Luglio 2018 - dicembre 2022
Un tripletto è meglio di un doppietto o no? E’ una delle ricorrenti domande che circolano oziosamente sui forum e a cui alcuni cercano di dare risposta, sovente anche con cognizione di causa, ma sembra che le parole scritte vengano presto dimenticate dal ripetersi della domanda.
Non esiste ovviamente una risposta assoluta, piuttosto vanno argomentate, a mio modo di vedere, le scelte che fanno propendere per un disegno ottico o per un altro.
Oggi, con la lavorazione industriale su vasta scala che ha ridotto notevolmente i costi produttivi, risulta più economico gestire le prestazioni di un rifrattore quanto a contenimento della cromatica residua con uno schema a tre elementi piuttosto che con un doppietto con lenti di vetro più pregiato.
In questa direzione si sono mossi, oramai da anni, i laboratori ottici che producono i loro obiettivi poi intubati e rimarchiati in vario modo e immessi sul mercato con i loghi più disparati.
Personalmente apprezzo molto i doppietti classici con un elemento in fluorite, Takahashi in testa, ma non posso negare che alcuni esempi di ottiche a basso costo di produzione orientale riescono ad ottenere prestazioni simili a costi decisamente inferiori.
Purtroppo, ancora oggi, questi prodotti pagano lo scotto di un inesistente controllo di qualità dell’assemblaggio (le ottiche sono invece quasi sempre di buon livello), operazione che costa tempo-uomo e che quindi incide sul prezzo finale molto più di quanto lo faccia l’obiettivo stesso.
Il risultato è scontato: molti strumenti presenti sul mercato denunciano gravi problemi dovuti alle celle e all’allineamento degli elementi ottici con conseguenti aberrazioni che ne riducono prestazioni e soddisfazione del cliente.
Sono pieni i mercatini di tripletti da 3,4,5 pollici venduti per “poco usati” che lo sono semplicemente perché non sono a posto, perché corrodono il loro potenziale con aberrazione sferica o astigmatismo degni di un fondo di bottiglia, perché, in ultima analisi, sono malamente assemblati e i loro proprietari non sono in grado, o non hanno voglia, di sistemarli o farli mettere a posto.
Detto questo resta comunque non criticabile il progetto in sé del gruppo ottico. Un tripletto di apertura non eccessiva (quindi tra i 4 e i 5-6 pollici), DOVREBBE funzionare sempre meglio di un analogo doppietto, anche se il suo elemento “esotico” è in FPL-51 o equivalente di altri produttori.
Ho letto in rete commenti terrificanti sui poveri FPL-51, quasi fossero vetri senza arte o parte, commenti perlopiù affrettati e poco ragionati, come se un valore di Abbe prossimo a 85 fosse indice di scarsa prestazione. Eppure venti anni fa un simile vetro avrebbe fatto la felicità di chiunque, fosse stato anche declinato con un elemento solo di contraltare a formare un classico doppietto spaziato in aria.
Il 115/800, con il suo FPL-51 e due mate glass di cui uno ai lantanidi non bene specificati, dimostra che il suo progetto ottico è, almeno quanto a correzione dell’aberrazione cromatica tanto invisa agli astrofili, assolutamente vincente.
Inoltre, aspetto non disprezzabile, il diametro di 11,5 cm. risulta essere vincente nei confronti dei più diffusi 4 pollici e non così sottodimensionato rispetto ai tanti 127/130 mm. in circolazione con vantaggi di peso, bilanciamento del tubo, tempi di acclimatamento, e costi finali.
E’ con queste idee ben chiare che mi sono azzardato all’acquisto di un Tecnosky 115/800 dopo averne chiesto un rigoroso controllo a banco ottico al venditore, Giuliano Monti da una parte, Luca Zanchetta dall’altra (TS-Italia).
Ero indeciso, e lo sono stato per un po’ di tempo. Il nuovo Tecnosky Apo 102 (in FPL-53 e lantanide) e il fratello maggiore da 125 millimetri mi intrigavano. Uno sarebbe però stato un doppione povero del meraviglioso e inarrivabile FC100N Takahashi che posseggo, l’altro sarebbe stato inevitabilmente schiacciato dal glorioso MT-160, sempre di casa Takahashi, che pure ho in “scuderia”.
Inoltre, aspetto non del tutto secondario, nutrivo qualche velleità fotografica spicciola e un 115mm aperto a F7 con una correzione cromatica sulla carta molto buona, già pronto per l’utilizzo con il suo spianatore/riduttore da 0,79x sembrava avere molte frecce nel suo arco.
Il dado è così stato tratto e il 115/800 è giunto al mio cospetto.
Benché sia un parametro soggettivo e inutile dal punto di vista delle prestazioni pure ritengo che uno strumento a rifrazione debba essere, oltre che ben fatto, anche bello e il Tecnosky 115/800, simpatico o antipatico che vogliate, bello lo è davvero.
Un po’ più grande di un normale 102mm., non troppo lungo, con colori classici (nero e bianco) e un paraluce scorrevole di generose dimensioni, è esteticamente molto ben bilanciato e in accoppiamento con la Ioptron IE45 che uso per sostenerlo sfoggia una livrea invidiabile.
La serigrafia sul paraluce è sicuramente migliorabile, e infatti ultimamente il distributore la ha modificata rendendola più elegante, ma su questo si può “sorvolare”.
Alla bilancia, completo di anelli, barra lunga a passo Losmandy e superiore barra Vixen, accusa un peso di poco superiore ai 7 kg. che lo rendono, se non un “peso piuma”, quantomeno gestibile facilmente da montature diffuse come la citata Ioptron o le EQ6 e sue varianti, date per 20 o 25 kg di portata ma che in realtà ne gestiscono in modo adeguato non più di una dozzina.
Monta un focheggiatore da 3 pollici rotante di abbondante estrazione, con noni incisi sul pignone e vari adattatori e riduzioni, oltre alla demoltiplica 1:10 circa che assolve in modo egregio alla sua funzione e dona allo strumento tecnica eleganza oltre a bilanciare un po’ il peso frontale dei tre elementi ottici.
Il tubo è ben verniciato e resistente ai graffi, il paraluce scorre fluido e ha un fermo che non segna l’alluminio del tubo principale. La cella è ben fatta e pur senza le viti di push-pull frontali ha regolazioni laterali sui tre elementi che ne consentono la registrazione relativa.
I diaframmi interni e l’annerimento appaiono correttamente dimensionati e capaci di ridurre al minimo i riverberi e le luci parassite. Il tutto è poi riponibile in una cassa/valigia di trasporto di ottimo livello, robusta e piuttosto elegante con un sistema di chiusura solido e piacevole.
Il tappo copri ottica è in alluminio a vite, non pesante a dire il vero, e con un “passo” che non mostra, anche dopo un po’ di tempo, di impuntarsi nelle operazioni di apertura e chiusura.
Sul focheggiatore è montata una basetta standard con flangia a coda di rondine per ospitare eventuali cercatori che però non sono compresi nella dotazione di serie.
Il tutto viene proposto all’acquirente all’invitante prezzo di circa 1500 euro (prezzo "pieno" escludendo offerte), la metà o poco più di un Takahashi FC-100 attuale (tra parentesi bellissimo strumento, molto leggero e con prestazioni di rilievo assoluto).
L’ottica è ben trasparente, ovviamente senza difetti, con un trattamento antiriflesso non invasivo dal punto di vista cromatico ma che sembra efficace. E’ composta da tre lenti con una lieve spaziatura in aria, una delle quali in vetro FPL-51 mentre delle altre due si sa poco (almeno ne so poco o nulla io…) se non che ci sia una componente ai lantanidi non meglio specificata.
Analizzato sulla carta, lo strumento è vincente e se pesasse un paio di kg. in meno risulterebbe pressoché perfetto ma non si può chiedere miracoli considerando l’architettura a tripletto e il focheggiatore posteriore di cospicue dimensioni.
Il produttore ne decanta le capacità apocromatiche, e di questo non vi è dubbio almeno in campo visuale come il test a seguire indicherà, e considerando che solo Vixen realizza un simile diametro (non considero il TEC-110 un pari categoria almeno dal punto di vista dei costi, così come neppure il APM 115/805 o il TSA-120 - tutti tre volte più cari e “discontinued”), lo reputo anche interessante nel suo posizionamento ibrido tra i 4 e i 5 pollici.
Resta solo, a suo discapito, la sigla “FPL-51” che sembra tanto infastidire (in modo ben poco giustificabile oserei aggiungere) alcuni puristi dei numeri. All’atto pratico il Tecnosky 115/800 è un bello strumento e sa offrire molto.
Benché abbia propensione fotografica, il nostro Tecnosky 115 non è strumento da valigia. Sento sovente parlare della necessità stringente di molti astro fotografi di acquistare una strumentazione compatta e leggera da imbarcare come bagaglio a mano in aereo e raggiungere così lidi lontani graziati da cieli esotici. E' una velleità condivisibile ma la "balla" che un 80 mm possa essere la risposta corretta non riesce a convincermi. Per fotografare serve anche una montatura, solitamente robusta e precisa, un PC, camera di ripresa, camera guida e vari ammenicoli di corollario. Dove sta tutta questa succulenta merce in un bagaglio a mano? Quindi il nostro 115/800, che viene riposto nel bagagliato dell'auto insieme a tutto il resto può essere considerato uno strumento portabilissimo, almeno nei limiti della logica...
Lo star test è stato condotto nelle notti del 30 e del 31 luglio 2018 sulla luminosa Vega (Alpha Lyrae) usando oculari Takahashi serie LE.
Il 5mm. (che offre un potere di circa 160x) risulta ideale per valutare le figure di diffrazione che appaiono piuttosto buone e prive di aberrazioni geometriche rilevabili ad occhio.
In intra-focale gli anelli di Fresnel sono puliti e la luce diffusa minima. Si rileva una tenue dominante magenta esterna, molto limitata sia per intensità che diffusione. Passando in extra-focale gli anelli di Frensel diventano leggermente più sottili e vicini, indice di una lievissima aberrazione sferica che però ha effetti del tutto trascurabili. Oltre l’anello più esterno compare una leggera tonalità verde mentre la dominante magenta si sposta verso gli anelli centrali.
Il valore di questa cromatica residua, che non si evidenzia nelle posizioni di fuoco preciso, è molto ridotto ed è possibile catalogare come apocromatico a tutti gli effetti lo strumento, almeno dal punto di vista visuale.
Avvicinandomi da ambo le parti al punto di fuoco ho assistito ad una ottima collimazione che genera una stella pulita con un debole primo anello di diffrazione, che si coglie meglio su soggetti stellari meno luminosi, e la mancanza di flare spuri colorati e asimmetrie nella distribuzione sia dell’anello di diffrazione che nella geometria del disco di Airy.
Il focheggiatore si è dimostrato all’altezza dell’impiego in alta risoluzione con il meccanismo di demoltiplica molto fluido e comodo tanto da non mostrare incertezze o “richiami”. L’ottica, parimenti, ha mostrato uno snap test rassicurante con un punto di fuoco unico e piuttosto preciso che richiede attenzione nel focheggiare per non rischiare di andare “oltre” la posizione ideale.
La valutazione del campo corretto visuale è stata effettuata con l’oculare LE 30mm (sempre di produzione Takahashi) che genera in accoppiamento al Tecnosky 115/800 un potere di 27x e 1,95° reali. Ho usato la coppia formata da Albireo lasciando derivare l’immagine sino ad incontrare, grossomodo, il punto di campo inquadrato oltre il quale l’immagine stellare cominciava a palesare effetti di distorsione. Il limite si è fissato a circa 2/3 di campo permettendo quindi di circoscrivere a poco più di 1° (1,2 per la precisione) il diametro di perfetta correzione. Oltre questo limite le immagini stellari assumevano progressivamente una figura affetta da coma e curvatura di campo segno di un progetto che, almeno dal punto di vista fotografico, richiede l’utilizzo dello spianatoie dedicato (due le versioni esistenti: 1x e 0,79x).
A livello visuale l’effetto è accettabile fino a circa 4/5 di campo, oltre diviene fastidioso. Va detto per onestà che lo schema plossl modificato dei LE Takahashi è tendenzialmente non corretto fino al field stop e che tale “difetto” potrebbe avere peso minore con l’impiego di oculari maggiormente spianati.
L’impiego del LE-12,5mm della medesima serie, che offre 64x e un campo reale di poco più di 0,8°, offre invece un campo quasi interamente corretto con un velocissimo decadimento solo a ridosso del bordo esterno, effetto ovvio dovuto alla curvatura delle lenti presso il field stop.
Con i plossl tradizionali a 4 e/o 5 elementi si può quindi ipotizzare che il FOV pienamente sfruttabile con oculari "standard" sia prossimo ad 1°, valore in linea con il progetto ottico e migliorabile solamente con uno schema Petzval espressamente dedicato.
La Struve 525 (Sh-282 AB+C) nella Lira ha offerto uno spettacolo gratificante nonostante il cielo molto poco trasparente di Milano.
Il sistema, composto da tre astri diversi tra loro e posti a separazioni angolari eterogenee, appare come una larga coppia ai bassi e medi ingrandimenti e svela una terza debole compagna a ridosso della principale. Posto a 18 54 52.52 +33 58 06.9 (Ar e DEC) vede una stella principale di magnitudine 6,14 con una debole compagna di 9,12 a soli 1,8” e una terza componente, di magnitudo 7,6, a circa 45,3”. In realtà almeno altre due compagne sono conosciute, rispettivamente di 11,03 e 11,00 magnitudini poste a circa 215” e 192”, ma la loro debole luminosità le rende invisibili se non sotto cieli limpidi e poco inquinati.
Benché flebile e un po’ al limite, a 285x (oculare LE-2,8mm.) la piccola stellina di 9,12 mag. risultava comunque presente e adagiata sul primo e unico anello di diffrazione della principale (leggermente giallognolo) mentre l’astro più distante assumeva tonalità più fredde. Tali impressioni dipendono però molto dalle condizioni del cielo e l’elevato tasso di umidità della notte estiva milanese può aver influito nella percezione delle cromie. Posso garantire che la vista della componente B non è semplicissima e, in barba alla separazione di 1,8" che potrebbe suggerire un target non ostico, si tratta di un ottimo risutato per uno strumento da 11 cm.
Ovviamente bellissima la “doppia doppia”, sempre nella costellazione della Lira, e la precedente Albireo, usata per altro tipo di test.
Nel valutare la Epsilon Lyrae ho potuto apprezzare l’assoluta assenza di astigmatismo mentre la colorata Albireo mi ha fornito la sensazione di una saturazione piuttosto bilanciata dei colori che non sembra esaltare in modo particolare i blu o i gialli restituendo una risposta neutra senza apparenti dominanti a favore di una zona dello spettro rispetto all’altra.
Bellissima, come quasi sempre, si è mostrata Sheliak con la sua fulgida e bianca primaria e la sua compagna quasi azzurra, oculare in questo caso ideale il LE 12,5 millimetri per un potere di circa 64x.
Essendo in zona, e tradendo il titolo del paragrafo, ho osservato anche il tenue anello fuligginoso della planetaria M57 che si è mostrato ben definito anche se poco brillante sotto il cielo lattiginoso milanese.
A seguire mi sono dedicato all’osservazione della 49 Cygni, sistema multiplo con componenti A e B di magnitudo 5,75 e 8,10 separate da 2,7” che si è mostrato bene già a 160x dando il meglio di sé a 285x con la primaria gialla e la secondaria biancastra. Impossibile ovviamente raggiungere le altre due componenti (una a 0,2” e l’altra a 66,7” ma con magnitudine superiore alla dodicesima).
Struve 2741 AB è infine apparsa, ultimo test serale, molto facile con le sue componenti bilanciate (5,94 e 6,79 mag. rispettivamente) separate da 2” di colore bianco-azzurro. Il sistema (componenti A-B) è risultato separato anche a soli 107x (oculare Takahashi LE-7,5mm.).
Molto convincente è stata l’osservazione della Luna quasi al “primo quarto” in condizioni di seeing più che discreto anche se non eccezionali.
Il Tecnosky 115/800 è stato in grado di esibire immagini molto contrastate e anche molto pulite, del tutto prive di aberrazione cromatica e tali da permettere di discernere microparticolari molto interessanti.
Il test è stato condotto con effetto “zoom” intercambiando in successione oculari dal 40mm sino al 2,8 mm (quindi con poteri compresi tra i 20x e i 285x circa) senza mai che l’immagine “rompesse” anche se ho trovato che il potere maggiore fosse un po’ il limite tra dettaglio e luminosità, preferendogli i 200x offerti da un 4mm.
La “zoomata” ha avuto come regione centrale di indagine il promontorio Areherusta e i monti Haemus al confine meridionale del Mare Serenitatis.
Ho potuto apprezzare con grande dettaglio la serie di rimae che solcano le ultime zone di “pianura” appena a nord del cratere Plynius di cui le rimae traggono il nome. I tre "graffi" sulla superficie lunare hanno mostrato notevoli indentellature e praticamente tutti o quasi i dettagli riportati sull’atlante Rukl lasciando emergere alcuni microcrateri intorno a Taquet mentre ho avuto difficltà nell'evidenziare la delicatissima trama delle rimae Menelaus, per la quale avrei forse avuto bisogno di un seeing migliore.
Parimenti emozionante è stato seguire la rimae Sulpicius Gallus e il suo contraltare a nord, il Dorsum Buckland.
Percepibile benissimo anche il cratere Krishna, dal profilo lievemente asimmetrico, a ridosso del Dorsum Owen, altra singolare configurazione.
Si tratta ovviamente di particolari fini e meglio indagabili con strumenti di diametro maggiore (in questo il mio “ex” FCT-150 appariva realmente impressionante e anche il MT-160 offre prestazioni maggiori e più “taglienti” come ho potuto constatare puntando gli stessi target) ma le indicazioni ricevute dal tripletto Tecnosky sono state molto buone e anche la notte successiva, indagando con estrema pulizia la biforcata rimae Fresnel e il suo piccolo cratere, ho potuto constatare la resa ottica di livello del tripletto in FPL-51.
In base alla mia personale esperienza non posso dire che si tratti di uno strumento “definitivo” per la visione dei particolari Lunari, per questo serve più diametro, ma posso sicuramente affermare che gli 11,5 cm. del rifrattore rendono bene per quanto possibile e concesso dal potere risolvente di cui dispongono, il tutto senza visibili aberrazioni.
Dalla mia postazione milanese, i pianeti sono quasi spariti in questi anni data la bassa altezza lungo l’eclittica che li tengono praticamente sempre nascosti dalle fronde degli alberi.
Mi sono dovuto quindi spostare per osservare GIOVE, oramai molto lontano dalle condizioni ottimali di visibilità, già basso nel crepuscolo serale e quindi ingoiato dalle “nebbie” di umidità estiva milanese e con un diametro di 37 arcosecondi circa (dati al 6 agosto 2018).
Intorno alle 21:15 TL di Milano, Giove ha fatto capolino nel cielo velato della prima sera e nonostante non fosse ancora buio ho potuto constatare le buone qualità di focalizzazione del 115/800.
Con l’oculare LE da 5mm. (160x circa), il disco del pianeta appariva un poco giallo per via dell’assorbimento atmosferico e del velo di umidità ma ricco di molti particolari. Il seeing ha collaborato e ho potuto discernere con sicurezza due festoni principali nella NEB più l’accenno di un terzo e una generale increspatura della banda. Dei festoni ho potuto seguire l’allungamento nel senso di rotazione e il loro diluirsi nella zona equatoriale che appariva inoltre solcata da una banda sottile e molto tenue che sembra quasi trarre parte del suo materiale dai filamenti dei festoni.
La SEB mostrava la sua duplicità con la parte sud più densa e scura rispetto alla controparte nord che appare comunque separata da una striscia sottile e frastagliata chiara.
La STB mostra una sottile banda decolorata prima di, scendendo verso sud, incontrare un’altra banda più spessa e colorata (tonalità mattone) oltre la quale si dipana la zona polare sud con un accenno di ulteriore banda e poi una zona di gradiente che diviene più densa in prossimità del polo.
La GMR si delinea ben definita con un colore scuro non uniforme mostrando una “ombreggiatura” più marcata benché non riesca a intuirne il senso di rotazione. La grande tempesta appare anche preceduta da una unghiatura chiara molto ben contrastata che le si avvolge intorno per lo spessore della SEB e ne delinea una parte dell’ovale con un sottile bordo chiaro.
Nella regione nord, la NTB si è mostrata bene anche se meno ricca di dettagli rispetto alla STB. Procedendo verso il polo nord si incontra poi una ampia zona densa che intuisco essere formata da una serie di micro bande che si rendono appena visibili in distolta prima di immergersi nella regione polare più densa e scura.
Quanto osservabile è apparso piuttosto contrastato con un punto di fuoco critico e unico a dimostrazione di una convincente lavorazione delle ottiche e virtuale assenza di aberrazione sferica residua. Quasi trascurabile anche lo shift cromatico dovuto agli strati atmosferici anche in virtù del diametro limitato dell’obiettivo.
A riprova delle ottime qualità ottiche ho potuto ben discernere il diametro di Ganimede, il solo dei quattro satelliti galileiani a ovest del pianeta all'atto dell'osservazione, che appariva appena più grande rispetto ai due satelliti vicini (Io ed Europa) e praticamente identico a quello di Callisto, un poco meno luminoso.
Il SOLE non ha dato soddisfazioni in un periodo di minimo notevole che non ha permesso di vedere nessuna macchia nella mattina del 7 agosto 2018. Coadiuvato dal prisma di Herschel Lunt da 31,8 mm. il 115/800 ha comunque mostrato discretamente la granulosità superficiale pur senza risollevare una osservazione priva di reali spunti di interesse.
Quello che è stato negato dalla nostra stella è invece stato offerto da VENERE, nel secondo pomeriggio, quasi al meridiano, che ha permesso una visione incantevole delle sue formazioni. Sia in luce bianca che con il filtro violetto chiaro (W47) e poi con il blu (80A) e infine con la combinazione di entrambi i filtri, che hanno permesso un contrasto molto alto nel cielo altrimenti bianchissimo, il pianeta ha dato spettacolo. Al “quarto” (totalità del 54% e diametro di circa 22 arcosecondi - dati al 7 agosto 2018) mi ha deliziato con una silhouette affilata, un pizzico di indentature alle cuspidi e soprattutto con alcune ombreggiature estremamente evidenti al terminatore, una più piccola e l’altra molto più estesa a conferire una tridimensionalità notevole.
Per l’occasione ho limitato gli ingrandimenti, salvo alcune punte a 160x, ai 112x circa concessi dall'oculare zoom regolato a 7,2 mm.
L’apertura un poco superiore a quella dei 4 pollici canonici si è fatta apprezzare con la combinazione dei due filtri anche se il seeing fluttuava tra momenti di turbolenza fastidiosa e lunghe manciate di secondi di calma durante i quali le citate formazioni di albedo risaltavano chiaramente.
Durante le osservazioni, sia planetarie che di sistemi multipli ad alto ingrandimento, ho avuto ottimo supporto da parte della Ioptron iEQ45 GNT che si è rivelata montatura ideale per lo strumento e perfettamente in grado di assicurarne la stabilità necessaria ai poteri medio elevati raggiunti. Non credo che montature di classe e portata inferiore facciano altrettanto e consiglio chiunque desideri impiegare proficuamente uno strumento simile di non accontentarsi e scegliere una montatura GO-TO della classe della EQ6 o della IE45 da me impiegata o, perché no, anche supriore che male non fa mai...
Il cielo milanese è probabilmente uno dei peggiori per eseguire foto ad oggetti deep sky ma il mio intento era quello di verificare la resa fotografica dello strumento in condizioni native (quindi senza riduttori o spianatori dedicati) in merito alla correzione del campo sul formato APS-C. Così, armato della mia vecchia Canon EOS 1000D (una DSLR economica molto diffusa di una decina di anni fa circa), ho scattato alcune immagini all’ammasso globulare M13, sufficientemente luminoso da restare “impresso” nonostante la magnitudine visuale non andasse oltre la 2.
Con il Tecnosky 115/800 installato su una montatura Ioptron CEM-60 ho eseguito 60 scatti senza inseguimento con pose da 20 secondi cad. alla sensibilità nominale di 400 ISO.
L’immagine proposta ritrae il campo stellare in cui è immerso il grande ammasso globulare di Ercole ed è utile, se non a fini estetici, quantomeno a valutare la curvatura di campo e le aberrazioni extra assiali introdotte su un formato che è oggi molto diffuso sebbene più piccolo di quello FULL-FRAME a cui molti fotografi si rivolgono specialmente per immortalare i larghi campi con astrografi dedicati.
Posto tre immagini, la prima che raffigura l’intero campo abbracciato dal sensore con indicate le due zone di successivo ingrandimento (parte centrale contenente l’ammasso e angolo superiore destro per visionare le deformazioni presenti).
Benché non completamente spianato quanto fotografato appare generalmente corretto con una ovvia ma tutto sommato non eccessiva distorsione radiale esterna.
In alto: fotogramma originale (somma di 60 immagini da 20 secondi a 400 ISO)
con l'indicazione delle aree ingrandite nelle immagini a seguire.
In alto: ingrandimento della parte centrale dell'immagine di riferimento.
In basso: ingrandimento dell'angolo superiore destro della medesima immagine.
Considerando la assenza di correttori dedicati (che sono comunque disponibili per lo strumento in questione sia con fattore moltiplicativo 1x che 0,79x, quest’ultimo per un più veloce rapporto focale pari a f 5,56 circa), la resa appare più che discreta e testimone di un progetto ottico indovinato oltre che di un esemplare in ottimo stato di allineamento e correzione globale (la distorsione appare infatti perfettamente simmetrica analizzando altre zone del fotogramma finale).
Ritengo quindi che, possibilmente impiegato sotto cieli più adatti e sempre con montature di buona qualità, il Tecnosky 115/800 possa essere un ottimo astrografo.
Partendo dalla doverosa considerazione che io non sono un vero "fotografo", nel senso che non opero quasi nessun procedimento di post-produzione per migliorare le immagini (come invece fanno gli imager deep sky bravi che trasformano radicalmente fotografie mediocri in capolavori) ho testato con qualche scatto il 115/800 sotto un cielo di buon livello. Le integrazioni effetuate sono modeste quanto atempo di ripresa ma i risultati (quantomeno decorosi) ci sono stati.
Devo anche dire che l'utilizzo del correttore da 0,79x dedicato (non in tutte le pose) ha permesso di ottenere un campo realmente spianato sui formati utilizzati (non superiori a quello della ASi 294pro color, camera che a onor del vero non mi è piaciuta nonostante le entusiaste recensioni sul web e che ho ultimamente sostituito con una più performante ASI 533).
Il poco tempo a disposizione (nel periodo di test ho dato più spazio al RASA-8 Celestron e ad altri strumenti) e le bizze della ASI 294 color mi hanno impedito di ottenere altri successi. Mi sono ripromesso, COVID-19 permettendo, di dedicare qualche nottata durante le prossime festività Natalizie tra il 2020 e il 2021 alla ripresa di soggetti con il buon 115/800 usandolo però a focale nativa, questo per un migliore impiego sui target extragalattici che richiedono focali minime di almeno 800 millimetri. In tali applicazioni il VISAC 200L, pur con tempi di esposizione maggiori (si lavora a f9 per 1800 millimetri di focale) risulta sicuramente più idoneo ma il pregio del rifrattore da 11 cm. è quello di poter meglio "contestualizzare" le galassie nel loro campo di fondo. Altro vantaggio rispetto al cassegrain giapponese e srumenti similari risiede nel buon rapporto di apertura che, a f6,9 circa, rende possibile l'impiego di montature e sistemi di guida meno estremi.
L'esperienza in tal senso, sia con montature come la EQ-6 o come la Ioptron CEM-60, perfettamente stazionate con l'ausilio di sistemi come il PoleMaster, mi indica che focali da poco più di un metro vengono gestite egregiamente mentre si comincia a tribolare un po' di più quando ci si sposta verso i due metri, specialmente usando camere moderne con sensori dai pixel molto piccoli in binning 1x1.
Dal punto di vista squisitamente osservativo va detto che, pur con ottiche di buon livello, il 115/800 è e resta un 11 cm. Con tale apertura risulta preferibile dedicarsi agli ammassi aperti, a qualche nebulosa diffusa, e a i globulari più grandi e luminosi. Per quanto ottimamente corrette infatti le sue ottiche non travalicano la fisica e la loro capacità di raccolta di luce resta solo di poco superiore a quella di un classico 4 pollici.
E' però comunque possibile, lavorando da cieli poco inquinati, osservare con buona soddisfazione molti oggetti tralasciando le galassie con magnitudine superiore alla undicesima che risultano meri "puffetti" al limite della visibilità. Per questi oggetti si può tranquillamente rinunciare alla qualità ottica superiore e sposare strumenti più idonei con aperture da almeno 25/30 cm. che rendono in modo ben diverso e che permettono di togliersi qualche seria soddisfazione. Meglio ancora, armati di un buon atlante e di un minimo di pazienza, rivolgersi a dobson da 40 o 50 cm. i cui confini visuali sono molto elevati e che offrono all'amatore in cerca di esotiche bellezze la possibilità di "toccarle" senza rimpiangere strumenti diversi.
Il 115/800, specialmente nella sua prima versione con focheggiatore da 3 pollici, è un bello strumento. Ha ottiche di qualità, ben corrette e praticamente prive di cromatica residua anche negli impieghi fotografici. Non serve, a mio parere, spendere di più se si vuole un all-around refractor capace di gestire con profitto le osservazioni ad alto ingrandimento planetarie, a largo campo su campi stellari estesi, o riprendere la maggior parte dei soggetti del cielo profondo.
In abbinamento al suo spianatore 0,79x diventa un ottimo astrografo e pur senza raggiungere le vette (da cui non si discosta poi molto) di takahashi e altro si fa amare e usare per tutto il tempo che gli si vuole dedicare.
E' abbastanza "compatto" e non pesa uno sproposito lasciandosi montare senza patemi anche su montature di classe medio inferiore come la sempiterna Skywatcher HEQ5 o le GEM 45 Ioptron di nuova produzione.
Ha un bel focheggiatore che non slitta e non si flette e per il costo richiesto (nuovo viene venduto in offerta a circa 1300 euro + 350 euro dello spianatore) può soddisfare chiunque.
Chi lo acquista, magari assicurandosi che sia otticamente a posto, non sbaglia e troverà in lui un compagno di avventure astronomiche fidato e onesto.
Per tutti gli altri esiste il TOA-130 (che costa 4 volte tanto come minimo) oppure il Tecnsky o 130-SLD (che costa il doppio). Migliori ottiche e diametro un poco superiore. Non sono differenze abissali ma a qualcuno, disposto a spendere molto di più, possono bastare.