Anno: dal 2013 in poi
Per gli astrofili di pianura, sempre immersi nella lattiginosa cappa delle città e dei grandi centri urbani e assediati dalla umida atmosfera nebbiosa, l'osservazione degli oggetti del cielo profondo è generalmente preclusa. In compenso, grazie a volte anche a condizioni di stabilità atmosferica favorevoli, ci si può dedicare con grande soddisfazione all'osservazione e fotografia dei sistemi multipli.
Ritengo di essere un "doppiofilo" di discreta esperienza e, dopo tanti anni di osservazioni visuali (metodo di indagine che preferisco), ho pensato di provare a fotografare i sistemi più facili e conosciuti alla portata del cielo milanese.
Ho cominciato (si legga il breve articolo sulla fotografia con il metodo AFOCALE presentata nella sezione ASTRONOMIA ECONOMICA) con l'usare una piccola macchina fotografica digitale in proiezione di oculare per poi passare alle prime esperienze con un sensore CMOS installato su una camera di ripresa prodotta dalla ZWO, la ASI 120MM in vrsione monocromatica.
La scelta del "bianco e nero" è sicuramente penalizzante in questo tipo di riprese e, di fatto, impedisce di cogliere una delle maggiori attrattive dei sistemi più famosi: la dominante cromatica delle stelle componenti. Se si escludono però una ventina di soggetti in cui i contrasti sono spettacolari, la stragrande maggioranza dei sistemi multipli ha poche caratterizzazioni cromatiche marcate e i sensori in bianco e nero (che sono più sensbili di quelli a colori) posso rappresentare una valida scelta.
Panoramica di doppie riprese con sistema afocale e telescopi da 10 e 15 cm. Immagini tratte dall'articolo "ASTRONOMIA ECONOMICA - STELLE DOPPIE (afocale) in altra sezione del sito.
"Qualunque, purché ci si dia da fare" verrebbe da rispondere. Però, al di la della buona volontà, ci sono strumenti generalmente più indicati di altri.
Se non si desidera tentare sistemi molto stretti e non si vuole lavorare lungamente in "post produzione" con maschere di contrasto e fotoritocco spinto, consiglio di scegliere come strumento di ripresa un rifrattore di buona fattura e focale medio-lunga.
Si ottengono buoni risultati anche con strumenti a specchio, ma risulta molto più difficile ottenere immagini pulite e sovente il maggior potere risolvente viene azzerato dalla focalizzazione tipica dei sistemi ostruiti (molti anelli di diffrazione solitamente impastati e tremolanti).
Personalmente, dopo alcuni tentativi, ho scelto per iniziare un rifrattore apocromatico di produzione giapponese da 4 pollici con oltre 20 anni di onorato servizio alle spalle (Takahashi FC 100-N). Per allungare la focale nativa (1 metro), ho optato per una barlow Celestron Ultima con fattore di ingrandimento pari a 2x. La focale coplessiva del sistema viene così portata a 2 metri (che è il valore minimo per ottenere risultati visibili) ma consiglio in generale un fattore moltiplicativo superiore, magari pari a 2,5x o 3x.
Altro aspetto fondamentale in questo tipo di riprese è disporre di una montatura solida e ben dimensionata. Il mio 4 pollici di casa Takahashi ad esempio, con il telescopio guida da 90/900, il sistema di allineamento tra le due ottiche, la culla di supporto, il cercatore, e varie giunge a pesare circa 10 chili e viene installato su una robusta montatura equatoriale russa Alter D-6 accreditata di 35/40 chili di portata massima. Ritengo, a seguito di questa esperienza, che il minimo per questa configurazione o altre analoghe sia quindi una montatura della classe della Losmandy G11 e ricordo a tutti che "non si fa nulla quando tremano le gambe".
Per rispondere al quesito d'apertura, e nell'eventualità si possa dedicare uno strumento unicamente alla ripresa dei sistemi multipli, credo che buon rifrattore acromatico da 5 pollici e f12 possa rappresentare una scelta non troppo costosa e molto performante.
Due immagini di IZAR, nella costellazione del Bovaro, conosciuta come "Pulcherrima" per il notevole contrasto di colori tra la stella principale, giallo oro, e la compagna di tonalità azzurra. Le foto in bianco e nero non offrono il dato cromatico ma testimoniano la buona resa del complesso telescopio/sensore CMOS. La foto è la stessa, trattata in modo differente per evidenziare l'alone intorno alle stelle o il solo disco di airy e primo anello di diffrazione. Telescopio Takahashi FC100N + barlow 2x su camera ASI 120mm.
Altra "classica" della porzione di cielo detta "circumpolare" è Mizar nel timone dell'Orsa Maggiore. L'immagine, data la focale di 2 metri, ritrae solo le due componenti principali di Mizar e tiene fuori dal campo inquadrato la angolarmente più lontana Alcor. Telescopio Takahashi FC100N + barlow 2x su camera ASI 120MM.
Le prove continuano e ho provato a utilizzare uno strumento progettualmente poco propenso ai lavori in alta risoluzione, un newton da 200mm. aperto a f3 (con focale di 600mm. quindi) accoppiato alla camera Canon Ixus 125 sh digitale compatta. Le prove sono state condotte con la proiezione di oculari serie LE Takahashi nelle focali da 12,5 e 5 mm.
Non ho installato il supporto meccanico per reggere la fotocamera che è stata tenuta “a mano” accostata all’oculare. Questo ha introdotto un piccolo effetto di parallasse che si palesa nella non perfetta circolarità dei dischi stellari. Inoltre, i tempi di posa pari a 1” hanno inciso un poco sulla nitidezza dell’immagine introducendo un piccolo “mosso”.
L’utilizzo di un supporto adeguato e di uno scatto in remoto avrebbe sicuramente portato a risultati migliori. Detto questo ritengo che quanto visibile costituisca già un discreto risultato.
Per la rispondenza ingrandimento/proiezione si consideri che le immagini sono ritagliate ed è presente un fattore moltiplicativo inserito con lo zoom della macchina digitale variabile tra 5x e 10x circa.
Quando l'astrofilo volenteroso comincia a cimentarsi nell'affascinante mondo della ripresa di sistemi multipli deve mettere in conto pazienza, perizia, uno strumentazione possibilmente adatta allo scopo, e anche una serie di inconvenienti che possono rischiare di minare la sua perseveranza.
Dietro l'angolo oscuro dei problemi se ne cela uno che è, a mio avviso, particolarmente insidioso. Negli ultimi anni si è cominciato a parlare con assiduità delle criticità delle meccaniche di montature, telescopi, raccorderie varie. Sicuramente molto di quanto viene scritto e proposto ha ragioni di marketing ma è comunque vero che, almeno alcuni piccoli produttori, si sono particolarmente sensibilizzati alla questione e cercano di proporre soluzioni che reggano il severo test di camere CMOS e CCD sempre più sensibili e dotate di pixel sempre più piccoli.
Quando si lavora ad alto ingrandimento, ed è il caso delle nostre "doppie" e delle riprese planetarie, disassamenti, cedimenti, flessioni o tolleranze eccessive si tramutano in difetti e aberrazioni geometriche. Tendiamo a non accorgercene quando osserviamo ma non appena cominciamo a riprendere (specialmente soggetti puntiformi come quelli stellari) scopriamo problemi che si palesano talvolta con effetti estremamente invasivi.
Purtroppo non esistono, se non nei casi di postazioni fisse dedicate specificatamente a un settore di ricerca, soluzioni realmente valide per gli astrofili "tuttofare". I focheggiatori di cui disponiamo soffrono tutti (tutti) di flessioni e tolleranze meccaniche significative, le piccole camere di ripresa nascono per essere installate e disinstallate e lavorano ancora con i sistemi di innesto tradizionali, le barlow hanno oramai ottiche eccezionali ma la loro meccanica è frutto di un compromesso che deve rendere usabili e intercambiabili, e così via. Questo si traduce in una serie di approssimazioni meccaniche che si frappongono inesorabilmente tra l'obiettivo del telescopio e il monitor del nostro PC.
Si può ovviare a questo ma a scapito della duttilità della nostra strumentazione. Se decidiamo, quindi, di dedicare qualche soldo a uno specifico campo di applicazione (immaginiamo le nostre stelle doppie e la loro ripresa) possiamo eliminare tutto quanto è progettato per essere usato in modo variegato. E' possibile, ad esempio, operare con focheggiatori elicoidali particolari ben dimensionati e con un treno ottico "fisso": barlow e CCD/CMOS in una unica soluzione con innesti a vite di ampia dimensione e filetti fini. In questo modo, e facendo le cose per bene, avremo maggiori possibilità di "restare in asse" e sperare che il nostro sistema di ripresa lavori al meglio delle sue possibilità ottiche.
Proviamo, al di là dei discorsi accademici che si possono intavolare, a vedere cosa accade a un sistema apparentemente "a posto" quando lo si porta al limite. Poiché una immagine vale più di mille parole ho eseguito una prova di ripresa utilizzando componentistica squisitamente amatoriale: un rifrattore ben corretto a lungo fuoco, una barlow di buona qualità, una camera planetaria di ripresa di larga diffusione. Nell'ordine cito: un rifrattore con ottiche Jaeger da 90mm. di apertura e 1350mm. di focale (quindi con rapporto di apertura pari a f15), una barlow apocromatica TS 2,5x, e una camera CMOS QHYL-II a colori.
Il rifrattore l'ho costruito io (e so come è fatto), il resto viene dalla produzione di serie reperibile in qualsiasi negozio che vende strumenti astronomici.
La prima criticità riguarda il focheggiatore, nel mio caso un modello che equipaggiava i tubi ottici Vixen 102M. E' riconosciuto per non essere un sistema di riferimento accusando alcune tolleranze eccessive e una fluidità non eccezionale. Quello che monta il mio Jaeger custom è stato migliorato, nei limiti delle sue possibilità, in modo che il pignone non abbia spostamenti laterali e inclinazioni dovute a frizioni asimmetriche.
A valle del focheggiatore (con diametro utile ad ospitare accessori da 31,8 mm.) sta la barlow TS APO 2,5x. Si tratta di una ottima barlow con ottiche di buon livello virtualmente esenti da aberrazioni cromatiche significative. E' inoltre "corta" e questo dovrebbe aiutare il mantenimento dell'asse ottico. Così come il focheggiatore è però anch'essa dotata di sistema di serraggio a vite laterale che, anche nella più rosea delle ipotesi, introduce solamente un lievissimo disassamento.
Poiché anche la camera CMOS QHYL-II (un piccolo barilotto di diametro adatto a inserirsi nel canotto da 31,8mm.) viene fissata nel medesimo modo scopriamo di avere, nel nostro sistema, tre punti critici dello stesso tipo.
Siamo furbi e li ruotiamo uno rispetto all'altro, siamo fortunati perché il peso di questi elementi è modestissimo, siamo stati accorti nel tentare di serrare i tre componenti in modo apparentemente più lineare possibile.
Eppure, con la focale equivalente di 3375 mm., i risultati che si ottengono su un sistema multiplo come Izar sono ben esemplificati nell'immagine sottostante.
Indubbiamente sono stato "cattivo" nell'esaltare, in post produzione, i difetti "tirando" alcuni parametri di contrasto, ma il disallineamento è evidente e di entità non trascurabile.
Possiamo eliminarlo con ritocchi e operando una selezione discriminante tra gli elementi che vogliamo esaltare (ad esempio una debole compagna rispetto alla luminosa primaria), ma si tratta di espedienti che servono solo a far risultare più bella la nostra immagine senza aggiungere ad essa alcun dato fisico rilevante (anzi modificandone i rapporti).
Se ci basta, perché siamo semplici "turisti del cielo", saremo felici e ci divertiremo, se invece desideriamo andare oltre ci si apre un baratro di problemi che il maquillage di Photoshop non può certo risolverci...
Immagine di IZAR al fuoco di uno Jaeger 90/1350 custom portato a f 37,5 ripresa con camera QHYL-II. A sinistra l’immagine a colori, a destra un ingrandimento in bianco e nero. Entrambe le immagini sono portate a massima saturazione e contrasto.
L’amico Zlato Orbanic, appassionato di stelle doppie, mi ha inviato alcuni scatti da lui eseguiti che ritengo estremamente interessanti e di ottimo livello tecnico estetico.
"Dando un’occhiata all’elenco delle stelle doppie più luminose ho scelto di fotografare Epsilon Lyrae (ε Lyr / ε Lyrae), comunemente chiamata La doppia doppia.
E’ un sistema stellare della costellazione della Lyra distante approssimativamente 162 anni luce dalla Tera. Facilmente separata in due componenti quando vista attraverso
un binocolo o anche a occhio nudo sotto un cielo eccellente. Le stelle principali delle 2 coppie sono stelle bianche di classe spettrale A.
Spesso si parla, sia in visuale che in astrofotografia, dei colori stellari e le loro sfumature di colore; bisogna comunque precisare che, a volte, il colore delle stelle doppie può risultare illusorio: tra due stelle bianche, ad esempio, la più debole appare di colore grigio, verdastro oppure azzurro, a seconda dell’osservatore.
In Astronomia il colore delle stelle non e’ soltanto qualcosa di curioso o di bello da vedere ma anche e soprattutto una importante fonte di informazioni.
Al colore di ogni stella corrisponde la propria temperatura superficiale come nel caso di Epsilon Lyrae le cui componenti hanno temperature superficiali comprese tra i 7.500 e 10.000 K e un colore variabile tra il celeste e l'azzurro chiaro.
Entrambe le componenti possono essere separate in due sistemi binari distinti con separazione angolare media tra le componenti di circa 2,3”.
Riprendere le singole componenti stellari richiede un poco di pazienza e una focale equivalente adeguata a mettere in risalto il poco spazio tra le componenti. Avendo a disposizione un buon strumento a lenti da 13 cm. e correzione apocromatica mi sono cimentato usando anche una barlow 2x per allungare la focale nativa dello strumento che è di soli 900 millimetri, portando così il rapporto focale a f 13.8.
Come sensore di ripresa ho optato, differentemente da chi indaga con fini più scientifici, una DSLR Canon modello EOS 600D che ho esposto per 180 secondi con una sensibilità impostata su 800 ISO.
Il risultato, mostrato nella fotografia allegata, è interessante ed esteticamente molto piacevole e può essere di suggerimento a molti".
Vorrei segnalare che sulla stessa foto, dopo aver fatto qualche ricerca con vari catalogi (ALADIN) ho scoperto che in questo campo si trova un possibile candidato per la nana bianca. Il Aladin è questa: SDSS J184539.84 + 393.947,1 “Candidato per una nana bianca”.
Nelle prime notti di ottobre 2014 ho provato a spingermi un po’ “più in là” andando a fotografare un sistema più stretto rispetto a quelli sino a qui elencati.
Avere la costellazione del Cigno alta sull’orizzonte, con le sue innumerevoli stelle doppie, è di aiuto e anche se il seeing medio milanese non eccelle è possibile tentare qualche lavoro interessante.
Così, una notte, dopo aver ripreso per prova la DELTA Cigny, ho puntato la ben più ostica LAMBDA Cigny formata da stelle di magnitudine differente con separazione prossima a 1”. Per sperare di ottenere il risultato voluto ho scelto di utilizzare un’ottica cassegrain da 21 cm.: un Takahahsi CN-212 accoppiato ad una barlow 2x e alla piccola camera ASI 120MM.
La focale equivalente di poco più di 5 metri si è rivelata ottimale per la ripresa e, sebbene la restituzione dell’immagine in bianco e nero sia poco gradevole esteticamente, il risultato è stato pienamente raggiunto, come mostrato nella fotografia sottostante:
CONTINUA....