OCULARI DA MICROSCOPIO

Maggio - Giugno 2015

INTRODUZIONE

Gli esperimenti sono sempre interessanti, indipendentemente dal loro esito offrono la possibilità di cimentarsi, imparare e, fortuitamente, scoprire vie alternative per ottenere ciò che si vuole, a volte con risparmio economico rispetto alla prassi, altre volte solamente con l’aggiunta di un bagaglio emozionale piacevole.

Con questo spirito mi sono affacciato al mondo degli oculari da microscopio che sono solitamente composti da un numero basso di elementi (due o tre) e sono quindi assimilabili, almeno per geometria di base, agli oculari per telescopio in voga alcuni decenni fa: Huygens, Kellner, Ramsden e derivati.

Va detto che gli schemi classici offrono vantaggi e svantaggi e, in alcune applicazioni e con i telescopi giusti, le loro performance sono ancora oggi valide e concorrenziali, almeno a centro campo.

Se quindi il nostro scopo è quello di osservare sistemi multipli stretti o le superfici planetarie, anche in barba alle mode del momento potremmo trovare in uno schema semplice a due/tre lenti un validissimo compagno con un risparmio economico notevole rispetto ad oculari multi-lente odierni.

Il mercato astronomico pullula di cineserie (più o meno ben fatte) denominate “planetary” che altro non sono che oculari dal numero di 5/6 lenti (solitamente con interposte barlow interne) che vengono prodotti per offrire corte focali e FOV (field of view) generosi.

Se però è vero che i moderni trattamenti multistrato aiutano a sentire poco la grande quantità di vetro presente è indubbio che, almeno in campo “alta risoluzione”, meno vetro c’è e meglio è. Si ottengono immagini tendenzialmente meno “virate cromaticamente”, un contrasto elevato, e una spesa di acquisto limitata.

Gli oculari telescopici così formati, Huygens, Kellner, Ramsden e derivati, solitamente in barilotto da 0,965” (anche se oggi in Cina vengono realizzate versioni da 31,8mm.), vengono snobbati dalla maggior parte degli astrofili e venduti per poche manciate di euro sui mercatini dell’usato.

Molti di questi oculari hanno lavorazioni non eccelse ma, uscendo dall’ambito puramente astronomico, è possibile recuperare oculari di alta qualità pensati per altri impieghi tra cui la visione tramite microscopio.

E’ possibile (l’offerta è davvero ampia) trovare di tutto comprese marche produttrici dai nomi blasonati: ROW, NIKON, ZEISS, REICHERT, LEICA, OLYMPUS, LEITZ etc.. E' sufficiente spulciare i mercatini specializzati che propongono oculari di questo tipo a prezzi compresi tra i 20 e i 60 euro cad. (per i più glamour). Ovviamente mi riferisco ad accessori con barilotto da 23 millimetri (oggi superati per evoluzione tecnica da quelli con barilotto da 30mm. (molto più cari e i cui prezzi possono giungere anche oltre i 120/150 euro cad.) che per i nostri scopi vanno però benissimo.

 

Questi oculari, diversamente da quelli pensati per uso astronomico, riportano il potere moltiplicativo offerto in abbinamento con un microscopio tradizionale (5x, 10x, 20x, e così via). Per avere idea della loro focale equivalente va ricordato che la lunghezza focale standard degli obiettivi da microscopio è pari a 250mm. e questo ci permette, con una semplice operazione, di ricavare la focale in millimetri del nostro oculare. Un 5x corrisponde a un 50mm. circa, un 7,5x a un 33mm., un 20x a un 12,5mm. e così via.

Solitamente la qualità è elevata (ma per questo vi rimando al proseguo dell’articolo) ma alcune caratteristiche intrinseche pongono dei “limiti” al loro utilizzo.

Innanzitutto, salvo alcune eccezioni denominate W.F. (wide field), il FOW di questi oculari è limitato. Le versioni a minor ingrandimento mostrano circa 25/30° mentre quelle a ingrandimento maggiore giungono a circa 40°.

Sono valori che oggi tendono ad andare “stretti” agli astrofili ma in caso di utilizzo corretto appaiono più che sufficienti. L’effetto che offrono alla visuale è quello di “imbuto ottico” (specialmente le versioni da 5x sono un poco claustrofobiche) ma personalmente non mi creano alcun problema.

Altro handicap è rappresentato dal diametro del barilotto pari a 23,2mm. che è molto diverso dallo standard usato in astronomia ma che può essere facilmente compensato da un adattatore “ad hoc”.

Tali raccordi sono prodotti da artigiani specializzati e costano una ventina di euro o poco più ma ne servono solamente uno per la visione monoculare oppure due per la stereoscopica con torretta.

A questo proposito è utile considerare che può essere acquistata anche una torretta da microscopio che ha già i portaoculari di dimensioni adatte e che va modificata per essere collegata al focheggiatore del telescopio.

RICERCA E ACQUISTO

Ricerca e acquisto hanno in questo caso coinciso. Sono giunto per caso a studiare le proprietà e caratteristiche degli oculari da microscopio e trovando una offerta per tre di questi di sapore squisitamente vintage e di marchi di buon livello ho deciso di “provare”. Il set iniziale, al quale sto cercando di affiancare altre focali e set doppi per visore binoculare, consiste in un Reichert 5x PLAN, un Baush&Lomb da 7,5x compensativo (quindi con lente aggiuntiva che dovrebbe ridurre il cromatismo), e un ROW (Rathenower Optische Werke) 20x circa. Si tratta di oculari con formato barilotto da 23,2mm. tutti di alta qualità che si sono fatti amare come si può leggere nel proseguo dell’articolo.

CON IL VIXEN ED130SS

Il set di oculari microscopici viene messo a confronto con dei plossl tradizionali e con dei superlativi Takahashi LE e un Kasai Ortho 18mm. usando in prima battura il rifrattore apocromatico VIXEN ED130-SS di nuovo acquisto.

La lunghezza focale del rifrattore (860 millimetri) non consente alti ingrandimenti ma è comunque sufficiente a offrire una prima impressione.

Il range di ingrandimenti raggiunto è il seguente:

 

Plossl 32mm. = 27x

Takahashi LE 30mm. = 29x

Baush&Lomb 7,5x = 26x

 

Plossl 12,5mm. = 69x (con barlow 2x = 138x)

Takahashi LE 12,5 mm.  = 69x (con barlow 2x = 138x)

ROW 20x = 69x (con barlow 2x = 138x)

 

Il vantaggio di utilizzare un rifrattore apocromatico al fine del test è stato quello di verificare se e quanto venisse introdotta aberrazione cromatica di qualche tipo (laterale ad esempio) in confronto a quanto avviene con l'accoppiamento ad un cassegrain classico come il CN-212 Takahashi (vedi oltre).

 

Mi accorgo però durante i test che il Vixen 130 non riesce a mostrare differenze significative tra i vari oculari, almeno su quelli a focale corta.

Sia le visioni di Venere che di Giove, anche in abbinamento alle barlow, rimangono poco significative dato l’ingrandimento massimo raggiunto non superiore ai 140x. Tutti gli oculari  da circa 12,5 mm. si comportano egregiamente con immagini molto incise e pulite e apprezzarne differenze sostanziali è davvero difficilissimo. Venere e Giove sembrano decretare una lieve superiorità della serie LE Takahashi cui segue attaccatissimo il ROW 20X e poi incollato il plossl da 12,5. Il campo inquadrato è un po’ inferiore nel ROW ma 140x ingrandimenti sono pochi e la differenza non appare utile.

La corta focale del rifrattore Vixen mette invece in crisi gli oculari da microscopio per il basso potere risultante.

Il Reichert 5X PLAN fornisce 17 ingrandimenti e mettere a fuoco su soggetti piccoli è difficilissimo (non si sa mai se si è davvero a fuoco) e anche sulla Luna l’immagine è una miniatura ma poco significativa se non per l’impressione di “ninnolo” nel cielo.

Il Baush & Lomb dununcia un po’ di aberrazione cromatica laterale che mi stupisce data la sua ideale correzione ma è anche probabile che la corta focale non lo aiuti. Ottimo invece a centro campo. A 140X la Luna è splendida con tutti i "12,5"mm. (Takahashi, ROW, plossl) e nessuno sembra essere significativamente migliore degli altri. Si nota però un significativo decadimento della qualità di immagine a bordo campo nel ROW 20X.

CON IL CN-212 TAKAHASHI

Dopo aver usato glii oculari con il rifrattore apocromatico Vixen da 130mm. cambio radicalmente telescopio e scelgo come secondo banco di prova il Cassegrain Takahashi CN-212. 21 cm. di apertura, rapporto focale di f12.4 (quindi quasi doppio rispetto al Vixen) e focale equivalente di 2640mm. (il triplo del Vixen).

Ho atteso con impazienza il test sul riflettore Takahashi in quanto lo ritengo capace, con la sua focale generosa, di lavorare a ingrandimenti medio alti senza l’ausilio di barlow e sistemi ottici aggiuntivi che tendono a falsare i risultati.

Tra le ore 18:00 e 19:00 del 18/5/2015 si è svolto il primo test diurno su Venere con i seguenti oculari messi a confronto:

Takahashi LE 30mm. vs. Baush&Lomb 7,5x vs. Plossl simmetrico 32mm. (che offrono sul CN-212 rispettivamente 88x - 80x - 82,5x)

Takahashi LE 12,5mm. vs. ROW20x vs. Plossl simmetrico 12,5mm. (che offrono sul CN-212 tutti il medesimo potere di 210x circa).

Con gli oculari a lunga focale noto una leggera supremazia del Takahashi con il plossl e il Baush&Lomb lievemente staccati. Più che altro il Takahashi appare leggermente più secco e l’immagine un poco più pulita.

Quando invece do il cambio ai 12,5mm. e salgo a circa 210x la situazione si complica e decretare un vincitore non risulta facile. Dopo continue prove concludo che il plossl da 12,5mm. offre migliore secchezza del lembo illuminato mentre la parte del terminatore appare un pochino più definita con il ROW20X.

Quasi identico agli altri il il Takahashi LE 12,5 mm che sembra avere un leggero vantaggio con immagine lievemente più pulita.

Un risultato sorprendente che vede il ROW prevalere (ma parliamo di sottigliezze) ul plossl classico sia nella indentatura del terminatore che nelle variazioni di albedo e accenni di nuvole sull’atmosfera.

Provo ad esagerare e scendo a focali prossime ai 6mm. Siamo a 440x con il Plossl da 6mm e  a 420 con il ROW20x + barlow Celestron Ultima.

Purtroppo sul fronte Takahashi ho a disposizione un 7,5mm (352x) e un 5mm. (528x) e quindi la comparazione diventa ulteriormente difficile.

A oltre 400x il ROW sembre assolutamente pari al Plossl da 6mm. che offre 440x. Invece l’immagine con il LE 7,5 (352x) appare un pochino più pulita mentre eccessivi anche se ancora gestibili appaiono i 528x offerti dalla focale da 5mm.

Alle 18:45, dopo un té tardivo, torno al telescopio e ripiombo in una indecisione notevole. I tre oculari sembrano ora (il seeing è migliorato lievemente) equivalersi. Non importa quale utilizzi, l’immagine è comunque splendida e mi attardo ad osservarla. Va detto, a onor di cronaca, che il ROW mostra un lieve riflesso laterale (fantasmino) che non da alcun fastidio ma che è comunque presente.

ULTERIORI TEST

I primi tre oculari della mia piccola collezione soffrono, a vario titolo, di problemi di sporcizia e appannamento delle lenti.

Un oculare da microscopio ha, al pari di certi ortoscopici astronomici a corta focale, elementi “microscopici” o quasi, solitamente in due o tre pezzi. Per apprezzarne la geometria vanno aperti, smontati, e puliti, possibilmente cercando di non rimontarli al contrario a fine lavoro…

Così, in un tardo pomeriggio di fine maggio, procedo alla semplice operazione e le fotografie che riporto a seguire indicano la situazione a oculari montati e smontati.

 

Quanto è in nostro potere è limitato alla pulizia delle superfici ottiche da alonature principali, granelli di polvere e sporcizia varia. Non ci è possibile, se non con operazioni di lucidatura che sono difficili da eseguire data la ridotta superficie, eliminare i micrograffi presenti sui trattamenti antiriflesso.

A essere sinceri ho anche accesso alle paste superfini di lucidatura delle lenti ottiche di alta precisione e da vista ma non mi sono imbarcato nell’impresa anche perché il solo oculare che palesa qualche problema è il Reichert PLAN 5x che, visto il modesto potere che offre, non richiede obiettivamente alcun tipo di intervento che possa rivelarsi otticamente utile.

Una volta puliti e rimontati gli oculari sono pronti a un nuovo test. Finalmente il ROW 20X appare migliorato e senza i fastidiosi “brugolini” visibili nel campo prima dell’intervento di cosmesi (ne sono rimasti solo una manciata che richiederanno una ulteriore “ripassata”).

Il CN-212 torna ad essere supporto di comparazione per la serie PLOSSL simmetrica e la batteria dei “microscopici”.

Mi concentro su Venere in un testa a testa tra il 12,5mm. astronomico e il ROW 20X e, con tutta la possibile onestà intellettuale a mia disposizione, non riesco a decretare un vincitore certo. A tratti sembra che l’immagine nel plossl sia più “facile”, in altri momenti il ROW sembra avere una “pastosità” superiore e una migliore definizione del terminatore.

Indubbiamente il plossl da 12,5mm. risulta un pochino più comodo data la maggiore estrazione pupillare ma la differenza non è schiacciante.

Se i soggetti a limitata dimensione angolare (tipicamente pianeti e stelle doppie) hanno decretato una ottima resa in asse degli oculari da microscopio, un oggetto esteso come la Luna dovrebbe metterli in seria difficoltà a causa del disegno ottico che privilegia la nitidezza in asse ma che non può molto contro una cromatica residua laterale e una certa deformazione geometrica a bordo campo.

Il primo test veloce eseguito con il rifrattore apocromatico Vixen ED130SS ha bene evidenziato questo limite penalizzando molto il Reichert 5x ma soprattutto il B&L 7,5 che ha mostrato una visibile cromatica laterale a bordo campo e una perdita di fuoco a partire da 2/3 del campo inquadrato.

Come già detto in apertura dei test va ricordato che, soprattutto in abbinamento con gli 860mm. di focale del Vixen, i due oculari forniscono un ingrandimento talmente ridotto da essere poco fruibile. Il PLAN 5X non supera i 17x mentre il 7,5X non va oltre i 26x.

Mi interessava maggiormente la resa del ROW 20X che, con i suoi quasi 69x fornisce indicazioni più attendibili.

La prima impressione che si ha all’oculare (ora che è accettabilmente pulito) è quella di una resa di dettaglio e pulizia di immagine ottime. A centro campo, osservando rimae e crateri maggiori, l’oculare se la gioca alla pari (o forse anche con un lieve margine di guadagno) rispetto al plossl da 12,5mm.

Spostando l’indagine verso bordo campo si nota un accenno di decadimento a cominciare da circa 2/3 di campo con un "defocus" visibile. In questo il plossl simmetrico da 12,5 appare invece quasi perfettamente  corretto.

Per valutare però meglio la resa sulla superficie selenica ho atteso un altro giorno e usato il CN-212 che con la sua focale generosa permette indagini più approfondite.

Il seeing incontrato durante il test ha rispecchiato quanto è stato di norma nella ultima parte del mese di maggio dalla mia postazione: cielo accettabilmente terso ma un venticello tardo primaverile tanto romantico quanto poco propizio alle osservazioni migliori.

Le condizioni si sono comunque dimostrate “nella norma” del periodo e quindi valide ad una disanima obiettiva.

Mentre attendo che la Luna salga e culmini al meridiano opero una lunghissima osservazione di Giove che comincia con il sole ancora sopra l’orizzonte e termina alle 22:00 di sera.

Ho continuato ad alternare l’oculare ROW 20X con il plossl da 12,5 mm e ho indagato l’atmosfera di Giove accessibile fino alla nausea, dal pallido disco diafano nel cielo azzurro chiarissimo fino alla mutua occultazione di due satelliti Medicei poco dopo le 21:30 T.U., nel cielo oramai indaco scurissimo. Una esperienza bellissima ed emozionante vedere i due satelliti baciarsi e sovrapposti e poi allontanarsi nuovamente.

Dopo tanto osservare mi sono accorto della superiorità del ROW 20X. Ho impiegato obiettivamente un po’ a rendermi conto di “cosa non fosse a fuoco bene” con questo oculare… poi ho capito che si trattava di micro dettagli sulle bande e una generale maggiore sottigliezza dei particolari che richiedeva una messa a fuoco molto molto precisa (per l’appunto “microscopica”). Quando ho finalmente compreso “come” usare l’oculare la sua superiorità è apparsa incredibilmente evidente. Addirittura i due tenui festoni visibili con l’oculare da microscopio erano molto più difficili nel plossl e anche le zone temperate e quelle polari apparivano nel ROW più “fini” e dettagliate.

La visione di Giove mi ha anche convinto della non perfetta corrispondenza di ingrandimento tra i due oculari. A tutta onestà mi sembra di poter dire che il ROW20X più che a un 12,5 sembra corrispondere a un 14mm. scarso con un potere equivalente di circa 190/200x contro i 210/211x del plossl 12,5 mm.

Appena la Luna si è avvicinata al suo passaggio al meridiano ho spostato a lei la mia attenzione e la rincorsa dei due oculari è ricominciata. 

Anche qui non è stato immediato stabilire quale fornisse l’immagine migliore ma è risultata immediatamente palese la maggiore correzione del campo offerta dal plossl simmetrico. 

Il ROW 20X denuncia una serie di distorsioni e aberrazioni geometriche che interessano la parte esterna del campo inquadrato mentre il plossl tradizionale appare più corretto e “spianato”.

Se però ci si concentra sulla parte centrale dell’immagine limitata a 2/3 circa del cerchio ottico, e si osserva con calma, è facile apprezzare la maggiore incisione dell’oculare da microscopio, oltre purtroppo l'immagine degenera e diventa non altrettanto fruibile. La trasparenza è ottima e anche la definizione dei particolari sembra averne giovamento. Serve un attimo di attenzione ma alcuni microcraterini sulla superficie dei mari appaiono più contrastati e anche le ombre tendono ad essere leggermente più scure. Sono differenze limitate ma, pian piano, l’occhio si abitua a loro e diventa più facile coglierle.

Nel confronto tra i due oculari mi sono concentrato sul Sinus Iridum e sulla zona di confine con il Mare Imbrium dove ho lungamente osservato i due crateri Le Verrier ed Helicon. Dopo essermi convinto della leggera superiorità del ROW 20X mi sono soffermato su un micro cratere al limite della visibilità e su una sorta di “sporcizia” o “avvallamento” nel terreno circostante. Il Rukl, nella posizione individuata (sulla congiungente Le Verrier - Helicon ma molto vicino al primo dei due), non riporta quasi nulla e così ho chiesto all’amico Francesco Romano, tramite whatsapp, di recuperami una immagine della zona ad alta risoluzione. Craterino e formazione individuati ci siamo stupiti della risoluzione raggiunta che è stata poi confermata dalla visione incantevole del complesso di rimae di Hippalus, al bordo occidentale del Mare Nubium. La delicatezza degli intrecci delle rimae, delle polveri e dei piccolissimi crateri disseminati ovunque è apparsa in tutta la sua bellezza.

Non ho colto infine apprezzabili differenze di tonalità tra i due oculari che hanno un numero di elementi comparabile (3 in 2 gruppi il ROW e 4 in due gruppi il Plossl con il medesimo numero di superfici vetro/aria), né nell’osservazione di Giove né il quella lunare.

Dai test effettuati appare evidente che l’oculare ROW 20X fornisca immagini in alta risoluzione paragonabili a quelle di ottimi oculari moderni. Superiore (benché di poco) a un plossl classico si è trovato appena dietro a un blasonato e molto performante LE Takahash.

Il Reichert PLAN 5X e il Baush & Lomb 7,5X hanno focali tendenzialmente un po’ troppo corte per essere davvero utili se non con strumenti con focali superiori ai 2 metri. Entrambi hanno immagini ben nette al centro ma tendono a mostrare aberrazioni significative oltre i 2/3 di campo. anche se le immagini stellari restano comunque godibili dato il basso ingrandimento.

CONCLUSIONI PROVVISORIE

Va premesso che le conclusioni alle quali sono pervenuto sono parziali e come tali devono essere prese. I test sono stati effettuati su un campione esiguo di oculari da microscopio, diversi tra loro per marca (benché tutte di primo piano), e dotati di corpo da 23,2mm. (quindi oculari “datati” quanto a trattamenti). Probabilmente i più moderni "corpo 30mm." potrebbero risultare anche migliori, se non altro come comodità di visione, inoltre non è detto che oculari meno pregiati si comportino altrettanto bene.

Detto questo (e per le conclusioni finali - ammesso che se ne possano scrivere - attendo ulteriori sviluppi di questa mia nuova “malattia”) posso dire che gli oculari da microscopio, se utilizzati correttamente, trovano anche in campo astronomico applicazioni valide.

Non li riterrei sostitutivi tout court di quelli pensati per astronomia (e questo per via della distorsione oltre metà campo ottico), piuttosto come un secondo set alternativo. Possiedono un sapore molto vintage e la loro compattezza li rende agli occhi degli appassionati pregevoli e intriganti. Meritano una cassetta in legno rivestita internamente di velluto e dotata di apposite sedi circolari e magari di una torretta “revolver” girevole modificata e a loro dedicata.

Nelle applicazioni su soggetti di modesto diametro angolare (pianeti e stelle doppie) sanno far valere un contrasto elevato e una pulizia di immagine notevole, quasi pari ai migliori oculari in circolazione. Possono inoltre essere recuperati a cifre interessanti (è facile con poco più di 100 euro acquistare un set eterogeneo di 3/4 ottiche di buon livello).

Nelle applicazioni solari e lunari offrono tanto a centro campo ma mostrano un significativo decadimento verso l’esterno che può essere fastidioso. Questo li rende non a loro agio soprattutto sui panorami Lunari mentre lavorano molto bene se ci si concentra su una singola zona o cratere.

Sono un gioco per astrofili evoluti, me ne rendo conto, e tendono a dare dipendenza, quindi fate attenzione...

UN NUOVO SET: TIYODA TOKYO "P" e "KW"

Risalire al significato corretto delle sigle di oculari da microscopio non è semplice. In questo campo sono un neofita e mi sono dovuto appoggiare ad alcuni forum specialistici nonché a informazioni sparse sul web.

I nuovi Tiyoda in mio possesso sono caratterizzati dalle sigle “P” (modelli 7x e 10x) e “KW”(modelli da 15x). La “P” delle prime due coppie dovrebbe indicare, stando a quanto trovato, una caratteristica adatta all’osservazione di tipo mineralogico e quindi in accoppiamento ad una illuminazione polarizzata. Sono oculari progettati per non avere tensioni interne. La versione invece indicata come “KW” dovrebbe essere studiata per compensare la cromatica laterale (sigla “K”) e per fornire FOV maggiore (sigla “W” = wide).

In effetti, alla prova sul campo, si identifica immediatamente l’oculare KW con una maggiore dimensione del campo circondato dal diaframma interno che sembra permettere un FOV di circa 40° stimati.

Gli oculari “P”, che forniscono ingrandimenti minori, appaiono molto corretti a centro campo ma impongono una cromatica e distorsione geometrica crescente man mano che ci si avvicina al diaframma di campo.

IL TIYODA KW15x alla prova

Una lunga prova è stata eseguita ponendo a confronto l’oculare Tiyoda 15x (che equivale ad una focale tradizionale di circa 16,6 millimetri) abbinato alla barlow 2x Celestron Ultima con il Takahashi LE 7,5 mm.

Al fuoco del rifrattore cromatico autocostruito da 110/1100 le due configurazioni offrono 132x (Tiyoda) e 146x (Takahashi).

Il sistema doppio di IZAR, nel Bovaro, è stato il banco di prova iniziale e ha mostrato una sostanziale parità con una forse lieve superiorità dell’oculare microscopico. La componente primaria del sistema appare gialla e la secondaria correttamente azzurrognola anche se il rifrattore in oggetto lascia irrisolta una parte della componente rossa della radiazione che genera un percettibile ma molto contenuto alone rossastro.

COR CAROLI, la alpha Canes Venatici, mette bene in risalto la pulizia di immagine offerta dal Tiyoda 15x che, senza l’aggiunta della barlow, permette un ingrandimento ottimale nell’osservazione del sistema. Le due componenti brillano di un giallo pallido e un azzurro tenue in un campo scuro con un contrasto notevole e migliore di quello offerto dal plossl da 17 mm. usato a paragone. Lodevole la totale correzione del FOV che, pur più limitato di circa 10/12° rispetto a quello abbracciato dal plossl, è interamente sfruttabile con una sensazione di grande precisione.

Benché il cielo milanese non consenta l’osservazione di stelle deboli (in relazione al diametro da 11 cm. del rifrattore acromatico) ho tentato l’osservazione al limite strumentale della 78 UMA. Posta a ore 13 e 01 e + 56, 22 gradi il sistema vede due stelle di magnitudine 5.0 e 7.9 separate da circa 1,2”. Non ho potuto apprezzare la duplicità della coppia anche se ho avuto la sensazione che la debole compagna giacesse appena all’interno del primo anello di diffrazione della primaria.

Restando nelle plaghe dell’Orsa Maggiore ho puntato la Struve 1695, posta a 12,56 e + 54,06. Le caratteristiche intrinseche del sistema, con componenti di 6.0 e 7.8 magnitudini separate da circa 4”, si è sposato meglio con il potere consentito dal binomio Tiyoda 15x e lente di barlow 2x mostrandosi ben risolto in due fini stelline bianche, perfettamente puntiformi con un accenno di debole anello di diffrazione intorno alla primaria.

Va detto che la duplicità della coppia si evince già senza problemi anche senza l’ausilio della barlow (per un potere di circa 66x).

Visione bellissima l’ha offerta anche la ben conosciuta famiglia di Mizar e Alcor. Il campo apparente prossimo ai 40° sembra perfettamente adatto all’osservazione che risulta più “intima” (offrendo meno cielo di contorno) rispetto alla quella restituita dal plossl da 17mm. che sembra permettere una minore “pastosità” dei bianchi e anche una appena meno precisa focalizzazione. Le differenze restano assolutamente poco significative ma il test, condotto con il fine di evidenziare anche piccolissime variazioni, sembra dare ragione all’oculare da microscopio.

Molto facile anche se debole dal cielo inquinato di una città come Milano è stata l’osservazione della Struve 1770. La separazione di 1,7” non ha però permesso la risoluzione con i soli 132 ingrandimenti garantiti dal Tiyoda e barlow 2x e ha necessitato di scomodare l’oculare da 2,8mm. Takahashi LE che, con i suoi oltre 390x ha separato agevolmente la coppia.

Per rientrare nelle possibilità dell’oculare oggetto del test ho passato il meridiano locale e rivolto l’obiettivo da 11 cm. verso le sorgenti costellazioni della Lyra e del Cigno. 

Nonostante goda di ampio consenso presso i tester da rivista, la “doppia doppia” della Lira non ha mai suscitato in me grandissima attrattiva. La epsilon risulta già facile preda per strumenti da 6 cm. e può essere utile solamente per  verificare il minimo ingrandimento a cui uno strumento riesce a separare le sue componenti. il Tiyoda 15x riesce, al fuoco dei 1100 millimetri del 4 pollici e 1/3  acromatico, a indicare la duplicità delle stelle principali anche se la migliore separazione si ottiene con l’aggiunta della barlow. Il confronto con l’oculare 7,5 Takahashi ha messo in evidenza una leggera superiorità di quest’ultimo sul microscopico Tiyoda ma la maggiore sensazione di pulizia ritengo fosse dovuta al maggiore ingrandimento fornito più che ad una migliore focalizzazione del blasonato giapponese.

La conferma di ciò è giunta osservando la più difficile DELTA Cigny che mostra in modo più netto la compagna debole, a ridosso della stella principale, nel Tiyoda + barlow che non nel Takahashi da 7,5mm. Anche in questo caso le differenze sono sottilissime e coglierle è possibile solamente alternando più volte gli oculari. Salire un po’ con gli ingrandimenti risulta gratificante tanto che il Takahashi LE 5mm (220x) si dimostra la scelta migliore e permette una lettura da manuale del sistema stellare.

 

Per sfizio ho terminato la serata con un confronto tra il Tiyoda 15x e il ROW 20X, entrambi accoppiati alla barlow Celestron. Come ho avuto già modo di scrivere ritengo che la focale dichiarata del ROW sia sovrastimata tanto che il potere risultante appare non molto superiore a quello del Tiyoda e più prossimo ad un 18x che non ad un 20x.

Indipendentemente da ciò ho riscontrato una maggiore incisione e pulizia nel Tiyoda e, sebbene tale sensazione sia basata su differenze quasi impercettibili, il responso gratifica non poco il nuovo arrivato.

E’ un peccato che non esista (o quantomeno io non sono ancora riuscito a trovare) una versione da 25x che, con una focale equivalente a un 10mm. tradizionale, potrebbe essere il perfetto completamento della serie.

CONCLUSIONI

Un set di 6 oculari (3 coppie) acquistato per 29,95 euro spedizione compresa dalla Spagna è giunto in condizioni pari al nuovo (e probabilmente gli oculari sono effettivamente nuovi) e ha messo in crisi (almeno a centro campo dato che oltre le aberrazione extraassiali divengono importanti) la blasonata qualità della serie LE Takahashi che si è sempre contraddistinta come una delle migliori soluzioni per l’alta risoluzione, appena inferiore ai mitici ortoscopici Abbe Zeiss o ad altri top level (MC ORTHO Takahashi e Pentax).

Vero che il test è stato effettuato utilizzando uno strumento a rifrazione che non incarna la perfezione ottica ma altrettanto vero che molti degli strumenti generalmente in uso agli astrofili hanno caratteristiche e prestazioni non superiori. Se questo è vero, e non ho alcun dubbio in merito, va forse presa in seria considerazione l’idea che questi oculari microscopici, almeno in alcuni campi applicativi, siano una alternativa valida a blasonati oculari dal costo decisamente superiore.

Chiaramente servono strumenti a rapporto focale medio lungo pena l’impossibilità di ottenere ingrandimenti adeguati e avere eccessivo campo che il semplice progetto ottico non riesce a gestire in modo corretto.

 

A queste conclusioni si è aggiunto PIERINO DELVO, un lettore che ha desiderato scambiare alcune opinioni in proposito e che, non essendo digiuno da alcune interessanti realizzazioni ottico meccaniche, ritengo abbia anche la preparazione per apportare un contributo utile e che riassumo con parole sue nello scritto a seguire:

Gli oculari di cui parliamo (Huygens, Ramsden, Keller) nascono per l'impiego su microscopi - o altri sistemi ottici - di grande rapporto focale.

Un obiettivo da microscopio, con una pupilla di uscita di, mettiamo, 5 millimetri, in associazione ai 160 millimetri della frontale oggetto standard genera una apertura relativa dei fasci di luce diretti all'oculare pari a f/32.

In queste condizioni anche un semplice Huygens fornisce immagini di buona qualità, anche al bordo del pur piccolo campo apparente.

La stessa geometria si realizza quando il medesimo oculare viene impiegato con un obiettivo da telescopio di piccolo diametro o comunque con un sistema ottico di rapporto focale comparabile, con risultati che possono essere accettabili fino a quando il rapporto di apertura resta contenuto in valori prossimi a f/20 o anche f/10, una condizione comune ai piccoli rifrattori di cui spesso sono l'essenziale corredo.

Se però il fascio di luce in ingresso diventa sostanzialmente più aperto, come succede per esempio nei moderni apocromatici in cui l'apertura relativa raggiunge valori di f/5 o in strumenti riflettori di analoghe caratteristiche, l'oculare "fa quello che può", restituendo buone immagini solo vicino all'asse ottico. Buone anche perchè, al diminuire della focale, il basso ingrandimento si rende complice della minore visibilità della eventuale aberrazione presente, anche al centro del campo.

Nel telescopio (così come nel microscopio) il sistema ottico obiettivo è realizzato per fornire immagini quanto più possibile vicine al limite per diffrazione; il sistema ottico oculare no, deve solo ingrandire per l'occhio l'immagine presente sul piano focale dell'obiettivo, con specifiche  costruttive, ottiche e meccaniche, enormemente più rilassate. Inoltre l'obiettivo opera su un campo reale che raramente supera uno o due gradi mentre l'oculare deve affrontare angoli ben superiori.

L'apertura relativa dei fasci di luce è tuttavia la medesima per entrambi, con la conseguente criticità associata all'impiego di questo tipo di oculari quando le aperture relative diventano eccessive per le capacità del loro semplice schema ottico, indipendentemente dalla loro qualità realizzativa.

 

Le prove sono state effettuate utilizzando sistemi ottici il cui rapporto di apertura è di f/6,6 - per il rifrattore - e di f/12,4 per lo strumento a riflessione, con le prestazioni migliori associate in genere alle focali più lunghe e ai conseguenti maggiori ingrandimenti. Un risultato che, per quanto riportato prima, si lega non tanto al maggiore ingrandimento finale, che pure si presenta nelle  condizioni nelle quali l'apertura relativa è la più favorevole, quanto alla migliore aderenza alla configurazione ottica per la quale l'oculare è previsto, con fasci in incidenza che risultano essere più "diaframmati" e di conseguenza più rispettosi dei suoi limiti specifici.

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