Un rifrattore "custom" realizzato alla ricerca di un buon "runabout": capace di sfoggiare ottime immagini wide-field ma anche utile nell'osservazione in alta risoluzione, con i limiti imposti dall'ottica semi-apocromatica. Si riesce a vivere senza un vero "apo" e al contempo rifuggire i cinesoni di latta con doppietti fraunhofer di vetro qualsiasi.
Era da tempo che accarezzavo l’idea di un rifrattore multi-uso. Un qualcosa di ibrido, che fosse un buon compagno per le osservazioni wide-field di oggetti angolarmente estesi ma che, al contempo, potesse spingersi con immagini nitide ad almeno 200 ingrandimenti per osservare la Luna, qualche sistema multiplo, e i pianeti principali.
Anni prima avevo perso l’occasione di acquistare un Borg 150 ED, strumento ben adeguato ai miei desideri (con il plus non da poco della leggerezza, come da tradizione Borg) e il tarlo non mi aveva ancora abbandonato.
Poi, chiacchierando con un amico collezionista, mi è stato offerto un doppietto ED da 150 mm. con focale prossima al metro, già dotato di cella porta ottica anche se purtroppo priva delle regolazioni di collimazione.
Fu un regalo e decisi di coglierne il senso e rispolverare il mio vecchio desiderio.
Non sarebbe stato leggero come un Borg, ma sarebbe stato “custom” in tutto e per tutto, e quindi più affascinante.
Realizzare un rifrattore, se si disponde dell’ottica e della sua cella, è una cosa assai facile. Limitandosi a diametri contenuti e con focali inferiori a f10, la meccanica è banale e alla portata di qualsiasi autocostruttore anche autodidatta. Benché alcuni, più per ragioni commerciali che altro, tendano a far passare la cosa come prova di “alta ingegneria”, la storia dell’astrofilia americana (che da sempre è ricca di autocostruttori fai-da-te) insegna che, tra gli strumenti astronomici, il rifrattore è quello che offre i minori problemi tecnici.
Questo 6” CUSTOM W.F. (acronimo di “wide field”) ha occupato ben poco tempo in laboratorio e un minimo di inventiva per assemblare i pezzi prodotti da altri (ottica e focheggiatore).
Per il secondo ho scelto un esemplare Pentax (bellissimo) che deriva dal piccolo 75 SDHF a cui il proprietario, un caro amico, aveva preferito la versione Feather Touch (scelta che non condivido ma di cui ringrazio...).
Il tubo, realizzato in alluminio da 5 mm. di spessore e 200 mm. di diametro, è stato adattato con alcune flange per poter alloggiare il focheggiatore nipponico e con altre per ospitare il doppietto. Il paraluce, sempre in alluminio di diametro pari al tubo, è stato alleggerito portando lo spessore a 2 mm. e si applica attraverso un filetto che gli permette di essere avvitato sul corpo principale.
L’interno è stato opacizzato con l’applicazione del vellutino nero, senza interposizione di diaframmi, in stile Tele Vue.
Lo strumento è pesante ma assolutamente monolitico e offre una certa presenza scenica.
Lo strumento "grezzo" per le prime prove, su colonna fissa e montatura IOPTRON iEQ45
Lo strumento "grezzo" per le prove iniziali, ancora privo di finiture e upgrade vari.
Lo strumento ha visto finalmente la sua prima stella e il risultato è stato mediamente deludente. Il problema sembrava risiedere nella non perfetta ortogonalità tra la cella delle ottiche e il tubo ottico, dovuta al filetto realizzato al tornio che lasciava un minimo di inclinazione al complesso ottico.
L’immagine era accettabile ma non certo all’altezza di un 15 cm. ED, seppur di proletaria estrazione, quindi sono tornato in officina e ho fatto realizzare una controcella con le classiche 6 brugole di push and pull.
Quando sono tornato sotto il cielo ho constatato quanto il miglioramento fosse netto rispetto al primo test. Nonostante questo però non mi è stata possibile una collimazione perfetta. Per quanto agissi sulle viti di regolazione restava un disallineamento percepibile dell’ottica e così sono giunto alla conclusione che i problemi iniziali erano di due tipi. Il primo l’ho risolto con la controcella registrabile, il secondo (probabilmente dovuto a un posizionamento non perfetto dei due elementi ottici all’interno della loro cella nativa) avrebbe richiesto un intervento più certosino e incerto. Si tratta, in buona sostanza, di controllare che i tre spaziatori del doppietto siano equamente posizionati a 120° e soprattutto che abbiano lo stesso spessore (o che non ne manchi uno, dato che non si vedono). Altra possibilità potrebbe essere data dalla non corretta rotazione dell’elemento filnt rispetto al crown.
La cosa non è semplicissima da risolvere senza un apposito banco ottico ma lo strumento, o meglio il suo doppietto in cella, è stato richiesto da un astrofilo desideroso di cimentarsi con il suo "refurbishment". Il mio progetto di "runabout" dovrà quindi attendere altre occasioni, se ve ne saranno.