APM 140SD F7 - apo refractor

Anno 2021

INTRODUZIONE

Recensire il rifrattore da 14 cm. assemblato da APM non è semplice. Potrei seguire la “scaletta” che, in modo più o meno costante, segna e regola le recensioni scritte nel corso degli anni per altri strumenti ma in questo caso, dopo qualche riflessione, ho deciso di affrontare l’argomento con un approccio differente.
Si è scritto molto, e sul web è possibile reperire impressioni d’uso e veri e propri test anche corredati di prove all’interferometro, su questo rifrattore di buon diametro che ha suscitato, fin dal suo esordio qualche anno fa, molto interesse e alcune alzate di scudi.
Sul piatto della bilancia vanno infatti poste alcune caratteristiche sicuramente vincenti (apertura, rapporto focale, prezzo di acquisto, una costruzione complessivamente di buon livello) ma anche i conseguenti dubbi legati alle scelte progettuali ottiche che determinano il tanto allettante prezzo di acquisto.
Insomma, se volessimo partire dalla “fine”, la domanda che non ci si può non porre è la seguente: “Perché acquistare un TEC 140 FL o un Takahashi TOA 130 e spendere circa 8000 euro quando posso risparmiarne quasi 5000 e ordinare il APM 140-SD?”.

PROVIAMO A RISPONDERE ALLA DOMANDA

Ho volutamente spostato la risposta alla domanda di apertura per lasciare i lettori con un pizzico di suspance...
Chi ha avuto modo di conoscermi e soprattutto di leggere le centinaia di articoli su Dark-Star e anche sui forum generali saprà oramai bene quanto io reputi determinante, nell’utilizzo di uno strumento, la sua resa complessiva. Questa non si limita alla prestazione ottica pura e semplice e quindi alla lavorazione ottica e alla valutazione semplicistica di uno star test ma  alla godibilità dello strumento quando questi è a tu per tu con il cielo e con la montatura che deve sostenerlo.
Questo non mi lascia insensibile ai valori di correzione sul fronte d’onda, al valore dello strehl policromatico, e alla spianatura del campo ma mi ha insegnato che, tralasciando i dati progettuali e da banco ottico, un telescopio deve fare i conti con una serie di elementi a lui estranei o quasi e che il progettista non può controllare. Mi riferisco al “treno ottico” (quindi diagonali e oculari) ma anche alle condizioni di temperatura, umidità, trasparenza del cielo, turbolenza atmosferica, e non ultimi anche alla capacità (o incapacità) del suo possessore...
Continuo ad imbattermi in discussioni semi-sterili sulla presunta superiorità di uno strumento su un altro (di pari fascia e prezzo o quasi) che mi lasciano sovente sbigottito. Sembra infatti che la maggior parte degli appassionati non si renda conto (salvo poi scrivere che lo strumento in questione non performa come dichiarato) che lievissime modifiche della turbolenza atmosferica tendono ad azzerare significative discrepanze in termini di strehl ratio.
Quando ossia le condizioni di stabilità dell’aria non sono da “primato” operare con un rifrattore top rated (e top priced) con valori da 0,98 o con uno di buon livello con valori da 0.94 è del tutto ininfluente.
Quando quindi si deve scegliere cosa comprare, e i miei scritti sono votati anche ad un consiglio spassionato, un divario di prezzo significativo deve essere valutato e considerato.
Per questo, tornando alla nostra domanda, la mia risposta è necessariamente un compromesso (sbilanciato). Se si è disposti ad eseguire alcune minime modifiche al APM 140-SD (che poi vedremo) risulta insostenibile acquistare un TEC o un Takahashi (o un Astro Physics) a meno che non lo si faccia per puro piacere edonistico, che è, per molti, un aspetto importante e rispettabilissimo.

Giusto per capirci e non parlare a "sensazione" desidero riportare le curve di Strehl ratio ufficialmente comunicate dai costruttori sia del APM 140-SD che di alcuni rifrattori standard o blasonati ed "epici", il cui confronto può offrire qualche risposta numerica (indipendentemente dalla migliore o peggiore riuscita del singolo esemplare).

Qui sotto riporto le curve dichiarate che possono essere sovrapposte con un pizzico di buona volontà per comprendere la verità e quanto gli eventuali vantaggi siano per noi importanti in relazione al costo finanziario imposto.

Sopra: curva di risposta alle varie lunghezze d'onda del doppietto APM 140-SD. Sotto: le curve di alcuni rifrattori conosciuti presi a paragone. La scala non è la medesima ma gli indici numerati in ascissa e ordinata possono servire per controllare i livelli di strehl per singola lunghezza d'onda.

Se prendiamo a riferimento il già citato TEC 140 ED, ma anche il "classico" e intramontabile Takahashi FS-128, possiamo convincerci che la sola regione di spettro in cui questi rifrattori appaiono effettivamente più corretti sia quella del profondo rosso e vicino infrarosso. In questa regione di spettro ci aspettiamo quindi che una immagine di una sorgente puntiforme (immaginiamo una stella qualunque) appaia più corretta, ossia lievemente meno dilatata, nel TEC 140 rispetto a quanto risulterebbe nel APM 140-SD. In tutto il restante spettro visibile i risultati che otterremmo dovrebbero essere del tutto paragonabili.

La minore correzione nel rosso risulta del tutto invisibile in osservazione visuale e potrebbe solamente offrire un piccolo vantaggio ai migliori della categoria in riprese che selezionino esclusivamente questa regione spettrale come l'imaging deep sky in infrarosso o la fotografia in banda metano di Giove oppure la fotografia con filtri oltre i 642nm. della Luna con camere in bianco e nero.

Affinché non ci siano dubbi interpretativi il confronto di sovrapposizione lo ho fatto io con una operazione di "riscalatura" dei valori in modo che le curve fossero sovrapponibili. L'intervallo di spettro considerato è quello su cui abbiamo i dati di entrambi gli strumenti (TEC 140 ED tripletto e APM 140-SD) e quindi con lunghezza d'onda compresa tra i 485nm. e i 640nm. Il risultato è il seguente:

A 485 nm. il TEC ha una strehl di circa 0.85 contro i 0.78 del APM con un andamento che diventa però sovrapponibile pochi nm. più in su (495). A 640 nm. il TEC sfodera una strehl di 0.88 (molto buona) contro i 0.75 del APM. Per chi fosse digiuno del minimo di conoscenza che dovrebbe distinguere l'astrofilo chiacchierone va detto che a 485 nm. l'occhio umano non vede e a 640 nm. vede pochissimo (per provarlo prendete un filtro viola scuro/ultravioletto con taglio a 450nm. o inferiore e guardate il vostro soggiorno di casa illuminato, altrettanto fate con un filtro IR-pass da 685nm.) A 450nm. vedrete quasi nulla e quel poco quasi tutto viola/nero, a 685 intravederete "qualcosina" in un rosso scuro. Questo, ovviamente, ammettendo che voi non siate il computer HAL 9000 di 2001 Odissea nello Spazio...

Ora, non me ne vogliano i possessori del citato TEC 140 ED p FL (che è uno strumento meraviglioso e chiunque lo abbia acquistato ha fatto bene e ne avrà, per tutto il tempo di utilizzo, un grande piacere sia visuale che fotografico), noi dobbiamo però argomentare non solamente in linea teorica ma anche e soprattutto pratica ossia riferendoci alle condizioni del cielo e di tutti gli altri elementi che concorrono a generare una immagine (sia questa impressa sulla retina o su un sensore cmos o ccd).

Se il nostro scopo fosse quello di fotografare le nubi di Venere potremmo trovare maggiore giovamento dall'utilizzo del TEC ma optando per un rifrattore da 14 cm. avremmo sbagliato scelta perché la caduta di luce sarebbe eccessiva e sprecheremmo il suo potenziale globale. In questo caso faremmo molto meglio ad impiegare un newton da 10 o 12 pollici il cui percorso ottico risulta inoltre molto più "trasparente" all'ultravioletto rispetto ai vetri di un rifrattore.

Anche se il nostro scopo fosse quello di riprendere Giove o Saturno nella banda del metano impiegando uno dei moderni filtri in riga CH-4 (con banda passante di circa 8/18nm. centrata sui  889nm.) troveremmo, nella teoria, un maggiore giovamento impiegando il TEC 140. Anche in questo caso, però, scegliendo un rifrattore da 14 cm. avremmo sbagliato in pieno il nostro strumento. Decisamente meglio rivolgersi ad uno Schmidt Cassegrain da 30 e più cm. perché con 14 cm. a lenti la luce disponibile sarebbe poca e il frame rate della migliore delle camere planetarie crollerebbe a picco.

Il solo possibile vantaggio reale che otterremmo acquistanto un TOA, un TEC, un AGEMA "SD", e via discorrendo lo potremmo trovare nell'imaging del profondo cielo focalizzandoci nella banda passante dell'idrogeno ionizzato (H-Alpha). In questo caso potremmo beneficiare di una migliore risposta del rifrattore "top level" che si tradurrebbe in una dimensione lievemente più piccola delle tracce stellari. Quanto più piccola (e comunque sono differenze risicate) dipende dal seeing della serata e dalla umidità presnete nell'aria che divide l'obiettivo dallo spazio profondo.

La lunga digressione, nemmeno esaustiva fino in fondo considerato che nella fotografia non in banda stretta ciò che incide non è solo la rispondenza nella singola banda ma la strehl ratio policromatica, ci aiuta a comprendere che se è vero che il "massimo" resta tale e non superabile ad oggi, altrettanto vero è che il "quasi massimo" non vi si discosta in modo così elevato da generare risultati significativamente differenti.

IL 140-SD

Siamo al cospetto di un rifrattore apocromatico da 14 cm. di apertura e 980mm. di focale per un rapporto di F7. Nella versione da me scelta lo strumento è dotato di un focheggiatore da 2,5 pollici ma è disponibile, per qualche centinaio di euro in più, una versione dotata di un focheggiatore da 3 pollici capace di carichi superiori.
Il costo, che comprende anelli ben realizzati, una valigetta rigida, un “tappo” in metallo, il paraluce scorrevole e una barra Losmandy da 20 cm., varia dai 2900 euro della versione del test ai 3300 circa per quella con focheggiatore maggiorato.
Quando è tutto estratto (paraluce e focheggiatore) il “nostro” APM è lungo 114 cm. che diventano 80 cm. in condizioni “tutto chiuso”.
Lo strumento pesa meno di 10 kg in assetto finale (con barra losmandy, diagonale da 2 pollici e oculare di pari diametro, oltre ad un cercatore aggiuntivo) e trova la sua montatura minima adeguata nella sempiterna EQ6.
Nel caso di un impiego fotografico serio consiglio però di salire di livello e acquistare una EQ8 oppure, come ho fatto io, una Ioptron CEM 70 con encoder assoluto in AR o qualcosa di analogo anche e soprattutto considerndo che in assetto fotografico completo (nel mio caso con un SW Evostar 72 ED come telescopio guida, una IMX224 abbinata, una ATIK 420 mono o 4000 mono per ripresa, cavi e alimentatori) il peso lievita fino a 13 kg.
Il 140-SD è, a tutti gli effetti, catalogabile come strumento “apocromatico”. Forse un pochino di residuo non corretto emerge durante lo star test classico (immagini di intra ed extra focale) ma risulta totalmente invisibile quando gli oggetti inquadrati, che siano sistemi stellari multipli, bordo lunare o planetario, o la quasi noiosa Vega (alpha Lyrae), vengono correttamente posti a fuoco.

Immagine sopra: il rifrattore installato in postazione semi-fissa su una Ioptron CEM 70-EC su cavalletto Geoptik "Hercules"

Da un punto di vista meccanico/costruttivo va segnalato che il paraluce del APM accusa più “gioco” rispetto a quanto avviene sul TOA o sul TEC (o su un AP di ultima generazione)  ma questo non basta a giustificare un costo più che doppio.
Dall’altro lato del tubo (ben verniciato, ben rifinito, ben costruito) il focheggiatore del mio esemplare è il classico (oramai) 2,5 pollici mass-producted con sistema di rotazione e una costruzione di buon livello. Dotato di riduzione micrometrica, scala graduata sul canotto, estrazione elevata, è robusto, non flette, non slitta. Però ha un sistema di serraggio degli accessori che risulta inusabile o quasi in fotografia. Si tratta di una doppia ghiera di autocentraggio che viene pubblicizzata (come del resto la schifezza Baader e di simile estrazione) come ottimale per garantire la corretta assialità del treno ottico. In realtà quello che fa è l’esatto opposto introducendo, sempre o quasi, lievi inclinazioni che in visuale non si notano ma che con i sensori moderni di medie dimensioni emergono in modo fastidioso.
Per ovviare è sufficiente sostituirlo con un raccordo M63 femmina a 2 pollici standard o M42 maschio (ancora meglio) dal costo di una cinquantina di euro.
Con questa spesa e i sei minuti necessari ad aprire la scatola, svitare, avvitare, controllare, si ottiene un rifrattore da 140 millimetri apocromatico (doppietto, con tutti i vantaggi che questo comporta) aperto a f7 che sfoggia prestazioni visuali e fotografiche del tutto confrontabili con il TEC di pari apertura e con il TOA 130 (e ovviamente anche con l'Astro Physics 140).
E questo non lo scrivo perché non posso permettermi nessuno dei tre sopra citati, considerando che potrei comprarli tutti e tre insieme senza alcun problema. Lo scrivo perché la reputo la verità e non esiste alcun motivo per tacerla.
Inoltre, e lo ritengo un aspetto determinante, il 140-SD può essere corredato da un test interferometrico che risulta “solitamente” attendibile e che attesta la media di questi strumenti a 0,96 circa.
Nel mio caso ho appositamente scelto un esemplare “venuto male”, ossia dotato di una strhel di 0.94 perché la cosa mi ha permesso di risparmiare altri 400 euro e l’impiego a cui dovevo dedicare lo strumento (fotografia in condizioni di cielo e turbolenza medie o schifose) avrebbe reso del tutto inutile correzioni superiori.

Nelle immagini sopra e sotto rispettivamente il doppietto frontale del APM 140-SD e il suo gruppo focheggiatore (da 2,5 pollici in questo caso) con sistema rotativo e ampia escursione.

Nella immagine sotto il focheggiatore opzionale ottenibile all'ordine dello strumento se acquistato nuovo. Consigliabile? Se i circa 500 euro di differenza (a mio modo di vedere una follia ingiustificabile considerando che non è un focheggiatore aggiuntivo ma semplicemente una sostituzione, il che significa che il focheggiatore più bello lo si paga circa 800 euro in realtà..) non sono un ostativo sì, lo strumento migliora, anche da un punto di vista del bilanciamento. Altrimenti si può benissimo spendere 50/60 euro, sostituire solamente il portaoculari e vivere felici.

VALUTAZIONI

Se siete alla ricerca di un rifrattore con cui osservare gli ammassi aperti non serve a nulla scegliere né i blasonati né il APM. Acquistate piuttosto con un migliaio di euro un 152/900 e ponetelo su una EQ6 (minimo) o su una altazimutale dal costo anche più elevato dotata di go-to e portata da almeno 20 kg. reali. Troverete un esauriente articolo su Dark-Star riguardante proprio questo strumento.
Se invece volete un rifrattore per farci tutto, ossia osservare i sistemi multipli con separazione sotto il secondo d’arco e componenti sbilanciate, il suolo Lunare avendo la possibilità di raggiungere rimae sottili e delicate o craterini da 2 km. di diametro, Giove a 350 ingrandimenti con una pletora di dettagli elevatissima (dagli ovali bianchi al ricciolo interno alla GMR), oppure fotografare ammassi, planetarie non troppo piccole, galassie e nebulose diffuse, il APM 140-SD sarà un compagno perfetto e non rimpiangerete mai i blasonati sopra citati, se non per il semplice fatto di non averli e vedere scritto sulla targhetta identificativa o sulla serigrafia della ghiera “Takahashi, Tec, Astro Physics”.
In ogni caso dovrete comunque spendere almeno qualche migliaio di euro (dai 3 ai 5 minimo) per una montatura di buona classe e potere così appagare il desiderio di investimento residuo.

Sopra: il "nostro" APM 140-SD installato su una montatura Skywatcher EQ6 PRO, che considero il minimo corretto per utilizzare in serenità lo strumento.

Sotto: due serie di oculari di buon livello utilizzati in accoppiamento con il rifrattore oggetto della prova: i Takahashi serie LE e i Vixen LV.

DIAMO AI "BLASONATI" UN SOLO MOTIVO?

Farlo significa essere onesti e offrire il solo e unico spunto che potrebbe dare conforto alla scelta meno facile e meno economica.
Tendenzialmente, e mi riferisco principalmente a Takahashi poiché sia TEC che AP in questo sono molto meno performanti, il progetto orthoapocromatico giapponese, quando accoppiato ai suoi spianatori dedicati (senza riduzione di focale) genera un sistema ottico con un cerchio spianato più ampio di quanto possa fare il sistema APM accoppiato pur ai migliori “flattener” multilente.
Se quindi l’idea è quella di montare su questi rifrattori i nuovissimi sensori c-mos da 60 megapixel, e penso al chip Sony IMX-455 o a quelli semi professionali in via di commercializzazione a prezzi ancora ben superiori a diecimila euro, obiettivamente vi consiglio di non risparmiare qualche migliaio di dollari sul tubo ottico. Ma se siete astrofotografi “normali” la differenza non la troverete tanto nella disputa APM-Takahashi ma nella scelta del luogo e condizioni di ripresa.

Sopra: un Takahashi TOA 130NS. Sotto: Una moderna camera coms astronomica di fascia "consumer" ASI 6200 dotata di chip Sony IMX-455.

BASTANO 140 mm.?

La domanda quasi senza logica che ci siamo posti è quella che però assilla i molti indecisi tra un 14 cm. e i tanti 15 cm. presenti sul mercato e che costano praticamente la medesima cifra. Mi riferisco al APM 152/1200 oppure al Tecnosky SLD 152 ma anche al doppietto TS 152 o ad altri simili variamente marchiati.
Oggi è facile acquistare un rifrattore apocromatico da 6 pollici e quindi diventa comprensibile il desiderio di entrare a far parte del “mondo di chi lo ha”.
Il ragionamento funzionava meglio tanti anni fa, quando effettivamente i rifrattori di grosso diametro scarseggiavano tra gli armadi degli appassionati e la loro essenza era ammantata da una “aura” di misticismo non ben definita.
Fui tra i primi (o quasi) a possedere (parlo di circa 30 anni fa) un 6 pollici a bassa dispersione (allora si chiamavano semplicemente “ED”) e, nel corso degli anni, ho avuto o potuto usare i migliori mai realizzati sulle due sponde dell’oceano Pacifico o in centro Europa.
Ho così costatato quanto valga il detto “un rifrattore da 15 cm. è per la vita”, ossia... niente.
Quando hai un apocromatico da 6 pollici prima o poi passi ad un 8 (e anche quando come me giungi a questo comprendi che poi forse non è esattamente il massimo), scendi di diametro, cambi configurazione, sogni “altri lidi”.
In effetti i 15 cm. a lenti sono una soglia psicologica che si è affermata sia per motivi di blasone che per effettiva capacità prestazionale.
In campo planetario il salto che si ottiene passando dai 4 ai 5 pollici è significativo ma diventa non così importante quando si giunge ai 6 pollici. Da qui agli 8 la differenza è trascurabile se non in serate eccezionali.

Il problema dei rifrattori da 150 millimetri risiede soprattutto nella loro mole. Sono lunghi (almeno 140 cm. con paraluce e focheggiatore) e pesano una quindicina di kg quando va bene (completi di anelli, barre, oculari, cercatore). Un simile strumento è capace di mettere in crisi molte montature strandard e benché ci sia qualche stravagante amatore che li utilizza sulla EQ6 “perché è scritto che porta 25 kg!” chi comprende la fisica e desidera che la capacità ottica non venga compromessa da microvibrazioni continue intuisce che soldi e peso della montatura adatta superano i 5 mila euro da una parte e i 35/40 chilogrammi dall’altra.
In queste condizioni è facile comprendere che tali strumenti non siano né facilmente trasportabili né facilmente gestibili.
Al contrario, i 5 pollici che tanto vanno per la maggiore obbligano a sacrifici economici e logistici ben più lievi. Ma di millimetri a disposizione ne hanno “solo” 127 o 130.
In questo discorso si inseriscono i nuovi 14 cm. che riescono a coniugare un po’ tutte le necessità. Sono decisamente più piccoli rispetto ai fratelli da 6 pollici e, a parità di rapporto focale, anche più corretti per una semplice legge fisica, e riescono a essere gestiti accettabilmente da montature meno pesanti e costose.
Il “nostro” APM 140-SD può effettivamente essere installato con profitto su una EQ6-R, e come lui possono farlo anche lo Shrapstar 140 o il più volte citato TEC 140 ED o FL.
Osservare con questi strumenti e mettere loro vicino un 6 pollici, provando a passare da uno all’altro per il gusto di percepire le differenze, significa comprendere che i fratelli maggiori sono, de facto, inutili nel 95% dei casi.
Quindi, se vogliamo rispondere con logica alla domanda posta inizialmente, dobbiamo sicuramente convincerci che “Sì, 140 millimetri bastano”.
Ciò che però non ci siamo chiariti è la specifica fondamentale che la domanda porta seco, ossia: “Bastano a fare cosa?”
Arrivati, finalmente, a questo punto non esiste censore capace di consigliare alcunché. Il diametro a disposizone è sufficiente ad una vita di osservazione di sistemi planetari, non fa rimpiangere nulla nella visione planetaria o lunare, permette una gratificazione significativa nel bighellonare a basso ingrandimento tra le plaghe del cielo profondo alla ricerca di ammassi stellari e rappresenta un ottimo compromesso per gli osservatori del Sole in abbinamento ai filtri adatti o ad un prisma di Herschel.
In compenso, i nostri 14 super corretti cm. sono ben poco adeguati alla stragrande maggior parte delle galassie, delle nebulose planetarie, o per la “seria” fotografia degli oggetti del sistema solare dove a contare è soprattutto il diametro (almeno entro certi limiti). Anche nella osservazione degli ammassi globulari, escludendo i più grandi e luminosi, le soddisfazioni risultano modeste.
Si metta quindi l’animo in pace colui che, pur con risorse finanziare elevate a disposizione, investe trentamila euro per un TEC 160FL e una montatura di pari valore credendo, così, di poter “toccare il cielo con un dito”. (Al mio amico Francesco staranno forse fischiando le orecchie...).
L’astronomia, come molte passioni con ampie braccia, richiede di scegliere e finalizzare la propria strumentazione per ciò che più interessa, accettando sul resto di avere “poco”.

QUALCHE IMMAGINE DAL PEGGIORE DEI CIELI

Purtroppo se è vero che a comprare strumenti si fa presto ed è solo una questione di soldi o di scelte, è altrettanto vero che il cielo resta quello che è. Quando poi si ha la sfortuna (dal punto di vista astronomico) di vivere in una metropoli inquinata, umida, e con un cielo quasi perennemente traslucido classificabile con valori tra Bortle 9 e Bortle 9+, ci si deve accontentare dei risultati.
La resa geometrica e cromatica però non cambia. Avremo mnore profondità di ripresa, alonature di gradiente, non riusciremo nemmeno lontanamente ad avvicinare i risultati che è possibile ottenere con la medesima attrezzatura posta sotto un cielo di montagna, ma potremo comunque valutare pregi e difetti del nostro set-up e metterlo a “regime”.
Dalle immagini che mostro emergono due aspetti fondamentali e significativi.
Il primo è che, pur senza eccessivi patemi, qualcosa di interessante si riesce comunque a ricavare. E’ sufficiente non demordere e conservare pazienza e calma. Si aggiunga anche che le fotografie presentate non sono, come per i più, la somma di intere notti di esposizione, ma solamente il live stacking di poche decine di minuti di integrazione.
Il secondo aspetto, che concerne la meccanica dello strumento, è la difficoltà ad avere una perfetta assialità del fascio ottico che viene sovente inficiata dalla raccorderia standard disponibile.
Analizzando con attenzione alcune immagini è infatti possibile evidenziare deformazioni geometriche asimmetriche che, nel nostro caso, sono tutte dovute al citato elemento di “clik lock” autocentrante.

Sopra: immagine del portaoculari di serie (a sinistra) e di quello usato in sostituzione "after market" (a destra).

Sotto: alcune immagini ottenute dal cielo di Milano in modalità di ripresa "lucky imaging" usando camere ATIK 420 e 4000 mono (questa per la sola ultima immagine in basso). Tutte le immagini sono osservabili con maggiore risoluzione e pulizia al link personale Astrobin: https://www.astrobin.com/users/Cherubino/

Le prove effettuate, molto più numerose delle immagini qui presentate, hanno visto alternarsi camere di ripresa e filtri differenti tra loro (o anche assenza di questi ultimi) e tecniche di ripresa che spaziano da pose classiche con esposizione di varie decine di secondi (dai 60 ai 300 circa) a lavori di puro “lucky imaging”.

Sopra e sotto: medesima immagine della galassia M102 (immagine sotto con campo inquadrato ritagliato ed ingrandito).

Sopra: la Turtle Nebula (NGC 6210). Sotto: ammasso apertto Foxhead cluster (NGC 6819).

Sopra e sotto: due immagini della camera di ripresa dedicata al 140-SD, una ATIK 420 mono con sensore in bianco e nero, relativamente poco sensibile ma pulita e priva di effetto di amp-glow.

CONCLUSIONI

Lo strumento appare effettivamente apocromatico anche se forse esibisce una correzione meno marcata nel profondo blu e rosso rispetto ad un tripletto di altissimo livello.
Appare ben costruito e sufficientemente leggero da essere impiegato sia visualmente che fotograficamente su montature nella classe dei duemila euro.
Presta il fianco ad una sola critica reale, quella inerente il raccordo autocentrante montato a valle del focheggiatore e che deve essere sostituito se si vuole impiegare il rifrattore nella fotografia seria del cielo profondo.
La dotazione standard è più completa di quella dei suoi blasonati competitor e se si considera il prezzo di acquisto inferiore ai 3000 euro non si può che essere molto impressionati dal telescopio in ogni suo aspetto.
Le prestazioni visuali e fotografiche sono obiettivamente in linea con quanto di meglio si possa ottenere in campo amatoriale nei limiti del diametro dei 5/6 pollici e solo con sensori dotati di diagonale molto ampia (sopra i 25/30 millimetri) i top rated americani e giapponesi sanno fare meglio.
Il APM 140-SD è quindi promosso ed è consigliabile. Non è il primo della classe, ma in pagella ha tanti “9,5” e il divario con la perfezione è francamente molto limitato e di utilità opinabile.

Il APM 140-SD con lo strumento guida Evostar 72ED e la ATIK 420 mono, sulla destra il pentax 100EDUF con camera ASI1600 mono. 

Sotto: lo strumento installato sulla montatura porta sulle spalle il Pentax 100 EDUF f4 e una piccola camera IMX 224 color.

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