STEIN OPTIK 80/1200

Lo Stein Optik 80/1200 installato su una Ioptron IE45

Prima dell’avvento rivoluzionario dello schema Schmidt Cassegrain, che di fatto ha reso disponibili agli appassionati strumenti di generoso diametro in un packaging altamente compatto, gli strumenti più diffusi erano i newton a fuoco medio lungo (tipicamente f6 o f8, ma anche f10 – si vedano a questo proposito i cataloghi degli strumenti degli anni ’60) e i rifrattori acromatici a fuoco lungo (generalmente f 11 e f15). Tra questi, escludendo i piccoli 60 mm., i più diffusi erano i vari 3” “e dintorni”: 75 e 80 mm. Uno di questi è oggetto della nostra chiacchierata.

Innanzitutto va detto che, differentemente da quanto si crede, i doppietti 80/1200 non sono tutti uguali (così come del resto non sono uguali un Fl-102 e un 100 Ed f9 SW!). I produttori di questi obiettivi erano molti, ma non tantissimi, e hanno sempre certificato la provenienza delle loro ottiche mediante piccole lettere variamente contornate riportate sulle targhette identificative degli strumenti. Possiamo trovare, infatti, strumenti identici con ottiche Tasco ma venduti sotto vari marchi. Vedi ad esempio il mio Revue (il cui nome è solo quello dell’assemblatore che installava ad esempio le medesime ottiche degli Apollo e di altri).

Quindi è possibile incappare in doppietti da 80/1200 molto ben lavorati (ad esempio i Royal) e lenti analoghe meno pregiate. Bisogna comunque dire, per onore del vero, che le differenze sensibili sono davvero poche e solo un confronto side by side può riuscire ad evidenziarle. Chi perora a tutti costi la causa del “perfettamente lavorato” non ha tutti i torti ma il valore aggiunto serve soprattutto a sostenere un obiettivo collezionistico dello strumento non basato sulle reali prestazioni. Per capire di cosa parlo è sufficiente leggere l’articolo IL RAPPORTO 1:10 presente su questo stesso sito. 

Targhetta identificativa dello strumento che monta un doppietto "circle T"

Indipendentemente da tutto va detto che, ancora oggi, questi strumenti possono dire la loro, soprattutto in campo visuale e in alta risoluzione. La tecnica ottica ha compiuto passi da gigante ma, per quanto aiutati da vetri esotici, i moderni doppietti da 80 mm. aperti a f. 6 lavorano in condizioni limite sconosciute ai vecchi Fraunhofer di pari apertura e rapporto focale quasi triplo. 

Questo spiega come mai, quando si paragona un moderno 80 ED cinese (da molti venerato come fosse un Totem in un campo indiano) a un vecchio 80/1200 su Luna e stelle doppie, il primo finisce con il soccombere.

Non bastano i moderni trattamenti antiriflesso per farsi beffe di una semplice regola che qualunque produttore conosce bene: un conto è lavorare un curvatura (anzi 4) a f6, altra cosa è lavorare 4 curvature a f15.

Questo ci dice che un qualunque doppietto degli anni ’60 da 8 cm. (quando le lenti di questo diametro erano già oggetto di una certa cura da parte dei produttori) ci mostrerà immagini migliori della Luna e di Giove di un moderno 8 cm. cinese, anche “semi-apocromatico”.

Il gruppo focheggiatore da 24,5 mm.

Non illudiamoci, però, che gli strumenti possano essere uno sostitutivo dell’altro. Ciò che è alla portata dei moderni “ottantini” resta fantascienza per gli strementi di 40 anni fa (portabilità, larghi campi accessibili, impiego fotografico, etc..), ma ci sia da lezione, soprattutto per tutti coloro che credono che ciò che è vecchio sia solamente ciarpame.

Quello che crea sgomento nell’utilizzo dei vecchi 80/1200, alla soglia del 2014, è la necessità di utilizzare oculari oramai scomparsi dai listini commerciali. Trovare diametri di 0.968” richiede di spulciare mercatini dell’usato e annunci di materiale in “disuso”, roba da molti guardata di sottecchi (senza magari sapere che esistono eyepieces da 24,5mm. ben più costosi e performanti dei moderni UWA…). Ma, una volta che ci si è procurati tre o quattro ortoscopici di Abbe marchiati Vixen o Tasco e pagati circa 25/30 euro l’uno, e un bel diagonale prismatico originale in buono stato, si ha la certezza di poter operare nelle condizioni migliori con il nostro 80/1200 vintage.

La generosa estrazione del focheggiatore, tipica del tempo

Ho lungamente testato lo Stein Optik a confronto di un meraviglioso Pentax 85/1000 e di un Vixen 70/600 tripletto semi-apo.

Il raro Pentax si è dimostrato superiore, sempre, su qualsiasi oggetto, ma è dotato di ottiche di livello molto alto e lavorate in modo sublime. Il Vixen 70/600 invece non sempre, in barba al suo schema semi-apo a tre elementi, è riuscito a stare davanti al buon Stein Optik. In particolare Giove e la Luna hanno fatto la differenza con immagini più “morbide” offerte dallo Stein ma anche di più facile lettura. I particolari visibili sono grossomodo gli stessi ma la profondità di fuoco del rifrattore a f15 li rende più “plastici”. La differenza di apertura sembra non esistere quanto a luminosità dell’immagine e questo è dovuto alla diversa resa non solo dei trattamenti antiriflesso dell’obiettivo principale ma anche dai diagonali e oculari utilizzati. L’immagine dello Stein, ad esempio, appare sempre più “calda” rispetto a quella offerta dai rifrattori più moderni.

Scherzosa rappresentazione delle differenze di resa della dominante cromatica

Altra considerazione va fatta sul campo reale abbracciato dal complesso telescopio/oculare e, quindi, sui possibili impieghi di quest’ultimo. I rifrattori degli anni ’60 nascevano con ottiche generalmente sotto-corrette all’aberrazione sferica per potersi sposare perfettamente con oculari di stampo ortoscopico classico. Paradossalmente, quindi, anche se si dotassero i focheggiatori di naselli in grado di accettare il diametro 31,8 mm. non è detto che oculari più moderni siano in grado di performare altrettanto bene. 

Questo, di fatto, impone l’utilizzo di oculari con campo apparente modesto (gli ortoscopici di Abbe si fermano generalmente a 40/43°) e focale generalmente non molto lunga (non si va quasi mai oltre i 25/30 mm.) con il risultato che il campo massimo abbracciato da questi telescopi non supera facilmente gli 0,8°, limitando molto l’impiego deep-sky.

Il valore di questi strumenti, completi sovente di montatura originale (buona per appenderci il cappello al rientro da casa, sia chiaro) si aggira sui 200 euro circa (il prezzo di un buon oculare), ed è più che giustificato. 

Altra considerazione va fatta circa la montatura da utilizzarsi. Un rifrattore come lo Stein Optik 80/1200 va usato in alta risoluzione, sopportando bene poteri nell’ordine dei 200x, e richiede una montatura solida. Può far sorridere ma, per sostenere adeguatamente un simile strumento serve una montatura come la Vixen Super Polaris o una HEQ5 moderna. Chiunque abbia piacere a possedere un 80/1200 si scordi di usarlo sulla sua montatura originale e scelga un sistema in grado di reggere almeno 6/7 chili o anche più, in modo da bilanciare al meglio le vibrazioni introdotte dall’uso di un tubo + estrazione del focheggiatore superiore al metro. 

Avrà in cambio prestazioni degne e tanto profumo di “astronomia pioneristica”. Sappia accompagnare le proprie osservazioni alla lettura di classici come il Flammarion e non presti orecchio alle dicerie degli sciocchi che vorrebbero a tutti i costi fargli comprare un dobson cinese senza arte, parte e storia.

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