Autunno 2017
Sono decenni che usiamo i maksutov-derivati e su di loro è stato scritto molto. Gli astrofili si dividono nell’esprimere giudizi ed esistono schiere di fautori e simpatizzanti e altre che invece non li amano.
Indubbiamente lo schema Maksutov e le sue varianti impongono vantaggi e svantaggi ma in generale risultano utili soprattutto per i piccoli e medi diametri amatoriali mentre diventano poco logici nel rapporto prezzo prestazioni quando si superano i 20 cm. di apertura.
E’ però indubbio che, almeno nelle classi da 5, 6 e anche 7 pollici lo schema russo abbia riscosso, negli ultimi anni, un successo enorme grazie principalmente alla produzione massificata e a basso costo orientale.
Il diffusissimo diametro da 127 millimetri circa, declinato nelle versioni a f12 e f15, è patrimonio di molti astrofili non professionisti che hanno in lui trovato, insieme alle versioni da 150 e 180 millimetri, un compagno dalle buone prestazioni e dal costo contenuto.
Vediamo però cosa troverebbe un utente che cercasse su Wikipedia informazioni sullo schema ottico del telescopio in oggetto:
In questo tipo di telescopio lo specchio principale è sferico e la lastra correttrice (necessaria per correggere le aberrazioni) è costituita da un menisco con la concavità rivolta verso l'esterno. Il russo D.D. Maksutov è stato il primo, anche se non il solo, a stabilirne la fattibilità nel 1941 mentre il primo esemplare realizzato con successo si deve all'americano John Gregory negli anni cinquanta.
La soluzione ideata da Gregory è quella che viene maggiormente utilizzata e consiste nel ricavare lo specchio secondario rendendo riflettente la parte centrale del menisco; per questo motivo tale telescopio è definito anche come Gregory-Maksutov.
Il menisco con le superfici sferiche e il secondario realizzato per alluminatura rende la fabbricazione semplice ma a causa dello spessore non può essere realizzato per diametri grandi; inoltre la curvatura interna del menisco (che deve essere calcolata, insieme a quella esterna, per ridurre al minimo le aberrazioni) fa sì che il telescopio abbia un rapporto f/D abbastanza spinto, solitamente compreso tra f/12 e f/15; tutto questo lo colloca fra i telescopi amatoriali per l'osservazione visuale.
Esistono anche altre varianti in cui lo specchio secondario è realizzato a parte e/o posizionato in una zona intermedia del tubo.
Vantaggi:
• Tutte le superfici ottiche sono sferiche, quindi sono più facili da lavorare e ci sono più possibilità di ottenere un esemplare eccellente
• Tubo molto corto rispetto alla focale
• Rispetto allo Schmidt-Cassegrain immagini più contrastate per via della minore ostruzione
Svantaggi:
• Lento fotograficamente; normalmente f/12 - f/15
• Campo curvo
• Realizzabile solo per diametri contenuti
Varianti:
• Rutten-Maksutov o Rumak: la parte alluminata del menisco ha differente curvatura
• Sigler-Maksutov o Simak: lo specchio secondario è posizionato internamente
• Companar: simile al Simak ma dotato di una ulteriore lastra correttrice
L’enciclopedia on line dice già molto ma ovviamente (non essendo una fonte specialistica) tralascia alcuni dettagli importanti che invece sono cari all’appassionato di astronomia. Tra questi converrebbe citare che il menisco anteriore è leggermente divergente (il che spiega come mai lo specchio primario debba essere più grande rispetto al diametro del menisco stesso) e che, almeno a livello amatoriale e di mass-production, i telescopi così concepiti sono difficilmente collimabili o quantomeno permettono di intervenire solamente sul primario (a volte con operazioni poco intuitive).
Altro aspetto importante risulta essere il sistema di messa a fuoco, ancora pensato tramite traslazione dello specchio primario (a mio avviso una barbarie pazzesca), o la dominante cromatica che il menisco e il suo trattamento possono introdurre nell’immagine finale. Su tutte, forse la più ovvia, la intrinseca difficoltà nel raggiungere il giusto equilibrio termico.
E’ chiaro che quanto detto diventa più invasivo man mano che il diametro dello strumento cresce mentre appare ridimensionato sui piccoli 5 e 4 pollici.
Immagine sopra (non dell’autore): schema ottico di un Mak 178 Meade,
tranne che per dimensioni analogo a quello del “nostro” Bresser
Potremmo scrivere per ore ma possiamo risolvere la questione “di cosa si tratta” dicendo semplicemente che il 127/1900 Bresser altro non è che la reinterpretazione del ETX 125 Meade che tanto successo ha ottenuto.
Intubato in modo diverso, privo dell’inutile flip mirror giocattolo di casa Meade, e con una livrea bianca il Bresser mutua in compenso la ottima ottica che equipaggia i diffusi ETX da 5 pollici e che ha dato più di una volta dimostrazione di ottime prestazioni.
Abbandonata la montatura in ABS a forcella e dotato di una barra a passo Vixen, il Bresser può essere installato su qualsiasi montatura equatoriale guadagnando in stabilità.
La ghiera sulla culatta è predisposta per un porta oculari da 31,8 millimetri ma all’occorrenza può essere rimossa e sostituita con una a passo 2 pollici anche se il campo illuminato del fascio ottico rende francamente superfluo l’impiego di accessori da 51,8 millimetri, se non per l’accoppiamento con macchine DSLR tradizionali con le flange di raccordo.
Al piatto della bilancia elettronica, privo di cercatore ma con barra Vixen, il Bresser segna un peso di 3270 grammi, summa del peso del set ottico ma anche di un tubo in alluminio piuttosto spesso e robusto.
La messa a fuoco, regolabile con una piccola manopola in alluminio che agisce su un sistema di traslazione dello specchio primario, risulta morbida e apparentemente priva di impuntamenti e gommosità.
Terminate le presentazioni non resta che posizionarlo su una montatura efficiente e spremerne le ottiche…
Ai patiti dei “numeri a tutti i costi” possiamo dire che, calcolata con accettabile approssimazione e considerando anche la dimensione del paraluce sul secondario, l’ostruzione lineare dello strumento risulta compresa tra 0,30 e 0,31, un valore più lusinghiero dello 0,34/0,35 tipico di uno Schmidt Cassegrain anche se più alto del canonico 0,26/0,27 di un newton classico.
Sappiamo però che l’ostruzione lineare non è il solo parametro utile alla valutazione di uno strumento dichiaratamente planetario e che molto dipende sia dalla lavorazione ottica che dalla messa a punto dello strumento in sé (collimazione e adattamento termico).
La “prima luce” è avvenuta in una serata limpida ma contraddistinta da un seeing orribile. Vento a raffiche nei dintorni e turbolenza in quota non hanno permesso di operare un adeguato test ma quanto visibile è stato sufficiente per comprendere che lo strumento non era adeguatamente collimato.
E’ stata una brutta sorpresa, non lo nego, anche perché mettere mano a questi mak è una impresa che richiede pazienza e un certo lavoro preparatorio.
Benché lo strumento non fosse nuovo il precedente proprietario mi ha confermato di non averci mai messo mano e questo spiega la condizione trovata, che è quella “di fabbrica”, e che rasenta l’inverosimile.
Innanzitutto le brugole di regolazione dello specchio primario, il solo su cui si possa agire, si trovano all’interno della culatta e sono difficili da raggiungere. Il loro accesso è garantito da tre feritoie radiali oltre le quali bisogna spingere la chiave a brugola per circa 3 centimetri. Una delle coppie è inoltre a ridosso della manopolina di focheggiatura e come se non bastasse il diametro di quelle di spinta non è standard. Alle già non contenute difficoltà si aggiunga che le brugole sono serrate a ferro e si spanano al solo forzarle.
Per procedere ho quindi dovuto prima smontare il carter a protezione della culatta che porta anche l’innesto per gli oculari.
Se si può soprassedere sulle tre brugole di diametro ignoto (ho dovuto usare una testa stellare per riuscire a svitarle) non si può ignorare il microscopico grano che blocca la manopola di focheggiatura sul suo asse. Ha un diametro infinitesimale e ho dovuto ricorrere ad un cacciavite da occhiali per riuscire ad allenatarlo e a rimuovere la manopola.
Una volta aperta, la culatta si presenta identica a quella di un ETX (almeno a memoria) ma con viti a brugola (anche qui) di diametro e passo differente a due a due. Tutte e sei così tanto strette da dover usare un cricchetto e, per tre di loro, chiavi stellari a passo in pollici… Insomma: siamo innanzi al progetto di un demente (!).
La prima collimazione viene eseguita indoor e poi ci si sposta, dopo aver rimontato il tutto, sotto le stelle non prima di aver però allentato tutte e sei le viti per poter operare le correzioni fini senza aver bisogno degli attrezzi da banco. Con calma e pazienza alla fine si ottiene una ottima collimazione ma a questo punto bisogna ritornare al banco, smontare nuovamente il carter di protezione, serrare al giusto le viti di controspinta e poi rimontare il tutto.
Solo dopo aver controllato che la collimazione sia rimasta invariata analizzando una figura stellare si può rimontare la manopolina di messa a fuoco. Da notare che durante tutte le operazioni descritte gli aggiustamenti del fuoco per osservare i progressi della collimazione vanno effettuati agendo direttamente sul perno di asse del focheggiatore.
Non c’è alcuna spiegazione per un sistema tanto illogico quanto complicato e non posso che denunciarne l’assurdità e l’insulsa scomodità. C’è di buono che, una volta sistemato, lo strumento sembra mantenere bene l’allineamento ottico.
L’affinamento non è stato spinto ad altissimo ingrandimento, cosa di cui non si sente il bisogno e che talvolta risulta anche deleterio per gli effetti eccessivi che il seeing sfavorevole esercita sulle figure di diffrazione e di fuoco corretto, deformandole e rendendo più utile lavorare ad ingrandimenti più bassi.
Ho comunque registrato gli allineamenti ottici fino al potere offerto dall’oculare LE da 7,5 mm. che offre, in accoppiamento con il piccolo Bresser, poco più di 250 ingrandimenti.
Per il vero star test ho dovuto attendere una sera meno turbolenta e ho potuto solo allora valutare meglio le ottiche di questo maksutov che si sono dimostrate all’altezza delle previsioni.
Nell’attesa dell’oscurità ho lavorato per diletto allo strumento colorando a più ripresa la zona di vernice mancante sulla culatta, ripulendo il cercatore a “punto rosso”, e realizzando un paraluce adeguato alle notti milanesi.
Credo sia stato più per vezzo che per reale necessità ma anche l’aspetto estetico, nel mio modo di concepire l’astronomia amatoriale, ha il suo peso…
Il primo aspetto che balza all’occhio è il modestissimo focus shift che il meccanismo di traslazione dello specchio introduce. Si tratta di una piacevole constatazione poiché permette una agevole ricerca del punto di miglior fuoco anche quando all’occhio sostituiamo una camera di ripresa CCD o CMOS (ad esempio quelle planetarie con sensori molto piccoli).
Oltre alla quasi assenza di shift laterale il meccanismo di messa a fuoco si distingue per fluidità e progressività e risulta piuttosto immediato trovare la posizione migliore.
Lo star test mi ha particolarmente impressionato denotando ottiche di alto livello.
Per testare la tenuta della collimazione mi sono portato a spasso per un po’ lo strumento, durante tutto il giorno, e ho poi proceduto a valutare le ottiche alla sera.
A parte una lievissima scollimazione (realmente infinitesimale e discernibile solo con attenzione) non ho notato alcun problema ottico e le immagini di intra ed extra focale sono apparse pulite con gli anelli di Fresnel separati e piuttosto fini. E’ emersa solamente una lieve traccia di aberrazione sferica residua discernibile come rinforzo dell’anello interno in intra focale ed esterno in extra ma si tratta di un grado piuttosto basso tanto che a fuoco non risulta possibile accorgersene, almeno visualmente.
Il disco di Airy è ben visibile, circondato da un primo anello di diffrazione e da un accenno di secondo molto debole, e dai 60x fino ai 250x non sembrano esserci decadimenti dell’immagine.
A ingrandimenti maggiori (380x forniti dall’oculare da 5mm.) le fluttuazioni del seeing diventano molto visibili e se non si dispone di una serata più che ideale risulta difficile trovare il punto di fuoco migliore.
Lo strumento ha chiaramente vocazione planetaria prediligendo i medi e alti ingrandimenti.
Purtroppo dalla mia postazione ho grossi problemi a osservare quanto rotola lungo l’eclittica per la incessante crescita di alberi vicini e quindi, senza spostarmi, la finestra di osservabilità di Luna e maggiori corpi del sistema Solare è ridotta.
A questo bisogna aggiungere che nelle prime due sere di test il seeing si è rivelato molto poco collaborativo e quindi i risultati sono apparsi inizialmente deludenti anche se era possibile intravedere ottime potenzialità.
Ho tentato, per ingannare la mala sorte (“Victor, il domani è alle porte”), un paio di riprese ma il nostro satellite era già parzialmente dietro agli aghi degli abeti e la luce diffusa dalle nuvole tenui frapposte ha ulteriormente peggiorato l’effetto flou indotto.
Ho Rimandato la sessione a due notti successive quando, pur in ritardo per mille impegni, poco prima della mezzanotte sono riuscito a riprendere un video corto della Luna (2000 frames in totale di cui usati meno della metà) prima che fosse tropo bassa anche se cominciava ad essere lambita dalle ramaglie degli alberi. La barlow 2x aveva qualche problema con una immagine fantasma e il Mak non era perfettamente acclimatatato ma il risultato è stato comunque di buon livello.
Poco dopo ho anche eseguito un prova su Urano ma credo di aver sbagliato qualcosa e l'immagine è molto rumorosa e ben poco signidifactiva benché si sia solo con 13 cm. ostruiti a disposizione.
La sera del 25 aprile 2018, avendo uno scampolo di tempo, ho eseguito altre due riprese del nostro satellite natuale. Il seeing non era estremamente favorevole (valutazione di circa 5-6/10 che ha penalizzato molto la fotografia a focale raddoppiata). Il tutto sempre con la IMX-224 a colori con e senza barlow 2x (immagini sotto), regione centrata sul cratere Copernico.
Mi perdonino i lettori se non propongo un test su oggetti del cielo profondo ma al momento, dalla mia postazione milanese, sono privo della “materia prima” ossia di un cielo adatto all’osservazione di oggetti deboli.
Avendo però avuto in passato altri maksutov americani, russi, cinesi, posso permettermi alcune considerazioni di fondo.
Non ho mai ben compreso il detto secondo cui un maksutov o derivato non sia adatto ad osservare il cielo profondo, affermazione che è sotto molti punti di vista errata e fuorviante.
Forse si potrebbe dire che tali schemi ottici, solitamente declinati in versioni con rapporto focale molto chiuso, siano poco adatti alla osservazione di oggetti diffusi, cosa ben diversa.
In effetti, se si esclude il cielo sotto cui si osserva, le principali caratteristiche che deve possedere un telescopio votato al “deep sky” sono il diametro e la capacità di focalizzazione (e di conseguenza la qualità ottica).
Inutile avere un grande diametro se la sua capacità di focalizzare correttamente viene a mancare: si avranno solo grandi puffetti sfuocati privi di contrasto, profondità, e gradevolezza di visione.
Così, a parità di diametro e indipendentemente dal valore di quest’ultimo, uno strumento ben corretto mostrerà di più e meglio di uno mal messo.
Un maksutov da 5 pollici renderà quindi più di un newton di pari apertura se questi è meno dotato otticamente e anche di uno di apertura un po' superiore (6 pollici ad esempio).
Sfido chiunque a dirmi che osservare una galassia o un ammasso in un apocromatico da 20 cm. sia come osservarla in un C 9,25 o in un 10 pollici S-C qualsiasi (provare per credere!).
Se quindi un Maksutov Gregory aperto a f15 è ben lavorato e ben collimato potrà offrire gradevolissime immagini della maggior parte degli oggetti deep sky accessibili alla sua apertura, potendo inoltre contare su una focalizzazione adeguata e poca luce diffusa.
Se quindi possedete un 127/1900 come quello recensito non rinunciate ad osservarci anche da un cielo scuro, dovrete accantonare la visione delle Pleiadi nella loro interezza, della NGC 7000, di M31 e pochi altri oggetti, ma i globulari, le nebulose planetarie e molte nebulose classe Messier o NGC vi appariranno tanto quanto in ottimi newton di pari apertura, anche con rapporti focali a f5 o similari.
Per 349,00 euro si può comprare, nuovo, il Bresser oggetto del test.
Con questa cifra, oltre al tubo ottico, viene fornito un piccolo puntatore tipo Red-Dot (quasi inutile e che potete anche buttare), un diagonale da 31,8 mm. di qualità “entry level” e un plossl da 26mm. più che accettabile. A questi viene aggiunto il raccordo con filettatura per telescopi di tipo Schmidt Cassegrain convenzionali e il CD-ROM con il programma Stellarium. In sintesi: con poco si compra molto.
Purtroppo molti di questi strumenti giungono non bene allineati e con le viti di collimazione strette “a ferro” e per la collimazione bisogna smontare buona parte dello strumento, un handicap che va tenuto in considerazione ma che non può e non deve scoraggiare gli astrofili con un minimo di esperienza.
Una volta collimato propriamente, lo strumento offre prestazioni degne di nota con immagini stellari molto buone, un ottimo contrasto e correzione di buon livello di tutte le principali aberrazioni geometriche.
In campo squisitamente planetario non fa rimpiangere un rifrattore acromatico da 10 cm. di e solo sui sistemi binari cede qualche “cent” per via dell’ostruzione centrale che non aiuta benché non sia esagerata.
Meccanicamente è molto valido (se si escludono le difficoltà per la collimazione frutto di un progetto insulso della culatta posteriore - ma questo vale per tutti i maksutov commerciali) e assolutamente privo di focus shift rilevabile visualmente. In fotografia si nota una piccolissima traslazione ma non da fastidio nemmeno con sensori molto piccoli tanto che è possibile focheggiare anche a risoluzioni di 320x240 pixel (!).
E’ consigliabile? Assolutamente sì! Abbastanza leggero, compatto, sta su qualsiasi montatura anche operando da situazioni sfavorevoli di spazio limitrofo (ad esempio da un balcone di condominio) e si porta a spasso con notevole disinvoltura anche in uno zaino.
Infine, la focale generosa preclude la visione integrale degli oggetti estesi maggiori ma permette di lavorare molto bene in fotografia planetaria, campo in cui il piccolo Bresser sa offrire molto.