccezione per l’ovalizzazione in senso contrario l’una all’altra, apparivano ben corrette per le altre aberrazioni con la netta visione degli anelli di Fresnel da ambedue le parti del fuoco.

Con l’ottica in condizioni simili non avrei mai potuto rendere utile lo strumento e così ho deciso di aprire la cella, controllarne la fattura e sistemare la posizione delle due lenti flint e crown del doppietto.

Nel leggere molti dei test che riempiono il web ci si imbatte sovente in astrofili, anche esperti, che raccontano di aver trovato l’ottica del proprio strumento astigmatica, oppure affetta da pesante scollimazione, oppure anche da pinzature, di aver rimandato lo strumento al rivenditore per riceverne un altro affetto da ulteriori problemi...

Disavventure simili sembrano aver interessato soprattutto doppietti Meade 102/920 EMC aromatici, bollati come “fondi di bottiglia inutili” da molti e invece osannati dai pochi che hanno avuto la fortuna di imbattersi in esemplari a posto.

Mi sono sempre domandato però come fosse possibile riscontrare qualità così altalenanti in prodotti a larga diffusione che solitamente hanno parametri produttivi standardizzati. La risposta più ovvia, nel mio caso testimoniata da quanto fatto e ottenuto, risiede nella mala opera di assemblaggio finale.

Ho impiegato ben sei tentativi, tutti in progressione verso la soluzione dei problemi, a “centrare” la posizione ottimale (o quantomeno quella molto vicina all’optimum) tra flint e crown. Non avendo a disposizione un banco ottico l’opera è stata eseguita con un monta/smonta continuo intervallato da star test sul cielo.

La cella del doppietto americano (per bollo benché di produzione orientale) si compone di due parti principali che sono la flangia portaottica (molto ben lavorata) e la ghiera di bloccaggio con riportate le caratteristiche dell’obiettivo. Tra le due si pone il doppietto spaziato in aria, un fraunhofer, stretto a sandwich tra un anellino di plastica gommosa dura trasparente e un O-ring nero di compensazione. La spaziatura tra i due elementi è affidata ad un terzo anello sottile semitrasparente.

La geometria è davvero molto bella e incontra tutta la mia approvazione se non nella scelta dell’O-ring a contatto compensativo con la ghiera di serraggio.

Nella fantasia dei progettisti la soluzione avrebbe dovuto consentire, per la caratteristica di semideformabilità della gomma dura dell’o-ring a sezione circolare, una pressione simmetrica esercitata sul crown invece dalla inevitabile asimmetrica imposta dal sistema di chiusura a filetto.

Specialmente nel caso del filetto Meade (a passo lungo) l’idea appare in teoria buona ma scivola poi pietosamente su due aspetti pratici e fisici che la rendono deleteria. Il primo è che, nello stringere la ghiera anteriore, l’O-ring si deforma e trascina nel movimento rotatorio il crown facendogli così perdere l’allineamento ideale con il flint. Il secondo è che l’O-ring risulta molto sensibile alle differenze di temperatura e rischia di rendere più lunghi del normale i tempi di acclimamento dell’ottica introducendo, prima che sia raggiunto l’equilibrio termico ideale, deformazioni non sempre simmetriche.

Se il secondo problema può essere ovviato con un utilizzo intelligente badando a non esporre a differenze di temperatura eccessive lo strumento o avendo la pazienza di attendere il giusto equilibrio, il primo può generare grattacapi notevoli anche perché rischia di passare “inosservato” nelle opere di montaggio.

Dopo ogni spostamento delle posizioni reciproche di crown e flint procedevo a mantenere fermo il crown con una ventosa e serravo con delicatezza la ghiera di ritenzione. In questo modo avevo la certezza di non modificare la posizione individuata e sono così giunto all’eliminazione completa dell’astigmatismo che lo strumento palesava durante le prime osservazioni.

Una volta che l’ottica si presentava non affetta da aberrazioni geometriche cospicue (un accenno debolissimo di astigmatismo è rimasto ma con valore tale da risultare ininfluente alla corretta focalizzazione) ho potuto procedere alla collimazione dell’ottica che viene raggiunta in modo piuttosto agevole agendo correttamente sulle tre coppie di viti di regolazione.

Lo star test ad operazioni ultimate ha dimostrato la bontà globale dell’ottica e della sua lavorazione. L’utilizzo di un oculare plossl da 4 mm. (per un potere di circa 230x) mostra bene le caratteristiche del doppietto Meade che si fregia di una inaspettata lavorazione di buon livello. Le immagini di diffrazione appaiono molto simili benché quella in intrafocale mostri maggiore pulizia, nessuna traccia di aberrazione sferica, nessuna traccia di errori zonali, e una aberrazione cromatica residua molto contenuta, più di quanto mi aspettassi.

OSSERVAZIONE LUNARE - prima parte

L’osservazione del suolo selenico e delle sue principali formazioni sia al terminatore che al lembo illuminato (con Luna appena più vecchia del primo quarto) ha riservato grandi soddisfazioni e una ottima incisione tanto da rendere ideali alla visione i 230x del plossl 4mm.

E’ stato realmente piacevole e rilassante indagare i picchi centrali del cratere Copernico con le loro differenti morfologie, così come i terrazzamenti delle pareti del suo catino e l’infinita ramificazione delle eiezioni di materiale residuo nei dintorni del cratere stesso.

Il nostro Stufachro (mi sono oramai affezionato a questo nomignolo) è riuscito a mostrare molto bene le delicate conformazioni polverose di questa zona con un punto di fuoco precisissimo e molto pulito.

Resta ovviamente una generale lieve cromatica bulletta residua che è possibile leggere nelle forti variazioni di contrasto tra le zone in ombra e alcuni terrazzamenti in pieno sole ma non mi sembra che sia più pronunciata di quella riscontrabile in un più blasonato obiettivo Vixen.

Anche il lembo lunare viene disegnato in modo netto e indagandone la linea è facile seguire il profilo dei crateri che vi si stagliano apprezzandone l’altezza e l’andamento dei loro pendii più visibili.

Parzialmente deludente è stata invece la visione del sempiterno Plato che mi ha lasciato intravedere con difficoltà solamente un accenno di due, a tratti tre, dei suoi tanti microcraterini interni.

Le osservazioni sono state effettuate senza l’uso del diagonale che le ha rese forse più contrastate e pulite ma anche più scomode. Nonostante questo, e anche con il pungente freddo umido della serata, ho comunque apprezzato la visione e la buona complicità dello strumento che si è lasciato spingere a ingrandimenti rispettabilissimi mantenendo una compostezza di rango ma offrendo anche un campo accettabilmente corretto anche in accoppiamento ad oculari a lungo fuoco come i plossl da 40 e 32 millimetri (per poteri tra i 23 e i 29x).

Non ho ovviamente saputo resistere alla tentazione di eseguire qualche scatto con il mio fidato telefonino Samsung S4 con proiezione di oculare e singolo scatto. Ho scelto per l’occasione l’oculare da 6mm. gestendo con lo zoom digitale dello smartphone le immagini a ingrandimento maggiore.

COLONNA E MONTATURA DEDICATE

Desideravo che lo STUFACHRO, pur realizzato in modo economico benché funzionale, fosse ben rifinito e godesse di uno stativo dedicato che richiamasse lo stilema della sua linea.

Così ho riesumato una vecchia montatura Super Polaris, completamente sistemata (smontata, pulita, ingrassata nuovamente, e con la parte elettronica e di motorini interamente revisionata) e dotata di una colonna in acciaio inox e gambe con ruote per il rapido spostamento.

Avevo un avanzo di tubo in acciaio inox di dimensioni appropriate per lunghezza e diametro che ho tagliato e rifinito e al quale ho collegato delle vecchie “zampe” riverniciate e rifinite.

Per il collegamento tra montatura e colonna ho fatto tornire dal sempre disponibile Marco un raccordo “ad hoc” e poi ho assemblato il tutto ottenendo un insieme al mio occhio gradevole e quasi professionale (mi si consenta un po’ di autogratificazione in questo).

Le zampe avrebbero dovuto essere nere a ben guardare ma il colore azzurro elettrico che avevo a disposizione mi è piaciuto e ha dato all’insieme un tocco di “luce”.

La stabilità finale è apparsa convincente e il dimensionamento generale ottimo. La sola “pecca” è dovuta al posizionamento del tubo che ho voluto spostato in avanti per questione meramente estetica ma che richiede un piccolo contrappeso che verrà messo all’interno del tubo ottico verso il focheggiatore.

OSSERVAZIONE LUNARE - seconda parte - confronto con un Takahashi FS-102

Appena nato, o quasi, lo STUFACHRO ha trovato sulla sua strada un superbo Takahashi FS-102, rifrattore che più di tutti gli altri ha saputo incarnare il concetto di apocromaticità in 4 pollici, punto di arrivo per una generazione di astrofili desiderosi di accarezzare le prestazioni delle sue ottiche alla fluorite.

Il bel giapponese stava trascorrendo una vacanza a casa mia in attesa che, su incarico del proprietario, pulissi alla perfezione le sue ottiche che denotano una lieve opacizzazione sul flint (problema non assillante dal punto di vista prestazione ma più fastidioso da quello psicologico).

Il confronto tra i due strumenti sembrerebbe impari ma i primi risultati emersi sono stati molto meno severi di quanto mi attendessi.

Va detto che, dopo aver montato fianco a fianco i rifrattori (lo STUFACHRO sulla sua Vixen Super Polaris con colonna e il Takahashi FS102 sulla solidissima Ioptron CEM-60 e colonna fissa) avevo la sensazione che i due si sarebbero più o meno equivalsi.

Il doppietto Meade 102/920 acromatico aveva dato modo di esibire, dopo le correzioni apportate alla geometria del posizionamento dei suoi elementi e dopo la fine collimazione ricevuta il giorno prima, uno star test invidiabile con una correzione geometrica quasi esemplare.

A differenza il FS-102 aveva qualche sera prima esibito una traccia di astigmatismo proprio durante lo star test dedicato. Si trattava di una inezia ma il passaggio dalle posizioni di intrafocale a quelle di extradotale denunciava inequivocabilmente due assi maggiori contrapposti di allungamento dell’immagine.

Sulla base di queste prime indicazioni ho puntato la gialla Capella in una posizione di cielo già accettabilmente alta da poter essere discriminante.

Il confronto sullo star test è avvenuto con gli oculari da 10, 6 e 4 millimetri in configurazione plossl simmetrico e senza utilizzo di diagonale.

Se ai poteri minori le differenze in piena focalizzazione si traducevano in un nulla o quasi, al potere offerto dal 4mm. (230x sullo Stufachro e 205x sul FS-102) il carattere dei due strumenti è emerso più marcato.

Il Takahashi esibiva uno star test migliore con totale assenza di cromatismo (anche il colore di Capella aiuta un po’ in questo), immagini intra ed extra quasi identiche, una buona focalizzazione ma una non ottimale pulizia del disco di Airy.

Lo Stufachro, pur con una geometria degli anelli di Fresnel molto convincente e assenza di sferica e astigmatismo, mostrava una maggiore luce diffusa e una dominante interna purpurea in extradotale ed esterna bluastra in intrafocale. L’ammontare della cromatica residua era però molto molto limitata.

L’immagine a fuoco era però tendenzialmente più valida di quella offerta dal Takahashi con sicuramente più luce diffusa un poco sfrangiata intorno alla stella ma anche con un disco di Airy più netto e ben visibile.

A integrazione di quanto sopra va detto che il seeing della serata marciava su valori piuttosto limitati e non ha mai superato i 5/10. Inoltre, e questo spiega probabilmente il non perfetto comportamento del Takahashi durante lo star test, il giapponese non aveva ancora raggiunto il perfetto equilibrio termico che mi sono però premurato di affinare prima dell'osservazione lunare successiva.

Per avere maggiori dati al confronto ho atteso che la Luna quasi piena si alzasse e si trovasse in posizione molto alta nel cielo. Le nuvole che andavano e venivano hanno reso il test difficile ma nei momenti di calma e trasparenza sono emerse indicazioni importanti e piuttosto precise.

La sfida si è limitata a due regioni lunari molto interessanti: la zona dei MONTES AGRICOLA con l’ampia rosa di rimae e craterici disponibile oltre al contorno piuttosto monotono che evidenzia domi e dolci rilievi, e il cratere PITAGORA e dintorni.

Per trovare qualche differenza tra i due strumenti, operanti a 230 e 205x Stufachro e Takahashi rispettivamente, ho dovuto indugiare molto e a lungo. Per non rischiare che il treno ottico inficiasse il paragone ho usato lo stesso diagonale e lo stesso oculare su entrambi gli strumenti salterellando da uno all’altro continuamente.

In alcuni momenti sembrava che il Takahashi fosse superiore, in altri che l’acromatico rendesse meglio, e sicuramente i dettagli mostrati dai due telescopi sono stati identici. Nessuna differenza sostanziale li divideva se non la tonalità restituita: più calda e gialla nell’acromatico e più bianca-grigia nella fluorite giapponese.

Muovendomi al terminatore tra le plaghe contrastate di Pitagora e dei suoi crateri vicini ho potuto confrontare la resa dei telescopi sugli alti contrasti, saturazione delle ombre e discernimento dei particolari sui terrazzamenti interni del cratere esposti in pieno sole oppure sui detriti interni al bacino del cratere (che vengono visualizzati quasi di profilo).

Capire quale dei due strumenti mi piacesse di più ha richiesto anche qui un po’ di tempo e ho dovuto convenire che i particolari fossero nuovamente identici. Lo Stufachro non sembrava inoltre esibire cromatica residua che invece diventava più visibile sul lembo opposto della Luna in piena illuminazione. Il Terminatore era invece molto neutro anche se generalmente più giallastro rispetto all’immagine fornita dal Takahashi.

Ho indagato lungamente l’area di Babbage e la pianura interna ad Anassimandro con i suoi microcraterini e la “polvere” disposta qua e là e mi sono imposto di scegliere un vincitore, a tutti i costi. Con un punteggio virtuale di “100 contro 95” ho scelto il Takahashi ma sfiderei chiunque a un verdetto schiacciante.

La ora buona trascorsa tra i domi e crateri lunari mi ha però lasciato una sensazione importante che può aiutare a giustificare il sostanziale pareggio (molto umiliante per il giapponese o se si preferisce estremamente gratificante per l’acromatico americano. Sicuramente il seeing non eccelso ha livellato un poco le prestazioni (ma momenti di seeing buono, pur brevi, ci sono stati e i particolari che emergevano su entrambi gli strumenti erano tantissimi e assolutamente pari) ma più di questo ho “sentito” che l’ingrandimento al quale lo Stufachro lavorava era prossimo al suo massimo (che stimo intorno ai 250x sulla Luna) mentre il Takahashi (che veleggiava a 205x) aveva nel suo arco ancora un centinaio di “x” da stendere.

Mi rendo conto che non sia tanto a giustificare il divario di prezzo teoricamente elevatissimo (un FS-102 si compra oggi a 1600 euro mentre il mio Stufachro è costato di soli materiali circa 1/10 a cui va però aggiunto molto lavoro di affinamento) ma effettivamente i due strumenti viaggiavano a braccetto sul suolo selenico.

Probabilmente, e questo in virtù della differente risposta spettrale dei due obiettivi, nell’osservazione planetaria il divario si amplierebbe molto raggiungendo il suo apice sul pianeta Marte dove la correzione molto spinta del Takahashi nella riga rossa offrirebbe un plus ineguagliabile.

Poiché risulta sempre molto difficile trasmettere in modo oggettivo quello che viene definito dagli anglosassoni “amount of chromatic aberration” ho scattato una fotografia a una porzione di disco lunare non centrale all’immagine tarando il telefonino (l’immagine è ripresa in afocale con proiezione oculare da 17mm. plossl su uno smartphone Samsung S4) affinché valutasse l’esposizione corretta sul cielo nero di fondo e portasse quindi ad una sovraesposizione del nostro satellite (l'immagine sotto riportata è un ingrandimento della porzioe di fotogramma contenente il disco lunare). Diventa così facile esaltare il bordo colorato non a fuoco portando in risalto la radiazione blu/violetta rimanente. Sia dato per accettato che l’immagine nel FS-102 sarebbe priva di tale alone. Si può notare come il defocus della porzione blu/violetta risulta tutto sommato contenuta benché visibile.

STELLE MULTIPLE

Le notti dicembrine di fine 2015 sono state un disastro dal punto di vista astronomico, almeno dalla città di Milano stretta in una morsa di siccità e smog che difficilmente trova nella memoria altro riscontro, e così ho avuto poche occasioni di testare degnamente il nostro rifrattore.

Molte volte, nella speranza di una apertura favorevole, lo Stufachro ha visto spegnersi la luce del giorno e accendersi quella dell’alba inutilmente, sotto una cappa fuligginosa e densa. In una rara occasione ho avuto però qualche sprazzo di trasparenza che mi ha concesso nuovi test e l’osservazione della Alfa Geminorum, Castore

Sebbene non faccia notizia la sua facile separazione, attualmente prossima ai 5” con componenti di magnitudo 1,9 e 2,9 circa rispettivamente, devo però soffermarmi a sottolineare quanto pulita apparisse l’immagine fornita dal 4 pollici acromatico. La coppia (in realtà il sistema è formato anche da altri astri legati gravitazionalmente alle componenti A e B benché la loro luminosità sia notevolmente inferiore) risultava largamente separata a 230x con due dischi di Airy ben rotondi e puliti circondati da un primo anello di diffrazione e da un accenno, debolissimo, di secondo. 

Le caratteristiche geometriche e cromatiche apparivano perfette, le prime, e molto neutre le seconde tanto da lasciarmi pensare che anche un venerabile Vixen 102M non avrebbe saputo fare meglio.

Ho provato a trarre una immagine con lo smartphone Samsung S4 in proiezione di oculare da 6mm. e zoom digitale 4x. La fotografia, risultato di un singolo scatto, non rende giustizia all’immagine visuale. La vibrazione introdotta dallo scatto (non ho usato la funzione di delay) e la cella di seeing in movimento hanno introdotto una lieve distorsione delle immagini stellari oltre a non permettere (non vi è ampiezza di gamma sufficiente rispetto alla percezione dell’occhio umano) la visualizzazione degli anelli di diffrazione.

STELLE MULTIPLE: seconda parte

La notte del 6 agosto 2016, con la complicità di una dolce quiete atmosferica e di tempo da dedicare al gioco, ho eseguito una serie di riprese di sistemi doppie stretti e tendenzialmente ostici da fotografare con strumenti di piccola apertura.

Per ottenere il massimo potere risolutore ho accoppiato il 102/920 con una barlow 5x cinese (si veda a tale proposito l’articolo dedicato su questo sito), operando poi con una camera a colori QHY5L-II.

La foca equivalente di circa 4 metri e mezzo mi ha permesso di ottenere risultati notevoli su doppie anche sbilanciate, il resto lo ha fatto l’ottima ottica da 4 pollici a disposizione.

Sembra incredibile (leggendo alcuni forum lo si direbbe addirittura impossibile) che questo strumento assemblato con povertà di materiali ma finezza di ingegno riesca a raggiungere con facilità il suo potere separatore teorico e che tutto funzioni in modo egregio regalando emozioni non comuni per un rifrattore acromatico da quattro pollici.

IMMAGINI DELLO STAR TEST

Non entrerò ulteriormente nel merito dello star test poiché ritengo che le immagini a seguire, riprese come “single shot” in una notte di inizio Agosto 2016, parlino da sole. Quanto riportato è ciò che si ottiene al fuoco diretto con una camera a colori QHY5L-II senza interposizione di filtri e forzando le esposizioni così da esaltare le dominanti cromatiche che, altrimenti, all'oculare non si percepirebbero bene. Nelle immagini è allegata anche l'immagine ottenuta senza "forzare" i valori.

Mi trovo però a fare alcune considerazioni su quanti, provando nel corso degli anni i Meade 102 ACHR, li hanno bollati come inadatti ad un uso serio e proficuo. Passino i neofiti o gli amatori con scarsa esperienza (quindi la maggior parte in realtà), ma i “famosi” astrofili italiani che hanno rimandato indietro esemplari per farseli sostituire con altri senza trovare la quadra del problema non si sono nemmeno lontanamente sognati di provare a metterli a posto? E le conclusioni demoralizzanti alle quali sono giunti non hanno instillato loro il dubbio che un prodotto di grande serie non potesse fregiarsi di ottiche inusabili? Misteri dei test…

OSSERVAZIONE PLANETARIA

La notte di capodanno tra il 2015 e il 2016, dopo i bagordi serali, alle 4:15 sono uscito nella fredda notte milanese sotto una Luna splendente e un brillantissimo Giove alto sull’orizzonte.

Mi sono messo prontamente all’oculare dello Stufachro puntando Giove sul quale ho indugiato per oltre venti minuti senza credere ai miei occhi. L’immagine che mi si prospettava era incredibilmente dettagliata con una SEB divisa in due sottobande frastagliate e la risalita della GRS verso il meridiano centrale.

La grande macchia rossa mostrava una bella palpebra di contorno chiara mentre le zone temperate, NTB e STB oltre a quella polare nord, esibivano striature e sottili differenze di densità e cromia.

A 230x il quadretto era ancora molto dettagliato e pulito anche se otteneva il suo massimo con il Takahashi LE da 5mm. (184x circa) in cui sembrava esserci il migliore bilanciamento tra ingrandimento, luminosità, e incisione di immagine.

Il mio newton 200/660, installato a due metri di distanza, restava lontanissimo nelle prestazioni nonostante un seeing ottimo (stimato a circa 8/10), e anche il bel FS-102 Takahashi non sembrava avere schiaccianti marce in più se non nel bilanciamento cromatico.

Mentre il Takahashi appariva lievemente più graffiante e con una assenza totale di bordo colorato, ma soprattuto con una immagine bianca, lo Stufachro appariva offrire una colorazione profondamente gialla.

Il cromatismo appare basso (e in questo la dominante aiuta molto) ma a parte il “calore” dei bianchi il dettaglio era assolutamente prossimo a quello fornito dal rifrattore giapponese alla fluorite con un lieve svantaggio solo su alcuni allungamenti fini della NTB e con un  lieve gradiente di contrasto. 

Dato il verdetto espresso dal gigante gassoso ho abbandonato il doppietto alla fluorite e mi sono concentrato sull’acromatico accarezzando rimae e picchi lunari.

Anche in questa occasione sono rimasto letteralmente sbalordito dalla “pastosità” concessa dallo strumento e dalla risoluzione (credo fino al limite fisico) dai suoi 10 cm. di apertura.

Così come avveniva su Giove la superficie lunare appariva tinta di giallo (dominante calda) ma il dettaglio risultava impressionante e aiutato dalla turbolenza dell’aria quasi assente. I 230x offerti dal plossl da 4mm. (che di per sé ha in più occasioni dimostrato di essere un po’ “virante”) erano insufficienti a mostrare tutto quanto alla portata dello strumento ma non avevo tra le mani oculari più spinti e rientrare in casa, svegliando mezza famiglia per recuperarli, mi dispiaceva. Il Takahashi sarebbe stato ancora più "capace"" ma non avrebbe prevalso in modo schiacciante.

Ho provato a riprendere qualche veloce video dei crateri lunari con il telefonino ma il seeing stava peggiorando pur rimanendo a livelli prossimi ai 7/10 (quindi piuttosto buono). I risultati sono nelle foto a seguire.

Non ho invece avuto fortuna su Giove dove la luminosità del pianeta e il contrasto con il fondo tende a “bruciare le ripese”. Un peccato, poiché la serata avrebbe permesso anche alle non eccezionali doti ottiche del Samsung S4 di ottenere un bel dettaglio.

Rispetto alle immagini postate nella sezione “LUNA” quelle sopra riportate appaiono decisamente più valide per due motivi principali: il primo è che sono l’esito di un filmato (benché non di molti frames a dire il vero), il secondo è che hanno potuto essere processate con Registax 6.0.

Quella sotto è invece la prova effettuata su Giove che proprio non avvicina la meravigliosa immagine che si offriva in visuale a causa della sovraesposizione. Si è invece riusciti a cogliere bene 4 satelliti medicei (uno purtroppo è rimasto fuori campo a seguito del cropping eseguito).

La sera del 21 febbraio 2016 ho avuto un po' di tempo per eseguire qualche ripresa di Giove (ancora lontano dal transito al meridiano purtroppo) usando il rifrattore autocostruito STUFACHRO (un acromatico 102/920 incubato in un tubo da stufa..).

Il seeing non volgeva a livelli meravigliosi attestandosi su un 6/10 circa e un po' di "velo" nel cielo non ha aiutato aumentanti un po' il rumore obbligandomi a livelli di gain più elevati del minimo.

Sono riuscito, con la camerina a colori QHYL5-II a ottenere un paio di filmati da circa 4000 frames di cui ne ho staccati circa il 25%.

Ho usato una barlow da 2,5x per una focale equivalente di circa di 2300 millimetri e un rapporto focale di F22,5.

Avrei volentieri proseguito dato che sembrava migliorare la trasparenza (erano circa le 23:00) ma il mio vecchio pc portatile si è "piantato" due volte di seguito e così ho desistito. Qui sotto l'immagine finale ripresa.

CONCLUSIONI

Penso che sia chiaro quanto lo Stufachro 102/920, realizzato in modo molto economico e con un obiettivo di cui è stato scritto soprattutto in toni poco lusinghieri, sia un gran successo. Probabilmente la pessima reputazione di cui gode il doppietto Meade è dovuta ai problemi di assemblaggio esposti più che alla reale lavorazione che appare, una volta che tutti gli elementi sono al loro corretto posto, di qualità forse più elevata della media dei suoi competitor anche se questa non sembra essere costante.

Ho potuto constatare, avendo a disposizione due doppietti apparentemente identici, che il secondo (non scelto per la realizzazione dello Stufachro) presenta un leggero errore zonale al centro dell’immagine di diffrazione. Tale aberrazione si ripercuote in modo tutto sommato limitato sulla focalizzazione finale ma, specialmente durante lo star test e il controllo con il reticolo di Ronchi, offre la misura di una generale approssimazione sul controllo di qualità del produttore. Altrettanto strana è parsa la differenza tra le due celle che, benché apparentemente identiche a primo sguardo, mostrano in un caso viti di serraggio laterali della ghiera di blocco e nell’altro no. Una stranezza poco chiara che lascia immaginare periodi o standard produttivi differenti.

E’ indubbio che molte delle attenzioni poste esulano dalle capacità della maggior parte degli astrofili che hanno valutato l’ottica per come è loro arrivata senza aver modo, coraggio o abilità adatte a sistemarla.

Altrettanto vero appare che la “sovraingenierizzazione” che alcuni ritengono indispensabile al corretto funzionamento di un rifrattore da 10 cm. a medio fuoco sia assolutamente inutile, quantomeno per l'utilizzo visuale del telescopio. Nonostante il “tubo da stufa” e la sua lavorazione approssimativa (nei tagli così come negli accoppiamenti), lo strumento non ha mai richiesto ritocchi alla collimazione una volta sistemato anche dopo operazioni di installazione e smontaggio dalla montatura, movimentazione e dilatazione termica dovuta alle forti differenze di temperatura a cui è stato sottoposto nel passaggio tra ambienti riscaldati e il freddo e umido inverno milanese (differenze sovente prossime ai 17/18 gradi) oppure tra le assolate giornate di luglio e agosto ad osservare il Sole e poi la notte a guardare le stelle... A questo proposito posso dire che l’equilibrio termico è stato raggiunto in poche decine di minuti (mai superiori ai 35/40 minuti). Non è un Takahashi, ovviamente le sue dominanti di fondo e il residuo cromatico lo tengono in un mondo che non è quello della fluorite nipponica, ma se ci si limita al visuale si può benissimo rinunciare al doppietto giapponese e vivere felici comunque pur rinunciando ad una manciata di ingrandimenti.

Nelle osservazioni degli oggetti del cielo profondo infine, almeno fino a ingrandimenti medi, risulta piuttosto difficile notare differenze con un blasonato rifrattore di alta gamma sebbene, almeno a parità di schema ottico, il doppietto alla fluorite sembra avvantaggiarsi lievemente nella trasmissione luminosa con una percezione delle stelle più deboli di campo un tantinello più netta. Si tratta comunque di variazioni molto limitate che è possibile cogliere solamente in un accorto confronto "side by side". Il tutto con buona pace anche di chi, come me, è sicuramente un “fan” delle ottiche a rifrazione di altissimo livello e, pur amando questo Stufachro e sapendo che ben poco in più si può volere da un 4 pollici, di certo non venderà il suo superbo FC-100N immolandolo sull'altare della convenienza.

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