Anno 2013
Mi domando come mai abbia atteso tanto a scrivere di questo strumento demodé che mi è compagno da circa 20 anni nelle osservazioni a largo campo dei soggetti principali della nostra bella Via Lattea. Quando lo acquistai avevo meno esperienza di adesso, ma anche meno anni (e farei volentieri cambio), e lo ritirai da un astrofilo eccentrico che amava cambiare strumenti come il menù del pranzo o della cena. Avevo appena acquistato il mio primo C11 star-bright (strumento dalla meccanica ballerina che non rendeva giustizia a ottiche di buon livello) e lo strano Jaeger mi appariva decisamente esotico. Lo provai, sulla Luna, con una delle prime torrette binoculari in circolazione e ne apprezzai… non ricordo bene cosa. Però lo comprai (pagandolo se non erro 600.000 lire) anche senza avere idea precisa di come utilizzarlo (al tempo stravedevo ancora per i “fustini da dixan” Schmidt Cassegrain e il mio orizzonte astronomico era piuttosto limitato).
valigetta porta ottica in legno - autocostruita
l'interno della valigetta e il tubo ottico
Non è raro imbattersi, sul mercato statunitense, in qualche esemplare di Jaeger a corta focale, tipicamente nelle versioni da 150/750 e, talvolta, in quelle più rare da 130/650 (come la mia). Il valore di questi strumenti non è elevato, più che altro per via delle improponibili intubazioni in cui sono solitamente confinati i poveri doppietti acromatici (in questo gli americani sono incredibili: a realizzazioni di altissimo livello si contrappongono strafalcioni arraffazzonati che non valgono il loro peso in ferro). Non ho mai capito perché i doppietti Jaeger siano generalmente intubati da maniscalchi invece che da meccanici di buon livello… soprattutto perché la loro resa ottica è di buon livello e il marchio ha una storia di rilievo nel mondo dell’astronomia amatoriale. Alcuni dei nostri astronomi/divulgatori hanno usato per anni strumenti con lenti di produzione Jaeger (solitamente in versione 150 f15 o 100 f15) traendone ottime soddisfazioni e risultati.
Su Surplus-Shed (mercatino on-line che raccoglie pezzi interessanti e ciarpame ottico vario) sono sovente presenti lenti singole o doppietti Jaeger a focale medio corta (soprattutto nelle misure da 80, 90 o anche 100mm.) e non è raro imbattersi in doppietti (sempre privi di cella, sia chiaro) da 150 mm a f5 o anche f10 il cui costo si aggira intorno ai 350/400 dollari. Non è certo tanto, anzi: con pochi soldi si può accedere al cuore di un rifrattore di stampo classico (il 150/1500 ad esempio) capace di buone prestazioni planetarie, ma per contro si deve affrontare una lunga lavorazione meccanica per realizzare la cella, il tubo, diaframmi, flange, tanto da far lievitare il costo finale dello strumento (se si vuole lavorare bene) a cifre ben più elevate.
Il FLINT e CROWN di un obiettivo Jaeger 152/762 in vendita da Surplus-Shed per 425 dollari
E’ quindi sintomatico che il valore oggi di un 130/650, anche se ben intubato, non possa essere esorbitante, soprattutto perché si tratta di uno strumento anacronistico nell’era dei sensori CCD estremamente sensibili alla parte blu dello spettro. Finché si lavorava ancora con le emulsioni fotografiche, capaci di perdonare molto alle ottiche (sia in fatto di risoluzione che di inseguimento e aberrazione cromatica) questi notevoli strumenti a lente avevano la loro giusta applicazione (ed erano stupendi cerca comete). Oggi, con l’invasione del “low price” cinese, è possibile acquistare un rifrattore da 13 cm. aperto a f5 per meno di 300 euro (con ottiche appena decenti e intubazione leggera) che “fa il suo servigio” senza infamia né lode.
Affrontare la costruzione di un rifrattore simile con ottiche più “blasonate” e sicuramente meglio lavorate (ma anche dotate di trattamenti antiriflesso meno moderni e performanti) e dotarlo di una intubazione e meccanica di buon livello (spendendo circa un migliaio di euro) risulta generalmente poco attraente.
Detto questo andiamo a vedere il “nostro” Jaeger.
Il doppietto acromatico da 13 cm. sfoggia una trasparenza senza dominanti insolita se paragonata ai multi-layer moderni con i loro profondi blu o viola
Si tratta di un doppietto Fraunhofer classico spaziato in aria con trattamenti single layer e lenti pulite e prive di difetti visivi. Io ho una certa dimestichezza nell’usare lenti con trattamenti “non moderni” e la cosa non mi stupisce ma credo che la maggior parte degli astrofili meno navigati sarebbe spiazzata dalla colorazione assolutamente “trasparente” delle lenti e dalla mancanza delle dominanti classiche dovute ai trattamenti antiriflesso di ultima generazione.
L’intubazione (che non è originale) è realizzata in alluminio con spessore di circa 3 mm. ed era dotata (all’atto dell’acquisto) di una poco credibile verniciatura verde-militare che, anni fa, mi sono premurato di rimuovere lasciando a vista l’alluminio grezzo. L’interno del tubo presenta tre diaframmi e un buon annerimento complessivo anche se, in alcune circostanze, mi è capitato di notare luce parassita proveniente da forti sorgenti poste al d fuori del campo inquadrato.
La parte più bella è, a mio modo di vedere, rappresentata dal focheggiatore. Non vi è nulla di “stiloso” in esso ma ad affascinare è la precisione con cui è stato realizzato. Si tratta di un comune pignone e cremagliera che, però, dovrebbe essere posto in una teca al museo della Scienza e della Tecnica con un cartello dotato di freccia e scritta “per tutti i costruttori di focheggiatori al mondo: studiare, copiare, e riprodurre”. Mi chiedo come sia possibile che gli attuali focheggiatori meccanici (con costi che vanno dai 150 euro dei cinesi di poco conto agli oltre 500 euro di marchi blasonati) non siano in grado di riprodurre la totale assenza di giochi di questo vecchio Jaeger. La cosa è quantomeno irritante anche perché, usandolo, si ha quasi la sensazione che quelli costruiti e venduti oggi siano studiati per prendere in giro gli astrofili.
A creare ulteriore imbarazzo è l’assenza di una vite di frizione: caricare il focheggiatore con un diagonale da 2 pollici e un corposo oculare grandangolare da 40 millimetri di focale e notare che non avviene alcun movimento spontaneo è ulteriormente irritante... :-)
Il focheggiatore a pignone e cremagliera, spartano ma eccezionalmente performante
Proprio grazie alle sue qualità meccaniche, al tempo della Technical Pan 2415 e della Fuji 800, usavo questo Jaeger come strumento fotografico. Ricordo molte notti passate insonni a inseguire una malnata stellina guida nel campo dell’oculare con reticolo illuminato (ricordate il Vixen GA-4 con assi traslabili? Costava uno sproposito e oggi appare alla stregua di uno strumento di tortura). Operavo pose da 30 o 40 minuti usando una montatura Vixen Great Polaris da luoghi quasi inaccessibili e bui in una valle laterale della Val D’Ayas (AO) e rientravo la mattina dopo le 6, guidando come uno zombie alle prime luci dell’alba.
Qualche volta scoprivo, in fase di sviluppo, di aver “bruciato” accidentalmente la pellicola, altre volte di non averla proprio messa nel corpo macchina e di aver impressionato “l’aria”. Altre volte però le cose andavano come da programma e sull’emulsione comparivano migliaia di piccole stelline e la sagoma dell’oggetto ripreso.
La resa era buona, anzi ottima. Non si era al livello di quello che ottenevano alcuni conoscenti (titolari di uno storico negozio di ottica e importatori esclusivi per tanti anni del marchio Takahashi) con il bel Astro Physics 130 EDT, ma i risultati erano comunque molto lusinghieri.
Ma se oggi ponessi questo Jaeger davanti a un moderno sensore a largo campo, cosa otterrei? Forse un sorriso nostalgico e una incompatibilità di carattere… Stelle contornate da un grande alone azzurrato, sicuramente una certa vignettatura e anche una bella aberrazione da curvatura di campo. Lo stesso TeleVue Genesis 1° serie (le cui prestazioni sono limitate se confrontate a quelle di un FSQ 106 di ultima generazione) apparirebbe come un “super astrografo” se paragonato allo Jaeger.
Ma noi non siamo obbligati a fotografare e soprattutto non siamo impegnati ad ottenere un primato. Siamo solamente chiamati a usare questo strumento vintage per scoprire se ha ancora qualche asso nella manica e se, in barba agli anni trascorsi, può ancora essere compagno di osservazioni e regalare emozioni.
Lo Jaeger installato sulla Ioptron IE45
Ahi, ahi… Cherubino che fa lo star test a uno strumento di acromatica estrazione, per di più aperto a f5! Come può non essere impietoso? O meglio sarebbe chiedersi: “come può evitare, restando obiettivo, di strapazzare la reputazione dello Jaeger”? La sola possibilità è restare seri e fare il lavoro nel migliore dei modi possibile.
Per operare scelgo di usare un diagonale da 2 pollici prodotto, molti anni fa, dalla Meade californiana. Come mi è capitato di scrivere in altre occasioni, benché non blasonato questo diagonale ha sempre dimostrato una grande neutralità evitando di introdurre aberrazioni significative e potendo quindi essere usato con profitto nei test strumentali.
Il campo permesso da un oculare grandangolare è notevole ma la puntiformità stellare viene compromessa dopo circa 2/3 dello stesso a causa della inevitabile curvatura imposta dalla focale molto spinta. A centro campo, però, la visione a basso potere è ben contrastata. Salendo con gli ingrandimenti si può giungere sino a circa 72x (oculare da 9 mm.) prima che si affacci lo spettro secondario che tende a diventare importante oltre i 100x. L’obiettivo è collimato ma si nota, nell’esame delle figure di diffrazione, un lieve errore di lavorazione a circa 3/4 del diametro del doppietto. La cosa è piuttosto limitata e non sembra avere effetti sull’immagine a fuoco. Le immagini di diffrazione sono inoltre diverse tra intra ed extra focale: gli anelli di Fresnel appaiano accettabilmente puliti in extra-focale e più impastati in intra, con una quantità di luce diffusa tutto sommato contenuta.
Lo star test è migliore rispetto a quello di un comune obiettivo cinese di pari apertura ben collimato (cosa non sempre garantita dalle attuali celle in plastica), come del resto immaginabile per un doppietto acromatico a focale così corta realizzato oltre 30 anni fa (con tolleranze e lavorazioni in genere migliori di quelle attuali).
Lo Jaeger 130 F5 va utilizzato in modo corretto. Sotto un cielo buio montano è possibile impiegarlo per osservare sistemi multipli larghi e colorati sui quali, grazie al basso ingrandimento (tipicamente tra i 30 e i 60/70x), la resa è molto piacevole. La puntiformità è ancora ottima e la saturazione dei colori buona. Splendide sono le “solite” Albireo, Sheliak e altre segnate da colorazioni contrastanti, ma anche stelle singole come la Garnet Star. Se usato in alta risoluzione, lo Jaeger mostra però presto la corda. Oltre i 130x (oculare Takahashi LE da 5mm.) il residuo di aberrazione cromatica emerge prepotente e la focalizzazione perde incisione. La doppia-doppia nella Lira è ovviamente sdoppiata, ma l’immagine non è pulita come quella ottenibile da un più piccolo acromatico da 100 mm. aperto a f10.
Lo stesso vale per l’osservazione planetaria che relega lo Jager a strumento del “se non abbiamo altro usiamolo pure, ma non attendiamoci primati” e anche la Luna, aiutata dal suo alto contrasto, rende accettabilmente bene fino a circa 25 ingrandimenti per pollice (125x), oltre diventa un poco “flou” e risulta inutile andare.
Accettata la sua scarsa propensione all’alta risoluzione, lo strumento è invece più che adatto all’osservazione del cielo profondo a largo campo.
La buona raccolta di luce garantita dal sistema non ostruito da 13 cm. e la corta focale permettono larghi campi e ottime immagini di ammassi stellari, nebulose oscure e diffuse, il tutto comodamente seduti su una poltroncina con braccioli.
In effetti, accoppiato a un oculare Meade SWA da 32mm., lo Jaeger consente una emozionante visione delle porzioni più ricche della Via Lattea tra le quali ci si muove con circa 20 ingrandimenti e quasi 3,4° di campo.
La nebulosa Velo è apprezzabile senza filtri e le nebulose estive tra lo Scudo e il Sagittario sono un piacere da osservare e cercare, tra un ammasso aperto e l’altro, incespicando tra le oscure nuvole di Barnard che segnano la Via Lattea estiva.
La regione è ricca di ammassi globulari (da quelli ampi come M22 a quelli piccoli e compatti siglati NGC) e nessuno sfugge allo Jaeger. M22 è ben risolto (a parte la regione più centrale), mentre M28 o altri più condensati appaiono come nuvolette con alone più o meno granuloso e centro luminoso di aspetto quasi stellare, ma tutti fanno capolino tra le migliaia di stelle finissime che punteggiano la volta celeste.
E’ una vera delizia bighellonare a basso ingrandimento attraverso il cielo in alta montagna. Non vi è necessità di cercatore, di puntamento computerizzato, e nemmeno di allineare la montatura al polo celeste. Non ho con me la T-SKY ma il compendio ideale per questo Jaeger è proprio una solida montatura altazimutale. Spingere gli ingrandimenti oltre gli 80/100x sul cielo profondo non ha alcun senso con un 13 cm., se non per indagare la morfologia accessibile di poche galassie o nebulose planetarie, mentre i globulari offrono il meglio di sé tra i 55 e i 72x circa (oculare grandangolare da 12 mm. o TMB da 9mm.).
Ricordo, a questo proposito, una osservazione effettuata tanti anni fa durante uno star party a St. Bartelemy. Avevo fatto conoscenza con una coppia di sposini con al seguito un Meade 2080 inutilizzato e che erano incuriositi dal mio strano rifrattore e dalla mia postazione lontana dal tumulto degli altri partecipanti. Da li ad attraversare la notte assieme all’oculare dello Jaeger il passo fu breve. A fine della nottata il commento dei due novelli amici fu: “ma, quanti oggetti abbiamo visto? Non immaginavamo nemmeno ce ne fossero tanti in cielo!”. Credo che, a distanza di 15/20 anni, questo commento sia la testimonianza migliore di quanto, ancora oggi, questo vecchio e anacronistico strumento possa essere compagno di proficue osservazioni se usato in modo corretto.
Per gioco ho voluto mettere a confronto lo Jaeger oggetto di questa review con un performante e raro tripletto Vixen da 70 mm. di apertura e 600 mm. di focale marchiato TASCO 14-V.
Il Vixen, definito dal produttore “semi apocromatico”, è già stato recensito su queste pagine nei “TEST STRUMENTALI” e rappresenta ancora oggi, nel panorama dei 70 mm., strumento di notevoli prestazioni. Avendo focali paragonabili ho deciso di diaframmare lo Jaeger a 70 mm. e vedere come si comporta rispetto al blasonato Vixen.
Non ho operato un confronto “all-around” ma un test di resa cromatica e capacità di reggere gli ingrandimenti su un paio di soggetti puntiformi per capire quanto la scarsa propensione all’alta risoluzione del doppietto Jaeger sia imputabile alla cromatica residua dovuta al suo rapporto di f5. La diaframmatura a 70 mm. porta infatti il rapporto focale ad un comodo f 9,28 che lo dovrebbe rendere paragonabile al più corretto tripletto Vixen (focale di f 8,57).
Il raro Vixen-Tasco 14-V che attende la schiarita notturna dopo una giornata nuvolosa e fredda
Nelle notti di Agosto, la brillante e lontana Deneb è alta in cielo e ben visibile, così come lo sono la “classica” Vega (ottima per i test su strumenti di piccolo diametro), ma anche la sanguigna Garnet Star e alcune doppie ben conosciute anche dagli astrofili meno accaniti.
Puntarle e cercare le differenze tra i due strumenti diventa immediato e anche utile a chi, dotato di strumenti di piccolo diametro o semplice astrofilo “turista”, può confrontare quanto descritto con le sue personali esperienze.
Entrambi gli strumenti focalizzano bene ma il Vixen offre una migliore correzione della cromatica residua, che comunque risulta molto contenuta anche nello Jaeger portato a 70 mm. Sostanzialmente non sono riuscito a capire quale dei due strumenti mostrasse meglio Deneb, Vega, e Altair. Entrambi riescono a lavorare bene anche in accoppiamento all’oculare da 2,8 mm. di casa Takahashi (214x sul Vixen e 232x sullo Jaeger) anche se, complice il seeing non eccelso, l’immagine migliore si ottiene con il LE da 5mm. (120x sul Vixen e 130x sullo Jaeger).
Saggi sulla Epsilon Lirae hanno confermato una sostanziale parità e la Luna, non lontano dalla totalità e bassa sopra la cima ventosa delle montagne, non ha fatto differenza in quanto a particolari visibili ma ha palesato una diversa dominante cromatica degli strumenti. Quasi incredibilmente ho notato più bordo violetto con il Vixen e una tonalità più giallastra mentre l’immagine nello Jaeger appariva lievemente più bianca.
La visione di Sheliak ha visto i due strumenti comportarsi in modo analogo ma con una percezione delle cromie stellari lievemente diversa. Più bianca la primaria nello Jaeger e più giallognola nel Vixen. Più cobalto la secondaria nel Vixen e più bluastra nello Jaeger.
Quando poi ho rimosso il diaframma dall’obiettivo dello Jaeger il campo stellare si è letteralmente acceso e riempito di una miriade di stelline invisibili nel Vixen, e i colori della doppia si sono intensificati notevolmente.
Il buffo ed economicissimo diaframma a 70 mm. installato sul paraluce dello Jaeger
per il test comparativo con il piccolo Vixen-Tasco 14-V
E, infine, una “chicca” per i chi si ostina a sostenere, sempre e comunque, che il diametro maggiore vince in ogni circostanza, anche con seeing mediocre. Con lo strumento a tutta apertura ho puntato la Delta Cygni, mentre transitava esattamente allo zenith. Ho provato vari ingrandimenti, tra i 130x e i 214x circa e non sono riuscito a scorgere, nello sfarfallio della principale, la flebile luce della secondaria. Dopo qualche minuto di attenta e quieta osservazione, cercando le migliori posizioni di fuoco, ho reinserito il diaframma a 70 mm. “Magicamente” la secondaria è apparsa, tenue ma netta. Ho proseguito l’osservazione sia a 130x che a 214x e ho memorizzato con attenzione luminosità, angolo di posizione e distanza dalla componente principale. Poi ho rimosso il diaframma e ho ripetuto l’osservazione a tutta apertura. Benché sapessi con certezza dove si trovava esattamente la secondaria non sono riuscito a vederla se non in un fugace momento in cui, forse la suggestione, me l’ha materializzata come rinforzo nell’alone della principale.
Mi domando perché, anche di fronte all’evidenza, si debba per partito preso sostenere sempre una monotematica e soprattutto noiosissima tesi. Mah…
L’obiettivo tripletto definito “semi-apochromat” del Vixen-Tasco 14-V
Il raffronto, al di la di tutto, è molto interessante e suggerisce una serie di considerazioni facilmente intuibili. Solitamente non avrebbe molta logica applicativa diaframmare lo Jaeger a 70 mm. ma il test comparativo con l’ottimo Vixen–Tasco mi permette di scrivere due righe sulle possibilità di impiego dello strumento maggiore e sui valori in campo.
Ogni tanto, sui mercatini dell’usato, compaiono alcuni 70 mm. “leggendari” come il Vixen FL 70 mm. (apocromatico alla fluorite) posti in vendita a prezzi che non posso non definire “stratosferici”. Non si fatica a trovarli a 1200/1300 o più euro, con il risultato che giacciono lungamente (e forse giustamente) invenduti e ci si può domandare, al di la del pur logico valore collezionistico, quanto le loro prestazioni ne influenzino il prezzo di vendita. Avendo testato, tempo fa, un Vixen FL 70 mm. (strumento ottimo), posso affermare che le prestazioni del suo predecessore tripletto (quello qui usato) sono grossomodo comparabili (benché l’FL sia leggermente meglio corretto cromaticamente e abbia minore dominante “calda” sui bianchi) ma il tripletto è molto più raro. Il valore di quest’ultimo non può però, a mio modo di vedere, superare i 700/800 euro, anche in virtù della sua esclusività, quindi un valore non molto più alto di quello attribuibile allo Jaeger di queste pagine (che potrei valutare tra i 500 e i 600 euro).
What an incredible
telescope. It has the best optics I've ever looked through. Being small and light, it is easy to carry around. I use it on a Gitzo tripod and fluid head, a fine combination.
Focuser mechanics are OK, no play or backlash, but not in the same leage as my AP130. Optics are definitely better. Perfect
startest. Sun with Baader filter is jawdropping. So are Saturn, Jupiter, Moon, double stats and the Messier objects. So much clarity, sharpness and contrast. I find it difficult to put my enjoyment
of the images in this telescope into words. But let me say this: the FL 70 brings me closer to the universe then any other scope I've used.
"recensione" tratta da Execlsis Ratings sul Vixen FL-70S
Questo ci aiuta a trarre una conclusione logica e difficilmente sindacabile. La lettura, in alcuni annunci (e anche in alcuni test), di frasi come “prestazioni eccezionali in grado di permettere ingrandimenti superiori a quelli di moderni semi-apocromatici cinesi” a giustificazione delle alte quotazioni economiche, vanno a mio avviso riconsiderate in un’ottica diversa. Il mio Vixen-Tasco 14V offre effettivamente prestazioni di gran rilievo (soprattutto se rapportate al piccolo diametro utile) ma il reale valore dovrebbe risiedere soprattutto nella sua rarità perché il test ha dimostrato che un pari-costo come lo Jaeger riesce a stargli vicino (se non proprio alla pari) quando diaframmato a ugual diametro, con in più il notevole asset di poter lavorare a diametro quasi doppio e garantire prestazioni sul profondo cielo sconosciute al pur ottimo Vixen.
Questo Jaeger rientra di diritto in quella schiera di strumenti vintage che solleticano la curiosità degli astrofili già dotati di altri strumenti. Se intubato bene e dotato di un focheggiatore serio può essere un ottimo cerca-comete o il sostituto (più performante) di un buon binocolo da 80mm. con oculari intercambiabili. Può essere anche un accettabile strumento di ripresa fotografica, magari lavorando con filtri selettivi e in bianco e nero, per tutti gli oggetti di ampie dimensioni anche se, per le sue caratteristiche di spettro secondario e curvatura di campo, non va paragonato a un moderno schema petzval o a un tripletto con spianatore di campo.
E’ uno strumento estremamente trasportabile e trova posto su montature equatoriali di modesta portata ma anche e soprattutto su altazimutali per l’osservazione libera del cielo profondo. Io ho avuto l’occasione di portarmelo nello zaino e usarlo da cieli di altissima montagna (un set-up che non supera i 6/7 chili montatura alt-az. compresa) e ricordo ancora con piacere l’esperienza.
Chiunque abbia la possibilità di costruirsi in casa l’intubazione e le parti meccaniche necessarie può arrischiarsi ad acquistare un set di ottiche di seconda mano e divertirsi a realizzare uno strumento non impegnativo che, se ben riuscito, saprà ripagare il tempo dedicato alla sua realizzazione. Stesso discorso dicasi per la versione da 15 cm. a f10 che, accettati pesi e ingombri maggiori, può essere una valida alternativa ai rifrattori moderni, almeno in campo planetario visuale.
Dopo alcuni anni di inutilizzo (se non si contano alcune partecipazioni di circostanza a qualche test comparativo, alla presente recensione, ed alcune “uscite” in solitaria) ho rispolverato il buon vecchio JEGER.
Il 16 agosto 2017, in un tardo pomeriggio di rientro da una camminata alla ricerca di luoghi per notti osservative, ho recuperato la cassetta in legno imbottito e ho riesumato il vecchio rifrattore.
A quattro anni di distanza dall’ultimo utilizzo (o quasi) ho smontato interamente lo strumento e proceduto alle operazioni di pulizia di rito. Il focheggiatore è stato sgrassato completamente (in effetti il grasso si era impastato divenendo duro e quasi inservibile) e reingrassato, la cremagliera riassemblata, l’interno del tubo ripulito da polveri e piccoli frammenti dei supporti adesivi dei diaframmi, l’obiettivo lavato e depolverato.
A tutto lo strumento è stata data una strofinata con un blando diluente per rimuovere le ultime vecchie polveri e incrostazioni del tempo e anche il tappo copriottica ha ricevuto un giro di nastro interno per aumentarne leggermente l’atrito che lo tiene in sede nel paraluce.
Una volta rimontato, lo Jaeger è stato installato sulla Vixen ATLUX in attesa del primo buio per uno star test di prova.
L’obiettivo ha palesato un certo astigmatismo e un errore zonale e così ho smontato nuovamente il tutto e operato alcune prove finché non ho trovato la corretta posizione (rotazione rispetto alla sede della cella) del doppietto cementato che ne eliminasse l’effetto di aberrazione geometrica mentre non ho potuto fare nulla per l’errore zonale asimmetrico.
Il nuovo star test si è mostrato decisamente migliore con una corretta geometria delle figure sia in intra che in extra focale, una percezione quasi identica degli anelli di Fresnel (molto sottili e ravvicinati), un certo residuo di aberrazione sferica e l’errore zonale menzionato che però non influisce in modo pesante sulla focalizzazione.
Il test, eseguito a circa 100x (oculare da 7mm.), ha evidenziato anche il logico discreto residuo di aberrazione cromatica non corretta che però ancora una volta non risulta in alcun modo fastidioso né percepibile nell’osservazione degli oggetti del cielo profondo.
Basso sull’orizzonte ho scrutato velocemente il pianeta Saturno che al limitato potere impiegato di un centinaio di ingrandimenti non ha offerto test significativo. Ben delineata la sua silhouette con una posizione di fuoco molto precisa che ha mostrato una cenno della divisione di Cassini e della banda equatoriale principale.
Abbandonato velocemente il volubile dio greco ho dedicato le mie attenzioni a valutare gli oculari più sfruttabili nell’osservazione dei ampi stellari e degli oggetti del cielo profondo.
Il SWA 24,5 mm. Meade serie 4000 offre un potere di 27x con un campo reale di 2,5 gradi che però risulta non interamente sfruttabile dato che a partire da 2/3 circa di ingenera un fastidioso effetto di curvatura di campo. Il 18mm. della stessa serie migliora un poco portando i valori di ingrandimento e campo reale a 36x e 1,88 gradi che risulta però ancora non completamente privo di aberrazioni.
Quasi perfetta appare invece la visione con un plossl tradizionale, sempre Meade, da 15mm. che sviluppa circa 43x e 1,2 gradi interamente sfruttabili senza degradazioni sensibili.
Molto bene sembra anche lavorare lo zoom Orbinar 7,2-21,5mm. (campo variabile tra 55 e 40 gradi apparenti) benché al potere minimo di 31x il campo da 1,33 gradi non appaia interamente corretto.
i poteri “alti” offerti dallo zoom sono invece ben utilizzabili con il massimo raggiungibile a 65x (potere a cui si ottiene anche un ottimo contrasto come compromesso tra luminosità degli oggetti e luminosità del cielo di fondo) ma anche alla minima focale (91x) la focalizzazione risulta corretta (molto utile per i globulari e le planetarie non molto estese).
Sicuramente oculari differenti avrebbero fornito valori di correzione diversi ma in generale mi sembra di poter dire che lo Jaeger permetta campi da 1,1-1,2 gradi massimo ben sfruttabili nell’utilizzo visuale.
Sarebbe bello poter abbinare lo strumento a qualche correttore non costoso (spendere 5/600 euro non avrebbe alcun senso in questo caso) per poter fruire di una visione da binocolo.
Il grosso SWA Meade da 40 millimetri ad esempio, con i suoi 17x e 4 gradi copre una porzione di cielo enorme in cui letteralmente “ci si perde”…
Le canoniche M27 e M57 sono apparse bellissime con molti particolari morfologici, una notevole luminosità e alto contrasto con il fondo cielo (in una notte molto favorevole dai 1800 metri della mia postazione alpina, con magnitudine visuale superiore alla sesta e bassa umidità). M13 e M92 si sono fatti ammirare mostrando il secondo un aspetto granuloso e con l’alone esterno ricco di almeno una trentina di stelle singole riconoscibili e il primo con una esplosione di astri mediamente deboli ma individuabili anche con visione diretta mentre in distolta si aveva la sensazione di cogliere un centinaio di astri.
Ho potuto scorgere senza difficoltà la piccola nebulosa NGC 6905, cogliere la morfologia inconfondibile della 7008 (il classico punto interrogativo girato), e godere della completa visione delle volute della Veil Nebula, nettissima anche senza ricorrere a filtri interferenziali.
Le nebulose verso il Sagittario mi hanno deliziato con visioni delicate ma (come avvenuto per la nebulosa Velo) ben aderenti alla morfologia evidenziata nelle lunghe pose fotografiche.
La Omega (M17) uno spettacolo e un contrasto entusiasmanti, la Trifida diafana ma con le sue larghe fenditure ben riconoscibili, la Eagle ben definita e luminosa, la Laguna invece meno entusiasmante per la sua intrinseca “mancanza di forma” ma comunque riconoscibile e con il suo bell’ammasso stellare in vista.
Il grande globulare del Sagittario, M22, benché basso sull’orizzonte ha permesso di apprezzare una esplosione di fini e deboli stelline e un nucleo granuloso e ampio con un gradiente meno netto di quello di M13 (del resto il globulare del Sagittario è classificato come VII mentre quello di Ercole come V in una scala da I a XII dove il valore più alto indica condensazione minore).
Risalendo verso l’Aquila ho accarezzato le stelle del bellissimo M11, un vero scrigno di stelline secche e taglienti a fare da contorno alla luminosa stella gialla che caratterizza l'aspetto dell’oggetto Messier. Infine ho vagato sui contorni bui di un paio di nebulose opache di Barnard prossime alle tre stelle principali dell’Aquila.
La notte foriera di emozioni mi ha suggerito di trasformare lo Jaeger in uno strumento da portarmi in giro durante le occasionali gite alpine notturne.
Con il suo peso di circa 4 kg. scarsi non si può dire che il 130 mm. sia un assoluto peso piuma ma risulta ancora accettabile il sacrificio fisico necessario. Munito di una Super Polaris in configurazione altazimutale e con un treppiedi ligneo a sezione fissa di altezza limitata potrebbe diventare un telescopio fantastico.
In merito alle prestazioni pure va riconosciuto che salire oltre i 100x non sia utile e che forse alcuni strumenti simili odierni sappiano fare meglio sia a poteri alti che per quanto riguarda l’ampiezza di campo corretto ma vanno anche tenuti in considerazione altri aspetti non secondari.
Il logico “competitor” moderno del nostro Jaeger potrebbe essere il Bresser 127/635 a quattro elementi. Lo strumento in livrea bianca è una sorta di Petzval acromatico con un doppietto frontale da 5 pollici e ulteriori due lenti posteriori che hanno funzione di contenere le aberrazioni extra assiali e (forse) anche un poco la cromatica residua.
Ad oggi (agosto 2017) non ho mai avuto modo di usare uno di questi interessanti rifrattori ma anche immaginando una generale migliore resa ottica a bordo campo e una maggiore tolleranza degli alti ingrandimenti, il suo peso risulta sensibilmente superiore attestandosi a quasi 8 kg.
E’ chiaro che finché a portare il telescopio ci pensa l’automobile tale differenza risulta ininfluente, ma se si vuole fare un po’ di trekking astronomico serio i quattro chilogrammi di differenza appaiono un handicap insostenibile.
Un simile peso rende inoltre necessario, su qualsiasi altazimutale, un contrappeso di stabilizzazione che non può essere contemplato in alcun modo se non pensando a qualche “sasso” da nastrare alla meglio o ad una spedizione di almeno due osservatori che si dividano i pesi tra trasportare.
Nella attesa e speranza che al prossimo Star Party mi venga concessa l’occasione di usare uno di questi novelli Bresser rinnovo la mia fiducia al caro Jaeger e mi pongo alla ricerca di una Super Polaris in buono stato (una in realtà già la ho ma è dedicata ad altro).
Brillantemente risolto il problema della montatura mi si è posto quello di un adeguato cavalletto che potesse supportare bene il set-up e che al tempo stesso fosse facilmente trasportabile.
Ho escluso in partenza l’originale treppiedi Vixen in alluminio, poco compatto, scomodo e anche brutto e ho optato per una soluzione “fai da te” in legno.
Quando ci si appresta a simili lavorazioni ci si rende conto di quanto meravigliosamente realizzati siano i cavalletti Berlebach o Geoptik che purtroppo hanno prezzi elevati.
La scelta del legno e del resto della componentistica non è da sottovalutarsi e tutto va realizzato con attenzione per non rischiare di lavorare per nulla, arrabbiarsi, e dover poi mestamente rivolgersi al mercato.
La semplificazione della “gamba fissa”, più che sufficiente per lo scopo di utilizzo, ha fortunatamente semplificato molto il lavoro.