Ottobre 2016
La Bresser, ultimamente mi capita di scrivere una serie di articoli sui loro prodotti (o meglio “assemblati”), ha dato una notevole svolta alla sua sofferta storia con una serie di nuove proposte che spaziano dai rifrattori acromatici ai Maksutov di medio/piccolo diametro, ai newton di medio diametro, alle montature goto e a tutta una serie di oculari, raccordi, cercatori, tutti frutto di una semplice rimarchiatura di produttori multi-marche orientali.
Dopo aver vissuto una ottima esperienza sia con il 127/1200 acromatico (oggetto di recensione su questo sito http://www.dark-star.it/astronomia-articoli-e-test/test-strumentali/bresser-127-l/) che con il 152/1200 (articolo ancora in fase di stesura) anche se in questo caso le modifiche apportate post produzione dal sottoscritto risultano molto mirate e migliorative, ho sviluppato una certa "simpatia" per la casa della B circolata.
E’ rimasta però una grande curiosità per il 102/1000 e il Maksutov 152/1900, strumenti entrambi di grande appeal sia per il prezzo di acquisto che per le caratteristiche tecniche (specialmente nel caso del 152/1900 alcune scelte “controcorrente” lo rendono ai miei occhi meritevole di attenzione).
Il 102/1000 costa talmente poco che giudicarlo risulta francamente difficile, almeno sulla carta e prima di metterlo alla prova sotto la volta stellata. Per 230,00 circa si acquista presso il distributore il tubo ottico, la culla con maniglia, un adattatore da 2 pollici a 1 e 1/4, un cercatore 6x30, un diagonale e un oculare da 26mm (!!!)… tantisismo se pensiamo alla follia richiesta per alcuni oculari ortoscopici venduti solo per moda e ingrassare le tasche di chi li produce e commercializza.
Riccardo, il nostro tester ufficiale, valuta il cromatismo residuo osservando foglie e tetti lontani sullo sfondo del cielo.
Le specifiche che vengono pubblicizzate per dare visibilità al Messier 102 sono interessanti e molto accattivanti. Sui siti dei distributori appare infatti quanto segue:
BRESSER MESSIER AR-102/1000 HEXAFOC:
- eccezionale strumento per l'osservazione planetaria dal basso costo
- meccanica di qualità
- opzionali i treppiedi Bresser EXOS-1, EXOS-2 o supporti analoghi.
Caratteristiche:
Eccellente focheggiatore con 65 millimetri di diametro (2,5")
Barra a coda di rondine da 44 millimetri con binario in acciaio inox (adatta a
montature LXD75 / Great Polaris / EQ5)
Mirino ottico 6x30 con reticolo
Staffa cercatore ottimizzate per un utilizzo confortevole
Anelli con maniglia e supporto della macchina fotografica
Adattatore da 50,8mm a 31,7mm con filetto T2 integrato (Anello T2 è necessario per utilizzo della macchina fotografica)
Campi di applicazione:
- Osservazione Deep Sky
- Fotografia Deep Sky
- Osservazione lunare
- Fotografia lunare
- Osservazione planetaria
- Fotografia planetaria
Focus Group: dai principianti agli amatori evoluti
Caratteristiche tecniche:
Disegno ottico: rifrattore acromatico
Ingrandimento: 38
Ingrandimento massimo consigliato: 204
Apertura: 102 mm
Lunghezza focale: 1000 mm
Rapporto focale: (f/9,8)
Lunghezza del tubo: 1000 mm
Diametro del tubo: 104 mm
Cercatore: 6 x 30 mm
Materiale OTA: alluminio
Focheggiatore: 2.5" Hexafoc
Colore: Bianco
Protezione: tappi di protezione dalla polvere per l'obiettivo anteriore ed il
supporto oculare
Peso: 8 Kg
Dotazione:
- diagonale a specchio da 31,7mm (1,25")
- oculare Plossl da 26 mm
- barra di supporto superiore per il trasporto con supporto per la fotocamera
- cercatore 6x30
- adattatore oculare da 2"
- barra vixen con supporto laterale in metallo
- Cd-Rom con il programma Stellarium
- mappa lunare
- Manuale
Si tratta quindi di uno strumento in grado, almeno sulla carta, di soddisfare amatori di ogni livello e accompagnarli lungamente. Purtroppo l’analisi statica riserva alcune brutte sorprese, ma andiamo con ordine…
Il Messier 102 è arrivato alla mia porta dopo essere transitato per qualche ora a casa di un amico lontano che lo aveva acquistato per usarlo nelle osservazioni solari. Una volta aperto l’amico mi ha inviato alcune immagini tra cui quelle della cella, interamente in plastica.
La sorpresa è stata per entrambi notevole e molto negativa. I vecchi AR-6 Meade e analoghi Bresser R erano infatti contraddistinti da una cella di non eccezionale fattura ma quantomeno registrabile e con quantitativo di plastica ridotto. Quella invece che le foto indicavano era una banale cella in materiale plastico duro stampata con una ghiera, sempre in plastica, a serrare il doppietto nella sua sede. La mancanza delle tre classiche coppie di viti push and pull rendono impossibile o quasi l’utilizzo per un upgrade “solare” con etalon posteriore non permettendo il centraggio del cono ottico con il filtro in etalon e rendendo quindi inutilizzabile il telescopio per i fini che l’amico Francesco si era preposto.
Gli ho consigliato di rimandare lo strumento al mittente (del resto non si fa accenno ad una cella di plastica da nessuna parte…) ma alla fine abbiamo deciso di recapitare a me il bianco tubo Bresser e di sostituirlo con un doppietto 102/920 in cella e controcella metallica che ho a mia volta spedito in cambio.
Ho quindi ricevuto uno strumento “nuovo” sotto ogni punto di vista pronto per essere opportunamente testato.
Il Bresser Messier 102/1000 è un bello strumento, piuttosto elegante, completo e otticamente accattivante. Il tubo è realizzato in alluminio di medio spessore, ben verniciato di bianco latte, ed è tenuto da una culla molto robusta, ben fatta, e corredata da una utile maniglia di sostegno (un po’ come tutti gli altri rifrattori Bresser) offrendo una impressione di solidità (non lontana dalla realtà dei fatti tra l’altro).
A corredo del telescopio vengono fornite due prolunghe filettate e anodizzate da circa 75 millimetri di diametro di due lunghezze diverse che si rivelano utilissime nella gestione dello strumento permettendo di raggiungere il fuoco ottimale con vari treni ottici non ultimo, in loro assenza, con torrette binoculari senza bisogno di dispositivi OCS di estrazione del fuoco.
Sotto questo punto di vista il Bresser 102 merita un “10 e lode” per aver copiato in modo semplicistico ma intelligente la logica Takahashi pur senza ovviamente avvicinarne finitura e qualità globale.
Il paraluce, molto lungo e che si rivelerà ottimamente dimensionato anche nelle umide notti dell’autunno lombardo, nasconde il primo aspetto deprecabile del telescopio: la cella porta ottica.
Poiché realizzare stampi per plastica dura (anche di buona qualità) costa oramai pochissimo i progettisti hanno ben pensato di realizzare in plastica il complesso destinato a tenere in sede il doppietto acromatico facendo, a onor del vero, un lavoro un po’ spartano ma sicuramente ben dimensionato e provvisto anche di grani laterali di traslazione del Flint pur senza predisporre le tre classiche coppie di viti push and pull frontali.
Vedremo in seguito che lo strumento ha superato indenne parecchi viaggi mantenendo una collimazione accettabile ma la scelta fatta risulta pericolosa perché non sono certo che, dopo aver smontato integralmente gli elementi ottici, sia possibile ottenere nuovamente il corretto allineamento senza incorrere in deformazioni della ghiera di frizione frontale (anch’essa in plastica).
Dall’altro capo del tubo si trova invece il nuovo focheggiatore Exafocus che si rivela ottimo sotto tutti i punti di vista. Dotato di numerose frizioni, grandi di fermo, regolazioni, oltre che di un ottimo dimensionamento delle sue parti scorre con fluidità priva di incertezze, basculamenti e non fa rimpiangere i migliori (e sottolineo i migliori) sistemi oggi disponibili sul mercato. Sua unica “pecca” la mancanza di una demoltiplica comoda soprattutto nelle applicazioni di imaging vario.
Cià che invece sconcerta è il cercatore in dotazione. Il 6x30 (dotato di ottiche in vetro anche se di dubbia qualità) è quasi interamente realizzato in plastica con un supporto in plastica, viti di regolazione in plastica e supporto in… plastica.
La scelta è inclassificabile, inaudita e assurda perché porta ad uno sbandieramento costante del cercatore stesso che vibra come una banderuola al solo toccarlo.
Non deprecabile invece l’oculare super plossl da 26 millimetri in dotazione mentre preferisco non addentrarmi nella valutazione del diagonale offerto che, pur di plastica, sembra avere lo specchio interno di discreta qualità.
Si tratta, in soldoni, di un telescopio con luci ed ombre (queste ultime facilmente risolvibili in fase di produzione a patto di operare scelte commerciali diverse). Personalmente proporrei il solo OTA senza dare diagonale e oculare e fornendolo invece di un supporto in alluminio o lega ad esso correlata. Infine, magari anche con un sovrapprezzo di una trentina di euro, una cella frontale metallica tradizionale.
Le ottiche dello strumento, un classico doppietto fraunhofer 102/1000, si presentano con un bel trattamento antiriflesso e aspetto pulito. Il cammino ottico incontra due diaframmi interni al tubo che è trattato con un annerimento di buon livello esente da critiche.
Di alta qualità appaiono anche le ottiche in sé che hanno dimostrato di lavorare, almeno a fuoco, in modo ottimale e ben superiore a quanto mi aspettassi. Solo una decina di anni fa sembrava impossibile avere tanta prestazione ottica al costo di una cena in pizzeria ma nella realizzazione delle lenti telescopiche l’industria cinese e di aree limitrofe ha raggiunto qualità elevatissima tanto che non esiste alcuna differenza reale con ottiche giapponesi acromatiche di pari apertura e focale.
Questo, almeno, finché si sta “a fuoco” (ossia ciò che è richiesto a un telescopio in fin dei conti) perché lo star test denota alcune carenze marginali che non hanno però alcuna influenza o quasi sull’immagine finale fino a poco più di 200 ingrandimenti.
Pulitissima e quasi finta in intrafocale, l’immagine di diffrazione impasta gli anelli di Fresnel quando ci si sposta in extra focale. Il tenue alone bluastro esterno all’immagine di diffrazione diventa, in extra focale, un coagulo denso e luminoso centrale
A fuoco il residuo di aberrazione cromatica sembra molto contenuto (sicuramente tanto quanto se non più dei vari Vixen 102M) e la focalizzazione convincente.
Lo snap test appare meno preciso e netto di quanto non avvenga su ottiche blasonate ma si tratta di differenze molto limitate che vengono apprezzate solamente quando le si cerca e si comparano side by side gli strumenti.
Lo star test è avvenuto sulla bianca e brillante Vega che è stata indagata con un range di ingrandimenti molto ampio che ha spaziato dai 35x circa offerti dal 30mm. LE Takahashi fino ai 360x circa del LE 2,8mm.
Il residuo di sferica denunciato dallo star test risulta praticamente inosservabile fino ai 200x offerti dal LE 5mm. mentre si impone in modo più visibile a ingrandimenti maggiori tanto che a 360x la differenza tra il Bresser 102 e un apocromatico di alto livello appare netta anche se la geometria stellare nel Bresser è e resta perfetta. La maggiore luce diffusa e l’accenno di un secondo anello di diffrazione oltre ad una colorazione più gialla rendono bene la differenza tra questi tipi di ottiche.
Ciononostante il Messier 102/1000 si dimostra un telescopio quasi esaltante tanto che la visione di una difficile doppia come la Delta Cygni appare, a 200x, incantevole con la compagna netta e pulitissima sul primo e unico anello di diffrazione della primaria.
Ottima anche la saturazione dei colori su sistemi con tonalità contrastanti come la Beta Cygni (Albireo) che vedono particolarmente dense le componenti “calde”, caratteristica che ritroveremo bene nell’osservazione del suolo selenico.
Come accennavo in precedenza lo strumento è giunto nelle mie mani quasi perfettamente collimato ma ho dovuto comunque intervenire con qualche ritocco per raggiungere l’optimum consentito dalle ottiche.
La regolazione dei grani di spinta laterali alla cella si è dimostrata indispensabile alla collimazione corretta anche se, differentemente da quanto avviene in celle di metallo, la spinta delle frugole appare un po’ “incerta” e trovare la regolazione corretta è un po’ più macchinoso e delicato.
Una volta ben collimato lo strumento “fila via liscio” e la cromatica blu classica risulta davvero limitata tanto che si fa fatica ad apprezzarla senza porvi attenzione diretta. Lo stesso avviene osservando il bordo lunare come vedremo più avanti nel capitolo dedicato.
Non amo, perché li ritengo assolutamente inutili dal punto di vista pratico, i test “diurni” che oggi sembrano spopolare su alcuni forum e che sono il frutto semplicistico delle valutazioni che invece vengono fatte nel provare i binocoli.
Ho comunque, in attesa del buio e prima degli aggiustamenti alla collimazione, scattato un paio di foto a foglie lontane usando il metodo afocale su uno smartphone P8 tenuto a mano. L’immagine di sinistra corrisponde a circa 35x, quella di destra a poco più di 200x
Nella immagine sottostante viene invece riportato il confronto tra le immagini di INTRA ed EXTRA FOCALE tratte a circa 200x con metodo afocale su smartphone.
Il particolare obiettivo e le tarature del P8 Huawei esaltano in modo notevole le lunghezze d’onda blu tanto che l’immagine in extra focale appare decisamente più impastata di quanto non si noti all’oculare e anche decisamente più “blu”. Anche l’intra focale risulta meno pulita di quello che permette l’indagine visuale ma accontentiamoci...
Al di là della minore pulizia e della maggiore dominente blu che il metodo di ripresa ha imposto ciò che emerge è una rilevabile sferica residua (in policromatica) ma una collimazione valida (si consideri che gli assi ottici dello smartphone e dell’oculare non corrispondono mai e quindi qualche deformazione si genera nella fotografia finale).
Nell’immagine sottostante il Bresser 102/1000 ritratto su una rara montatura Takahashi EM-100 usata come stativo per il test e installata su colonna con ruote.
La visione della Luna con il Messier 102 F10 è molto piacevole e offre immagini molto incise e pulite, almeno fino ai 133x del 7,5mm. Takahashi serie LE (potere al quale non è onestamente possibile distinguere il Bresser da un ottimo apocromatico da 10 cm.). Salendo a 200x (oculare LE 5 mm.) l’immagine vira un po’ sul giallo ma resta molto buona tanto che il punto di fuoco si trova senza incertezze e le caratteristiche lunari sono molto nitide. Anche a questo potere non si nota, come del resto a 133x incursioni dell’alone blu all’interno dei crateri e nelle zone di forte contrasto luminoso. In generale l’aberrazione cromatica risulta molto ben corretta ma a 200x la tonalità di fondo risulta più gialla rispetto a quella di un obiettivo in fluorite o anche solo ED.
Non ho testato il plossl da 4mm. ma ho notato che l’ingrandimento offerto dal 2,8 mm. Takahashi (più di 360x data la presenza di diagonale e un elemento di prolunga) risultava un po’ oltre il limite a cui mi piace osservare i particolari e la nitidezza sembrava risentirne oltre ad avere una immagini un po’ buia per i miei gusti.
Valuto quindi intorno ai 200/240x (oculari da 5 e 4mm.) il limite ancora benben sfruttabile sul suolo selenico. Forse alcuni osservatori alzerebbero questo limite che appare conservativo ma non sono un fanatico degli ingrandimenti e, in tutta onestà, a 200x vedo già tutto quello che è accessibile o quasi sulla Luna per un rifrattore acromatico da 10 cm.
Nell’osservazione ho comunque apprezzato molto la “pastosità” di certe zone di mare a ridosso di ampi domi e anche la buona resa prestata a ingrandimento medio alto su alcune rimae che si sono mostrate molto bene con una sensazione di notevole pulizia di immagine.
Anche osservando il terminatore e il lembo illuminato con poteri inferiori ai 100x l’alone bluetto tipico dei rifrattori acromatici è parso molto contenuto.
Indubbio, sull’altro piatto della bilancia, che lo strumento non possegga l’allungo oltre i 200x tipico di certi apocromatici alla fluorite che sembrano non porre limiti agli ingrandimenti usati.
Poiché avevo tempo (era notte fonda) ho provato a riprendere qualche filmato con la piccola camera a colori QHY5L-II collegata allo struemento mediante una barlow 2x e un filtro IR-CUT.
Nonostante il seeing complessivo fosse buono (con valori di circa 7/10), le immagini sono meno esaltanti di quanto avrei potuto ottenere. Motivo di tale fallimento è stato il non corretto allineamento polare (fatto solamente a “occhio”) la non corretta posa in bolla della montatura e l’inseguimento su un solo asse (quello orario) che, con i limiti di allineamento citati, mi ha obbligato a correzioni continue in declinazione imponendo filmati piuttosto costi e mai superiori ai 2000 frames di cui ne ho mantenuti circa il 40%.
Interessante e fortuito invece l’aver catturato una stella di campo prossima al lembo del terminatore. Sotto riporto due immagini scattate con una camerina planetaria e con uno smartphone P8 con metodo afocale.
Ho provato a scattare altre immagini in AFOCALE su SMARTPHONE della Luna, tutte con telefono tenuto a mano e in proiezione di oculare (avevo poco tempo per installare i sostegni del cellulare) alcune con velleità di “alta risoluzione”. I risultati non sono malvagi e denotano bene la scarsa cromatica residua mostrata dall’obiettivo del Bresser 102.
Il test sulle stelle doppie è cominciato con la STT 358 in Ercole in una umida notte dell’autunno milanese e terminata con il mezzo blocco del mio collo a causa della spina di freddo che mi si è incuneate attraverso i vestiti un po’ troppo leggeri.
Il sistema doppio si fregia di due belle stelle di magnitudine praticamente identica (6,94 e 7,08) separata da un angolo apparente di 1,5” e appaiono di colore bianco giallastro. A 250x (oculare plossl 4mm.) il sistema appare perfettamente risolto anche se “stretto” con i due dischi di Airy separati da un filo nero e il debole primo anello di diffrazione apparentemente e in parte interpolato.
Decisamente più ostica è risultata invece la vicina STF 2289, sempre nella costellazione di Ercole, che vede due componenti di magnitudini rispettivamente pari a 6,65 e 7,21 separate da 1,24”, valore al limite del potere risolutore teorico dello strumento.
Al potere di 250x la duplicità del sistema è ovvia e anche la leggera ma nettamente percepibile differenza di luminosità che rende la secondaria un po’ più “piccola”. Le due componenti però non riescono ad essere “separate” in senso stretto, cioè non sono riuscito a notare spazio nero tra i due dischi di Airy che appaiono perfettamente a contatto anche se interamente distinti.
Salendo a 360x la situazione non cambia molto, i due dischi di aire sono ancora più netti e leggo bene la “cuspide” che si forma nel punto del loro contatto ma non riesco comunque a leggere distanza nera tra loro. La secondaria mi appare in compenso un po’ più “aranciata”, particolare che noto meglio al potere inferiore (250x).
Restando nella plaga di Ercole punto la 95 HER, sempre splendida (ai miei occhi tra le più belle doppie del cielo), che mostra bene la differenza di tonalità tra le due componenti, una biancastra e l’altra più gialla. Il sistema, che brilla con due componenti di magnitudine 4,85 e 5,2 separate da circa 6,4 secondi d’arco, non rappresenta certo un test di separazione ma una piacevole osservazione con qualsiasi tipo di strumento.
Sempre in tema di sistemi doppi facili ma affascinanti rivolgo l’attenzione e le ottiche del Bresser 102 alla delicata Zeta Sagittae (AB, C), un sistema multistellare le cui componenti A e B sono troppo strette (0,24”) ma la distanza tra il loro duplice sistema e la componete C è accessibile facilmente a piccoli strumenti misurando 8,4” che separano una apparentemente singola stella di magnitudine 5,04 da una debole (la “C”) di magnitudine 9,01.
Il sistema, che appare già separato a 40x, diventa letteralmente incantevole con il 12,5 millimetri che offre circa 80 ingrandimenti.
Altrettanto magica è l’osservazione della 49 Cygni AB (anche questo un sistema multistellare) le cui componenti “principali” di magnitudine 5,75 e 8,1 distano 2,8 secondi d’arco.
A 100x, oculare plossl da 10mm., rimango quasi dieci minuti a osservare il sistema, ogni tanto spostando lo sguardo al cielo umido di Milano, affascinato dalla sua incantevole bellezza con un apparente contrasto (dovuto perlopiù alla differente luminosità) tra il giallo della primaria e il grigiastro quasi azzurro della secondaria.
Salendo con gli ingrandimenti la coppia acquisisce ulteriore bellezza e la saturazione dei colori appare più certa. Sicuramente gialla la primaria e quasi azzurra la secondaria con una dominante reciproca sugli anelli di diffrazione, deboli e sottili ma ben netti.
Quasi per finire mi rivolgo alla MU1 Cygni (STF 2822), sistema di almeno 8 componenti di cui le più facili appaiono A e B, separate da 1,54” e brillanti di magnitudini 4,75 e 6,18 rispettivamente.
a 250x la coppia è sdoppiata con un debole e sottile filo nero tra le due componenti.
Pre terminare in bellezza le osservazioni scelgo una doppia facile e sempre bellissima, la Gamma Delphini (STF 2727A B), che brilla come una coppia di fari gialli e lontani nella bruma del cielo milanese anche a basso ingrandimento. La luminosità (magnitudine) di 4,36 e 5,03 la rende poco sbilanciata e la separazione di 8,96” permette di coglierla anche a 40x come una coppia lontana.
A 80x diventa bellissima e si lascia ammirare con una densità di colore giallo intenso e piacevolmente in contrasto con il gelo grigio freddo circostante.
Poiché il seeing della serata appariva promettente ho atteso che Urano sorgesse dalle fronde degli alti alberi che circondano il mio giardino e rivolto a lui il bianco tubo del Bresser.
A 250 ingrandimenti il disco grigio azzurro/verde di Urano risulta ben definito anche se ancora relativamente piccolo, del resto le sue dimensioni angolari di poco inferiori ai 3,5” non consentono molto con aperture nell’ordine dei 10 cm.
Nonostante questo l’immagine si è mostrata convincente e apprezzabile anche dai miei figli (di giovanissima età) che hanno riconosciuto facilmente sia l’aspetto planetario che il colore del pianeta.
Oltre al piccolo dischetto tenuemente colorato (il cielo di Milano limita sicuramente la brillanza dei colori tenui) non si apprezzano altri particolari ma la dimensione è luminosità sono sufficienti per una estemporanea fotografia in focale sul mio smartphone P8 Huawei tenuto a mano (non avevo né voglia né tempo di creare un supporto adeguato). Scatto singolo ed esposizione di 1/5 di secondo con zoom digitale 4x hanno permesso di “apprezzare” la morfologia planetaria del soggetto che riporto qui sotto. Immagine scattata il 21/10/2016.
Oltremodo difficile risulta valutare correttamente lo strumento. Una volta che si è dietro all’oculare le sue prestazioni appaiono convincenti e di ottimo livello, sia grazie a un doppietto frontale ben lavorato e con un residuo cromatico limitato sia per via dell’ottimo focheggiatore. Non cambierei mai questo Bresser 102 con un pari apertura Vixen 102M ad esempio (e il Bresser costa, nuovo, molto meno di quanto viene richiesto per il Vixen 102M…).
D’altra parte trovo inconcepibile avere un supporto in plastica per il cercatore e ben poco apprezzabile la cella in plastica (anche se nelle osservazioni notturne si è dimostrata all’altezza del compito affidatole).
Dalla parte delle positività anche la culla e maniglia di supporto (impagabili) e la livrea esteticamente molto accattivante. Tra le insulse scelte invece quella (comune agli altri Bresser) di realizzare i “filetti colorati rossi” con nastro isolante. Basta toglierlo, ovviamente, ma la cosa mi fa sempre sorridere..
Si può ovviare ai difetti principali? In parte sicuramente: il supporto del cercatore lo si butta e sostituisce con uno in metallo e tutto torna ad essere “ottimale”, ma la cella in plastica bisogna tenersela e finché non offre problemi potremo osservare e divertirci alla grande, se mai accadrà qualcosa affronteremo il problema a tempo debito.
Complessivi 230,00 euro, spedizione inclusa, manuale, diagonale e oculare: cosa si può volere di più? Inutile ricamarci sopra anche se preferirei costasse 30 euro in più e avesse una cella porta ottiche in metallo.