Anno 2013
I cassegrain puri, per loro estrazione, sono strumenti storicamente votati all’alta risoluzione. Sono caratterizzati da una focale lunga rispetto all’apertura (generalmente con rapporti di apertura di f15 o anche maggiori) e ostruzione relativamente bassa. Ma non sono tutti così. Forse per “dispetto” o semplicemente nell’intento di realizzare uno strumento “all around”, la Kenko commercializzò, anni fa, un cassegrain atipico.
Eravamo negli anni ’90 e Kenko, oggi praticamente non più importata in Italia, presentò sul mercato due strumenti particolari: uno schmidt cassegrain da 125 mm. in versione f 9.6 e f 14.4 e un cassegrain classico, appunto il “125-C”, dotato di primario della stessa misura e focale pari a 1 metro.
Il costo di acquisto era piuttosto alto, superando di slancio la psicologica soglia dei 2 milioni di lire, e veniva completato da una bella montatura equatoriale motorizzata in entrambi gli assi.
Il tutto, di pregevole fattura e con una livrea esteticamente accattivante, non incontrò il gusto del pubblico e, di fatto, ne vennero venduti pochi.
L’ostruzione notevole e il costo di vendita importante allontanarono probabilmente anche i fan del marchio giapponese, che gli preferirono i rifrattori a f15 da 80mm. e 90mm.
A me era sempre piaciuto e quando mi proposero di acquistare la versione schmidt cassegrain accettai, ma il venditore si dissolse nel nulla e rimasi a bocca asciutta.
Qualche mese dopo incappai in un annuncio publicizzante un Cassegrain 125-C originale completo di tutto. La cifra era ragionevole e le rassicurazioni del venditore che lo definiva “nuovo” mi convinsero.
Lo strumento era nuovo davvero. Non solo non era mai stato usato ma nemmeno montato, tanto che gli imballi erano intonsi e la componentistica interna ancora sigillata nelle buste termosaldate integre.
Un regalo inaspettato davvero: una volta montato lo strumento era bellissimo!
Sono un purista delle immagini, amo i rifrattori, ma ero terribilmente affascinato da quella enorme ostruzione e mi innamorai all’istante del piccolo Kenko.
La piccola brochure dell'epoca e, sotto, uno stralcio del catalogo tecnico Kenko.
La cella del primario, il paraluce integrato, e il secondario con il suo paraluce
Ho avuto la "prima luce" dello strumento da una postazione in montagna a quota 1300 metri. La prima stella che ho puntato ha fornito una bella immagine, con il primo anello di diffrazione molto spesso e un filo evanescente. 6 spikes ben formati benché non molto luminosi, e una buona focalizzazione.
Lo strumento ha separato bene Alnitak mostrando entrambe le componenti ben separate con due anelli di diffrazione su ambo gli astri (che hanno separazione circa 2,5" e differenza di magnitudine pari a circa 2 punti). Immagine piacevole e ancora decisamente usabile a 250x che, per la prima sera, ho ritenuto il limite massimo dello strumento. Non avevo un treno ottico di pregio a disposizione per questo primo approccio, ma solo cineseria varia rimasta nella casa ospite, e quindi non ho potuto trarre conclusioni certe rimandando così il verdetto a un test più severo.
Lo strumento è apparso comunque molto funzionale con un lieve gioco assiale (migliorabile) denunciato dal focheggiatore.
Non avevo molto tempo ma una occhiata a Orione era obbligatoria e i pochi minuti spesi nella regione della spada mi hanno ripagato. M42 appariva molto bella e il trapezio mostrava 5 componenti benché il cielo fosse umido e la trasparenza non da primato.
Più che adeguata la montatura NES QS che ha dato sfoggio di una notevole stabilità con questo piccolo e leggero strumentino.
Il paraluce dello specchio principale che alloggia, al suo interno, il correttore/estrattore di fuoco
La collimazione è difficile, come in tutti gli strumenti molto ostruiti e relativamente aperti (ricordiamo che stiamo lavorando con un fuoco cassegrain aperto a f8 con una ostruzione lineare prossima al 50%). Nonostante queste premesse la ridotta dimensione dello strumento offre tutto a portata di mano e permette le operazioni di collimazioni relativamente agevoli. L’allineamento delle ottiche è stato fatto utilizzando un oculare Takahashi serie LE da 2,8mm che produce circa 357 ingrandimenti. Il diagonale dielettrico William Optics utilizzato all’occasione (di media qualità) estrae molto il treno ottico e non permette di andare a fuoco con la posizione degli specchi ottici attuale dello strumento. La cosa mi richiede di allontanare lievemente il secondario, operazione che probabilmente riporta la distanza tra le due superfici ottiche primarie a un valore molto vicino a quello ottimale di progettazione. In effetti la posizione delle brugole di collimazione del secondario era tale da lasciarmi presupporre che ci fosse una posizione errata dello specchio secondario. Così “tarato” lo strumento appare lavorare decisamente bene e, una volta messa a punto in modo ottimale la collimazione, le prestazioni in focalizzazione appaiono convincenti. Si avverte una certa aberrazione sferica, che comunque non inficia in modo considerevole l’immagine a fuoco. Il disco di airy è netto e piuttosto compatto, circondato da tre anelli di diffrazione netti e quasi ininterrotti se si esclude il percepibile rinforzo nei punti di intersezione con i sei spikes creati dalle razze di supporto della cella dello specchio secondario. Percepibile una lieve luce diffusa appena oltre il secondo anello di diffrazione, dovuta perlopiù dalla cospicua ostruzione centrale.
Il test più severo è quello della mia assistente migliore: Ginevra
Dopo lo star test e la collimazione effettuata su Arturo, più che altro per la sua comoda posizione in cielo in questo periodo dell’anno, rivolgo l’attenzione, in mancanza di pianeti, alla solita carrellata di stelle doppie di “stagione”.
IZAR, Epsilon Bootis
L’oculare da 30mm. LE permette il centraggio della doppia nel campo e la taratura del sistema go-to della montatura, ma non offre ovviamente indicazioni di merito aggiuntive. Inserendo l’oculare KASAI ortoscopico da 7mm. (che offre un potere di circa 140x) si accede alla visione della doppia come sistema multiplo con componente primaria circondata da due anelli di diffrazione e una debolissima luce diffusa e componente secondaria più debole ma netta, con un solo anello di diffrazione visibile. L’immagine migliora con l’oculare Takahashi LE da 5mm. (200x) che permette, oltre a una maggiore separazione apparente, anche una percezione migliore dei colori. Primaria gialla e secondaria azzurrino slavato. E’ percepibile, al limite, la lieve sferica residua ma l’immagine appare decisamente buona e contrastata, specialmente considerando le caratteristiche dello strumento. La visione è piacevole e molto stabile, aiutata dal seeing decisamente favorevole, e ricorda quella standard riportata sui manuali di ottica. Non vi è il contrasto “crudo” tipico dei rifrattori apocromatici ma l’insieme appare decisamente rilassante e il contrasto generale più che buono.
Struve 1884 Bootis
Situata a R.A.14, 48 e DEC + 24,22 è una doppia abbastanza stretta con componenti poco sbilanciate (primaria di mag. 6,7 e secondaria 7,5) e separate da 2,1”.
L’oculare LE da 5mm rende giustizia al sistema. Entrambe le componenti appaiono deboli (consideriamo che stiamo effettuando l’osservazione sott il cielo di Milano con una magnitudine limite a occhio nudo che non va oltre magnitudine 2,5 circa) e circondata da un solo anello di diffrazione (gli altri sono probabilmente troppo deboli per essere colti). La coppia è ben separata,con una immagine virtualmente immobile e i due dischi di airy ben delineati e piuttosto piccoli. La visione è decisamente appagante e, anche complice la bassa luminosità degli astri, simile a quella offerta da un rifrattore di apertura lievemente inferiore.
Struve 1864 Bootis
Si trova a 14,41 e +16,25 ed è un sistema decisamente facile, con primaria luminosa (magnitudine 4,9) separata dalla compagna di mag. 5,8 da un angolo di 6”.
Il 5mm. LE offre una immagine splendida (non saprei definirla in altro modo) e immobile. Sembra quasi di guardare attraverso un rifrattore da 80/90 mm. a lungo fuoco se non fosse per la maggiore percezione delle tinte che disegna la primaria di colore bianco e la compagna tinta di un azzurro pallido. Primo anello di diffrazione della componente principale immobile, un accenno del secondo anello, e secondaria con un solo anellino debole.
La collimazione ottenuta a inizio osservazione si dimostra davvero ottimale tanto che saggi a ingrandimenti superiori (i 357 offerti dal 2,8mm. sono un valore rispettabile) mantengono inalterate le caratteristiche geometriche dei dischi di airy e tendono a mostrare un accenno del secondo anello di diffrazione della componente secondaria. La separazione percepita diventa notevole e l’immagine resta incorrotta, se si esclude l’inevitabile indebolimento dei dischi stellari. Il disco di airy è molto piccolo (tipico di uno strumento con le caratteristiche progettuali di questo Kenko) ed estremamente inciso.
La visione a oltre 350x (si ringrazia il seeing ottimale della serata) è migliore di quella offerta dall’ortoscopico Kasai da 7mm. che, pur aumentando la luminosità, tende a far perdere spazio tra le componenti rendendole meno suggestive.
Siamo in “zona” e fare un tentativo sportivo è d’obbligo. Non mi aspetto nulla nel puntare le coordinate di A.R. 14,41 e +13,44 di DEC, dove brilla ambigua la famosa Struve 1865 (al secolo Zeta Bootis)., oggetto di molti test con ottiche tra le più disparate. Le componenti sono brillanti e bilanciate (magnitudini 4,5 e 4,6) ma la separazione attuale, prossima a 0,55” è decisamente proibitiva.
Tentare ovviamente non costa nulla, e così, armato del 2,8 LE, inquadro il bel sistema e focheggio sino ad ottenere una immagine estremamente pulita. Insisto per una decina di secondi, poi sorseggio la mia birra gelida e ritorno all’oculare. Il verdetto è certo e insindacabile: il disco di airy non è affatto rotondo ma appare come un fagiolino leggermente elongato. E’ incredibile, considerando i parametri in gioco, ma l’allungamento si nota in modo distinto, anche se appare limitato a valori puramente accademici. Interessante, una volta su tutte, constatare come sistemi doppi molto stretti ma anche perfettamente bilanciati concedano chances di allungamento anche a strumenti il cui potere risolutore teorico è assolutamente insufficiente alla completa separazione. Il Kenko 125, su componenti identiche in magnitudine, separa stelle fino a 1” ma riesce ad allungare componenti anche molto più strette. Quando invece il divario di magnitudine aumenta tra primaria e secondaria cominciano i reali limiti strumentali, come mostrerà a fine serata la teoricamente più facile Delta Cygni.
Struve 1888, Xi Bootis
Soggetto decisamente più facile, posto a 14,51 + 19,06, è una doppia con primaria piuttosto luminosa (magnitudine 4,8) e secondaria più debole (magnitudine 7,0) posta a 6”.
Bella nell’ortoscopico da 7mm. diventa però decisamente preferibile con il Takahashi LE 5mm. che permette un ingrandimento ottimale con stelle immobili graziate dal seeing quieto della serata e dalla favorevole elevazione sull’orizzonte terrestre.
La primaria brilla di luce bianca mentre la secondaria (sulla Xi Bootis incontro sempre difficoltà interpretative della cromia) tende ad assumere a tratti i colori della terra asciutta, a tratti tonalità più grigiastre. L’immagine è molto bella e mi accorgo di divertirmi molto con questo piccolo Kenko di cui scopro velleità sportive ben oltre le aspettative.
Chissà, in una serata simile, cosa potrebbe fare uno SHOWA 150 FRT (!), quando il piccolo 125 C… mamma mia… il primo anello di diffrazione della primaria è immobile… devo scrivere ai giapponesi e ottenere udienza!
Ma che bello questo piccolo Kenko che, nei limiti delle sue possibilità, mi distoglie quasi dal sogno di quell’agognato tripletto alla fluorite…
Risulta separata anche la 44 Bootis, in quella plaga di cielo che i numeri designano alle coordinate AR 15,04 DEC +47,39. Le sue componenti, primaria di mag. 5,2 e secondaria di mag. Variabile tra 5,8 e 6,4, sono separate da 1,9 secondi d’arco e rappresentano un test interessante per il piccolo, ostruito, cassegrain giapponese.
A 200x la separazione è ben colta ma, per i miei gusti, bisogna fare di più e trovo nei 357x offerti dal Takahashi LE 2,8 l’alleato ideale. I dischi di airy sono separati da uno spazio pari al diametro di uno dei due, gli anelli di diffrazione parzialmente sovrapposti, l’immagine piacevole ma priva di indicazioni cromatiche. Incredibile poi come, in questa regione di cielo prossima allo zenith, il seeing appaia meno stabile che ad altezze minori sull’orizzonte per via della vicinanza di uno dei muri della mia abitazione.
Struve 1890, 39 Bootis
Una coppia che mi piace sempre, un classico gentile ed educato che appare, a ingrandimenti prossimi ai 200x, come una coppia di fanali di una automobilina lontana presa nella notte. Una macchinina con un faro lievemente meno luminoso dell’altro (le magnitudini sono pari a 6.3 e 6.7 e la separazione prossima a 2,7”).
Situata a 14,50 e + 48,43 è astro bello in qualsiasi strumento, specialmente se rifrattore ben corretto, ma anche il questo piccolo, miracoloso Kenko.
Salendo a oltre 350x, la separazione percepita aumenta ma l’immagine non migliora e tende a scurirsi troppo sotto un cielo lattiginoso come quello da cui opero e un’apertura di poco meno di 5 pollici a disposizione.
Per testare eventuali fenomeni di astigmatismo (anche se lo star test non ne offriva traccia rilevante) punto la Epsilon Lyrae, sempre bella in qualsiasi strumento privo di aberrazioni cromatiche e geometriche rilevanti. L’immagine è quasi “refractor like” (in questo gioca il basso guadagno luminoso di questo Kenko che permette, su stelle non di primissima magnitudine, di limitare gli effetti deleteri della considerevole ostruzione).
Vega è vicina e puntarla diventa obbligatorio, più che altro per esaminare, su una sorgente brillante, l’immagine a fuoco offerta dal cassegrain giapponese.
A 200x emergono perfettamente tutte le caratteristiche intrinseche dello strumento e del suo disegno particolare. I sei spikes, dovuti alle tre razze di supporto del secondario, appaino evidenti ma vagamente flou (differentemente da quanto avviene in sistemi meno ostruiti centralmente come i Mewlon o i newton classici), ed emerge, oltre e lontano dal 3° anello di diffrazione, un primo anello molto spesso e luminoso ma dall’aspetto “trasparente” e poi un secondo, ancora più esterno, di pari spessore ma di luminosità molto bassa e vagamente percepibile.
Con l’oculare da 2,8mm quanto visto a 200x si accentua ulteriormente. Il disegno geometrico (perfetto tra l’altro) che la configurazione così ostruita restituisce non è privo di un certo fascino e si fa osservare e godere per qualche minuto, in silenzio.
Vega merita comunque di essere osservata anche a bassissimo ingrandimento, per godere della sua la fulgida brillanza e del circostante ricco campo stellare in cui è adagiata. L’oculare da 30mm. LE, che offre 33x e un campo di circa 1,5° è ideale per testare l’ampiezza del campo corretto.
Stranamente, ciò che risulta più fastidioso a medi ingrandimenti, scompare ai bassissimi. L’immagine stellare di alfa Lyrae resta intatta e priva di aberrazioni geometriche rilevanti e percepibili praticamente fino a bordo campo e comincia a denotare una lievissima triangolazione solo quando la stella va ad appoggiarsi al bordo del campo inquadrato.
Assolutamente accademica la visione di M57 (la “Ring Nebula”) che, sotto il mio cielo cittadino, appare come un anellino di fumo denso, a 30 ingrandimenti appena “bucato” al centro. A ingrandimenti doppi migliora la visibilità della zona scura centrale ma nulla più. Stesse considerazioni posso essere fatte per il batufolo di stelline vaghe che è M13 in Ercole. Il grande ammasso globulare, che lascia intravedere accettabile prestazione del Kenko sotto un cielo buio e cristallino, resta ora, nel cielo milanese grigio fumo, un agglomerato di pseudostelle non risolte.
E di Albireo cosa si può dire se non le solite parole? Bella, bellissima in ogni strumento non fa eccezione in questo Kenko. Test irrilevante, a mio parere, ma visione sempre utile al cuore e alla mente.
Lo strumento installato su una montatura Ioptron IE45 per alcuni test sul cielo profondo
I duellanti: il nostro Kenko 125-C su montatura NES-QS e il takahashi TS65-P su una montatura equatoriale anni '60 di un Revue 60/910
Ho deciso, dopo aver trascorso un po’ di tempo ad imparare a collimare il nuovo cassegrain Kenko125C, di testarne le prestazioni confrontandolo con uno strumento tripletto a lenti alla fluorite di soli65 mm. di apertura e 500 mmdi focale: il celeberrimo Takahashi TS65-P Il confronto è stato interessante e, benché lungi dall’essere definitivo, indicativo sulle caratteristiche particolari del Kenko125 C.
Il confronto è avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 febbraio del 2011, da località urbana, con una lieve falce di Luna al tramonto a inizio serata e tasso di umidità medio. Seeing percepito in rapporto agli strumenti di questa apertura stimabile in 7/10
Giove:
Il confronto è cominciato dall’osservazione del pianeta Giove, oramai un po’ basso a dire il vero, ma comunque indicativo.
A parte la differenza di luminosità tra le immagini offerte dai due strumenti, il numero di dettagli visibili è molto simile con una lievissima superiorità del Kenko che rende i medesimi dettagli più facilmente visibili e individuabili. Molto bella, in entrambi gli strumenti (benché più facile nel Kenko) la divisione della SEB che si percepisce con chiarezza su tutto il diametro del disco planetario e che lascia intravedere qualche irregolarità.
I poteri più adeguati ai due strumenti sul pianeta gassoso basso sull’orizzonte sono dati dall’oculare Takahashi LE 7,5 per il Kenko (che offre circa 150x) e dall’ortoscopico da4 mm. per il Takahashi (potere di 125x che sembrava limite inferiori alle prestazioni. Un 3.5mm sarebbe stato ideale ma non lo posseggo – mentre il LE 2.8 scuriva un po’ troppo l’immagine).
Il confronto si chiude quasi alla pari con una lieve supremazia del kenko nei momenti di calma atmosferica maggiore.
Pleiadi:
Benché osservate da un cielo suburbano, le Pleiadi sono sempre affascinanti.
L’utilizzo del plossl da40 mm. accoppiato al TS65P offre il modesto ingrandimento di 12,5x con un campo di oltre 3° per una immagine bellissima. Difficilmente si può chiedere di più e, infatti, con lo stesso oculare, il Kenko esibisce un potere di 25x e un campo prossimo a 1,5° che contiene al “pelo” l’ammasso aperto.
L’immagine è molto bella ma il “quadretto” offerto dal Takahashi TS65 è decisamente più emozionante.
La prova sul limite di percezione della magnitudine massima rende però giustizia alla maggiore apertura del Kenko che mostra stelline più deboli rispetto al Takahashi.
Giudizio? Difficile… da un cielo scurissimo la maggiore profondità di magnitudine offerta dal Kenko avrebbe la meglio ma dal punto di vista estetico l’immagine a largo campo data dal Takahashi è impagabile. Pari e patta.
Alnitak:
Il sistema doppio nella cintura di Orione diviene test per entrambe le sere di osservazione.
L’immagine nel Kenko è discreta, con i due dischi di airy separati e attorniati dai loro anelli di diffrazione (due per parte) che si interpolano e che danno, nel complesso, una immagine particolare perfettamente identica ai disegni che compaiono sui libri e manuali che descrivono la focalizzazione nei sistemi ad alta ostruzione.
La separazione è facile ma per apprezzare l’immagine e cogliere il massimo della risoluzione si deve avere un po’ di pazienza e lasciare che l’immagine degli anelli di diffrazione venga “accettata” e letta correttamente dal complesso occhio-cervello così da permettere la lettura “pulita” dell’immagine.
L’oculare che offre l’immagine migliore è il takahashi LE 5mm per un potere di circa 200x
Il Takahashi TS 65 P ha, per contro, una immagine altrettanto da manuale ma molto più pulita per l’assenza dei vari anelli di diffrazione e degli spikes che il kenko esibisce.
Ovviamente il potere risolvente è inferiore ma il sistema viene comunque separato bene con l’oculare Takahashi LE 2,8 che offre poco meno di 200x e che mostra la primaria luminosa e la secondaria perfettamente adagiata sull’anello di diffrazione della principale.
Un quadretto bellissimo e “calmo”, molto più che nel kenko dove l’immagine è agitata e nervosissima.
Meissa:
Il complesso nella testa di Orione è sempre bello e grazia decisamente l’immagine offerta dal Takahashi che è talmente bella da sembrare finta.
A qualsiasi ingrandimento il piccolo rifrattore “vince” sul cassegrain di maggiore apertura per incisione e facilità di ottenere il fuoco perfetto. In compenso la saturazione dei colori è, come prevedibile, maggiore nello strumento a specchi che permette di cogliere meglio il colore degli astri.
Assaggi su altre doppie hanno più o meno confermato quanto già scritto. Il kenko non è un telescopio “votato” alle doppie strette ma, su componenti separate da almeno2”offre immagini molto accattivanti proprio in virtù della sua alta ostruzione che disegna svariati anelli di diffrazione e che, con condizioni di seeing stabile, permette una visione “nuova” e particolarissima delle stelle.
Mi sentirei di ribadire che il Kenko 125-C è uno strumento molto ben realizzato ma, per essere apprezzato al meglio, va impiegato su soggetti che ne esaltino le doti: ammassi aperti, qualche globulare non troppo condensato, sistemi multipli non più stretti di 1,8/2”, congiunzioni e panorami lunari a ingrandimenti medi (tipicamente non superiori ai 150/200x).
Rinnovo il mio rammarico per il focheggiatore, unico elemento sotto tono in questo piccolo telescopio.
La cella del secondario con la sua notevole ostruzione
Il 125 “C” giapponese si è dimostrato, in condizioni di seeing buone o molto buone, strumento sorprendente e in grado di essere impiegato con incredibile profitto anche nell’osservazione dei sistemi binari a patto di sceglierli in modo intelligente (si legga a questo proposito la mia prima impressione d’uso, risalente ai primi del 2011, in condizioni meno favorevoli).
Questo piccolo telescopio è oggi di difficile reperibilità e costituisce senza dubbio una “piccola chicca collezionistica”, quindi il valore della mia review è più accademico che pratico. Resta però una soluzione interessante, molto ben costruita e dalle prestazioni validissime, anche in relazione a schemi ottici “sulla carta” più performanti (vedi i vari maksutov di pari diametro) rispetto ai quali, però, offre prestazioni inaspettatamente superiori.
E’ estremamente compatto e leggero e si accontenta di montature equatoriali di piccola taglia o di altazimutali (oggi in voga: è la moda del momento) ben realizzate e dotate di moti micrometrici.
Consente inoltre una bella esperienza ottica e il voluttuoso piacere di possedere uno strumento terribilmente ostruito dotato però di specchi di pregevole fattura e lavorazione.
Non è una alternativa al classico rifrattore da 10 cm., ma un oggetto complementare, profondamente diverso e fascinoso, controcorrente e anche “demodé” se mi è consentito il termine.
Ottimo compagno di viaggio possiede inoltre un diametro accettabile per compiere, sotto cieli bui montani, osservazioni del profondo cielo interessanti e, in un certo modo, inaccessibili ai tanto acclamati rifrattori “ED” da 80 mm. a corto fuoco.
Estremamente costoso all’epoca della sua commercializzazione diventa oggi accessibile anche dall’astrofilo medio desideroso di possedere un secondo strumento “particolare”, sempre che lo si riesca a strappare dalle sgrinfie dei pochissimi che lo posseggono.
Vista ravvicinata del Kenko sulla sua montatura originale
La pulsantiera di comando della montatura NES, in tipico stile giapponese
Tabella comparativa del guadagno luminoso dei due strumenti
Lo schema sopra riportato tenta di dare una spiegazione alla tutto sommato modesta differenza di "luminosità" che traspare dall'esame dei due strumenti, in barba al notevole divario di diametro dell'ottica.
Se è infatti vero che la superficie "teorica" di raccolta di luce è in un rapporto di 1 a 3 nei due strumenti, molto diversa è la finale quantità di luce che forma il così detto disco di airy.
Pur avendo usato parametri e valori perfettibili, e avendo inoltre abbondato per eccesso nel caso del Kenko e per difetto nel caso del Takahashi, si evince che la quantità di luce focalizzata nel disco di airy è in rapporto 1 a 1,7 (anzi ancora inferiore se inserissimo i parametri realmente corretti) e tranquillamente considerabile 1 a 1,5.
Inoltre va anche considerato che la luce diffusa tra un anello di diffrazione e l'altro, nel caso del Kenko, tende a ridurre il contrasto dell'immagine e quindi incidere sulla soglia di percezione dell'occhio umano.
Ecco perché, per quanto possa inizialmente sembrare impari il confronto tra due strumenti di diametro così diverso, i risultati siano molte volte in pareggio.
Se il Kenko si è dimostrato uno strumento più “all around” che planetario pagando un certo pegno alla sua notevole ostruzione su un soggetto poco contrastato come Giove, sulla Luna sa invece farsi apprezzare meglio. L’immagine resta meno contrastata e incisa di quella offerta da un rifrattore acromatico da 10 cm. che ha una definizione migliore delle features ma il buon potere risolutore riesce comunque ad aiutare il piccolo cassegrain che, anche in virtù di una apertura limitata (meno di 13 cm.) può essere usato quasi in ogni situazione anche quando il seeing livella le prestazioni di strumenti maggiori.
Fotografare il nostro satellite con il cassegrain giapponese può riservare qualche soddisfazione inaspettata. Il mosaico sotto riportato, tratto da 5 immagini da 350 frame cad (su un totale di 700 circa) con una camera a colori QHY5L-II a cui è stata tolta l’informazione “colore” che virava lievemente sul rosso-marroncino, testimonia le buone possibilità dello strumento e, considerando il seeing pessimo di ripresa, offre ampi margini di miglioramento.