Non impossibile, basta un po' di pazienza e l'accettazione di molti limiti.
Gennaio 2016
Installare un rifrattore da 15 cm. sotto un cielo di alta montagna invernale, terso e illune, è sempre esaltante. Indipendentemente dal livello qualitativo del telescopio in questione, e in un range di ingrandimenti adatti a non mettere alla corda le ottiche (né per ingrandimenti eccessivi, né per campo inquadrato eccessivamente largo), un rifrattore da 150 millimetri a medio fuoco (nel mio caso aperto a f8) è un compagno di osservazioni eccellente, capace di rivelare fini componenti deboli negli ammassi stellari e una notevole mutevolezza di grigi nelle nebulose estese.
Benché i miei intenti fossero altri mi sono chiesto come avrebbe risposto il mio poco adatto telefonino Huawei P8 alla ripresa di alcuni facili soggetti del cielo profondo e ho così dedicato un po' di tempo a qualche esperimento.
E' inutile negare che la fotocamera del Huawei sia decisamente meno performante di quella che equipaggia modelli di alta gamma di marca Samsung (il mio precedente S4 era sicuramente più adatto alla ripresa dei corpi celesti) ma qualche prova era doverosa, soprattutto dopo aver riscontrato una non esaltante prestazione nella ripresa dei soggetti del sistema solare.
A chiunque voglia cimentarsi in lavori simili consiglio principalmente di lavorare in condizioni ottimali sotto cieli di alta montagna con bassi valori di umidità, alta trasparenza e trascurabile inquinamento luminoso. A questo proposito la mia postazione montana è obiettivamente quasi ideale. Benché non disponga di un orizzonte ovest libero (e questo mi ha impedito di godere della interessante cometa 45P/Honda-MrKos-Pajdusakova, una periodica gioviana con visibilità pre serale nel periodo delle vacanze natalizia di questo fine di anno), è graziata dalla rispettabile quota di oltre 1800 metri, un cielo eccezionalmente scuro e ben difeso da inquinamento luminoso, e una bassa umidità.
La magnitudine limite a occhio supera di buono slancio la sesta tanto che risulta possibile intravedere alcuni oggetti particolarmente brillanti del cielo profondo (tra tutti il difficile M13 nelle sere estive).
Con queste premesse è facile immaginare quanto splendide siano le immagini offerte dal Bresser 152/1200 accoppiato ad un oculare Meade SWA da 24,5mm.
L'ingrandimento di quasi 50x e il campo reale prossimo a 1,4 gradi permettono alle ottiche acromatiche di lavorare nel migliore dei modi offrendo spettacolari “diapositive” di oggetti come M42, gli ammassi aperti in Auriga, nel Perseo, in Cassiopea e di altri target classici.
Se volessimo ottenere risultati fotografici superiori, pur senza spendere cifre maggiori, potremmo rivolgerci a un newton classico da 20 o 25 cm. di apertura e focale prossima a un metro: disporremmo di maggiore guadagno luminoso e una medesima scala di immagine.
Risolto il problema del cielo e dello strumento, che deve ovviamente essere corredato di montatura equatoriale robusta e motorizzata almeno in ascensione retta e ben allineata al polo celeste, rivolgiamo la nostra attenzione al resto della strumentazione.
Come per le camere CCD dedicate anche la scelta dello smartphone non è secondaria in relazione a quanto vogliamo ottenere. Non compreremo certo un telefono per usarlo esclusivamente a fotografare puntini luminosi nel cielo ma è indubbio che i possessori di smartphone dotati di camere di alta qualità e software di gestione con programmi di settaggio manuale potranno raggiungere risultati di rilievo.
Il mio economico Huawei P8 non eccelle in assoluto ma dispone comunque di una gestione, denominata “professionista”, di controllo della camera di ripresa che permette di scegliere sia il grado di sensibilità ISO che il tempo di esposizione (almeno entro i limiti pre impostati A 1600 ISO e 8 secondi). Si tratta di parametri indispensabili anche se sfigurano nei confronti di quanto sappia fare il P9 (che gestisce correttamente tempi di esposizione fino a 30 secondi) o il nuovo S8 Samsung, tralasciando la superiore qualità delle loro lenti.
Se disponete quindi un telefono che accetta esposizioni di 20 o 30 secondi potrete realizzare lavori molto interessanti immortalando anche qualche galassia e le principali nebulose! Io devo accontentarmi di ammassi stellari aperti che restano comunque un target eterogeneo e numeroso.
Serve infine disporre di una valido supporto per lo smartphone e di un oculare che sia adatto a lavorare in proiezione accoppiato allo strumento utilizzato.
Il mercato offre oggi molte soluzioni per il sostegno in digiscoping e una veloce ricerca sul web, affidandosi magari a siti di e-commerce generale come Amazon, permette di acquistarne uno a pochi euro (tra i 15 e i 20 solitamente).
La scelta dell'oculare va invece fatta, se non si dispone di pezzi speciali studiati appositamente per la ripresa in proiezione, tra i plossl classici che assicurano un discreto campo apparente (circa 50/52°) e una ottima correzione delle aberrazioni geometriche e cromatiche extra assiali.
Sopra: congiunzione Marte - Nettuno (a sinistra e destra rispettivamente) ripresa con proiezione
di oculare 24,5 mm e zoom 3x su smartphone Huawei P8 su Bresser 152/1200 acromatico.
Benché si possa trovare rimedio a molte dei problemi che si incontrano nel tentativo di piegare alla fotografia deep sky un “rettangolino" sottile di plastica e metallo progettato principalmente per telefonare o navigare sul web, non bisogna dimenticare che i limiti fisici e tecnologici sono tali da impedire risultati paragonabili a quelli alla portata di camere dedicate.
Al di là del “rumore” delle immagini, del range cromatico, della scarsa sensibilità del sensore di ripresa alle parti estreme dello spettro visibile, vanno aggiunti problemi insiti nel sistema stesso di ripresa: il metodo afocale in proiezione.
Questi prevede che a comporre l'immagine partecipino una serie di obiettivi, oculari, raccordi, e ancora obiettivi di ripresa che oltre a non essere progettati per lavorare in gruppo sono anche tenuti insieme da una “accrocchio” di plastica e metallo (il supporto per digiscoping) non certo esente da flessioni e imprecisioni nell'allineamento ottico.
Tutto questo si traduce in distorsioni di campo, vignettatura pronunciata, aberrazioni geometriche e cromatiche laterali, una sorta di cornucopia di problemi che si evidenziano all'aumentare della sensibilità del sistema di ripresa e dei tempi di esposizione.
Qui sotto propongo una immagine parziale tratta dall'ingrandimento dell'angolo sinistro di una fotografia del complesso delle Pleiadi. L'immagine, prima del processing con photoshop atto a limitare gli effetti di cromatica laterale, mostra bene tutte le possibili aberrazioni introdotte dal sistema afocale in proiezione (cromatica – esaltata anche dall'obiettivo principale semplicemente acromatico – allungamento del disco stellare, vignettatura, etc..)
Gli esempi che riporto rappresentano un semplice punto di partenza da cui trarre spunto. Le immagini sono del resto le mie prime realizzate e benché sia doveroso riconoscermi una certa esperienza nel metodo afocale in proiezione con telefonino (sono sicuramente stato tra i primi a livello mondiale a proporlo in modo continuativo) è altrettanto giusto ricordare che al loro ottenimento non ho dedicato né particolare attenzioni né l'attrezzatura più indicata.
Con un astrografo apocromatico, un Huawei P9 o un Samsung S7 (o meglio ancora S8) o Lumia 640, e un supporto con centratura micrometrica e un oculare da proiezione specifico avrei certamente proposto immagini di ben altro spessore ma saremmo anche entrati in un ambito più specializzato che esula un po' dalla logica alla base del discorso.
Tutte le immagini proposte, con pochissime eccezioni, sono state ottenute con valori di gestione della macchina fotografica del telefono impostati su 1600 ISO, 8 secondi di esposizione, fuoco manuale (e quindi non sempre impeccabile...), correzione dell'esposizione in apertura di uno stop di diaframma (sempre “elettronico”), zoom digitale mantenuto a 1x. Si tenga inoltre presente l'utilizzo di uno strumento da soli 15 cm.
La prima immagine che propongo ritrae l'ammasso aperto NGC 457 in Cassiopea. Ben alto nel cielo invernale è un soggetto ottimale da riprendere con lo smartphone anche perché la sua componente principale è una stella straordinariamente luminosa (magnitudine 5 considerando un assorbimento superiore al 73% del mezzo interstellare!) su cui è comodo eseguire la messa a fuoco.
L'ammasso, che si allarga per circa 13', ha una magnitudine relativa di 4,7 ed è composto da una ottantina di stelle circa (di cui la maggior parte piuttosto deboli). La distanza stimata di circa 9000 anni luce ne fa un oggetto cospicuo se si considera il già citato assorbimento interstellare.
Sempre in Cassiopea, tra le stelle Epsilon e Gamma, si trova un altro ammasso aperto molto bello e indicato al numero 654 del New General Catalogue. Leggermente più vicino di NGC 457 (si stima una distanza di circa 8000 anni luce) ne subisce le stesse sorti di assorbimento interstellare e brilla di magnitudine 6,5 dimostrandosi quindi meno luminoso e anche decisamente più compatto con le sue 60 stelle circa in un'area di 5'. Nello stesso campo brilla un altro ammasso simile, NGC 663, bellissimo all'indagine visuale avendo stelle di luminosità molto simile tra loro. Più disperso (diametro di circa 16') e quasi parimenti distante (7200 anni luce circa), brilla di magnitudine 7,1 e conta un'ottantina di componenti.
Parlando di ammassi aperti nelle zone tra Cassiopea e il Perseo risulta impossibile non citare e fotografare il celeberrimo “doppio ammasso del Perseo”. Noto come NGC 869 e NGC 884, l'oggetto è un “quadretto a sé” annoverando due gruppi stellari simili e diversi al tempo stesso. Posti grossomodo alla stessa distanza dalla terra (circa 7200/7500 anni luce), dispersi su un diametro di 30' e di medesima magnitudine (4,3 e 4,4 rispettivamente), i due ammassi sono però diversi quanto a concentrazione nelle aree centrali: più denso il 884 e più “arioso” il 869.
Lasciando le plaghe del Perseo per la fiera costellazione di Orione risulta indispensabile volgere l'attenzione al più cospicuo dei suoi oggetti: la grande nebulosa di Orione, catalogata al numero 42 dell'opera di Messier.
Splendida all'oculare non mi dilungo nel descriverla ma devo ammettere che la sua resa fotografica al telefono risulta terribilmente sottotono. Lo spettacolo grandioso che l'oculare da 24,5 e da 15mm. offrono (un intricato sovrapporsi di veli diafani) scompare completamente e il dettaglio finisce a “donnine poco serie”. L'elaborazione in bianco e nero aiuta un pochino a salvare la situazione ma resta il fatto che la sensibilità della camera di ripresa non sembra sufficiente a registrare le delicate propaggini della nebulosa. In questo caso risulterebbe sicuramente proficuo poter ridurre il valore nominale degli ISO (magari a un massimo di 800) e allungare l'esposizione a 30 secondi.
I principali e famosi ammassi nell'Auriga (M36, 37 e 38) rendono discretamente anche se, come per quasi tutti i soggetti, una esposizione maggiore (la immagino di circa 12/16 secondi) gioverebbe a fare emergere le deboli stelline di contorno che offrirebbero maggiore profondità di visione. Li propongo uno di seguito all'altro senza entrare nei particolari morfologici che quasi tutti noi conosciamo e che possono comunque essere facilmente recuperati sul web.
In alto immagine dell’ammasso M36 - Sotto quella del vicino M37
L’immagine sopra ritrae il terzo ammasso dell’Auriga: M38
Con le premesse delle foto sopra proposte ho tentato l'osservazione e la ripresa di alcuni oggetti non stellari famosi raccogliendo però solamente grandi delusioni.
Il primo è stata la grande galassia di Andromeda, M31, e le sue due principali satellite (M32 e NGC205). Spettacolari all'oculare da 50x (che non conteneva ovviamente tutta la galassia principale) nonostante i 1600 Iso e gli 8 secondi di posa hanno impressionato ben poco il sensore dello smartphone lasciandomi con una triste e solitaria “pallina puffettosa verdognola”.
Poiché M31 aveva raccolto così misera figura non potevo certo sperare di cogliere nulla della meravigliosa Fiamma (NGC 2024) che si distende appena ad est di Alnitak, nella cintura del gigante Orione.
Magnifica all'oculare con tutta la sua serie intricata di canali scuri dentellati (visione priva di filtri e simile a quella, diafana, di una foto bianco e nero) risulta “nulla” al sensore. Indubbiamente la sensibilità al rosso è bassa ma la assoluta mancanza di traccia dopo 8 secondi di esposizione è disarmante...
Medesimo smacco lo ha offerto la celeberrima M1. Anch'essa invisibile al sensore del Huawei P8.
Per risollevare l'animo e l'entusiasmo serve puntare le luminosissime Pleiadi che offrono però alcune difficoltà legate sia al loro fulgore che alla ampiezza del proprio ammasso. Risulta, con un ingrandimenti di 50x circa, impossibile abbracciare le propaggini esterne del complesso ma sono comunque riuscito a immortalare le componenti principali. Ovviamente il fatto di essere così ampio, e di richiedere perciò tutto il sensore, porta ad esaltare i problemi già citati di cromatica laterale e distorsione geometrica. Passare l'immagine grezza a photoshop e sistemarla un po' (pur senza alterarla in alcun modo nei tratti informativi) risulta indispensabile per renderla più gradevole.
Ho proseguito nell’indagine di alcuni ammassi aperti cercandoli nel vaso catalogo NGC per fuggire alla ripetitività dei soggetti Messier a tutti ben noti.
La mia attenzione è caduta inizialmente sul NGC 1528, un ammasso non molto ricco contando una quarantina di stelle ma piuttosto vicino e ampio con i suoi 24’ di diametro. Adagiato in una regione stellare ricca di stelle di fondo all’interno della costellazione del Perseo appare convincente e piacevolissimo anche nell’immagine con smartphone qui sotto proposta.
Ammasso intrigante ma difficile in fotografia, almeno con un telefonino ovviamente, è NGC 1857. Si tratta di un gruppo compatto di una trentina o poco più stelle, tutte molto deboli onestamente ma che si riconoscono immediatamente alla visione telescopica. Più difficile invece risulta estrarle dall’immagine se non si conosce più che bene l’ammasso (per questo lo circolo con un debolissimo cerchietto).
Come il precedente anche NGC 2194 incontra, almeno se osservato in alta montagna con un rifrattore da 6 pollici, il mio favore. E’ bello, delicato, con una forma tradizionale e una buona quantità di componenti (circa 80). Purtroppo le sue stelle appaiono molto deboli nella fotografia con il telefonino tanto che la maggior parte risulta invisibile se non forzando in modo eccessivo l’elaborazione (cosa che ho preferito non fare). Come il precedente lo circolo con un tratto bianco molto fine affinché possa essere riconosciuto anche da chi non lo osserva regolarmente.
La tentazione di provare l’impossibile è cresciuta con me e, come sempre quando si esagera, è terminata in una delusione. A fianco del bellissimo M35 (prima foto qui sotto) nei piedi dei Gemelli, esiste un altro ammasso aperto conosciuto come NGC 2158. Al telescopio l’ammasso è bellissimo (benché molto delicato con stelle finissime al limite della percezione) ma in fotografia praticamente “non appare”. Un peccato perché, se è grandioso M35, si può solo immaginare cosa sia NGC 2158 che è molto più luminoso del suo prospettico compagno. Il suo problema è che si trova almeno a tre volte la distanza che ci separa dal più vistoso M35.
Ciò che emerge da queste poche righe ed esempi è la certezza che anche in questo campo qualcosa si possa fare con il nostro fidato telefonino.
Indubbiamente i limiti sono molti e non possiamo, almeno per il momento, pretendere miracoli ma è altrettanto indubbio che con attenzione, i giusti accorgimenti e una scelta intelligente e mirata dei soggetti da riprendere si possano raccogliere fotografie di un cospicuo numero di oggetti stellari del cielo profondo.
Sui forum generalisti leggo sovente di neofiti che vengono scoraggiati ad affrontare la fotografia astronomica quando il budget a disposizione è limitato a poche centinaia di euro.
Premesso che “poche centinaia di euro” (siano solo 2-3-400 euro) non sono comunque “pochi soldi” per una passione che può anche non essere centrale nella vita di un curioso, si può comunque dire che, scegliendo oculatamente sul mercato dell'usato, si possa assemblare un set-up limitato ma gratificante.
Un rifrattore 80/480 acromatico si compra per 60 euro (!) e una montatura adeguata motorizzata almeno in AR (immagino una Super Polaris ad esempio) si porta a casa per 250 euro completa di cavalletto (o poco più). Ci sono “cloni” cinesi che si comprano a meno, al massimo 150 euro, ed è indubbio che un diagonale da 31,8 mm e un paio di oculari plossl cinesi non superano, tutti insieme, i 40/50 euro. Con un budget di 350 euro al massimo (comprendendo anche il supporto digiscoping) e un telefonino “decente” (che oggi hanno quasi tutti) si può fare “fotografia astronomica” a tutti gli effetti: pianeti, Luna, cielo profondo. In questo sito sono presentati vari articoli a riguardo di cui il presente è solo l'ultimo in ordine di tempo (gennaio 2016).
Ora passiamo invece alle considerazioni di migliorabilità...
Ammesso di non voler cambiare telescopio e telefonino si può quantomeno, a costi limitatissimi, cercare una applicazione che consenta di gestire meglio la fotocamera dello smartphone.
Cercare non significa necessariamente “trovare”, io ad esempio non ci sono riuscito (ma ammetto di non essermi impegnato molto..). Ciò che ho recuperato sono solamente applicazioni dalle farlocche promesse. Nessuna di quelle provate (rigorosamente gratuite) permette realmente esposizioni lunghe mentre quasi tutte consentono di riprendere immagini acquisendo più scatti durante la medesima esposizione (ad esempio i citati 30 secondi o più) così da gestire il famoso “effetto strisciata” tanto caro ad alcuni blogger.
Probabilmente alcune applicazioni a pagamento (costo tra i 2 e i 5 euro) riescono a gestire una vera esposizione “bulb” ma ammetto di non aver ancora provato. Ritengo comunque questo il vero salto qualitativo perseguibile anche se preferirei il miglioramento della gestione degli assi ottici, cosa che richiede però investimenti ben superiori per la progettazione e realizzazione di un sistema micrometrico di supporto e l'impiego di oculari specifici (oggi piuttosto rari – penso ai vari NP-9 e 12 Takahashi che hanno per focale troppo corta).
Tutto questo per dire che, volendo davvero e senza badare a spese, sarebbe anche possibile migliorare molto i risultati con strumenti meccanici di precisione oppure anche solo eseguendo una sessione di multi scatto sullo stesso soggetto e poi sommando le immagini con qualche programma dedicato all'imaging deep sky.
Spero che qualcuno, con competenze migliori delle mie, si cimenti prima o poi in questo settore di “astronomia estrema” e ci renda partecipi delle sue esperienze.