GIOVE: PRIMI PASSI

INTRODUZIONE

Giove è un pianeta difficile da fotografare bene ma, al contempo, anche una piccola strumentazione permette di coglierne le principali caratteristiche.

I grandi imager di cui siamo soliti ammirare i lavori dettagliati e ricchi di particolari fini lavorano con strumenti di apertura media o grande (alcuni si limitano a 10/11 pollici, ma i migliori e più fortunati impiegano strumenti da 14, 16 o addirittura 20 pollici).

Questo perché il pianeta mostra, in aperture di rilievo e con le dovute tecniche elaborative, dettagli minuti con dimensioni angolari prossime ai 0,3” e per raggiungere risultati di tale rilievo serve luce e potere risolutore, oltre a un seeing molto favorevole.

Se non si dispone di pazienza, strumentazione di riferimento, e condizioni di stabilità dell’aria da primato è difficile sperare di ottenere immagini mozzafiato, ma anche chi è “limitato” da uno o tutti i parametri elencati può divertirsi e “giocare” con il gigante gassoso.

QUALI STRUMENTI USARE

La prima cosa da apprendere è che non necessariamente lo strumento migliore in campo visuale si rivela anche essere il più performante nelle applicazioni di imaging.

Da visualista storico quale sono e mi considero, per indagare visualmente le atmosfere dei pianeti maggiori, o la superficie di quelli rocciosi, ho sempre scelto strumenti a lente di medio diametro e focale lunga. I grossi catadiottrici, più leggeri e comodi, non sono infatti quasi mai all’altezza di un rifrattore di buona fattura se ci si limita all’approccio visuale. Sempre frustrati dal seeing, dalle noie dell’ostruzione, e da un contrasto meno tagliente, i catadiottrici e in generale gli strumenti con diametri superiori ai 20 cm. si prendono in compenso una sonora rivincita quando a ricevere i loro fotoni sono le videocamere planetarie e non l’occhio umano.

Accettato il vecchio adagio “big is better”, cosa facciamo se non disponiamo di un 30 cm. e del seeing che grazia alcune fortunate località?

Per anni ho scelto di stare a guardare le immagini che altri scattavano, pensando di non avere voglia di dedicarmi a questa oramai inflazionata attività e certo che, comunque, non avrei mai ottenuto risultati rispettabili.

Poi, complice una passeggera noia (a cui il freddo delle notti tardo autunnali ha contribuito non poco) all’osservazione visuale ho investito qualche euro nell’acquisto di una camera “planetaria” con caratteristiche interessanti. Non so se sia la migliore, la peggiore, o semplicemente un “buon compromesso”, ma la piccola ASI 120MM (con sensore monocromatico) viene descritta come una valida scelta e così mi sono lasciato tentare.

Giove ripreso con un rifrattore da 10 cm. in condizioni di seeing non ottimali.

ACCONTENTARSI E PROVARE

Non avevo alcuna dimestichezza con la ripresa in alta risoluzione (se non un paio di prove su Saturno con un rifrattore da 10 cm.) quando, poco più di due mesi fa (ottobre 2013) ho puntato per la prima volta il sensore sulle nubi gioviane.

Posseggo un bel rifrattore acromatico auto-costruito con ottiche D&G da 15 cm. e rapporto di apertura di F12 (che in visuale, se si eccettua un po’ di cromatismo, è macchina dalle tante soddisfazioni), e usarlo mi è parsa la logica più convincente.

Le prime prove eseguite a focale nativa (1800 mm.) non mi hanno però convinto. Il pianeta appare con tutte le sue belle bande ma la “grana” dell’immagine sembra eccessiva e la sensazione è quella di non riuscire a raggiungere un potere risolvente adeguato.

Così, dopo aver racimolato informazioni e consigli “qua e là”, ho raddoppiato la focale utilizzando una vecchia barlow Celestron Ultima 2x, ottenendo un campionamento migliore e verosimilmente corretto.

Come per incanto le immagini sono diventate più dettagliate e ben scalate, anche se il risultato finale, complice una incapacità elaborativa di fondo, resta solamente discreto.

CONDIZIONI DI CONTORNO

Nei trascorsi due mesi il seeing non è mai statodi grande aiuto e molte notti il cielo si è presentato coperto o completamente oscurato dalla fitta nebbia tipica delle zone periferiche delle città lombarde. Così le vere occasioni di “ben fare” si sono ridotte molto.

Solamente una notte ho avuto modo di lavorare con un seeing valutabile sulla scala di Pickering in circa 7/10 (per la verità poco stabile e tendente al peggioramento) che mi ha comunque permesso di giungere a quello che ritengo essere (almeno dai nostri cieli) il limite per uno strumento acromatico da 15 cm.

Le immagini realizzate sono il frutto dell’acquisizione semplice con il programma Sharpcap, del successivo “stacking” con Autostakkert2, e della semplice “elaborazione” attraverso i wavelet del programma Registax 6.0.

So che molti imager di buon livello utilizzano, per ila finale "sistemata” delle immagini, funzioni avanzate di software di foto-ritocco come Astroart oppure Photoshop. L’impiego di tali programmi rende sicuramente molto più belle le immagini ma ho preferito, per il presente articolo, usare immagini ancora “grezze” e papabili di miglioramento.

COSA HO IMPARATO?

Molto, anche se non abbastanza.

I requisiti basilari per ottenere buone immagini in alta risoluzione dei corpi del sistema solare sono essenzialmente i seguenti:

 

  • disporre di un seeing superiore ai 7/10
  • disporre di un telescopio ben collimato e stabilizzato di diametro rispettabile (meglio se intorno o superiore ai 25 cm.)
  • imparare ad elaborare bene le immagini
  • usare i filtri “giusti”

 

Sui primi due punti c’è ben poco da fare. Il seeing non lo comanda nessuno e un telescopio di dimensioni medio/grosse va bene solo e se ce lo si può permettere. Non averlo non è una colpa (e per questo consiglio di cercare immagini realizzate con piccoli maksutov da 13 cm. e consolarsi: alcuni sanno fare bene anche con molto poco).

Il punto 3 richiede pazienza e un po’ di studio (che devo affrontare), problema risolvibile e scevro da costi particolari.

Il punto 4 invece merita un minimo di approfondimento...

I FILTRI GIUSTI

Se si lavora in BIANCO E NERO non c’è poi molto, però qualcosa va detta.

Innanzitutto è doveroso sottolineare che le riprese da me effettuate sono state ottenute con un rifrattore acromatico il che presenta, in partenza, un handicap non da poco. Il residuo di aberrazione cromatica, anche lavorando in bianco e nero, tende a rendere meno incise le immagini, non c’è nulla da fare.

Anche l'uso di un filtro SEMI-APO (ad esempio quello tanto decantato della Baader) non migliora di molto la situazione (sarà mia premura un articolo su tali filtri che "promettono" e non mantengono).

Sicuramente è indispensabile lavorare, almeno prevalentemente, con un IR-CUT di buon livello. A questo proposito ho scoperto che il prodotto della Baader rende un pochino meglio di quelli venduti insieme alle camere di ripresa (forse perché costa di più?).

Alcuni esperimenti possono poi essere tentati con filtri molto selettivi come l’IR-PASS. Questo filtro, all’opposto dell’IR-CUT, rende la finestra ottica trasparente solamente alle lunghezza d’onda rosse.

Purtroppo il filtro ha un assorbimento notevole, il che comporta settaggi meno validi in fase di ripresa (tempi un poco più lunghi e valori di GAIN maggiori con conseguente aumento del “rumore” di fondo).

Inoltre su strumenti dall’apertura limitata (come il mio 15 cm.) l’IR-PASS risulta penalizzante. Dovrebbe permettere una maggiore “profondità” di ripresa e nascondere alcune features per evidenziarne altre ma, dalla mia esperienza, posso dedurre che per lavorare bene questo filtro debba essere accoppiato ad ottiche di diametro maggiore (dai 20 cm. in su), pena la perdita di dettaglio.

L’immagine risulta essere, dopo una ricerca sul web, quasi il limite per strumenti da 6 pollici acromatici (anche a lungo fuoco) ma anche per strumenti ostruiti con diametri da 15/18 cm. Si può fare meglio, soprattutto in fase “post produzione” intervenendo con Photoshop o programmi similari, ma il dettaglio raggiunto è già di ottimo livello in rapporto al telescopio impiegato.

CONFRONTI SUL DIAMETRO: RISULTATI

Si evince, dalle due immagini affiancate, quanto il diametro conti nelle riprese in alta risoluzione.

Le due fotografie sono state ottenute con due diversi strumenti a rifrazione: un Takahashi FC-100N (fluorite minerale in configurazione Steinheil 100/1000 a f.10), che è in assoluto a mio modo di vedere il migliore strumento da 10 cm. esistente e mai realizzato, e un rifrattore acromatico 152/1800.

Le immagini all’oculare sono abbastanza simili con un vantaggio per il grosso rifrattore solo in parte compensate dalla superiore qualità e apocromaticità del Takahashi.

Terribilmente diverse invece le rese fotografiche con il 152/1800 che, grazie anche alla focale di ripresa maggiore (3600 mm. contro 2000 mm., entrambe ottenute con interposizione di lente di Barlow 2x), sfoggia dettagli e pastosità notevolmente superiori.

MA CON UN PICCOLO STRUMENTO?

In alta risoluzione fotografica serve diametro e ottimo seeing. Un telescopio di qualità accettabile grosso due volte uno di ottima qualità riuscirà comunque, nelle condizioni giuste, a estrarre più particolari e immagini più convincenti. Non siamo con l’occhio all’oculare, stiamo usando una telecamera a CCD o un sensore CMOS e quindi se il nostro scopo è quello di lavorare a monitor e riprendere i pianeti del sistema solare possiamo dimenticare tutto ciò che accade in visuale e sposare, finalmente, l’adagio che “grosso è bello”.

Questo non significa però che i possessori di piccoli strumenti non possano ottenere risultati piacevoli e appaganti.

Ho provato a riprendere Giove con un rifrattore apocromatico da 10 cm. ottenendo, senza passare attraverso l’elaborazione di programmi di fotoritocco (photoshop e affini), risultati decenti. Qui sotto si vede come, anche in condizioni di scarso seeing (i circa 5/10 stimati attraverso un rifrattore da 10 cm. sono davvero pochi...), si può ottenere qualcosa di accettabile. Le immagini ritraggono Giove visto attraverso un filtro IR-CUT, un Light Green n° 11, e un IR-PASS.

Quello che emerge è la mancanza di focale. La barlow a disposizione, una apocromatica di marca TS da 2,5x porta la focale da Takahashi FC100-N a 2,5 metri. Volendo si può anche tentare la sorte e, non disponendo di una barlow 4x o 5x, si può tentare di metterne in “cascata” due diverse. Nel mio caso una TS 2,5x apo e una Ultima 2x Celestron di molti anni fa. Il risultato si vede nella immagine sottostante. Non eclatante ma tutto sommato soddisfacente.

E CON UN VECCHIO RIFRATTORE ANNI '70 da 9 cm. a f15?

Potrebbe anche accadere che si abbia a disposizione un vecchio strumento degli anni ’70, tipico doppietto in configurazione Fraunhofer con apertura di 93 mm. (90 diaframmati nel mio caso) e focale di 1350 mm. per un rapporto di apertura prossimo a f15.

In una serata di seeing medio, stimato tra i 6 e i 7/10 attraverso la modesta apertura del mio Jaeger 93/1350) ho provato a riprendere Giove cercando di ottenere un piccolo filmato montato di rotazione e una immagine accettabilmente dettagliata della sua superficie nuvolosa. Ho usato una camera ASI 120MM monocromatica e un filtro IR-CUT Baader oltre alla vecchia barlow Celestron Ultima 2x.

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