MIZAR - HINO Opt. 60/1000

Un piccolo e affascinante 60 f16,7 proveniente dal lontano Giappone - Anno 2017

INTRODUZIONE

Con tutta onestà non ho chiara la genesi di questo modello particolare della Mizar con ottiche Hino.

E indubbio che il 60/1000, con caratteristiche, fattezze e ottiche identiche al mio esemplare, sia stato il cavallo di battaglia primo della casa giapponese fin dagli anni 60 perdurando nei listini fino a quasi la metà degli anni 80.

Meno famoso (forse) del 68/1000, che si fregiava di un diametro appena superiore ma soprattutto di una cella metallica collimabile, il 60/1000 ha però un fascino tutto suo e la versione che mi è capitata tra le mani risulta abbastanza rara poiché laccoppiamento con la montatura equatoriale del 68” è stata proposta solo in un breve lasso di tempo. Inesistente nel catalogo del 1977 e anche del 1985 compare invece in quello del 1981 alla cifra di 61.000 yen.

Se ben progettato e lavorato un rifrattore da 60 millimetri aperto a f16,7 permette visioni estremamente pulite e incise nei limiti del proprio potere separatore ma il motivo dellacquisto risiede esclusivamente nella ghiera frontale della cella porta obiettivo serigrafata con il logo Mizar e la dicitura di identificazione.

Le ottiche HINO, in ultimo, rappresentano uno degli optimum della produzione giapponese dellepoca e difficilmente deludono.

Alla storia dellacquisto va semplicemente aggiunta la apparente completezza del set (cui mancavano solamente gli oculari che già però posseggo) e un valore finale di esborso, considerando anche trasporto e dazi, inferiore ai 300 euro.

A chi abbia voglia (e buon motivo) di obiettare che con la medesima cifra si acquista un moderno 102/1000 posso solo rispondere che al cuor non si comanda e che non di soli pollici si vive.

ARRIVO E LEGGERO RESTAURO

Come prevedibile data la scelta del tipo di spedizione, lo strumento ha impiegato molto tempo a percorrere a ritroso la via della seta e giungere ai miei lidi.

Fortunatamente è arrivato in condizioni accettabili anche se, come sovente avviene con gli acuisti in Giappone, lo stato di conservazione era ben diverso dalle immagini postate dal venditore.

Il tubo presentava numerosi chips e graffi, le ottiche apparivano sporche, linnesto tra focheggiatore e tubo ottico traballante, il tappo copri-ottiche mancante. In compenso la meccanica del focheggiatore rispondeva bene senza apparenti incertezze, gommosità o basculamenti e sia la montatura che il treppiedi, fatto salva la necessità di una operazione di pulizia, apparivano in stato discreto.

Sopra: immagini dell’annuncio di vendita. Lo strumento appare in condizioni sicuramente

migliori rispetto alla realtà dei fatti che ha richiesto un certo lavoro di sistemazione e pulizia. Nelle foto non si vedono i numerosi difetti e la condizione di opacizzazione (oltre al semplice soprco depositato) dell’obiettivo frontale.

Avendo poco tempo a disposizione per un imminente viaggio ho dedicato la prima giornata alla pulizia e rimessa in sesto del tubo ottico.

Lobiettivo doppietto, in cella di plastica dura molto ben fatta con ghiere in ottone, è stato facilmente ripulito così come il tubo ottico con leliminazione delle incrostazioni e delle macchie di ingiallimento. Le viti di ritenzione del focheggiatore sostituite e le sedi molate in modo ottimale.

Una volta riassemblato il leggerissimo tubo ottico (che a fatica supera i 1000 grammi) appariva rinato con una accattivante livrea nella sua lineare semplicità.

Nellanalisi attenta del lungo sigaro bianco Mizar emergono molte piacevoli attenzioni e una generale qualità che non viene intaccata minimamente dalla scelta della cella in plastica. Questa è infatti molto ben fatta con filetti durissimi e che hanno saputo superare gli ultimi trentacinque anni senza accusare alcun difetto. La serigrafia è ben fatta con una precisione di stampo discreta e anche le ottiche appaiono pulite con i tre spaziatori ben posizionati e uguali tra loro.

Linterno del tubo ottico presenta tre diaframmi e una opacizzazione molto buona per lepoca e validissima ancora oggi e il focheggiatore, che offre una generosa corsa di circa 20 centimetri, si muove con fluidità inappuntabile e senza nessun punto di frizione particolare, nemmeno a inizio o fine corsa (generalmente i punti più critici).

Il paraluce è piuttosto corto anche se, data lapertura di soli 6 cm. dellobiettivo, probabilmente sufficiente ad espletare il proprio compito e il cercatore, un 6x30 classico con regolazione diottrica sul doppietto frontale, ben realizzato e con un supporto di qualità ineccepibile (comprese le tre coppie di viti dotate di fermo a ghiera per la registrazione dellallineamento).

Quantomeno a livello statico lo strumento è quindi ineccepibilmente bello e non presta fianco a nessun tipo di critica nonostante fosse, al tempo della commercializzazione, tra gli strumenti più “piccolini della casa Giapponese.

E disarmante vedere come invece oggi la qualità dei telescopi entry level sia così tanto bassa da renderli utilizzabili solo da amatori esperti che riescono a sfruttarne le poche capacità ma che si rivelano trappole ammazzasogni per chi, neofita, li acquista per aprirsi alla passione dellastronomia dilettantistica.

Sopra alcune immagini che ritraggono l’obiettivo prima e dopo la sua pulizia. Tutte le altre parti dello strumento hanno subito interventi di smontaggio erimontaggio, pulizia, sostituzione di alcune parti minori e una rettifica dei fori delle viti e bulloncini vari.

Sotto: alcune immagini dello strumento "finito" o quasi...

La prima sera di apertura dopo giorni di pioggia ho installato il Mizar in parallelo al più grande Takahahsi FCT-150 e al pari apertura FS-60 CB/Q version per un test visuale sulla Luna.

Lidea era quella di confrontare limmagine fornita dai due sessantini ma ho appena fatto in tempo ad inquadrare per una limitata manciata di minuti (un paio forse) la Luna con il Mizar.

Il cielo si è nuovamente coperto da una spessa coltre che è perdurata ben oltre la mia pazienza e così ho desistito.

Nel brevissimo tempo a disposizione mi è però parso di cogliere una immagine convincente del profilo selenico al terminatore, sia con lotoscopio da 25 mm. che con quello da 12,5 mm. (poteri di circa 40 e 80x).

Avendo rinunciato allosservazione mi sono dedicato alla montatura originale che mi era sembrata, a prima vista, in stato migliore di quanto non fosse realmente.

La componentistica meccanica generale era ben conservata con solo qualche piccolo segno nella verniciatura superficiale goffrata dellepoca ma la condizione dei grassi era tale da renderli quasi del tutto inservibili.

Avendo la notte a disposizione mi sono concesso di smontare quasi interamente la testa equatoriale e ho proceduto ad una pulizia sommaria ma comunque utile a ripristinare la corretta fluidità dellinsieme.

Diversamente da quanto fatto altre volte non ho proceduto al lavaggio sgrassante completo pezzo per pezzo ed alla sostituzione di ranelle e grassi spinto dalla convinzione che la montatura non avrebbe beneficiato di miglioramenti significativi a fronte del lavoro da eseguirsi e mi sono quindi limitato a poche ore di lavoro.

Il risultato finale, una volta rimontato tutto e installato il tubo ottico nella sua sede, è piuttosto piacevole e leggero ma più stabile e robusto di quanto non mi aspettassi.

In effetti la montatura, con gli accoppiamenti registrati non presenta giochi e appare ben dimensionata per il tubo che deve portare nonostante la sua indubbia lunghezza.

Molto bello è il peso installato sullasta scorrevole ed anche il supporto per macchia fotografica anche se ritengo che, una volta installato un qualsiasi corpo macchina, risulti impossibile bilanciare correttamente linsieme se non eliminando il contrappeso.

PRIMI TEST E IMPRESSIONI D'USO

Finalmente, la sera del 5 marzo 2017 ho avuto unoretta di Luna al primo quarto alta nel cielo poco prima di cena.

Il seeing è stato mediocre per tutta la durata della finestra concessa dalle nuvole e dalla velatura del cielo ma sono comunque riuscito a trarre qualche utile indicazione sulle potenzialità dello strumento.

Lo star test, effettuato sulla rossa Aldebaran (che per via della sua pronunciata colorazione rossastra appare utile solamente per la valutazione delle eventuali aberrazioni geometriche) ha mostrato immagini di intra ed extra focale praticamente identiche con una ottima pulizia degli anelli di Fresnel visibili e un lieve accenno di astigmatismo che ritengo però dovuto ad un eccessivo serraggio della ghiera di blocco dellobiettivo nella cella.

Il focheggiatore si è rivelato estremamente ben sfruttabile tanto che non ho riscontrato movimenti laterali, flessioni, né impuntamenti. Ho cercato di valutare il comportamento nello star test variando gli ingrandimenti tra i 40x offerti dal OR-25 fino ai 250x consentiti dal OR-4 passando dagli OR 18 - 12,5 - 7 millimetri, tutti di casa Takahashi MC da 0,965.

Nonostante lo star test molto buono sia in intra che in extra focale non ho però ottenuto una graffiante pulizia al fuoco ottimale, probabilmente per via del seeing mediocre ma anche della notevole umidità che velava il cielo.

Limmagine lunare, analizzata allinizio della serata quando il cielo era più terso, si è invece mostrata estremamente incisa e pulita con una quasi totale assenza di aberrazione cromatica percepibile.

Anche al potere di 250x riuscivo a focheggiare con precisione benché limmagine tendesse a divenire scura e meno gratificante di quanto non si mostrasse invece ai 143x offerti dal OR-7. A questo potere lindagine del suolo selenico si è rivelata gratificante con una immagine molto pulita e secca, assolutamente degna di apocromatici di altissimo livello e questo a indicazione di quanto, nellimmagine visuale, sia assolutamente inutile spendere cifre mirabolanti in apocromatici da 60 mm a corto fuoco quando i vecchi 60/900 o /1000 rendono altrettanto bene.

Mi sono soffermato particolarmente sulla zona incentrata e circostante al mare Vaporum e la Rima Hyginus che si è mostrata piuttosto dettagliata con accenno dei suoi microcraterini interni.

Le ombre al terminatore, allungate e nerissime, erano incantevoli.

E indubbio che un 80 millimetri di pari apertura o un 4 pollici possano fare meglio e permettere maggiore dettaglio ma la pulizia di immagine concessa dal Mizar-Hino è sicuramente allapice di quanto possibile ad un 2,4.

Quando ho deciso di effettuare qualche ripresa lunare il cielo andava velandosi e la lattiginosità dellaree si è fatta pesantemente sentire sui risultati finali.

Ho ripreso pochi frames al massimo formato consentito dalla mia camera QHY5L-II monocromatica (1280x960 pixel) a focale piena con e senza filtro IR (che accoppiato ai rifrattori non offre il massimo considerando che li fa lavorare a lunghezze donda meno corrette, ma consente comunque di limitare un pochino leffetto bad seeing).

Un migliaio di frames, impiegandone la metà per lo stacking, con un deciso sottocampionamento non rappresentano un benchmark ideale ma riporto comunque il risultato dellimmagine oltre ad un parziale mosaico per dare idea delle potenzialità e dei limiti dello strumento.

In seconda analisi ho smontato il tubo ottico dalle spalle del grande FCT-150 e lho installato sulla sua montatura per verificare lusabilità dello strumento originale nella sua completezza, in accoppiamento con gli oculari dellepoca Mizar serie F.

La Luna era oramai completamente velata e non avevo speranza di cogliere particolari indicativi ma mi interessava il comportamento dinamico della montatura che si è distinto e mi ha sorpreso.

Nonostante la lunga leva del 60/1000, anche in accoppiamento con il F8 (per circa 125x) risulta piuttosto facile sia focheggiare che inseguire. La mancanza dei classici flessibili con manopole non disturba e i comandi diretti appaiono meglio gestibili oltre che ben raggiungibili.

Il cavalletto ligneo non sembra flettere e anche il punto di giunzione tra le sue gambe e lanello di blocco della testa equatoriale (solitamente uno dei punti deboli dei treppiedi) non torce e linsieme è realmente stabile.

Nell'immagine sotto invece un mosaico lunare eseguito prima della mezzanotte del 7 marzo 2017 con somma di 11 pannelli ritratti a focale natia.

Un certo miglioramento l’ho ottenuto qualche tempo dopo, in una notte dei primi di aprile 2017 (la sera del 3 per la precisione) in un raro momento di sera appena abbozzata in cui il seeing locale sembrava essere decoroso.

Ho lavorato sia a focale natia che con la barlow 2,5x trovando ovviamente un certo sottocampionamento nel primo caso e sovracampionamento nel secondo.

Ottimale sarebbe un fatto di moltiplicazione di 1,5-1,8x massimo per cui forse mi attrezzerò nel futuro.

Interessante notare che il filtro rosso chiaro sembra aver avuto benefici benché generalmente gli strumenti a rifrazione perdano un po’ di smalto nella regione rossa dello spettro, specialmente quelli moderni molto corretti nel blu. E’ facile che questo vecchio 60ino offra una correzione “classica” planetaria.

STELLE DOPPIE

Uno dei maggiori piaceri nell’osservazione astronomica perpetrata con strumenti a lenti di piccolo diametro e lunga focale è l’osservazione dei sistemi multipli non troppo stretti e mediamente luminosi o molto luminosi.

Non c’è in questo alcuna volontà di ottenere primati strani ma la semplice piacevole e semi-oziosa osservazione.

le immagini stellari sono quasi sempre ben ferme, nette e pulite, il fondo cielo scuro e i contrasti piacevoli. Anche la saturazione dei colori appare, in alcuni casi, più visibile che con strumenti di apertura maggiore che tendono a “bruciare” la tonalità delle stelle più luminose (permettendo in compenso di apprezzare il colore di quelle più deboli).

La focale di un metro è infine molto adatta a raggiungere ingrandimenti di valore medio con oculari non troppo spinti (un 8 millimetri permette ad esempio già 125x che sono un potere ottimale al quale è già disponibile tutto il potere risolutore del telescopio).

Con queste premesse e dopo tante sere trascorse ad “osservare doppie” con piccoli rifrattori mi sono accostato all’oculare del nostro Mizar Hino 60/1000 in una notte di inizio maggio 2017 dall’inquinato cielo milanese.

La notte cittadina è ben poco adatta ai piccoli diametri che troverebbero maggiore profondità di visione sotto cieli bui montani ma mi sono accontentato di alcuni sistemi “facili” e rilassanti più che alla ricerca della minima separazione discernibile.

Ho così cominciato con la visione della bella Castore, le cui componenti principali (A-B) brillano di magnitudine 1,93 e 2,97 con una separazione pari a 5,11” alla data dell’osservazione.

A parte l’immagine sotto riportata (tratta con una piccola camera planetaria) quando disponibile all’oculare è un quadretto molto bello dal quale emerge con una certa facilità la differente luminosità delle componenti e il primo e unico anello di diffrazione visibile intorno ad entrambe.

La luminosità delle stelle è tale da permettere di esagerare con gli ingrandimenti sino al considerevole valore di 250x ottenuto con l’ortoscopio Takahashi MC da 4 mm. anche se la visione più bilanciata avviene con il 6mm. HM GoTo Kogaku (170x circa).

Il sistema doppio di Castore ripreso da Milano, 3 aprile 2017 - Mizar Hino 60/1000 barlow 2,5x camera QHY5L-II monochrome - seeing 7/10

Non lontano, a circa una decina di gradi ad est di Polluce si trova un sistema simpatico conosciuto come Phi2 Cancri (08268 +2656 SFT1223) che si fregia di due stelline di magnitudine praticamente identica (6,16 e 6,21) separate da un angolo apparente di 5,3”.

Affinché il sistema appaia ben separato ma non eccessivamente debole (ricordiamo di osservare sotto un cielo cittadino con un doppietto da soli 60 millimetri di apertura) conviene usare oculari con focali tra gli 8 e i 6 millimetri. 

Alterno sia l’economico ma affascinante F8 Mizar al OR-7 Takahashi e al HM 6mm. GoTo con poteri oscillanti tra i 125 e i 170x circa.

 

Tra le plaghe della debole costellazione del Cancro appare obbligatorio un saluto alla multicolore Iota Cancri (08467+2846 STF1268). Le due componenti maggiori, separate da uno spazio enorme come i 30,1” lasciano immaginare, brillano gialla e blu con magnitudini prossime a 4,13 e 5,99.

Per godere appieno di questo sistema bisogna usare, un po’ come per l’estiva Albireo, ingrandimenti medio bassi. Nel mio caso quelli offerti dal OR 18mm. Takahashi (56x) appaiono “ideali” e permettono non solo di godere dell’acceso “oro” della primaria ma soprattutto di una tonalità “cobalto” piuttosto visibile sulla secondaria. L’immagine è splendida e si lascia osservare lungamente. Sotto riporto un disegno indicativo del sistema per come appare con ingrandimento di poco inferiore ai 60x.

Per semplice capriccio e amore della sfida ho voluto, qualche sera dopo le precedenti osservazioni, anche provare il limite dello strumento volgendo l’attenzione alla rapida Xi UMA, un sistema di almeno quattro componenti certe in rapido movimento con le due principali che fanno segnare un periodo di circa sessant’anni.

Attualmente le componenti A e B splendono rispettivamente di magnitudine 4,33 e 4,8 (quindi molto simile) e risultano separate da un angolo apparente di circa 1,85”.

Poiché il potere risolutore teorico secondo Dawes del nostro 60ino è prossimo ai 2” il sistema appare essere un test severissimo che può, nel migliore dei casi, offrire una figura a “8” interpolato senza peraltro permettere la separazione completa dei due astri.

Nella scalata alla doppia comincio con il medio potere di 142x offerto dal OR-7 Takahashi per poi salire ai 170x del HM-GoTo, ai 200x del OR-Vixen double circle (non un gran oculare a tutti gli effetti) e finire con i 250x concessi dal OR-4 Takahashi.

La luminosità del sistema permette di usare con profitto tutti i poteri descritti e fin dal più basso si nota il chiaro allungamento e doppio dischetto stellare interpolato. Purtroppo il seeing della serata era più che pessimo (considerarlo 3/10 è forse lusinghiero) dato che era appena terminata una lunga pioggia durata un paio di giorni e ancora in cielo le nuvole si inseguivano nell'aria pulitissima ma molto agitata. A nessun ingrandimento i dischi stellari apparivano ben definiti ma è stato comunque indicativo distinguere chiaramente le due componenti del sistema A-B anche a soli 140x o poco più. Decisamente più grande, l'immagine a 250x non forniva altri particolari aumentando l'incertezza geometrica della doppia figura interpolata.

Nel disegno soprastante riporto la visione offerta ai poteri di circa 143x e 250x della Xi UMA. L’angolo di posizione è arbitrario non avendo orientato il disegno con il Nord in alto ma avendo, per comodità, mantenuto la posizione più comoda all’osservazione del diagonale prismatico. 

Pur con la certezza di risultare noioso segnalo, come ultima, la sempre bellissima Mizar-Alcor. Che sia osservata attraverso un binocolo a 10x con supporto fisso e stabile o in un rifrattore 60/1000 come il nostro Mizar con oculare OR-25 mm. (40x), il sistema principe dell’Orsa Maggiore è un gioiello asimmetrico di impareggiabile bellezza. La foto sotto riportata, presa dal web, non è dell'autore.

PIANETI E DINTORNI

L’ho scritto più volte ma continuo a domandarmi come mai in molti non se ne vogliano rendere conto: osservare i pianeti maggiori con un rifrattore da 6/7 cm. ben corretto a fuoco lungo è estremamente gratificante e molte volte, in compagnia di uno di questi piccoli strumenti, ci si “sente bene”, senza nemmeno pensare a diametri maggiori.

Bisogna sapersi un po’ accontentare, ovviamente, ma se si opera in modo corretto si ottengono soddisfazioni a volte inimmaginabili.

Saturno, Giove, Venere, Marte e anche Urano (al limite) non impongono ovviamente alcun problema di puntamento. Diventa invece impossibile trovare Mercurio se non quando il cielo scurisce e si è in prossimità delle elongazioni massime e più favorevoli. 

Anche Nettuno è ovviamente visibile ma trovarlo appare meno facile per via della sua magnitudine bassa (sempre in relazione ai modesti 60 millimetri a disposizione).

A riprova delle ottime prestazioni ottiche e della vocazione a reggere bene gli ingrandimenti ho osservato il pianeta Venere in diurna ottenendo immagine virtualmente perfetta. Impossibile notare variazioni nebulari nette e certe in concomitanza con la ridotta falce attuale che mostra però una geometria pulita e contrastata anche sul cielo bianco azzurro del pomeriggio tardo invernale.

A 143 ingrandimenti la sagoma del pianeta si mostra razor sharp ma anche a poteri inferiori risulta di gratificante osservazione, sicuramente più che con un catadiottrico ostruito di diametro notevolmente superiore.

Quella che riporto a lato è invece una semplice fotografia realizzata con il telefonino applicato all’oculare del telescopio in metodo afocale. Un filmato, stacking ed elaborazione avrebbe portato una immagine molto pulita e con una falce perfettamente bilanciata sia nei colori che nella densità ma lo scatto singolo, con tutti i limiti che ha, rende bene l’idea di quanto lo strumento sappia mostrare. E' indubbio che, con l'occhio accostato all'oculare, l'immagine appaia migliore ma il "single shot" è quanto di più vicino alla fotografia tradizionale ad emulsione si possa oggi avere e mi ricorda gli antichi tempi eroici dell'astrofotografia...

Se Venere è comodo in diurna ho invece incontrato molte difficoltà nel fotografare Giove in questo accenno di primavera del 2017, difficoltà dovute squisitamente all’ora di osservabilità e ai limiti imposti dalla mia postazione milanese, circondata da alberi ad altissimo fusto, che riducono a brevi momenti le “finestre” adatte alla ripresa del pianeta.

Il seeing molto ballerino e condizioni nuvolose concentrate nei pochi fine settimana disponibili hanno ridotto all’osso le possibilità, ulteriormente ridotte dall’utilizzo anche di altri strumenti in contemporanea.

Con la camera QHY5L-II a colori, una piccola CMOS “tuttofare”, ho inoltre faticato a centrare il corretto campionamento che, con il set-up a disposizione, varia dai 1800 ai 2400 mm. a seconda della lunghezza d’onda privilegiata.

Benché sapessi di non poter lavorare in modo del tutto corretto ho infine scelto una barlow 2x Celestron, per una focale finale di 2 metri e un rapporto focale di circa f.33.

A tutto questo si aggiunta una pigrizia indotta dallo stress lavorativo che non ha in alcun modo giovato alla mia pazienza. Comincio a riportare i primi tentativi realizzati però a focale nativa per una serie infinita di condizioni sfavorevoli che cito a seguire: 

Giove era moderatamente basso e con un seeing non molto buono oltre a trovarsi dietro ad una serie di ramaglie molto fitte tanto che, sfuocando l'immagine, ottenevo la forma in proiezione dei rami davanti al pianeta.

A questo va aggiunto che l'immagine è fortemente sottocampionata lavorando a solo 1 metro di focale (contro gli ottimali 1,8 circa). In ultimo sono stato costretto a forzare la velocità di ripresa per limitare al massimo gli effetti di movimento delle fronde degli alberi. Ho così impostato Sharpcap 2.9 su SPEED 1 (da speed 0) ottenendo un frame rate prossimo ai 50 FPS a scapito però sia di dinamica che di segnale.

Un piccolo 6 cm. non è lo strumento principe per immortalare il gigante gassoso che beneficia in modo particolare di apertura (nei limiti di quanto permesso dal seeing locale) ma trovo divertente usare sia il Mizar che i suoi cugini di pari apertura per riprendere e osservare Giove, Saturno, Venere e la Luna.

Non c’è nessun motivo tecnico e non desidero far in alcun modo intendere che si debbano usare piccoli strumenti per la fotografia planetaria ma a me piacciono, tantissimo, e non riesco ad essere obiettivo quando me ne capita uno tra le mani tanto da finire con l’usarli molto più di iper fantascientifici rifrattori come, ad esempio, il mio Takahashi FCT-150.

IL CALDO SOLE

Anche il SOLE è un target classico per chi possiede rifrattori a lungo fuoco e diametro limitato.

In abbinamento ad un filtro in astrosolar a tutta a apertura o ancora meglio ad un prisma di Herschel (ammesso di avere le distanze adatte con i vecchi focheggiatori da 0,965”), la nostra stella appare sempre bella e quieta.

Si evidenziano con facilità molte macchie, zone di penombra, qualche accenno di granulazione e anche risulta possibile osservare tracce dei brillamenti maggiori.

Nonostante questo ritengo il diametro di 6 cm. un po’ troppo limitato per il nostro Sole. Il potere risolvente non sufficiente a permettere visioni "profonde" e l'indagine deve quindi necessariamente fermarsi ad un approccio poco più che turistico.

Se si paragona un 60/1000 come il Mizar in questione (ma lo stesso vale anche per uno Zeiss Telementor, un Vixen fluorite da 70 millimetri, o anche un Takahashi FS-60 o FC-65 solo per citare alcuni telescopi costosi e blasonati) con un rifrattore acromatico cinese da 100/1000 moderno si scopre una differenza prestazionale schiacciante.

Dove la superficie solare, appena increspata, appare comunque quasi omogenea, nel 10 cm. compare una granulosità molto marcata con celle convettive evidenziate e una maggiore profondità di indagine sia sui bordi che all’interno delle macchie solari più grandi. I brillamenti diventano evidenti e ci si può spingere maggiormente con gli ingrandimenti senza perdere né luce né definizione (o quantomeno perdendone molto meno).

Con questo non voglio denigrare la visione offerta da 60 millimetri che è e resta molto piacevole, piuttosto suggerire che un modo encomiabile di fare osservazione solare (con l’uso di oculari adatti senza aprti plastiche interne) è quello tramite proiezione su schermo apposito (accessorio sovente a corredo dei rifrattori classici) che trasforma i lunghi "60ini" in macchine didattiche affascinanti.

Un bel modo per far vedere ai figli o agli amici con approccio scanzonato il balletto delle macchie solari.

UN GIOCO SUL CIELO PROFONDO

Non me ne vogliano i fotografi che trascorrono intere notti a riprendere e le successive giornate ad elaborare ottenendo immagini spettacolari degli oggetti del cielo profondo, ma nella sera del 3 Aprile 2017, appena sotto la Luna che volgeva al primo quarto, si trovava la porzione di cielo ospitante la Eskimo Nebula, celeberrimo oggetto da molti osservato e fotografato.

Nonostante il cielo cittadino e la strumentazione quasi inutile a riprese ho dedicato una manciata di secondi alla piccola planetaria.

Con la camera monocromatica QHY5L-II CMOS (non raffreddata) ho esposto a f16,7 (focale un metro) per 6 secondi con valori di gain prossimi al 50%.

In un guazzabuglio di pixel caldi (come tante immacolate stelline) è comunque comparsa la piccola nebulosa con un aspetto tutto sommato corretto e vagamente riconoscibile.

CONCLUSIONI

Uno dei migliori 60 millimetri che abbia avuto modo di usare e possedere.

Le ottiche non fanno rimpiangere blasoni come Zeiss o Takahashi pareggiandone le prestazioni e risultano superiori ai vari Vixen, Kenko, Towa, la meccanica appare correttamente realizzata con un focheggiatore ben usabile e un peso del tubo ottico completo risibile.

L’aberrazione cromatica è praticamente inesistente ma soprattutto appaiono non rilevabili o comunque ininfluenti le aberrazioni geometriche tipiche: astigmatismo e aberrazione sferica.

Affinché il Mizar 60/1000 possa sfoderare le sue potenzialità è d’obbligo una montatura solida e un sistema di anelli ben distanziati che elimini vibrazioni parassite secondarie.

Posto su una HEQ5 (ad esempio) permette osservazioni di ottimo livello. 

Da accoppiarsi sicuramente con un parco oculari “intelligente”. Non servono blasoni ma un buon kellner da 28/30 millimetri (o un OR da 25) e poi una serie ponderata di oculari Huygens o similari con focali tra i 12 e i 6 millimetri. 

Per le doppie ci si può spingere tranquillamente a 250x se i target sono accettabilmente luminosi (OR da 4 mm. o inferiori) e per finire, possibilmente, un 18 mm OR per gli ingrandimenti “di circostanza”.

Ci potete contattare a:

diglit@tiscali.it

oppure usare il modulo online.

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