Marzo 2014 - terminata e ri-editata nel 2019
I rifrattori acromatici a corto fuoco hanno cominciato ad essere sdoganati in quantità di largo consumo, almeno nel nostro paese, all’inizio degli anni ’90 con l’introduzione di “cinesi” da 15 cm. e focale di 1,2 metri.
Da allora le cose sono cambiate e migliorate sia dal punto di vista ottico che meccanico e oggi è possibile accedere al ghota dei rifrattori da 6 pollici spendendo davvero poco e avendo a disposizione strumenti compatti e dalle prestazioni interessanti.
Non sono alternative, sia chiaro, ai costosi apocromatici alla fluorite o ai vetri esotici a due/tre/quattro elementi, ma possono garantire immagini ottime nelle osservazioni degli oggetti estesi del cielo profondo, fotografie mozzafiato di nebulose e ammassi (se accoppiati a filtri selettivi a banda stretta), e anche piacevoli visioni dei principali oggetti del sistema solare.
Tra questi strumenti di ultima generazione spicca, già da qualche anno, l’offerta di TS che, con il 152 INDIVIDUAL a 900 mm. di focale, ha realizzato uno strumento molto bene intubato e costruito con ottiche di buon livello.
800,00 euro, il costo dello strumento (perché dire 790,00 mi fa sorridere). Con questa cifra ci si porta a casa, spedito da Telescope Express Italia, un rifrattore da 6 pollici e 90 cm. di focale dotato di un doppietto di tipo Fraunhofer intorno al quale vive una bella cella regolabile, un paraluce rigido scorrevole con tappo in metallo a vite, un tubo ottico molto robusto e ben dimensionato, un focheggiatore di buona qualità (corpo da 3 pollici) con riduzione a 1:10. Il tutto sorretto da due anelli (ben fatti e molto solidi) dotati di collegamento a maniglia e piastra passo Vixen o Losmandy (con extra esborso). In sintesi: 11 chilogrammi di strumento, sicuramente non pochi.
Esteticamente è bello e trasmette una sensazione di opulenza, non c’è che dire. Se anche uno strumento simile non dovesse servire (perché già si possiede qualcosa di alternativo) resterebbe la voglia di comprarlo, anche solo per come si presenta.
Alcuni ne parlano bene (i più), altri male, io (che credo difficilmente a chicchessia per il semplice fatto che gli occhi e l’esperienza sono parametri soggettivi) ho deciso di capire quali performance lo strumento è in grado di produrre e valutarne la bontà di progetto. In questo mi è stato complice Riccardo Cappellaro di TS ITALIA che mi ha fornito un esemplare da usare e sui cui trarre alcune valutazioni.
Lo star test viene eseguito, in prima serata, in condizioni di seeing medio e trasparenza limitata sotto il cielo di Milano nei primi giorni di Marzo 2014.
Ho scelto la stella Capella, altissima sull’orizzonte (praticamente posta allo zenith) e una serie di oculari Takahahsi serie LE in focali comprese tra i 18 mm. e i 2,8 mm.
La puntiformità del disco di airy, la sua geometria e percezione appaiono buone anche al notevole potere di 320x offerti dal 2,8 mm. Ciò che appare nell’immagine a fuoco, che è geometricamente corretta, è però la limitata correzione dello strumento alla radiazione rossa che resta parzialmente fuori fuoco e si palesa come un alone sfrangiato che circonda il disco di Airy (effetto particolarmente visibile a 180 e 320 ingrandimenti rendendoli puramente "accademici").
Il fenomeno è ben evidenziato anche dalle immagini in intra ed extra focale che permettono una percezione della distribuzione della cromatica residua indicativa. Come sovente avviene nei rifrattori a corto fuoco la figura degli anelli di Fresnel in intra focale è meglio definita e pulita rispetto alla posizione opposta. Anche le dominanti cromatiche, che in intra focale sono limitate, emergono prepotentemente in extra focale con una forte connotazione magenta nella parte interna degli anelli e un viraggio al verde sull’anello esterno.
Appare una lieve sovra-correzione dell’aberrazione sferica, comunque estremamente contenuta, e una luce diffusa di media entità (percepibile più fuori fuoco che al fuoco preciso).
Lo strumento è comunque dotato di un obiettivo ben corretto dalle aberrazioni geometriche tanto che la focalizzazione avviene in modo preciso e con uno snap-test che non evidenzia aree di incertezza. Semplicemente, i rossi e una parte dei blu, non vanno a fuoco insieme ai gialli e ai verdi.
La capacità di reggere gli ingrandimenti è però sorprendente per un acromatico da 15 cm. e soli 900 mm. di focale. E’ possibile osservare le stelle singole e doppie senza accenni di eccessivo degrado geometrico fino a circa 300 ingrandimenti e anche i test planetari hanno dato esiti tutto sommato dignitosi. Il problema semmai deriva dalla radiazione non a fuoco che è molta e che penalizza i dettagli in hi-res rendendoli paragonabili a quelli ottenibili con un buon 100 mm. acromatico.
Positivo, oltre ogni rosea aspettativa, è il giudizio sul focheggiatore installato, un tre pollici con riduzione e demoltiplica che viene promosso a pieni voti anche nell'utilizzo hi-res con camera C-MOS ASI 120 MM. Fluido, senza incertezze, giochi o “gommosità”, rende estremamente semplice trovare il fuoco giusto anche su soggetti difficili come Giove.
Grafico di dispersione dell’aberrazione cromatica fornito dal produttore
Il primo target planetario osservato nelle notti di inizio Marzo 2014 è stato ovviamente Giove, ben alto sull’orizzonte e transitante al meridiano a orari comodi.
Il TS 152/900 ha mostrato una immagine discreta quasi buona, migliore di quanto mi aspettassi in relazione al suo rapporto di apertura.
I contorni del pianeta, con gli oculari da 12,5 e 7,5 mm. (per 72x e 120x) appaiono incisi e molto nette si stagliano le principali "features" sul globo. Gli ingrandimenti sono ovviamente modesti ma utili a verificare una scattered light abbastanza contenuta (benché presente e ben percepibile) e un punto di fuoco preciso.
Salendo a 180x (oculare da 5mm.), che appare il potere massimo reale ancora discretamente sfruttabile, il pianeta diventa meno bello ma più interessante. La SEB è visibilmente striata e appare accenno delle anse chiare che la punteggiano. Sono presenti alcune bande sul pianeta e i colori risultano morbidi e realistici.
Esiste, ovviamente, una certa dose di aberrazione cromatica residua che rende l’immagine molto meno incisa rispetto a quella offerta da apocromatico da 10 cm. (che è anche superiore quanto a dettagli percepiti) ma è meno invadente di quanto temessi: un bell'alone violetto diffuso e una discrepanza, dovuta al seeing, tra un lembo e l’altro che tendono a colorarsi rispettivamente di rosso e di verde.
Ho per le mani un filtro Baader Semi-Apo che installo e con cui esamino i risultati (togli-metti). Il pianeta mi piace di più senza il filtro, come mi era già capitato di notare su altri strumenti acromatici. L’aberrazione residua si riduce (anche se non in maniera drastica) ma il contrasto non aumenta e il pianeta tende ad assumere un colore meno naturale (con tonalità fredde) che mi piace poco..
La soppressione della cromatica avviene invece in modo più marcato con un filtro giallo chiaro la cui qualità non eccelsa tende però a impastare maggiormente i dettagli percepibili e a ingiallirli ulteriormente.
Se devo operare un confronto posso dire che la resa su un pianeta come Giove è simile a quella di un acromatico da 10 cm. aperto a f10 con la differenza di una maggiore brillantezza dell’insieme che tende a far pensare a maggior dettaglio ma che aiuta solamente sulla percezione dei colori delle due bande equatoriali principali.
Considerando la vocazione del rifrattore posso comunque dire che le sue prestazioni su Giove sono dignitose e possono essere sufficienti a chi fa dell’osservazione planetaria interesse secondario. Per dare una idea al lettore (più di mille parole) di quanto si veda su un pianeta come Giove con questo TS 152 ho rimaneggiato una mia vecchia foto (fatta con altro strumento) per renderla di dettaglio simile alla visione oculare. Nell'immagine riportata non vi è presenza di aloni di cromatica intorno al pianeta, che invece il TS 152 mostra, e le dominanti cromatiche sulle bande sono differenti (nota fucsia) ma il dettaglio raggiunto è grossomodo quello della foto a seguire.
L’osservazione della Luna è sempre appagante. Con un piccolo 50 mm. o con un grosso apocromatico da 200 mm., il nostro satellite offre uno spettacolo capace di emozionare sempre.
il TS 152/900 conferma di avere ottiche molto ben lavorate e la visione del nostro satellite, anche ad alto ingrandimento, ne è testimone. Dove però arriva la buona lavorazione ottica mostra purtroppo “la corda” la correzione del cromatismo che, de facto, rende inutili ingrandimenti superiori ai 180x offerti dall’oculare da 5mm.
Espedienti di filtraggio, dal semi-apo della Baaedr ai filtri gialli tradizionali, sono a mio modo di vedere inutili tentativi di porre rimedio a una caratteristica intrinseca del progetto ottico che non può essere considerata un difetto a cui porre rimedio "tagliando una parte dello spettro". Personalmente ritengo i filtri di questo tipo più deleteri che utili poiché non migliorano o aumentano i dati disponibili (magari confusi) ma li riducono sensibilmente creando l'inganno di "trasformare un papero in un cigno".
L'immagine sopra, realizzata con il metodo AFOCALE usando una fotocamera digitale compatta Canon ISXUS 125-SH, rappresenta molto bene (è stata fatta apposta) il residuo di aberrazione cromatica presente sul lembo lunare. Affinché fosse indicativa ho ridotto molto la parte di violetto sul lembo sinistro dell'immagine per mostrare come appare la stessa se diaframmiamo lo strumento a 10 cm. Nella parte destra il cromatismo a piena apertura (alone bluetto visibile).
Ho scattato anche una serie di immagini (riportate sotto) con il metodo AFOCALE usando una fotocamera digitale compatta Canon ISXUS 125-SH in proiezione di oculare da 12,5 mm. (sostenuta A MANO) e zoom digitale vario. Non hanno valenza estetica ma mostrano, in modo piuttosto realistico, la resa visuale dello strumento. Nonostante ottiche ben lavorate l’utilizzo di alti ingrandimenti porta a una inevitabile esaltazione della cromatica e alla conseguente riduzione di contrasto e pulizia. Se ci si limita a ingrandimenti inferiori ai 120/130x, però, la visione offerta è davvero bella e quella in combinazione con l’oculare LE 24 mm. (circa 36x) assolutamente spettacolare. E’ una meraviglia, con un rifrattore da 15 cm., osservare il nostro satellite a basso ingrandimento: nessun altro strumento offre una sensazione di tridimensionalità paragonabile (con la eccezione di un binoscopio di apertura simile).
Sul web è possibile trovare foto lunari molto belle scattate con questo strumento ma sono realizzate con camere planetarie apposite, con filtri e con un lavoro di post produzione importante. Diversa invece la resa visuale dove "trucchi" non ci sono e l'occhio, con i suoi limiti, percepisce in modo non filtrato ciò che l'obiettivo realmente produce.
Proseguendo il test fotografico su soggetti planetari ho dedicato un paio di sere alla ripresa di Giove, purtroppo non graziata da condizioni ottimali di turbolenza, usando una CMOS ASI 120MM monocromatica accoppiata ad una lente di Barlow apocromatica 2,5x di marca TS.
Con questo treno ottico e in virtù sia della cromatica residua che di un seeing medio non superiore ai 5/10, ho faticato non poco a trovare la corretta messa a fuoco del pianeta, tanto che alcune prove sono risultate inusabili.
Ho limitato la durata dei filmati, che venivano ripresi con valori di FPS non superiori a 15), a 3000 frame, tenendo i valori di “gamma” a metà scala e il “gain” molto basso, con ADU intorno ai 140-150 circa.
Ho eseguito prove sia con l’ausilio di un filtro Baader IR-CUT che con un Giallo 12 tradizionale, anche in accoppiamento tra loro, e ho ottenuto un pianeta un poco “flou” con dettagli visibili ma il cui contrasto risulta piuttosto basso.
Comprensibilmente poco contento di questo primo risultato ho riprovato la ripresa in una sera di seeing un poco migliore (non di molto), allungando la durata dei filmati fino a 4000 frame e testando altri filtri colorati (n° 11 light green e n° 21 orange).
I risultati, con i dati indicati nelle fotografie, sono i seguenti:
Cosa dire? Che Giove, come del resto tutti i soggetti a basso contrasto, richiede condizioni di stabilità dell’aria molto buone se si vogliono ottenere risultati apprezzabili. I filtri aiutano si e no, dipende, e molto farebbe anche una post produzione di fotoritocco che le mie immagini, volutamente, non hanno.
In mano a imager esperti con il solo fine di ottenere fotografie belle, lo strumento farebbe sicuramente meglio, ma il mio scopo è quello di capire quali sono i limiti se posto nelle mani di utenti non necessariamente navigati (che magari opterebbero per telescopi più specializzati o apocromatici ben più costosi) oltre a raccontare la "verità" sullo strumento, aspetto che non passa mai attraverso il "trucco e parrucco".
Dopo aver eseguito qualche estemporaneo lavoro in aocale sono tornato a riprendere la Luna usando una piccola cmos ASI 120 monocromatica.
I primi tentativi, eseguiti con il nostro satellite molto basso sull’orizzonte, sono di livello poco più che dignitoso. Il mosaico è ottenuto con la somma di 4 pose da 500 frame al fuoco diretto con la ASI 120 MM (quindi a focale 900 mm.) di cui sono stati usati 250 frame per immagine (un po' pochini...). L’immagine singola invece è il risultato di somma di 600 frame su 1000 nelle medesime condizioni del mosaico. Nonostante la turbolenza dei bassi strati si nota immediatamente il miglioramento offerto da una maggiore dinamica di informazione disponibile rispetto al singolo scatto con macchina fotografica compatta.
Un paio di giorni dopo i primi scatti, potendo lavorare con il satellite un poco più alto, mi sono impegnato maggiormente e ho ritentato il test, usando questa volta maggiore informazione sul mosaico (8 video da 1000 frame con una scelta di 550 frame per singola esposizione). Seeing sempre non eccezionale ma si lavora con ciò che si ha... 2 versioni, una incompleta (ho sbagliato...) con filtro IR-PASS, l'altra più canonica con IR-CUT. Entrambe non belle, purtroppo, entrambe errate nella valutazione dell'esposizione e del gain. Inoltre la impossibilità, qui, di inserire immagini a piena risoluzione le sottocampiona in modo vistoso (particolarmente nel caso dei mosaici).
Lo strumento sembra essere un buon performer nella ripresa della nostra stella dove il forte filtraggio tende a superare il problema della cromatica residua e dove la buona correzione geometrica si fa valere. Le immagini sono di Giovanni Fidone e parlano da sole.
Prima di godere di qualche bell’oggetto del cielo profondo, su cui il TS 152 dovrebbe dare il meglio di sé, ho provato qualche stella doppia per saggiare le prestazioni dello strumento in questo campo. I risultati sono stati sufficienti ma non esaltanti a conferma dei limiti del progetto acromatico del doppietto.
Con l’oculare da 6 mm. plossl la DELTA Cigny appare separata ma l’immagine è meno pulita di quella offerta da un 4 pollici apocromatico. Scorretto dire, come si sente in giro, che questo strumento pareggia il conto in hi-res con più nobili ottiche. Anche diaframmandolo a 10 cm. l’immagine resta molto lontana da quella di un Takahashi FS, ad esempio.
Tornando alla Delta Cigny, con l’oculare da 4 mm. l’immagine tende a migliorare un poco ma resta molta luce diffusa e l’incisione tende a venire meno.
Anche la 52 Cigny offre responso simile. L’immagine è accettabile ma non esaltante. Il sistema risulta ben separato con la secondaria debole e la stalla principale luminosa a “rubare” la scena. L’oculare da 6 mm. appare la scelta migliore per questa doppia.
Pochi giorni dopo gli ultimi test ho dovuto restituire lo strumento al legittimo proprietario e ho lasciato questa pagina sonnecchiare per quasi 5 anni in attesa che la mia carriera di astrofilo mi riportasse sulla scia di un altro 152/900...
All’inizio dell’anno del Signore 2019 ho acquistato un esemplare di Tecnocky 152/900. Non so perché, credo di esserci semplicemente “inciampato”, ma non ho resistito ad averlo pensando che avrei potuto terminare l'articolo abbandonato e usarlo per qualche giro turistico tra le plaghe della via Lattea estiva.
Il caso mi ha portato una “prima versione”, quella invero più pesante ma anche migliore essendo più corta di circa 3 cm. e avendo dato modo di dimostrare, in test vari sparsi nel web, di avere una superiore gestione della cella (che differisce nelle versioni V1, la mia, V2 e V3).
Aspettando che mi giungesse l’esemplare acquistato ho dato una occhiata al mondo dei produttori di vetro, partendo dalle dichiarazioni dei rivenditori su tipologie e sigle e anche incuriosito dal tanto chiacchierare che è stato fatto nel corso degli anni su questo strumento.
Il K9 o D-K9 (il crown del nostro obiettivo) è prodotto dalla CDGM ed equivale al BK7 della Schott, con un indice di rifrazione pari a circa 1,51 a 0,587 nm.
Il flint, definito dalla sigla F4 (prodotto sempre dalla CDGM), ha indice di rifrazione pari a circa 1,62 sempre a 0,587 nm.
OHARA non ha in listino nessun vetro con le sigle sopra riportate, almeno da quanto ne sappia io (e io, ovviamente, potrei sbagliare). Ho quindi il sincero presentimento che l’obiettivo del 152/900 non sia prodotto con lenti OHARA come indicato in molti dei siti web dei distributori worldwide.
Con questo non sto dicendo né che sia un male né che sia un bene, mi limito ad una semplice speculazione intellettuale. Non importa oggi chi realizzi i vetri poiché principali produttori hanno livello qualitativo praticamente identico, ciò che cambia è invece la dichiarazione pubblicitaria che tende a sfruttare il "nome" più in auge. Non avendo la assoluta certezza di quanto scritto invito però a prendere con il dovuto beneficio del dubbio le mie congetture.
Ritengo comunque che le voci di “alchimia magica”, “vetri quasi ED” (ma cosa significa poi?) usate per descrivere questi rifrattori siano assolutamente demenziali, un po' come l'entusiasmo che li ha accompagnati fino ad un paio di anni fa e che invece ora (deve essere cambiata la moda o qualche rock star ha iniziato a grattarsi il naso con un'altra mano) sembra essere scomparsa, sciolta come neve al sole.
Alla nostra causa, che è quella della curiosità e della verità, importa poco della pecoroneria del degli astrofili ma interessa stabilire la reale capacità operativa di uno strumento. Ora che si è stabilito ad esempio che il nostro 152 non può essere un fulmine da battaglia in alta risoluzione, importa capire se sia invece una meraviglia nell’osservazione degli oggetti del cielo profondo, così come da sue intrinseche specifiche.
Il tubo ottico è giunto in condizioni non ottimali anche se avrebbe potuto essere utilizzato, quantomeno per i test di routine, così come è uscito dagli imballi.
All’interno del tubo vagava un pezzo di gommapiuma del rivestimento interno della valigia, le ottiche apparivano polverose e il focheggiatore aveva un grano di blocco in giro sparso…
Per non perdere tempo ho deciso di smontare integralmente lo strumento, ho ripulito i tubi esterni (principale e paraluce), le ottiche, aspirato l’interno del tubo e i suoi diaframmi, smontato il focheggiatore e rimosso una piccola “sella” rotta (inutile sotto ogni punto di vista), e sgrassato i filetti di ogni elemento.
Poi ho rimontato il nostro “barilotto bianco” e l’ho posto su una montatura Ioptron CEM-60 per valutarne lo star test.
Dopo 45 minuti di acclimamento (l’immagine appena installato era inquadrabile) ho eseguito alcuni test su Capella e su stelle più deboli nell’Auriga.
Va innanzitutto detto che la collimazione non si è dimostrata perfetta. Pur non creando problemi a ingrandimenti prossimi ai 100 e 120x (oculare planetary da 9mm. e Takahashi da 7,5mm.) con una focalizzazione convincente, ai 180x generati da 5mm. si evidenzia una leggera scollimazione che richiede di essere messa a posto, operazione che mi sono ripromesso di eseguire in una sera di maggiore tempo.
In compenso, l’obiettivo non ha palesato aberrazioni geometriche significative, pur con un pizzico di sferica residua (del tutto accettabile e logica in un obiettivo così spinto a due soli elementi).
Gli anelli di Fresnel sono risultati ben definiti in intra focale ma apprezzabili in modo distinto anche in extra focale. Non sono emersi errori zonali ma una componente spuria cromatica molto ben definita (come del resto già rilevato nel 2014 sul primo esemplare in mio possesso) che ha il suo picco nella parte rossa dello spettro più che in quella blu denotando una certa sottocorrezione nel rosso.
Ritengo, oggi come cinque anni fa, che lo strumento sia dotato di ottiche valide, molto più della media degli acromatici in circolazione, e capaci di spingersi in modo ancora accettabile a poteri prossimi ai 180x, soprattutto su stelle non di primissima grandezza.
Differentemente da qualche anno fa ho voluto saggiare, pur molto velocemente e sommariamente, il campo corretto visuale puntando l’ammasso delle Pleiadi con l’oculare plossl wide da 50 millimetri.
L’immagine, pur dal cielo bianco latte di Milano, mi ha colpito sia per secchezza che per godibilità. I 18x e i quasi 2,9° reali concessi mi sono apparsi “puliti, netti, quasi finti”. Ho accarezzato un accenno di astigmatismo da parallasse ma ho anche al tempo stesso dovuto ammettere che per i quasi 4/5 del campo inquadrato le immagini stellari risultavano geometricamente corrette e il campo abbastanza piano. Indubbiamente un test fotografico avrebbe ridotto tale valore ma, almeno in campo puramente visuale, è possibile valutare in 2° buoni il campo pienamente fruibile, un valore più che lusinghiero e degno di un petzval di venti anni fa.
Poiché non sopporto di avere qualche strumento con la collimazione non più che “perfetta”, la notte del 20 febbraio 2019 mi sono dedicato a sistemare e migliorare l’allineamento ottico del 152/900.
Il lieve disallineamento ottico non era dovuto (come sovente avviene) alla inclinazione della cella porta ottica ma alla non perfetta corrispondenza dei centri ottici del crown e del flint.
Fortunatamente il 152/900 in versione V1 è dotato di una serie di viti laterali alla cella, (esattamente 6 coppie) che permettono di aggiustare la posizione reciproca dei due elementi.
I grani di regolazione vengono aggiustati in fabbrica e laccati con una colla vetrificante che obbliga a lavorare con taglierino e a forzarne la rotazione per sbloccarli (sarebbe interessante capire la logica che gestisce una tale scelta: creare dei gradi di libertà per poi "bloccarli" con la colla...). Una volta liberati i grani si può comunque procedere, con pazienza certosina, alla collimazione che nel mio caso ha richiesto di operare su entrambe le lenti.
Quando l'allineamento ottimale è raggiunto vanno portati i grani a fine corsa senza però ulteriormente agire sul fianco delle lenti pena la loro immediata scollimazione e/o tensionamento che si manifesta con baffi sottili nelle immagini di intra ed extra focale.
Così sistemato, il nostro 152/900 ha dato prova di una eccellente correzione geometrica generale e di una focalizzazione migliorata.
L’operazione non migliora ovviamente la resa cromatica che resta legata alle scelte progettuali ottiche con un cono cromatico molto lungo e una notevole imprecisione nel rosso, ma porta il telescopio ad operare come da specifiche progettuali consentendogli di lavorare al meglio delle sue possibilità.
In questo modo il 152/900 ha separato in modo pulito un paio di doppie “difficili” come la THETA Aurigae e la 32 ORI (separazione attuale prossima a 1,30").
La buona resa dello strumento diviene eccezionale in accoppiamento un filtro verde che pur limitando la luce che giunge all'oculare permette una focalizzazione precisissima e una resa insospettabile su stelle entro la 7° magnitudine circa.
Nell'approntare il set-up ideale per l'impiego del 152/900 su oggetti angolarmente estesi e sui campi stellari è emersa la necessità di scegliere il treno ottico che meglio gestisse le caratteristiche dell'obiettivo principale. Temevo che gli oculari a mia disposizione non fossero sufficienti ad avere risposte definitive (cito tra gli altri la serie SWA 4000 Meade e alcuni plossl modificati a 5 elementi da 50 e 56 millimetri di focale) e così mi sono fatto prestare dall'amico Marco Murelli tre Nagler serie IV da 12, 17 e 22 millimetri. Con questo discreto armamentario ho testato le differenze di correzione di campo per valutare quale soluzione, anche in rapporto al prezzo di acquisto, offrisse le prestazioni migliori.
A fronte di queste prime impressioni ho impacchettato il tutto in attesa di trasportarlo alla mia postazione montana dove impiegarlo nell'osservazione degli oggetti a lui più congeniali: nebulose oscure, diffuse, ammassi aperti e qualche gruppo di galassie.
E’ indubbio che, sotto molti aspetti, sia proprio l’osservazione del cielo profondo l’ambito più congeniale alle caratteristiche del grosso 152/900.
I suoi 6 pollici non ostruiti e la focale relativamente corta consentono visioni davvero spettacolari di molti oggetti lontani nonché di iteri campi stellari e nebulose oscure.
Più di ogni parola posto una immagine da me ripresa nell’agosto del 2019 con una Canon 60D al fuoco diretto dello strumento senza filtri, flat, dark frame, semplicemente la somma di una novantina di pose da 50 secondi NON GUIDATE con ISO impostati su 800.
L’immagine (foto sotto) ritrae il bel campo stellare contenente l’ammasso NGC 6939 e la galassia NGC 6946 che, per inciso, apparivano entrambi all’oculare.
Sotto un cielo molto buio e con basso tenore di umidità (entrambi aspetti INDISPENSABILI) le prestazioni del 152/900 non si fanno attendere.
E’ possibile godere appieno di un difficile ammasso circumpolare come NGC 188, osservare le volute della Veil Nebula senza l’ausilio di filtri interferenziali, apprezzare accenno di banda scura nella zona frontale di M31, e soprattutto discernere molto bene i colori delle singole stelle sia di campo che di molti ammassi aperti famosi. Tra questi è particolarmente piacevole soffermarsi lungamente sul doppio ammasso del Perseo e provare a contare le variazioni di colore percepibili (sono davvero molte) oppure indagare in M11 il contrasto tra il giallo dell’astro di spicco quasi centrale e il resto delle stelle.
Anche l’osservazione della Garnet Star in Cefeo delizia per saturazione di colore e risulta quasi impossibile accorgersi della aberrazione cromatica residua salvo che non la si vada a cercare sulla scarsa decina di astri molto luminosi presenti nel nostro cielo boreale.
Nel corso degli anni il 152/900 ha perso quasi 2 kg. di peso e il suo prezzo è lievitato del 25% attestandosi nel 2019 a circa 1.000,00 euro presso il rivenditore più economico. Sono evoluzioni "normali" nel corso della vita di un telescopio che ha ottenuto un successo di pubblico ammirevole e che lo hanno portato ad ottimizzarsi. Personalmente non sono del tutto sicuro che la versione V3 attualmente in produzione e vendita sia migliore rispetto alla V1 in mio possesso. Se infatti la riduzione di peso può essere considerata un indubbio plus ho dubbi sul resto e sinceramente continuo a preferire una cella multi regolabile anche a costo di pagare il maggior peso della "first version".
Indipendentemente da queste considerazioni il Kunming 152/900 è uno strumento valido e atipico. Dotato di una meccanica di ottimo livello (con qualche affinamento ancora da apportare a mio parere) si pone su un livello completamente differente da quello degli altri acromatici "mass market" acquistabili oggi dall'astrofilo. Impossibile ad esempio paragonarlo ad un Bresser o ad un Synta da 15 cm. a f5 sia per caratteristiche progettuali che per resa ottica. Il suo costo (doppio rispetto a tali presunti competitor) è ben giustificato da una qualità costruttiva più vicina a quella dei blasonati giapponesi apocromatici che dei plasticosi prodotti entry level oggi disponibili. Anche le sue prestazioni non possono essere messe sullo stesso piano di quanto offerto da un 150/750 SW non solo dal punto di vista squisitamente ottico (benché nell'impiego wide field si tolleri molta imprecisione) ma soprattutto in relazione alla possibilità di impiegare treni ottici pesanti e anche utilizzare lo strumento per applicazioni fotografiche. Sotto tutti questi aspetti il Kunming 152 appare effettivamente "un altro pianeta".
Lo stesso aspetto "peso", da molti criticato, è a mio parere un falso problema. L'impiego di un focheggiatore di alto livello e intubazione solida impone necessariamente per un 150mm. di vedere l'ago della bilancia spostarsi pericolosamente verso quota 10 kg. Che questi siano poi 9 o 11 cambia molto poco dal punto di vista pratico. In ogni caso non si tratta di uno strumento "grab and go" e per gestirlo serve una montatura della classe di portata della EQ6 o della Losmandy G11 che con contrappesi e accessori pone il set-up nella classe dei 45/50 kg. che sono il "logico standard" di un rifrattore da 6 pollici. La sola vera alternativa è rappresentata non tanto dai plasticosi SW e Bresser (che non fanno parte della medesima classe di mercato e utenza) quanto dal molto più costoso Vixen NA140SS (il cui tubo ottico costa da solo oltre 1.700,00 euro) che offre in più un peso molto più contenuto (circa 7 kg. contro gli 11 del nostro esemplare) e un disegno ottico con maggiore spianatura del campo. Per contro il Vixen (che a me piace molto sia ben chiaro) presenta non solo 1 cm. in meno di apertura ma soprattutto un focheggiatore imparagonabile a quello del Kumning e che ritengo scandaloso venga ancora proposto, nel 2019, da una azienda come Vixen Optics. L'obbligo per l'osservatore evoluto diventa quello di sostiure il sistema originale con un un Moonlite o Feather Touch il cui costo supera abbondantemente i 400 euro. Del resto sono tutti qui i motivi dell'insuccesso della proposta Vixen sulla serie NA da 13 e 14 cm...