Maggio 2016
Girovagando tra i forum popolari (aggettivo che ha valenza descrittiva e non qualitativa) si incorre sovente in adagi bovinamente accettati tra gli astrofili che recitano presunti assiomi come: “indipendentemente dalle lenti 6 cm. restano 6 cm. e non si può pretendere che esistano differenze sostanziali tra un prodotto e l’altro”, oppure: “un sessanta millimetri è poco più di un giocattolo buono solo come cercatore”.
Poiché non sono il solo a collezionare e usare piccoli strumenti a rifrazione con obiettivi di diametro compreso tra i 6 e gli 8 cm. mi domando come sia possibile che la sfrigola per il diametro accechi tanto gli astrofili da non fare loro capire che, in alcuni campi di applicazione, un piccolo e ben corretto strumento a lenti sia da sempre compagno di bellissime osservazioni.
Ultimamente alla mia piccolissima collezione si è aggiunto un rarissimo Takahashi TS 65/900 acromatico, il primo strumento mai prodotto dalla casa del Sol Levante, che si è distinto fin dalla sua prima luce per prestazioni di altissimo livello. Prima che l’articolo sul TS 65/900 venga pubblicato ho deciso di porre “on-line” un raffronto simpatico e piacevole che ha visto protagonisti tre telescopi tra i 65 e i 70 millimetri impegnati, in una sera di seeing eccellente, a darsi battaglia nella percezione dei particolari della alta atmosfera gioviana.
Il pomeriggio del 5 Maggio 2016 era tinto di colori azzurri cheti e lasciava immaginare una serata meravigliosa, sia quanto a trasparenza che seeing.
In effetti, man mano che la sera si avvicinava, l’aria restava azzurra e ferma con una innaturale sensazione di immobilità.
Era un po’ di tempo che desideravo testare il Takahashi TS 65/900 acromatico confrontandolo con il cugino semi apocromatico con focale 500 mm. (Takahashi TS-65P) e un personale e riuscitissimo “cavallo di battaglia”: il R.D.N 70/900.
Gli strumenti sono stati installati su tre montature equatoriali motorizzate: una Super Polaris Vixen su colonna e ruote, una CEM-60 Ioptron su colonna fissa, e una rara EM-100 Takahashi anch’essa su colonna e ruote.
Giove è stato inquadrato dai tre strumenti ancora prima che diventasse buio e non appena individuabile a occhio nel cielo azzurro della prima sera.
Le focali “compatibili” dei tre rifrattori hanno permesso di lavorare con ingrandimenti similari e comparare in modo oggettivamente valido le loro performances.
Fortunatamente le promesse della giornata sono state mantenute e il seeing si è attestato, quando ancora il cielo era chiaro, su valori di eccellenza assoluta con numeri superiori agli 8/10.
In queste condizioni osservare il grande pianeta gassoso con le sue mutevoli nuvole è stato esaltante. Avevo a disposizione strumenti da 6/7 cm. ma la quantità di dettaglio era pari a quella di un buon 6/7 pollici in condizioni normali. Festoni, bande a iosa, indentature, e poi l’ombra di Ganimede sul disco netta e contrastata.
Ho alternato oculari, diagonali, visione diretta e ingrandimenti e sono riuscito a disegnare un profilo realistico delle ottiche a disposizione.
Dovendo redigere una classifica sicuramente porrei al primo posto il TS 65/900, seguito a una lunghezza dal R.D.N 70/900 (risultato a sorpresa) e per ultimo il TS 65P semi apocromatico.
Poiché le classifiche risultano “sterili” se non commentate, spendo alcune parole per raccontare le differenze che l’occhio coglie.
Sicuramente il TS 65 a f 13.8 acromatico mostrava un livello di dettaglio leggermente più fine dei suoi due concorrenti ma ciò che lo rendeva superiore era la resa cromatica di fondo. Giove appariva bianco o quantomeno piuttosto neutro con una saturazione delle tinte estremamente naturale. Il cromatismo residuo risultava limitatissimo tanto che per vederlo bisogna cercarlo ed essere “sensibili” alla sua lieve entità.
Il R.D.N., cui ho dato la palma del secondo posto, raggiungeva un dettaglio molto simile a quello del 65/900 ma la cromatica residua appariva decisamente più pronunciata (soprattutto nella componente blu) e questo tendeva a “sporcare” un poco l’immagine benché questa rimanesse molto bella.
Infine, il TS65-P (tripletto semi-apocromatico), sia per via della focale quasi dimezzata rispetto agli altri due rifrattori (500 mm. contro 900 mm.) sia forse per il tipo di lenti e trattamenti, offriva una tonalità più calda e “gialla” e una maggiore difficoltà di messa a fuoco. La sua immagine, pur disponendo di quasi tutti i dettagli visibili anche negli altri due strumenti, diventava ai poteri di test (tra i 130 e i 150x) meno “affilata”.
Il paragone è stato molto utile e le differenze che emerse, principalmente per via della dominante di immagine e delle leggere differenze di risoluzione ottenuta, indicativo di come ottiche di pari diametro performino in maniera sostanzialmente differente, con buona pace di chi tende a fare “di ogni erba un fascio”.
Primo piano degli obiettivi dei rifrattori in prova. Da sinistra a destra: R.D.N 70/900 - Takahashi TS-65P - Takahashi TS 65/900
Data la ottima calma atmosferica presente ho deciso di dedicare qualche scampolo del test alla ripresa di Giove con il rifrattore TS 65 acromatico che risultava, almeno in visuale, più prestante. Ho accoppiato la camera QHY5L-II a colori con una barlow Celestron Ultima 2x per ottenere un campionamento accettabilmente corretto e una focale di ripresa idonea (circa 1.800 millimetri) per un rapporto focale di f 27,6.
I filmati (3 in totale di cui elaborati solo due per via di un problema al terzo) hanno avuto durata di 2 minuti ciascuno con un frame rate prossimo a 45 FPS per quello che ritrae il solo Giove e di 11 FPS per quello che riprende anche i suoi satelliti. Sono stati utilizzati il 30% dei frames per il primo e il 50% per il secondo con elaborazioni effettuate solamente con Registax 6.0 e qualche ritocco ai colori con PS.
Ritengo, alla luce di quanto ottenuto, di essere giunto molto vicino al limite teorico dell’ottica con immagini che risultano migliori di quelle circolanti ed eseguite con strumenti di diametro doppio.
In alto: "quadretto" con Giove al centro e le tre lune principali non proiettate sul disco ben visibili ai suoi lati. Sotto: immagine ripresa da un filmato con ROI molto stretto (220x220 pixel) per aumentare al massimo il frame rate (che era di ben 45 FPS) con affiancato un ingrandimento del lembo di ingresso del satellite Ganimede.
I risultati delle immagini visuali e di quelli fotografici ben testimoniano le capacità, se ben usati e posti nelle condizioni giuste, dei piccoli 60/70 millimetri che, pur non potendo ovviamente raggiungere i livelli di ottiche da 15 o 20 cm. sanno comunque regalare prestazioni molto convincenti e offrire tante occasioni di divertimento e indagine neppure troppo marginale.
Svestiamo quindi i panni voluti dai tutori del “diametro a tutti i costi” e impariamo ad usare al meglio anche telescopi sulla carta più modesti…