TAKAHASHI MEWLON 180-B

Gennaio 2018 e mesi seguenti

INTRODUZIONE

E’ molto difficile trasmettere l’esperienza maturata in tanti anni di osservazioni e strumenti diversi benché sia certo di aver contribuito, con il sito Dark Star, a offrire spunti di riflessione e a sfatare alcuni “falsi miti” che permeano l’astronomia amatoriale.

Certi infondati preconcetti hanno minato anche la mia carriera di astrofilo (se così può essere chiamata) e nonostante sia amante degli strumenti a rifrazione ho imparato, nel corso del tempo, ad apprezzare specchi ben lavorati e meccaniche adeguate.

Anni fa, in preda un po’ a manie di grandezza e di curiosità, un po’ a causa di congiunture malamente spiegabili, mi sono trovato a possedere, quasi contemporaneamente, tre strumenti della serie Mewlon (versioni da 18, 21 e 25 cm.) di cui il più piccolo era anche quello che mi piacque maggiormente.

Non nego di riconoscere nel 300 millimetri lo strumento ideale ai miei gusti e, se disponessi del cielo e della location adeguata, probabilmente farei anche la pazzia di acquistarne uno possibilmente completo della “sua” montatura EM-400 o, ancora meglio, 500. Purtroppo le condizioni osservative del mio cielo milanese nonché i limiti alla visibilità dell’eclittica imposti dagli alberi ad alto fusto vicini, renderebbero vano l’impiego di una simile meraviglia invalidando i sacrifici economici da affrontare per il suo possesso.

Inoltre, nell’osservazione puramente visuale dei principali copri del sistema solare (Giove, Venere, Saturno, con la sola eccezione di Marte forse) oltrepassare gli otto pollici di apertura serve a molto poco. 

Il seeing locale mediamente solo più che discreto e la possibilità quindi di impiegare raramente poteri molto elevati rende quasi controproducente il guadagno luminoso concesso da telescopi con aperture superiori ai 20 cm.

Del resto il principe dei pianeti, Giove, soffre di quella che io chiamo “febbre da diametro”. Con i suoi bassi contrasti e la inevitabile sovraesposizione dei bianchi imposta dalle grandi aperture sono proprio i rifrattori da 5 e 6 pollici a permettere le migliori visioni del pianeta (o quantomeno quelle "più facili". In questo il mio “ex” FCT-150 era quasi insuperabile ma la mole che lo contraddistingue e i tempi lunghissimi di acclimamento imposti dal tripletto spaziato in aria mi hanno obbligato ad alienarlo a causa dello scarso utilizzo che ne facevo.

“Dipartito” il grande rifrattore Takahashi avevo quindi bisogno di uno strumento, possibilmente leggero e compatto, da installare sulla colonna fissa e una montatura medio piccola con portata non superiore ai 20 kg (una Ioptron IQ45GNT) o da poter spostare manualmente alla ricerca di scorci migliori, magari allontanandomi un poco dal mio giardino privato.

Ponendo come limite i classici 8 pollici la scelta di un telescopio planetario di alto livello è piuttosto limitata. Nessun Schmidt Cassegrain offre prestazioni di rilievo e si è quindi costretti a rivolgere la propria attenzione ad altri schemi Cassegrain derivati dovendo per motivi logistici accantonare i newton classici (un 20 cm, a f6 è molto impegnativo per peso e scomodità di utilizzo e, a parte il magnifico MT-200, non ho mai avuto modo di trovarne uno che fosse dotato di ottiche e meccanica adeguate).

Nel campo dei “compatti” (per i medesimi motivi sopra espressi ho rinunciato anche all’idea di uno Schiefspiegler) esistono alcune possibilità ma ho dovuto, per esperienza diretta o per limiti di budget, scartarle tutte o quasi.

I Maksutov russi, pur dotati di ottiche ben corrette, risultano antidiluviani nella meccanica e sono caratterizzati da trattamenti ottici superati con dominanti che non incontrano i miei gusti. Inoltre, aspetto non secondario, costano una follia (un Intes 815 passa abbondantemente i cinquemila euro)e hanno tempi di acclimamento lunghissimi. Infine le loro prestazioni, che alcuni (pochi) astrofili esaltano, non sono all’altezza del loro costo e degli altri handicap citati. Non me ne si voglia ma li ho avuti quasi tutti e con la sola eccezione di un Mirage da 20 cm. li ho sempre rivenduti sperando che qualcuno se li comprasse (a prezzo di svendita oltretutto).

Agli antipodi, la produzione cinese. Pur con un rapporto prezzo prestazioni molto vantaggioso i maksutov da 18 cm. aperti a f15 del gruppo Synta sono quasi sempre dei “mezzi bidoni”. Buone le ottiche, oramai lavorate in modo costante, ma pessima la meccanica sulla quale è anche quasi impossibile intervenire. I tubi sono male tagliati, male rifiniti, pessimamente assemblati ed è molto difficile ottenere un esemplare capace di lavorare secondo le sue specifiche teoriche. Se a questo si aggiunge la presenza del menisco correttore che soffre di continui appannamenti, una inerzia termica poco friendly, e una estetica deprecabile (perché sfido chiunque con un minimo di gusto estetico a definirli “belli”), la “frittata” è fatta. 

La produzione di “nicchia” dei marchi poco più che artigianali italiani ha anch’essa i suoi pesanti limiti. A ottiche di buon livello fanno contraltare meccaniche in stile periodo ante rivoluzione industriale con soluzioni imbarazzanti e ingestibili e, dove anche queste sono risolte da progettazioni all’avanguardia, i costi appaiono molto alti e la svalutazione sull'usato pesantissima. Impossibile pensare di acquistare uno strumento per svariate migliaia di euro che, domani, il mercato penalizza con valutazioni ridicole (e diciamolo pure: ingiustamente). Questo uno dei motivi per cui non ho volto l'attenzione al pur bello, almeno sulla carta, Northek 230 che ha il pregio di essere meno esasperato dei fratelli da 25 cm. a focale più lunga.

Nel panorama dei “super specializzati” restava solamente il maksutov Orion OMC 200/4000, macchina dalle millantate eccezionali prestazioni che offre però anch’esso alcuni problemi. Oltre al costo fuori mercato che ne ha decretato il flop commerciale (oltre 6500 euro per un 20 cm. maksutov sono obiettivamente troppi, non per nulla non lo ha quasi nessuno), quattro metri di focale rendono non semplice la gestione dell’ottica (che diventa necessariamente iper-specializzata) e la solita presenza dello spesso menisco anteriore impone tempi lunghi per raggiungere l’equilibrio termico.

Infine o quasi, i vari CFF e copie (cloni variamente rimarchiati) propongono diametri più squisitamente fotografici e con focali proibitive.

Resta solamente la produzione Takahashi con i suoi "vecchi" Mewlon a f12 circa che coniuga una serie notevole di aspetti positivi come diametro, schema ottico, tubo aperto, leggerezza, qualità ottica e meccanica, e prezzo competitivo (quantomeno nei diametri da 7 e 8,5 pollici) ad una solidità eccezionale sia dell’azienda produttrice che del valore sul mercato dell’usato, pur dovendo accettare un valore di ostruzione lineare non molto contenuto.

Considerando che preferisco i supporti a tre razze del secondario e che un caro amico possessore di un Mewlon 180 era alla ricerca proprio del mio CN-212 in doppia configurazione (da impiegare principalmente in campo fotografico con rapporto focale di f 3.9) la scelta è stata facile.

MEWLON 180-B o 180-C ?

Quando è cessata la produzione e commercializzazione del Mewlon 180 mi sono domandato con cos’altro i tecnici Takahashi  pensassero di rimpiazzarlo. Pur costoso, il 18 cm. nipponico era il più riuscito di tutta la serie “amatoriale” tanto che è risultato per anni il più raro da trovare sul mercato dell’usato. Chi lo aveva lo teneva stretto e non a torto.

Qualche mese fa (ricordo che corre il gennaio 2018 all’atto della stesura di questo articolo) Takahashi ha annunciato la nuova commercializzazione del suo 18 cm. denominato oggi 180-C.

Se si esclude una diversa colorazione della culatta (che come negli ultimi altri modelli della casa giapponese si tinge di tonalità più azzurre), non esistono reali differenze né ottiche né meccaniche (personalmente non considero tale il lieve aumento del diametro utile interno del canotto posteriore filettato e neppure la dichiarata nuova migliore riflessività degli specchi). 

In compenso il nuovo strumento “C” viene dotato di un ridicolo cercatore 6x30 mentre il suo predecessore, il 180-B, aveva in dotazione un ben più adeguato 7x50 con illuminatore integrato del reticolo interno.

Probabilmente, se non avessi avuto la possibilità di un 180-B, avrei comunque ripiegato sul nuovo “C” accontentandomi della sua dotazione più limitata ma sono felice di non aver dovuto ripiegare…

Nelle immagini inserite(non dell'autore ma prese dal web) vengono mostrati

il nuovo 180-C (foto sopra) e il vecchio 180-B (foto sotto).

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Più facile da realizzare rispetto ad un Cassegrain tradizionale, lo schema Dall Kirkham è da anni il cavallo di battaglia degli strumenti Takahashi alternativi ai celeberrimi rifrattori alla fluorite.

Dotati di un rapporto focale tipicamente “planetario” (f12 circa) pur senza eccessi e di un campo corretto non molto ampio, i Dall Kirkham trovano massima applicazione nell’osservazione e fotografia di soggetti angolarmente poco estesi come pianeti e stelle doppie offrendo anche e soprattutto una notevole precisione nella qualità finale del fascio ottico concentrato dall’oculare grazie alla relativa semplicità di lavorazione delle ottiche.

Esiste una descrizione sintetica che mi è sempre piaciuta molto e che riporto così come è stata scritta:

 

The Dall–Kirkham Cassegrain telescope's design was created by Horace Dall in 1928 and took on the name in an article published in Scientific American in 1930 following discussion between amateur astronomer Allan Kirkham and Albert G. Ingalls, the magazine editor at the time. It uses a concave elliptical primary mirror and a convex spherical secondary. While this system is easier to grind than a classic Cassegrain or Ritchey–Chrétien system, it does not correct for off-axis coma. Field curvature is actually less than a classical Cassegrain. Because this is less noticeable at longer focal ratios, Dall–Kirkhams are seldom faster than f/15. Takahashi Mewlon telescopes are Dall-Kirkham instruments with f/12 and are highly regarded. They require a corrector for wide field applications.

Takahashi certifica un valore di correzione “peak to valley" delle proprie ottiche di almeno lambda/20 e, in effetti, sia la focalizzazione che la pulizia di immagine consentita dai Mewlon appaiono realmente impressionanti e imparagonabili a quanto riproducibile da uno Schmidt-Cassegrain.

Rispetto a questi e anche ai vari Maksutov (declinati nelle loro varianti Cassegrain, Gregory o Rumak) non sono percepibili dominanti cromatiche introdotte dalla lastra correttrice o dal menisco anteriore.

I bianchi appaiono puliti, brillanti e del tutto bilanciati con apprezzabile miglioramento generale dell’immagine finale e una sensazione di enorme luminosità in paragone a quanto permette un Maksutov tradizionale.

A tutto questo bisogna però pagare il pegno di un campo corretto più limitato e la necessità di collimare alla perfezione lo strumento. Anche piccoli compromessi si ripercuotono visibilmente sulle immagini ma quando la collimazione è ben fatta lo strumento si trasforma in un “rasoio” affilatissimo che non fa davvero rimpiangere rifrattori apocromatici di diametro appena poco inferiore, questo almeno per quanto riguarda il “piccolo” 180 millimetri.

 

Benché non condivida la scelta va segnalato che negli ultimissimi anni Takahashi ha sviluppato una nuova serie di Mewlon che hanno rimpiazzato i 250 e 300 millimetri a f12 con nuovi a rapporto focale pari ad f10 e dotati di un doppietto ED correttore posto prima dello specchio secondario. Tale schema D-K corretto offre un buon contenimento del coma tipico dello schema originario e tende anche a spianare il campo. Personalmente, considerando che Takahashi già propone astrografi puri sia a lenti che a specchi, non capisco la necessità di complicarsi la vita con elementi ottici in più e cercare di trasformare uno strumento specializzato come il Dall Kirkham in un "tutto fare" di lusso.

Nell'immagine sopra (non dell'autore) è mostrata una sezione del tubo ottico del "nuovo"

Mewlon 250 CRS dotato di correttore ED a due elementi e rapporto focale F10.

Per gli irriducibili dei correttori/riduttori segnalo comunque la possibilità di rendere più "universale" la focale dei Mewlon con l'utilizzo dell'apposito riduttore/spianatore dedicato da 0,8x che porta la focale totale dello strumento (nel caso del mewlon 180) a 1763 millimetri per un rapporto appena inferiore a F10.

Nelle foto sotto riportate alcune viste dello strumento e delle sue ottiche che sono state

oggetto di una accurata pulizia da parte dell'amico Marco che ha avuto il privilegio di

ospitare lo strumento, al suo arrivo dal Belgio, prima di consegnarmelo.

Di alta qualità, come in tutti gli strumenti Takahashi, è anche il cercatore, nel nostro caso un 7x50 con crocicchio illuminabile. Da prassi i cercatori Takahashi sono estremamente costosi ma la qualità delle immagini che restituiscono è stupefacente tanto da essere ben corretti su ttto il campo e tendenzialmente privi di aberrazioni cromatiche. E' un vero piacere usarli, sia i piccoli 5x25 che i 6x30 e soprattutto i 7x50 come quello del nostro telescopio. Non ho mai avuto modo di provare il mastodontico 11x70 (e me ne rammarico).

Qui sotto una immagine scattata alla Luna con il metodo afocale su un telefonino Huawei P8.

STAR TEST E COLLIMAZIONE

Come tutti i Cassegrain derivati, e in special modo i Dall Kirkham, il Mewlon 180 per lavorare bene ha bisogno di una collimazione accurata e che non lasci spazio a incertezze.

Raggiungerla è facile, si può intervenire solamente sulla regolazione dello specchio secondario, e le brugole di regolazione si azionano in modo facile e progressivo. 

Una volta ben collimato, operazione da farsi ad equilibrio termico raggiunto, lo star test e le immagini restituite sono di alto livello. Il disco di Airy è ben definito, non si palesano tensionamenti rilevabili, non sussiste astigmatismo e la sferica residua è del tutto trascurabile.

Le immagini di intra ed extra focale non sono identiche ma a fuoco lo strumento è estremamente preciso tanto che risulta possibile spingerlo ad ingrandimenti molto elevati, cosa facile da raggiungere grazie alla focale nativa abbastanza lunga e pari a 2160 millimetri (con un 5mm. si veleggia già a oltre 430x che sono perfettamente tollerati su soggetti stellari).

L’immagine a fuoco beneficia (questione di gusti ovviamente) dei 6 spikes sottilissimi che si creano sulle stelle più luminosi e che appaiono sottili e nettissimi, sinonimo di ottima correzione ottica, e che si generano dal primo anello di diffrazione.

Non ho notato, se non con l’ottica non in temperatura, baffi laterali asimmetrici né luce diffusa irregolare.

Il tubo aperto e le masse relativamente modeste di vetro in gioco rendono piuttosto veloce l’acclimatamento termico che, con circa 10 gradi di differenza, avviene in modo completo in circa un’ora. Con l’attenzione a mantenere lo strumento ad una temperatura di riposo non troppo diversa da quella esterna (diciamo in un range di circa 4/5 gradi), in circa mezz’ora si è pronti ad osservare con un notevole vantaggio rispetto a strumenti a tubo chiuso.

Inoltre, fattore determinante per chi osserva dalla pianura dove il tasso di umidità notturno è solitamente alto, non si ha mai appannamento delle superfici ottiche cosa che invece rappresenta un vero “calvario” nell’utilizzo di Maksutov e Schmidt Cassegrain che obbligano a paraluce molto lunghi e ad opinabili sistemi di riscaldamento laterale delle ottiche.

La minima luce diffusa e la diluizione di parte della luce del primo e secondo anello di diffrazione (quasi impossibile da vedere se non su stelle di magnitudine 1 o zero) lungo gli spikes rende inoltre agevole l’individuazione di stelle deboli compagne alla principale anche quando la separazione angolare è limitata.

Diversamente da quanto accade in uno Schmidt Cassegrain classico (che è forse il peggior strumento da impiegarsi nell’osservazione visuale di sistemi multipli stretti e sbilanciati) è possibile avvicinarsi molto al potere risolutore teorico anche in presenza di differenze di magnitudine di qualche punto tra le componenti del sistema.

In conclusione sebbene non si possa dire che il Mewlon 180 sia pari ad un rifrattore ci si può sbilanciare affermando che non gli si discosta molto.

ALTA RISOLUZIONE: STELLE DOPPIE

Nelle notti invernali un test classico osservativo su sistemi multipli sbilanciati è costituito dalla Theta Aurigae. Ben alta nel cielo e con caratteristiche proprie interessanti (mag primaria 2,60 - mag. secondaria 7.20 - separazione 4") il sistema è un ottimo benchmark per ottiche ostruite.

Facile in rifrattori anche di diametro contenuto diventa invece piuttosto ostica nei compound tradizionali tanto che, solitamente, faccio una certa fatica a discernere la compagna con gli Schmidt Cassegrain da 8 e 9 pollici.

La debole compagna è ovviamente visibile ma l’immagine risulta sempre impastata, poco pulita e anche lontana dalla piacevolezza che potrebbe restituire.

Il Mewlon 180 invece la mostra con un contrasto e pulizia degna di un buon rifrattore da 13/14 cm. e, in generale, si dimostra essere un ottimo compagno nell’osservazione dei sistemi multipli.

La compagna di Rigel è così netta da apparire quasi disegnata sul fondo cielo anche da località urbane e così appare anche il sistema della stella Polare che sembra di osservare attraverso le buone lenti di un ottimo rifrattore.

La qualità delle immagini restituite è tale da poter impiegare facilmente anche uno smartphone di medio livello nella fotografia di sistemi classici. Benché le immagini finali siano molto lontane (in peggio ovviamente) da quanto appaia all’oculare anche le fotocamere dei telefonini registrano con facilità la sagoma di stelle vicine e deboli, cosa ben lungi dall’avvenire con gli Schmidt Cassegrain Celestron o Meade.

Il telefonino HUAWEI P8, come ho già altre volte avuto modo di scrivere, è ben poco propenso alla fotografia in alta risoluzione e offre prestazioni lontanissime da quanto faccia invece un Samsung anche non dell’ultima generazione. Il bilanciamento dei colori è estremamente sbilanciato verso i blu, il rumore di lettura alto, e le ottiche stesse del telefono nemmeno si avvicinano alla qualità di altre. Nonostante questo qualche discreto “scatto” si riesce a ottenere. Purtroppo le immagini sono impastate, poco precise, rumorose e con aloni estranei a quanto visibile all’oculare ma ne posto comunque un paio per dare l’idea della fattibilità dell’impresa.

Ultimamente ho avuto modo e tempo di usare un rifrattore apocromatico da 130mm. moderno con obiettivo a tre elementi di cui uno in FPL-53. Si tratta di uno dei tanti (variamente rimarchiati) APO attauli da 5 pollici con rapporto focale piuttosto spinto essendo aperto a f6,62 (130/860 mm.). Nonostante la sua completa apocromaticità e una ottima collimazione da me effettuata posso senza ombra di dubbio dire che, almeno nell'osservazione dei sistemi multipli, il Mewlon 180 offre prestazioni superiori e una maggiore capacità di regge alti ingrandimenti. A suo confronto il 130-T Airy fatica molto a mantenere contrastata l'immagine oltre i 200 ingrandimenti e anche su doppie sbilanciate non sembra avvantaggiarsi dalla mancanza di ostruzione centrale. Strumento meraviglioso per i larghi campi e la fotografia a lunga posa, nel campo dell'alta risoluzione visuale il tripletto cinese risulta invece sicuramente meno valido del cassegrain dervato Takahashi. 

Probabilmente un FS-128 si sarebbe comportato meglio, anche a scapito di un minimo residuo di aberrazione cromatica, ma conservo la sensazione che il 180 Mewlon possa avere, nelle notti di buon seeing, un lieve vantaggio anche sul fratello a lenti.

DEEP SKY CITTADINO

Benché non offra indicazioni rilevanti, osservare alcuni oggetti del cielo profondo dai cieli milanesi è comunque simpatico. “Si vede ciò che si può”, non ci si deve illudere di nulla, indipendentemente dallo strumento impiegato, ma la perfetta focalizzazione offerta dal 18 cm. giapponese ci mette del suo e anche se il fondo cielo è grigio lattescente e anche i più luminosi oggetti appaiono scialbi e poco più che semplicemente percepibili, ho voluto provare a riprenderli con il… telefonino (!)

Pur con le sue limitazioni tecniche e ottiche, il sistema di gestione del Huawei P8 permette una certa flessibilità nel scegliere tempi di esposizione (fino ad un massimo di 8 secondi) e di sensibilità ISO.

Il rumore del sensore è enorme, le dominanti fastidiosissime, ma sono comunque riuscito a immortalare (con un singolo scatto) sia la grande nebulosa di Orione che il brillante ammasso aperto M37 (in Auriga).

In afocale con proiezione di oculare si può fare poco ma mi accontento e le due immagini postate possono essere di spunto a qualche pazzoide del mio calibro.

Foto sopra: l'ammasso aperto M37 in Auriga è ripreso con metodo afocale in proiezione di oculare plossl LE da 24 mm. e scatto singolo su uno smartphone Huawei P8. Esposizione unica di 6 secondi. Medesime caratteristiche per la foto sotto che ritrae M42 in Orione. La minore altezza sull'orizzonte ha generato maggiore rumore luminoso da parte del cielo inquinato milanese.

A parte la resa fotografica su smartphone, ciò che emerge dall'osservazione visuale è una notevole puntiformità stellare che non sembra nemmeno tanto intaccata dal campo corretto relativamente ridotto dello schema Dall Kirkham. Almeno con oculari da 24 mm. di focale (potere di circa 90x e campo reale di 0,58°) il campo (visualmente parlando) risulta quasi interamente scevro da aberrazioni ed è solo quasi a ridosso del field stop che si nota l'insorgere, su soggetti stellari puntiformi, di coma extra assiale. 

LUNA E DINTORNI

Entusiasmante, anche per chi osserva la Luna da quasi trent’anni, è la migliore definizione che riesco a trovare per indicare la visione attraverso il Mewlon 180.

Attentamente collimato e messo in condizioni di acclimamento corretto, anche durante una sera di seeing “normale” (valutato intorno ai 6/10 con punte di 7/10 forse) il cassegrain giapponese è una lama sottile che riesce a restituire immagini degne di un ottimo, e ripeto ottimo, rifrattore da 6 pollici apocromatico.

Il test effettuato con un rifrattore PrimaLuceLab tripletto 130T in fpl-53 ha dato chiaramente la palma al Mewlon 180 sia per dettaglio che per incisione. Pur senza nulla togliere alla apocromaticità (almeno visuale) completa del rifrattore le sue ottiche non stanno dietro al riflettore giapponese. Oltre i 200x le differenze, fino a quel momento più limitate, diventano marcate e dove l’immagine resta tagliente (Mewlon 180) diventa invece soft nel 130 tripletto e il potere risolutore determina la perdita di alcuni microcrateri e/o rimar sottilissime.

Risulta abbastanza facile vedere la prima tratta della Rima nella Vallis Alpes ad esempio e i terrazzamenti chiari dei crateri principali offrono un microdettaglio elevato anche a poteri elevati (con oculari da 7,5 e 5mm.). L’immagine è molto bianca e la neutralità delle tinte restituisce benissimo le variazioni di densità sia nei grigi che nelle loro sfumature verdi e azzurre determinate dalla composizione dei magmi che formano le diverse superfici dei “mari” lunari.

La visione della Luna e il test condotto su alcune regioni del mare della Tranquillità hanno determinato la vendita del rifrattore apocromatico che, pur bellissimo esteticamente e ottimo astrografo, non ha i numeri per rivaleggiare con il cassegrain Takahashi.

Ammetto che, pur essendo un amante dei rifrattori, lo stesso risultato si è avuto anche in una comparazione tra il “perfetto” MT-160 Takahashi (newton a f8.3) che è un autentico “APO killer” come dicono gli americani e che si è sempre tenuto molto vicino alle prestazioni del FCT-150 alla fluorite. Da quanto visto mi sento di dire che il Mewlon 180 non pareggi ovviamente la visione del 15 cm. alla fluorite e forse nemmeno del 160 a f8.3 newton ma sia estremamente vicino a quest'ultimo con la semplice differenza di un campo meno corretto ai bordi (il Newton a f 8.3 in questo è impareggiabile ovviamente).

Tornando alla visione del suolo selenico ho tentato di valutare il potere massimo gestibile dallo strumento. Per fare un test simile occorrerebbero condizioni di turbolenza bassissima e concludere quindi quali possono essere i numeri massimi “assoluti” che un telescopio è in grado di sfoderare. Dovendo però operare da condizioni standard ben conosciute, in cui il seeing non supera mai o quasi valori di 8/10, ho atteso una sera in cui, pur con un lieve velo, il cielo permettesse l’impiego di oculari a corta o cortissima focale.

il LE da 2.8 mm. Takahashi, che accoppiato al Mewlon 180 offre oltre 770x, mi è parso eccessivo. Sebbene si riesca ad ottenere un fuoco ancora accettabilmente preciso l’immagine tende a soffrire di un gradiente luminoso che ne mina le potenzialità.

Del resto l’oculare di pari serie LE da 5mm (poco sopra ai 430x) offre immagini che lasciano la sensazione di avere ancora in serbo possibilità.

Per trovare una via di mezzo senza impiegare il 3mm. planetary (di focale troppo vicina al 2,8 Takahashi) ho sostituito il portaoculari con uno, sempre Takahashi, da 0,965” e impiegato il diagonale prismatico della serie MC e il bellissimo ORTHO da 4 mm. Takahashi (0,965”).

I 540x disponibili attraverso la piccola lente di pupilla dell’oculare vintage, con un contrasto superiore, sebbene di poco, a quanto offerto dalla serie LE moderna, mi sono apparsi “ideali”.

La scomoda visione degli OR classici a focale cortissima richiede calma e delicatezza nell’accostarsi all’oculare, soprattutto nelle notti invernali quando basta un alito ad appannarne le lenti, ma il dettaglio dei microcrateri visibili e delle polveri e detriti di eiezione intorno ai crateri più grandi è spettacolare.

La sera precedente al test di alta risoluzione ho usato la manciata di minuti che separava il mio ritorno a casa con la cena registrando un paio di filmati del nostro satellite naturale con una camera a colori IMX-224. Le condizioni di seeing appena accettabile (circa 5/10 con punte a 6/10) e la breve durata dei filmati (2000 frames) ha limitato un poco i risultati ma il fine era solo quello di “scattare una foto al volo”. La riporto con un grado di elaborazione ridotto al minimo (scritta e ritaglio delle parti periferiche). Vedi immagine sopra. Nelle immagini sotto invece alcune immagini della sera del 27 gennaio 2018 in cui il seeing, purtroppo sempre non eccellente, non ha permesso di sfruttare al meglio le potenzialità dello strumento. A questo si aggiunga la mia scarsa perizia nella ripresa degli scenari lunari.

Qui sotto la prima foto scattata, in un giorno di primo test, alla Luna. Il nostro satellite si trovava basso e dietro alle ramaglie spoglie degli alberi vicini e così mi sono semplicemente divertito a scattare una immagine con il telefonino con il metodo afocale. Per l'occorrenza, data la focale generosa dello strumento, ho impiegato un plossl da 40 mm. che necessariamente introduce molta vignettatura e che impone una certa distanza tra le sue lenti e l'obiettivo del telefono aggiungendo anche riflessi e zone di scarsa illuminazione. L'effetto è comunque simpatico anche se non indicativo delle possibilità del Mewlon 180.

CON LA MONTATURA EM-10B ORIGINALE

La EM-10 e’, indubbiamente, una delle più belle e meglio costruite montature nella classe “piccola” che siano mai state realizzate.

Insieme alla Astro Physics 400, alla Pentax MS-3, alla Mixar EX rappresenta sicuramente lo stato dell’arte della produzione di “larga serie” mondiale che ha caratterizzato gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso.

Posta sotto al Mewlon 180 e dotata del cavalletto originale in legno (che è davvero molto ben fatto e anche accettabilmente leggero) crea un set-up esteticamente bellissimo ed estremamente ben bilanciato per quanto riguarda le proporzioni visive.

La precisione degli accoppiamenti e la dolcezza di movimenti appaiono esemplari e la capacità di smorzare le vibrazioni anche ad alto ingrandimento molto elevata, almeno finché si lavora con tubi del peso e dimensioni del 180 mm. giapponese anche se ho eseguito test anche con un rifrattore da 13 cm. di apertura e peso superiore ai 12 chilogrammi che la EM-10 ha portato con buona disinvoltura nonostante la sua portata dichiarata sia di 9 kg. “Un classico dei giapponesi” si potrebbe dire… indicazioni molto conservative sulla reale capacità della loro produzione. Esattamente il contrario di quanto avviene per la produzione Synta a basso prezzo: provate a caricare una EQ-6 con 25 kg di peso… Mi viene da ridere solo il pensiero considerando che la celebre montatura cinese riesce a malapena a portare carichi prossimi ai 15 kg (se molto compatti tra l’altro).

Se staticamente la EM-10 risulta encomiabile, la prima sera di utilizzo mi ha profondamente deluso. Le operazioni tradizionali (allineamento polare e moti elettrici motorizzati) avvengono con facilità impressionante il primo e una dolcezza magnifica i secondi ma… ad alto ingrandimento il moto in AR crea un micromosso continuo piuttosto fastidioso che inficia le prestazioni dell’ottica.

A oltre 430x (oculare Takahashi LE 5mm.) la Stella Polare (usata come test di smorzamento) appare come una doppia continua. Lo è, non mi si fraintenda, mi riferisco alla componente principale che si mostra come una “striscetta" allungata dovuta alla micro-vibrazione continua trasmessa dalla montatura.

Incredulo, ho spento il moto in AR e immediatamente il micromosso è scomparso per poi riapparire non appena ridavo corrente alla centralina elettronica.

Il comportamento è inaccettabile per una montatura del livello della EM-10 così ho deciso di smontare la meccanica e testare le vibrazioni prodotte dai motori che, però, appaiono tendenzialmente inesistenti. Dopo aver perso la testa su come fosse possibile che vibrazioni “non rilevabili” si generassero all’interno della meccanica semplice e ben realizzata della montatura ho deciso di rimontare il tutto e riprovare.

Nelle foto in basso l'interno della montatura con il pannello di comando smontato.

Purtroppo, anche dopo il rimontaggio, la montatura EM-10 ha continuato a palesare il "tremolio" in Ascensione Retta, problema che la rende inusabile in alta risoluzione. Un vero peccato e una delusione inaspettata per un prodotto Takahashi, tra l'altro in ottimo stato pur usato. Il problema mi ha fatto desistere dal tenere la montatura e l'amico Marco ha deciso di riprendere l'intero pacchetto (ottica compresa) per tenerlo in prima persona e vedere se fosse possibile sistemare il problema di trascinamento.

CONCLUSIONI

La mia "seconda" esperienza con il Mewlon 180 è stata quindi, almeno a livello di tubo ottico e di prestazioni in alta risoluzione, estremamente positiva. Si tratta di uno strumento molto prestazionale, leggero e anche estremamente bello da guardare. La vicinanza in diametro con il MT-160 a f8.3 (forse ancora più specializzato ed estremamente raro) e l'arrivo del bellissimo Vixen VMC260L (che ha dimostrato prestazioni di focalizzazione e contrasto praticamente uguali a quelle del Takahahsi 180 ma con 8 cm. in più di diametro!) mi hanno convintoa rinunciarvi e a restituirlo (pur con un poco di rammarico) al caro amico Marco che aveva altri progetti per lo strumento. Nel caso però non si disponga dell'affollamento di telescopi che mi contraddistingue (ma che sto cercando di ridurre) e si desideri un quasi 8 pollici dalle altissime prestazioni, il Mewlon 180 è lo strumento giusto. Il solo unico neo che ho potuto riscontrare è la illogica durezza della manopola di messa a fuoco che rende un poco difficoltoso il raggiungimento del perfetto fuoco lavorando con camere planetarie (eccessive vibrazioni trasferite alla montatura in fase di aggiustamento del fuoco). Per il resto... 10 cum laude!

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