JUPITER 21M - 200 F4: FROM RUSSIA WITH LOVE

Anno 2021

VINTAGE OR NOT VINTAGE? THIS IS THE QUESTION

Si assiste da anni ad un revival del “vintage for everybody” e purtroppo anche del tentativo speculativo di alcuni furbetti che guadagnano pochi spiccioli su attrezzature superate dal punto di vista ottico (soprattutto se accoppiate a sensori moderni molto meno permissivi delle vecchie emulsioni fotografiche) spacciando per superlativi vecchi cimeli risalenti agli anni della guerra fredda.
Se accantoniamo per un attimo il fastidio che proviamo nel leggere alcuni annunci volgarmente offensivi dell’intelligenza degli astrofili preparati e buoni solo per creduloni da tastiera ci rendiamo conto che esiste però una ampia quantità di materiale vintage in vendita a cifre modiche che, se in ordine otticamente e meccanicamente in stato di corretta funzionalità, può essere impiegato con una certa soddisfazione anche ai giorni odierni.
Per farlo vanno però ben considerate le caratteristiche progettuali di tali ottiche solitamente sviluppate in una era, astronomicamente parlando, molto diversa da quella odierna.
Se è quindi vero che un buon rifrattore degli anni ’70 possa ancora competere in osservazioni strettamente visuali con un pari diametro odierno è altrettanto vero che ciò che un tempo funzionava abbastanza bene con le emulsioni fotografiche oggi palesa criticità significative quando accoppiato ad un sensore c-mos ultrasensibile e con pixel microscopici.
Nonostante questa realtà esistono possibilità applicative anche per i vecchi obiettivi fotografici nella ripresa del cielo profondo e per dimostrarlo ho acquistato un teleobiettivo russo Jupiter 21M, rigorosamente con attacco a “vite” e passo M42.

CARATTERISTICHE

Il Jupiter 21M - 200mm f/4 è un teleobiettivo per formato FF e APS-C, prodotto dal 1973 e oggi ovviamente fuori produzione. La messa a fuoco avviene con rotazione manuale della apposita ghiera e non è presente né stabilizzazione d'immagine né tropicalizzazione. Si può trovare, in ottime condizioni, a prezzi di circa 80 euro e, se non affetto da problematiche dovute a manomissioni o cadute, presenta una meccanica fluida e di buon livello.
Con una lunghezza focale fissa di 200mm copre un angolo di circa 12,4°, possiede un diaframma a lamelle in numero di 8 e una architettura ottica di 5 elementi in 4 gruppi. Frontalmente è dotato di una ghiera per avvitare filtri di contrasto con diametro di 58mm. e denuncia un peso prossimo ai 980 grammi.

La caratteristica di avere un sistema di innesto a vite M42 lo rende universale e quindi impiegabile sia su vari corpi macchina (anche moderni) con appositi adattatori, sia soprattutto in accoppiamento alle camere CCD o C-mos attuali.

LOGICA DI IMPIEGO

Il teleobiettivo nasce per operare in condizioni di buona/ottima illuminazione e con scatti veloci, tipicamente quelli impiegati nella fotografia di paesaggio o comunque diurna. In queste applicazioni rende accettabilmente bene anche a tutta apertura (con il diaframma quindi impostato su F4) anche se la definizione a bordo campo ottiene giovamento dalla chiusura di uno stop manifestando in questa configurazione una perdita di dettaglio minima.

Ciò che però funziona perfettamente o quasi in diurno, dove risulta molto difficile cogliere differenze di resa a meno che queste non siano eclatanti tra centro campo e bordo, in fotografia astronomica le cose sono molto diverse.
Altro tallone di Achille di questo (e di tantissimi altri) obiettivi non strettamente apocromatici deriva dalla incapacità di porre a fuoco contemporaneamente le varie lunghezze d’onda di luce visibile con una aberrazione cromatica residua importante. Anche questo aspetto risulta quasi trascurabile in fotografia diurna ma diventa significativo in applicazioni astronomiche.

Con le doverose premesse esposte, che rappresentano non un difetto ma una caratteristica progettuale a cui non si può porre rimedio, è importante valutare, nell’impiego dell’astrofotografia, le opportune “contromosse” affinché le nostre immagini siano piacevoli, correttamente definite e tecnicamente valide, questo indipendentemente dal grado di complessità che il cielo da cui operiamo, l’integrazione effettuata e il livello di post produzione scelto permettano.
Personalmente, che prediligo immagini geometricamente corrette e poco affette da aberrazione cromatica, ritengo che il JUPITER 21M e i suoi competitor dell’epoca (compresi i blasonati Zeiss o Leica standard) non debbano essere impiegati con sensori a colori a meno che non si sia dei veri “maghi” della elaborazione con photoshop capaci di trasformare radicalmente il risultato finale di una immagine. Gli astrofotografi in grado di operare magie oggi sono numerosi ma ritengo che lo snaturare con l’elaborazione su tanti layer, maschere deconvolutive, tools di modifica stellare esuli un poco dal dato oggettivo della fotografia e abbia come scopo solamente l’ottenimento di un risultato estetico che lascia un poco il tempo che trova.
Se quindi la si pensa come me e si desidera avere un fotogramma corretto in modo dignitoso su tutto il campo usando sensori moderni di dimensioni medie (nel caso del test una ASI 1600 monocromatica che dispone di una diagonale da 22,2mm.) ritengo si debba operare alcune scelte di fondo che indirizzano il risultato finale in modo significativo.
Addio colore (salvo operare in tricromia) e addio velocità di ripresa (quindi dimenticarsi l’apertura massima di F4) e scegliere un sensore in bianco e nero e lavorare con un rapporto focale di f8 diventa un obbligo o quasi.
In queste condizioni, escludendo la variabile imposta dalle caratteristiche di trasparenza e inquinamento luminoso del cielo di ripresa, si potranno riprendere campi stellari e oggetti estesi con una ottima definizione.
Se poi si aggiunge anche un filtro giallo (io ho scelto la variante Wratten 12) si correggerà anche quel minimo di cromatica residua che il rapporto F8 non riesce ad eliminare completamente.

UTILIZZO PRATICO

Un obiettivo dal peso di 1 kg, accoppiato ad una camera come la ASI 1600, anello di fissaggio, basetta, impone un peso complessivo di circa 2000 grammi reali che possono essere gestiti facilmente da astroinseguitori di buona qualità ma che, in virtù di pose necessariamente lunghe (dai 60 secondi in su), possono fallire nel gestire la deriva stellare.
Meglio quindi ridurre il gain elettronico e lavorare con una buona montatura equatoriale ben stazionata e, perché no, anche guidata da un piccolo telescopio in parallelo.

Per le mie prove non ho avuto bisogno di questo accorgimento operando con una Ioptron CEM 70-EC con encoder assoluto in A.R. in postazione fissa ma il cielo Bortle 9 o 9+ non mi ha certo permesso di andare “molto in profondità” a causa di velature continue e disuguaglianze di illuminazione del campo inquadrato.
Sono problemi non legati né al “nostro” JUPITER 21M né alla montatura ma solamente al punitivo cielo da cui opero solitamente.
Nell’impiego del JUPITER ho apprezzato, più che in altri teleobiettivi vintage o moderni, la lunga corsa di messa a fuoco della ghiera che consente, ovviamente su una montatura robusta data la pastosità di movimento rotativo (che metterebbe in crisi altri stativi), di ottenere una messa a fuoco molto precisa e stabile.
Al pari non ho invece potuto che biasimare il ridicolo paraluce di cui è dotato l’obiettivo: un sottile canotto ad estrazione in plastica con dimensionamento insufficiente e che deve essere necessariamente integrato con un paraluce “fai da te” per ovviare ai fenomeni di deposito di umidità nelle notti autunnali di pianura.

RISULTATI

Nella valutazione di quanto postato va tenuto presente che il tempo dedicato al JUPITER 21M è stato, fino a d oggi almeno, poco e limitato da un cielo che ne penalizza enormemente le possibilità. La focale di 200mm. risulta infatti ideale sotto cieli bui e secchi per catturare oggetti di ampie dimensioni o campi stellari ricchi di nebulose oscure. Dalla città ho invece dovuto limitarmi alla ripresa di pochi soggetti “stellari” luminosi che hanno diametro angolare poco significativo se ripresi con focali così corte.
L’ingrandimento selettivo dei fotogrammi denuncia però una ottima puntiformità stellare, un buon contrasto, e una resa più che soddisfacente.

Le immagini proposte risultano molto compresse dalle possibilità grafiche del sito di Dark-Star. Si consiglia quindi la loro visione dal link Astrobin riportato in calce ad ognuna di loro.

Sopra: campo stellare centrato sull'ammasso globulare M13. Link ASTROBIN: https://cdn.astrobin.com/images/6577/2021/90a4a899-4243-42bc-984f-5fbdac59b722.jpg

Sotto: ingrandimento della parte centrale del fotogramma.

Sopra: il complesso stellare di STEPHENSON-1 centrato sulla stella Delta Lyrae. Link ASTROBIN: https://cdn.astrobin.com/images/6577/2021/fcf4bf02-a7b0-46cf-92ad-2033f5a66ae1.jpg

Sotto: ingrandimento del fotogramma soprastante.

Sotto: immagine a largo campo della aplha Cygni DENEB:

Link ASTROBIN: https://www.astrobin.com/full/ggc09w/0/

Sotto: ingrandimento della parte centrale dell'immagine precedente atta ad evidenziare gli "spikes" generati dalla chiusura delle lamelle di diaframma.

LA BANDA H-ALPHA

Applicazione classica di un obiettivo da 200mm. di focale è la ripresa di nebulose diffuse, possibilmente nella riga di emissione h-alpha. L'impiego del filtro corretto permette di operare con buona soddisfazione anche da cieli molto inquinati dal punto di vista luminoso pur non superando i limiti della scarsa trasparenza dovuta al particellato atmosferico o alla umidità dell'aria.

Le sere di inizio novembre sono sempre dominate, almeno a Milano, da tassi di umidità elevatissimi che difficilmente consentono di scorgere più di una manciata di stelle in cielo e ho quindi dovuto attendere una serata "meno sgraziata della media" per dedicare un paio di ore alla ripresa di un soggetto famoso come la "Nebulosa Nord America" (NGC 7000).

Il tempo di integrazione è stato relativamente breve purtroppo (75 minuti) ma l'impiego del filtro ZWO h-alpha da 7nm. ha comunque consentito di estrarre le porzioni principali della nebulosa.

La ripresa è stata effettuata con una camera c-mos ASI 1600 monocromatica che aiuta e semplifica nella gestione delle dominanti imposte dal fondo cielo ma che avrebbe richiesto un maggiore numero di "pose" per ridurre ulteriormente il rumore di fondo e migliorare il rapporto S/N. Inoltre è apparso chiaro durante il live stacking che i dark frame (un po' vecchi in effetti) hanno calibrato male le correzioni introducendo una "texture" di punti neri di sovracorrezione.

Sopra: immagine di NGC 7000 ottenuta con la somma di 15 riprese da 5 minuti operando a gain 139, il tutto con filtro h-lpha da 7nm. dalla città di Milano. Link ASTROBIN per completa risoluzione: https://www.astrobin.com/full/7tvue3/0/

I medesimi problemi di "texture" sono stati riscontrati anche nell'immagine di "test" effettuata immediatamente prima di quella sulla nebulosa "Nord Americ"a sul campo stellare circostante la NGC 6888 (Crescent Nebula). Immagine sotto: somma di 18 pose da 300 secondi, dati come immagine precedente. Link ASTROBIN per immagini a massima risoluzione: https://www.astrobin.com/full/4fnl1q/0/

CONCLUSIONI

Con la scusante che il test sia ancora parziale non avendo avuto la possibilità di impiegare il JUPITER 21M sotto un cielo montano di buona qualità si può comunque trarre qualche conclusione pertinente.
Su tutte la dimostrata possibilità di un impiego soddisfacente a patto di “chiudere” il diaframma a F8 e operare in bianco e nero, scelta capace di generare fotogrammi puliti e piacevoli (con l'accortezza in banda stretta di selezionare bene sia il gain di ripresa che i dark frame) anche sotto cieli inquinati.
Altra considerazione, per alcuni forse ovvia, riguarda la disponibilità di un buon campo inquadrato e geometricamente privo di aberrazioni importanti anche a bordo campo, sempre però accettando valori di diaframma prossimi a F.8
Il terzo aspetto che mi preme evidenziare è puramente estetico e personale e dipende proprio dalla chiusura del diaframma che genera, almeno intorno alle stelle più luminose (eclatante l’immagine di Deneb sopra riportata), spikes dalla forma particolare, ben simmetrici e “tecnici” che a me personalmente piacciono molto ma che possono non incontrare il gusto di tutti.
Esistono alcuni teleobiettivi vintage con un numero di lamelle di 16 o addirittura 20 unità che tendenzialmente ridurrebbero molto l’effetto descritto (pur senza eliminarlo completamente). Se li trovate (e sono correttamente funzionanti) comprateli anche solo per il gusto di avere qualcosa che non verrà mai più prodotto.
Ultima considerazione riguarda il così detto “value for money”. Un JUPITER 21M come quello della nostra prova, completo di custodia originale, può essere acquistato sul mercato dell’usato a poco meno di un centinaio di euro. Molti astrofili acquistano piccolissimi semi-apocromatici da 50 o 60 millimetri di apertura con focale di circa f5 o f6 come il diffuso Skywatcher Evoguide 50ED con l’intento di usarli principalmente per sessioni fotografiche a largo campo. Il costo di Un SW 50ED Evo è di oltre 250 euro e le sue prestazioni quanto a correzione geometrica sono nettamente inferiori rispetto a quelle del Jupiter 21M mentre la correzione cromatica solo di poco migliore (soprattutto considerando un potere di raccolta della luce più che dimezzata).

Sopra: fotogramma liberamente tratto dal film "007 dalla Russia con amore"

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