Influenza in alta risoluzione con strumenti "dedicati"
Si fa presto a dire “aberrazione cromatica” e sottovalutarne gli effetti negativi sulla perdita di dettaglio.
Sovente, sui forum ma anche in molti test amatoriali di strumenti a rifrazione, si leggono affermazioni simili a quelle che riporto: “si nota una certa aberrazione cromatica che però non infastidisce l’immagine che è netta e ben contrastata” - “l’aberrazione cromatica, pur visibile, non reca disturbo se non psicologico” - “il rifrattore corregge abbastanza bene la cromatica residua che si percepisce solamente osservando soggetti luminosi come stelle di prima magnitudine. Le immagini sono però ricche di dettaglio”.
Queste affermazioni, sicuramente genuine, nascondono però una notevole incomprensione del fenomeno e tendono a suggerire che l’aberrazione cromatica residua possa essere un problema secondario, magari importante per i puristi ma, all’atto pratico, quasi ininfluente sulla resa finale dell’ottica. A queste frasi seguono solitamente disquisizioni sul diametro dell’obiettivo e sulla sua capacità risolutiva eleggendo questa a unico vero indicatore delle potenzialità di un’ottica rispetto ad un’altra.
Altre volte, altrettanto ingenuamente, si rilega la validità di non avere cromatica residua alla nicchia delle applicazioni fotografiche. Quante volte abbiamo letto “beh, ma se non fai fotografia un vero apocromatico è inutile”.
La realtà, purtroppo, è ben diversa.
Quando si testa un’ottica e si scopre che questa (parliamo ovviamente di strumenti a rifrazione) è affetta da aberrazione cromatica più o meno importante dobbiamo cercare di valutarla in modo corretto in quanto i suoi effetti vanno ben oltre il tenue alone azzurro o violaceo che circonda stelle come Vega, Arturo, Deneb e altre di pari magnitudine.
Dobbiamo considerare che lo stesso effetto sarà presente (in modo ulteriormente accentuato) quando volgeremo il nostro telescopio a soggetti più luminosi come i pianeti maggiori (Saturno, Giove, Marte e Venere) o la Luna.
“L’alone intorno a Giove è ben visibile ma se non ci si pone attenzione specifica si impara a ignorarlo e a concentrarsi sui particolari presenti sul disco planetario”: un’altra frase tipica.
Ora però mi chiedo… quali particolari? Che cosa succede ai nostri amati “particolari” quando li osserviamo con un’ottica non completamente apocromatica?
Succede questo: molti li perdiamo.
Se si accetta una sostanziale uniformità di risposta nelle righe dello spettro visibile centrali, quelle del verde e del giallo, altrettanto non si può fare allontanandosi da queste e guardando cosa accade nel rosso e nel blu.
Ovviamente non tutti i soggetti sono uguali, ma io ho deciso di sceglierne uno emblematico, sia per la quantità notevole di features che presenta, sia per il fatto che queste caratteristiche non sono presenti in tutte le bande spettrali visibili (o meglio sarebbe dire che sono più cospicue in alcune bande che non in altre). Giove, e lo ringraziamo per questo, è uno dei pianeti che meglio si presta ad essere osservato con i vari filtri colorati (dal giallino al rosso e poi fino al blu) poiché ha la intrinseca caratteristica di avere dettagli che rispondono alle varie bande selettive in modo piuttosto marcato.
Questo ci dice, fondamentalmente, che se volessimo stringere la banda passante ed eliminare la parte blu e rossa dello spettro visibile vedremmo alcuni particolari sulle nubi ma ne cancelleremmo altri alla portata teorica del nostro strumento.
Tempo fa discutevo giovialmente con un caro amico, che si chiama Massimiliano Lattanzi e che ha idee astronomiche vicine alle mie, proprio della resa dei rifrattori acromatici (nelle loro varie tipologie) e apocromatici sul pianeta gassoso.
Si da il caso che il buon Massimiliano, anche con la complicità di nomi arcinoti e venerati nel mondo dell’astrofilia internazionale (alcuni sono progettisti di ottiche di altissimo livello da tutti conosciute e reputate come l’eccellenza), abbia fatto un gran lavoro di simulazione utilizzando l’immagine del pianeta Giove.
Si è partiti dalla migliore ripresa (o da una delle migliori quantomeno) del pianeta gassoso effettuata con rifrattori della classe dei 20 cm. e dei 15 cm. rispettivamente e si è introdotto il disturbo dovuto alla dispersione cromatica di vari tipi di obiettivo (con lunghezze focali differenti e con ricette di vetri diverse).
La simulazione interessa solamente ottiche nate e create per essere destinate prevalentemente all’osservazione planetaria e quindi esclude rifrattori, ad esempio, di stampo cinese con ottiche acromatiche a corto fuoco (ad esempio i rifrattori da 150/1200).
Nella immagine che viene postata sotto sono messi a confronto 6 telescopi a rifrazione da 200 mm. partendo da sinistra abbiamo:
TEC 200 f/8 FL
TEC 200 f/9 ED
ZEISS AS 200 f/15
D&G 200 f/20 Cde
D&G 200 f/15 Cde
Achro 200 f/15 CeF
Come si può vedere sono, a vario titolo, strumenti “da sogno” tipicamente dedicati ad offrire immagine planetarie di altissima qualità.
Per comprendere l’immagine è necessario indicare che le viste di Giove sono, dall’alto, quelle composite in RGB, quella solo per il canale R, per il solo canale G, e per il solo canale B.
Un mostruoso rifrattore D&G da 200 mm. aperto a f15. Uno strumento tipicamente da osservatorio sia per il peso che per le dimensioni che richiedono una montatura solidissima e una poderosa colonna di sostegno. Si noti, nelle immagini di simulazione su Giove, come la "ricetta" delle ottiche incida sulla qualità dei dettagli nel blu e nel rosso. Questo tipo di strumenti (con l'eccezione di quelli economici cinesi o di importazione che hanno elementi CeF) avevano ottiche Cde in grado di correggere molto bene lo spettro rosso, nel quale si annidano molti particolari e al quale l'occhio umano è più sensibile rispetto al blu.
Altrettanto interessante è osservare la simulazione di quanto accade ad ottiche di pari livello ma da 15 cm. Sempre da sinistra abbiamo:
TEC 160 f/7 FL diaframmato a 150mm.
SEMI APO 150 f/8 ED
ZEISS AS-150 f15
D&G 150 f/20 Cde
D&G 150 f/15 Cde
Achro 150 f/15 CeF
La conclusione logica è che un rifrattore, per essere davvero prestazionale sui pianeti, deve avere le carte in regola per lavorare bene in tutte le bande spettrali visibili. Ricordiamoci che le simulazioni sono effettuate su strumenti che dovrebbero essere il non plus ultra per questo tipo di osservazioni. Se nella sezione dei 150 mm. si fosse inserito un 150 f8 cinese (che alcuni magnificano non si sa bene perché) avremmo avuto un dato disarmante.
Tra le tante valutazioni che queste simulazioni suggeriscono ve ne è una che mi preme particolarmente e che riguarda il canale R.
Risulta più che evidente una sonora discrepanza di prestazione tra le varie ottiche ma, senza arrivare a scomodare i super rifrattori apo alla fluorite, principalmente tra gli ultimi due contendenti della lista: i rifrattori da 20 cm a f15 e i rifrattori da 15 cm. a f15 di estrazione “acromatica”.
Partendo dal medesimo diametro e lunghezza focale si evince quanto la soluzione Cde (tipicamente gli strumenti da osservatorio degli anni ’60 e ’70) sia più performante di quella CeF (quella cioè della produzione mass-market di oggi) nel correggere la banda R che è, nel caso di Giove, una tra le più importanti.
Questo la dice lunga su come i rifrattori da osservatorio fossero di gran lunga più performanti di pari diametro odierni con lenti prodotte nei paesi dell’est (perché realizzare un doppietto Cde ben lavorato e lucidato e corretto alla grande costa MOLTO più dei 3/4000 euro a cui oggi vengono venduti i doppietti CeF semi-cinesi acromatici a lungo fuoco).
Quando gli strumenti erano progettati per OSSERVARE soprattutto, l’attenzione alla riga del rosso era massima, cosa che oggi si è persa.
Anche senza scomodare questi grandi rifrattori, per rendersi conto della veridicità delle mie affermazioni è sufficiente dare un’occhiata ai grafici di dispersione rilasciati da un costruttore come Takahashi riferiti a due suo best-seller: il FS-102 di anni fa e l’attuale TSA-102 (entrambi di pari focale).
La stupefacente differenza nella capacità di focalizzazione di due rifrattori takahashi da 10 cm.: il FS-102 e il TSA-102. Più corretto nel blu il TSA (più fotografico), più corretto nel rosso il FS-102 (più votato all'osservazione visuale planetaria)
Il doppietto alla fluorite minerale del Takahashi FS-102 (sopra) e il tripletto sviluppato con Canon del TSA-102 takahashi (sotto). Quale è meglio? Come sempre, nelle cose, la risposta è insita in una domanda: cosa dobbiamo farci?
Interessante è anche osservare, con un minimo di dovizia, il risultato che la simulazione offre nella riga del giallo/verde (la terza dall’alto).
Abbiamo strumenti di pari apertura ma dal costo ben differente (un apocromatico alla fluorite da 20 cm. costa almeno 5 volte un acromatico a f15 CeF – prendendo i due estremi della nostra lista) ma dalle prestazioni pressoché identiche (o con differenze non apprezzabili). Incredibile, vero?
Ciò significa che se filtrassimo (usando appunto un filtro verdino ad esempio) i 6 obiettivi otterremmo esattamente gli stessi dettagli (grossomodo) da tutti e 6 i telescopi.
Questa è una considerazione molto utile quando scegliamo lo strumento che vorremmo eleggere a nostro “ultimate scope” (nel caso si tratti di un rifrattore) perché potremmo scoprire che, ingombri a parte, per ciò che vogliamo fare non serve spendere "100" ma basta spendere "20". Ovviamente vale anche il contrario (dipende solamente da quale è il nostro target standard di osservazione).