UN SET-UP DEDICATO

Anno 2016

INTRODUZIONE

Essere astrofili di pianura impone alcune limitazioni all’osservazione del cielo che sono legate principalmente alle condizioni di contorno in cui si deve operare. Inquinamento luminoso, smog e umidità moderatamente alta rappresentano un limite invalicabile se si vuole osservare il cielo profondo e, sebbene alcuni imager ci abbiano indicato l’uso di alcuni filtri interferenziali come escamotage per fotografare nebulose anche da cieli infelici - pur con notevoli sacrifici, agli astrofili di pianura viene obbligatoriamente imposto dalla natura un certo tipo di attività.

Pianeti, Luna, stelle doppie sono, di fatto, i soli oggetti che possono essere trattati con profitto.

Se i primi due rappresentano soggetti fotogenici e alla portata dei più, le neglette stelle doppie, un tempo totalmente ignorate dalla maggior parte degli astrofili, oggi vivono qualche vetrina in più e, grazie anche all’impegno di alcuni gruppi di lavoro, suscitano qualche interesse.

Sono oramai quasi quindici anni che mi dedico alla loro osservazione, più o meno assidua, e ho scritto alcuni modesti articoli, presenti anche su questo sito, che ne trattano la fotografia/ripresa amatoriale.

Se l’intento dei primi scritti era soprattutto quello di mostrare quanto, anche con strumentazione modesta (vedi metodo afocale), fosse possibile ottenere nella loro ripresa ho maturato il desiderio di crearmi un set-up specificatamente dedicato a questo scopo, possibilmente in accoppiamento con una piccola camera CMOS a colori.

Premettiamo che, per ottenere la miglior resa, si dovrebbero impiegare camere CCD in questo tipo di ripresa che mostrano non solo una maggiore sensibilità ma soprattutto una migliore resa cromatica e una pulizia di immagine superiore.

Se però si dispone già di una camerini a colori la si può tranquillamente utilizzare. Sopra tutto, ciò che conta, è l’ottica di ripresa e la corretta focalizzazione.

A meno che non si desideri sondare “in profundo” il mistero dei sistemi molto stretti (tipicamente con separazioni inferiori al secondo d’arco), non è necessario rivolgersi ad aperture importanti che, necessariamente a specchio per motivi economici, soffrono di problemi progettuali intrinsechi che le rendono poco adatte allo studio che ci stiamo prefiggendo.

Uno strumento a rifrazione rappresenterà dunque il miglior compagno purché abbia caratteristiche scelte: una discreta apertura (tra i 4 e i 5 pollici si ottengono risultati notevoli), una buona lavorazione ottica e un relativo controllo delle maggiori aberrazioni geometriche (in questo tipo di applicazione più importanti di quelle cromatiche), una focale adeguata (almeno 1 metro) e, perché no, uno spettro secondario limitato.

LA SCELTA DEL SET-UP DEFINITIVO (o quasi)

Strutturando il set up “quasi” ideale (perché esiste sempre, a costo di impegni finanziari maggiori, una alternativa migliore) ho vagabondato sul web alla ricerca di una ottica che potesse fare al caso senza essere eccessivamente costosa. 

L’idea era quella di acquistare un rifrattore (possibilmente da 5 pollici) che fosse ben costruito e che potesse essere usato senza eccessivi patemi d’animo (necessità di lasciarlo a volte all’umidità notturna ad esempio) e che, all’occorrenza, potesse essere modificato in alcune sue componenti senza ripensamenti.

Una cosa del genere non avrei mai potuto farla, ad esempio, con il mio Takahashi FC100-N, strumento rarissimo e “intoccabile”, benché le sue caratteristiche ottiche lo ponevano come candidato ideale all’impiego.

Ho così ordinato all’amico Riccardo Cappellaro un Bresser Messier 127-L (127 millimetri di apertura e 1200 di focale). Si tratta di un doppietta acromatico aperto a f9.5 circa dotato di un bel tubo ottico e di tutte le caratteristiche di cui ero alla ricerca, compreso un prezzo di acquisto molto competitivo.

Non nego di aver fatto pressioni per ottenere un esemplare testato e di qualità certa, non volevo che mi capitasse tra le mani un telescopio “nato male”, e ho dovuto attendere un poco prima che, dalla Germania, trovassero il tubo adatto alle mie richieste.

Rimando al test specifico, presente su questo sito, le caratteristiche del telescopio e la disanima delle sue prestazioni generali e mi concentro qui sul progetto intrapreso.

La camera di acquisizione delle immagini doveva necessariamente essere a colori poiché i sistemi multipli, già avari in sé di caratteristiche esaltanti come i pianeti, avrebbero quantomeno dovuto mostrare, dove possibile, le cromie principali delle loro componenti.

Avevo tra gli armadi una bella scatoletta in alluminio contente una piccola camera CMOS economica, la QHY5L-II a colori che faceva, finalmente, al caso mio (si veda anche l'introduzione a questa camera nell'articolo dedicato su questo sito web).

Leggera, cilindrica, di facile gestione, la Mag-Zero rappresenta il compendio ideale, anche in termini economici, all’ottica scelta.

Compendio del tutto è, come sempre, un corretto dimensionamento della montatura. Nel mio caso, ed è stata condizione “sine qua non”, avevo a disposizione una solida colonna in metallo a supporto della nuova montatura computerizzata CEM-60 di Ioptron, il tutto in postazione fissa (con la sola eccezione del tubo ottico che va montato ad ogni osservazione e smontato al termine della stessa).

Una simile base è indispensabile per poter lavorare al meglio e questo aspetto va sottolineato affinché non ci si illuda di poter gestire un rifrattore da 5 pollici del peso complessivo di quasi 10 chilogrammi con una piccola montatura su treppiedi. Se questa può anche accompagnarci in osservazioni visuali certo non può permetterci di operare in condizioni utili a riprendere bene i sistemi multipli.

NUOVI LAVORI

Purtroppo, e lo dico con rammarico, nel tempo ho venduto il 127/1200 prima di poter lavorare assiduamente al progetto di ripresa delle stelle doppie. In attesa che mi giunga il nuovo rifrattore acromatico 152/1200 con intubazione e upgrade custom da me eseguite, mi sono comunque dedicato una sera al mio lavoro utilizzando un bellissimo (e lo dico con un pizzico di autogratificazione) Stufachro 102/920 acromatico. Si tratta di uno strumento da me costruito usando un tubo della stufa (in barba a chi vorrebbe iper tecnologie per intubare un doppietto da 10 centimetri di diametro), un vecchio focheggiatore Vixen e un doppietto Meade 102/920 che, all’arrivo, era un disastro di aberrazioni geometriche e cromatiche dovute al suo non corretto montaggio in cella. Si può trovare l’articolo dedicato allo strumento al seguente link: http://www.dark-star.it/astronomia-articoli-e-test/progetti-vari/102-f9-meade-achro/

In una notte di Agosto 2016 (il giorno 8 per la precisione), complice un discreto seeing stimato sui 7/10, ho ripreso alcuni sistemi “difficili” sia per luminosità delle componenti (in qualche caso fortemente sbilanciata) nonché per la separazione piuttosto stretta (se rapportata ai limiti strumentali di un rifrattore da 4 pollici).

In accoppiamento ad una barlow cinese 5x da 20 euro di costo e alla camera QHY5L-II a colori ho eseguito filmati da circa 2000 frames ad alta velocità (tipicamente intorno ai 40 FPS) di cui ho poi tenuto con Autostakkert il 10 o 15% del totale a seconda dei casi.

La successiva elaborazione con Registax 6.0 e una lieve correzione delle saturazioni con Photoshop ha permesso risultati oserei dire di alto livello creando immagini suggestive e alla portata di chiunque disponga di un po’ di tecnica e pazienza.

Come doppia di “ingresso” ho scelto la sempre spettacolare IZAR (STF 1877) nel Bovaro che aveva abbondantemente superato il meridiano locale e si avviava al tramonto. Le componenti di 2,58 e 4,81 magnitudini, separate da 2,9” e con un angolo di posizione di 343° rappresentano una bella visione telescopica ma impongono una buona lavorazione ottica e la corretta focale per essere riprese al meglio.

Il secondo sistema ripreso, denominato Psi Cygni (STF 2605), è posizionato alle coordinate 19,55,38 e + 52,26,20 nella costellazione del Cigno. Si tratta di un sistema multistellare formato da almeno cinque componenti le cui principali (A e B) splendono di magnitudine 5,03 e 7,52 rispettivamente distanziate da un arco apparente di 2,8” con una differenza di magnitudine pari a 2,49 e un angolo di posizione di circa 177° (nord in alto nella fotografia). Non è un sistema semplice ma la ripresa è di buon livello.

Il terzo sistema, sempre adagiato nelle plaghe del Cigno, è conosciuto come 60 Cigny (STT 426) e rappresenta un piccolo record. Le sue componenti presnetano infatti luminosità e differenza relativa tali da rendere ostica sia l’osservazione che la ripresa. La primaria splende di magnitudine 5,4 mentre la compagna precipita all’esiguo valore di 9,53 che la rende quasi invisibile sotto un cielo cittadino come quello di Milano e uno strumento da soli 10 cm. di diametro. La separazione è inoltre limitata a 2,9”.

Il divario di magnitudine pari a 4,13 punti offre idea di quanto il risultato ottenuto sia annoverabile in quella che simpaticamente viene definita “astronomia eroica”. L’immagine finale parla da sé.

Spostandomi all’interno della costellazione del Cigno ho dedicato poi attenzione ad un’altra doppia difficile catalogata come 49 Cygni (STF 2716) le cui caratteristiche, comunque più accessibili rispetto a quelle della 60 Cyg, impongono attenzione e precisione. Il sistema è quadruplo ma le componenti principali, denominate A e B, si fregiano di magnitudini pari a 5,75 e 8,10 rispettivamente con una separazione di 2,8” al momento della ripresa ed un angolo di posizione di circa 45°. Anche qui la differenza di luminosità di 2,35 magnitudini rende non facilissima la fotografia.

Altro sistema “classico” è rappresentato dalla DELTA Cygni, bellissima doppia (utile a molti test) adagiata sull’ala del grande uccello boreale. Le sei componenti del sistema sono state “volutamente dimenticate” e mi sono concentrato sulla coppia principale che ha caratteristiche fisiche interessanti. Un differenza di magnitudine di 3,38 (non trascurabile) segna le due componenti di 2,89 e 6,27 rispettivamente che sottendono un angolo di separazione attuale prossimo ai 2,7”.

Prima di dedicarmi all’ultimo sistema in programma nella costellazione del Cigno ho voluto offrire un tributo alla difficile Pi Aquilae (STF 2583). Fortunatamente la luminosità delle sue due componenti principali (in totale sono 3 stelle che formano il sistema) è molto simile (magnitudini di 6,34 e 6,75) ma la loro separazione è molto vicina al potere risolutore teorico del rifrattore da 4 pollici attestandosi su un valore di 1,5”. A corollario va fatto presente che le due stelle mostrano tonalità differente e nella ripresa sono riuscito a evidenziarla.

Fanalino di coda, ma solo per via della sua posizione che mi era momentaneamente preclusa da un ramo di un albero vicino, è stata la facile e affascinante Albireo. Il sistema non presenta dificoltà particolari visto che le sue componenti sono ben luminose e ampiamente separate (oltre 34”) ma la ripresa esalta (se osservata con ingrandimento) una resa entusiasmante dell’ottica e del suo “treno” aggregato (barlow e camera di ripresa) con colorazioni sature e nette ed una geometria impeccabile.

Cosa dire, al termine di questa carrellata di sistemi multipli? Sicuramente che la tecnica è oramai affinata e i risultati appaiono molto buoni e prossimi al limite teorico imposto dalla strumentazione. Per andare oltre serve il nuovo rifrattore che sarà pronto in capo ad un paio di mesi. Con la potenzialità di un 15 cm. (sempre che io riesca ad ottimizzare l’ottica Bresser 152/1200 come ho saputo fare con quella Meade 102/920) tenteremo di scendere sotto la “psicologica” soglia di 1” di separazione. Resto fiducioso, ma attendiamo i risultati sperando che siano di alto livello.

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