DOBSON 50 CM CUSTOM

Anno 2014

INTRODUZIONE

Quello del diametro è un patema che affligge quasi tutti gli astrofili. Prima o poi quasi chiunque ha desiderato, durante la propria carriera di osservatore dilettante del cielo notturno, possedere uno strumento di ampio diametro capace di offrire immagini interessanti degli oggetti elusivi del cielo profondo.

Nella mia venticinquennale (oggi al 2014) esperienza sono giunto “presto” a tale desiderio tanto che, nel corso degli anni, ho avuto modo di possedere strumenti di diametro cospicuo. Il mio primo “pozzo di luce” (come vengono simpaticamente definiti oltreoceano questi strumenti) è stato un dobson di Reginato (primissima realizzazione) da 41 cm. che ebbi l’avventura di usare per quasi due anni prima di venderlo. Si risale alla fine degli anni ’90, quando ancora i telescopi oltre i 16 pollici erano una mezza rarità nel nostro paese.

Nonostante le sue ottime prestazioni su galassie e ammassi globulari (ricordo visioni mozzafiato dai cieli tersi e bui in alta montagna) lo strumento non mi appagava nella visione dei soggetti planetari, per i quali preferivo telescopi più specializzati e di diametro inferiore, nonostante il newton avesse una ostruzione limitata (intorno al 23%) e i supporti del secondario realizzati con fili anti-diffrazione (molto belli).

In modo pionieristico avevo tentato di migliorare il vecchio dobson con l’aggiunta delle prime ventoline (le mie soffiavano aria per raffreddare lo specchio, oggi si è scoperto che è meglio “aspirarla”) e con la creazione di un diaframma eccentrico da 16 cm ma, nonostante tutti gli accorgimenti possibili, i miei allora rifrattori da 13 e 15 cm. mostravano un Giove meglio definito con in più la comodità dell’osservazione “in panciolle”.

Ho poi avuto compound di dimensioni ragguardevoli: 28, 30 e 35 cm., newton da 30 e 35 cm., e perfino un progetto, poi non finito per questioni di problemi meccanici, di un 80 cm. a tre specchi.

Così, dopo tante delusioni, ho abbandonato l’idea del “pozzo di luce” e ho acquistato un doppietto nunn da 38 cm. da dedicare alla “visione oblò” (progetto ancora in fieri per via delle aberrazioni geometriche extra assiali che il rapporto focale di quasi f2 impone) e impegnandomi con maggiore passione all’alta risoluzione e agli strumenti progettati per eccellere in questo campo.

E’ stato quindi per caso che ho acquistato nuovamente un grosso dobson. L’idea era nata dalla valutazione di un RP Astro da 60 cm. (purtroppo dotato di movimenti inaccettabili) e da una serie di esperienze a vari star party con l’occhio dietro ai grossi dobsoniani di legno di alcuni autocostruttori. Quando ho trovato il “mio” dobson (avevo scartato i Reginato per motivi di costo) ho ceduto alla tentazione e dopo una notte di test, con tra l’altro tre rifrattori di prim’ordine al mio fianco, l’ho ritirato. Le sue prestazioni sembravano incoraggianti e, benché non fosse in grado di reggere il confronto sul pianeta Giove con l’apocromatico da 15 cm. che lo affiancava, mostrava stelle ben puntiformi e una profondità di visione che mi ha affascinato.

CARATTERISTICHE

Lo strumento in questione è la realizzazione di un bravo autocostruttore che, per la sua opera, si è ispirato alla produzione del già citato Reginato.

La realizzazione di questo newtoniano in configurazione altazimutale è avvenuta interamente in metallo (alluminio e ferro) e si caratterizza per due aspetti principali, oltre alle caratteristiche ottiche intrinseche. Il primo riguarda la notevole fluidità di movimento (che mi ricorda molto le opere di Reginato e che ben poco ha a che fare con la produzione commerciale, di cui tutto si può dire fuorché che sia “smooth” nelle movimentazioni). Il secondo, al di là dell’aspetto estetico molto accattivante, il peso non indifferente che sfiora, a strumento montato, i 70 chili complessivi e che ne fanno un dobson “atipico”, più adatto allo stazionamento quasi fisso che al continuo monta/smonta.

Le ottiche sono state preparate da Giacometti con uno specchio primario da 50 cm. e spessore di 42 millimetri. La focale del telescopio, studiato per le osservazioni visuali degli oggetti del cielo profondo, è di 2 metri per un rapporto d’apertura pari a f4.

La cella del primario è a 18 punti flottanti ed è ben realizzata tanto da non mostrare cedimenti o alterare le prestazioni dello specchio principale.

Al telescopio sono state poi aggiunte una serie di peculiarità come il sistema centrale di contrappeso e una buona quantità di pesi aggiuntivi da 1 kg. ad applicazione magnetica che si rivelano molto comodi per l’ottenimento di un perfetto bilanciamento anche con l’uso di accessori pesanti.

Completano il corredo un cercatore angolato e illuminato di notevole dimensione, un Telrad aggiuntivo, una sacca porta aste e una protezione per lo specchio secondario, un focheggiatore crayford con demoltiplica, un telo paraluce ben fatto e un diaframma eccentrico con foro da 20 cm. per osservazioni in alta risoluzione.

STAR TEST E OSSERVAZIONI PLANETARIE

Ho approfittato di una sera di ottimo seeing per collimare in modo corretto il grosso dobson da 50 cm. 

Il cielo milanese, per una notte stranamente quieto e privo di umidità significativa, ha reso giustizia al meraviglioso spettacolo della congiunzione tra Giove e la Luna durante la sera del 6 aprile 2014.

Con la cornice dei Gemelli e il profumo dei glicini ho potuto testare in modo adeguato le prestazioni in alta risoluzione del 50 cm., graziato anche da condizioni di contorno molto favorevoli benché, sicuramente, non da primato.

Mi sono accertato, affinché il giudizio potesse essere probante, che il grosso specchio da 42 mm. di spessore fosse in temperatura e che la collimazione garantisse il raggiungimento delle prestazioni consentite dal sistema ottico.

Con queste premesse ho eseguito uno star test su Polluce (molto alta nel cielo) e su Betelgeuse (più bassa e poco oltre la punta degli alberi). Su entrambi gli astri, a parte la diffrazione atmosferica visibile sulla seconda e la diversa colorazione intrinseca degli astri, il 50 cm. ha esibito una correzione di ottimo livello con gli anelli di Fresnel ben delineati e concentrici sia in extra che in intra focale e una focalizzazione precisa. Il disco di Airy, visibile solo a tratti e a ingrandimenti elevati ottenuti con gli oculari da 7,5 mm. (potere di 270x) e 5mm. (potere di 400x) entrambi di casa Takahashi, appare molto piccolo e luminoso (come risulta corretto in relazione al diametro e al rapporto focale dello strumento).

Incredibilmente, merito della serata con seeing quasi ideale, lo sfarfallamento dell’immagine stellare risulta contenutissimo e l’osservazione stellare ad alto ingrandimento (tra i 270 e i 400 ingrandimenti) molto piacevole.

Giove è a pochi “passi” a sud dei Diòscuri e lo punto con grande interesse. L’immagine è molto luminosa e regge bene i 160 ingrandimenti offerti dal 12,5mm. LE. Sono facilmente percepibili le indentellature sia nella SEB che nella NEB e alcuni festoni che si stagliano vagamente azzurri sulla cintura equatoriale. Nonostante questo e anche in presenza di luce diffusa intorno al pianeta relativamente contenuta (ricordiamo che il potere di raccolta di luce di un 50 cm. è molto elevato), l’immagine del pianeta non è dettagliata come ci si aspetterebbe e resta un poco “flou”. Aumentando gli ingrandimenti la situazione non migliora, anzi. A 400x Giove è molto grande e luminoso, con le sue features sature e segnata da cromie dense (cosa che potrebbe condurre un osservatore con poca esperienza strumentale a pensare di assistere ad una “prestazione di rilievo”) ma il dato che emerge agli occhi di un osservatore esperto è la “diluizione” dei particolari fini. Per paragone installo a fianco del 50 cm. il rifrattore acromatico 150/1800 e punto nuovamente Giove. Per avere un ingrandimento paragonabile e confrontare correttamente i due strumenti sono costretto a utilizzare oculari di qualità diversa. Un plossl da 10mm con il grosso newton (che offre 200x) e un TMB Planetary da 9 mm. con il rifrattore (combinazione anch’essa da 200x).

E’ onesto dire che entrambi gli oculari non rappresentano il massimo né di nitidezza, né di contrasto (personalmente preferisco il plossl al TMB), ma sono i soli in grado di portare i due strumenti a valori comparabili.

Con i due strumenti fianco a fianco ho la possibilità di evidenziarne vizi e virtù in modo diretto. L’immagine nel rifrattore appare decisamente superiore sia per contrasto che per quantità di dettagli visibili. Anche i festoni sulla banda equatoriale (più azzurri nel newton e quasi completamente decolorati nel rifrattore), appaiono nello strumento a lenti più puliti e discernibili con maggiore continuità.

Per curiosità inserisco un diaframma rigido eccentrico con diametro utile di quasi 20 cm. e paragono nuovamente le immagini. Così diaframmata, la luminosità nel newton diminuisce drasticamente e appare confrontabile con quella del D&G anche se, ad essere del tutto sinceri, rilevo una lieve superiorità nella brillanza dell’immagine offerta all’acromatico a lungo fuoco. In compenso la visione nel newton, che è privo di aberrazione cromatica, appare meglio bordata. Anche in questa configurazione però, benché alcuni particolari deboli sulle bande emergano più chiaramente (ora che non sono più bruciati dalla quantità di luce a piena apertura), il rifrattore presenta l’immagine migliore: più dettagliata e anche più “profonda” nonostante la visibile aberrazione cromatica residua.

A 200x, in sostanza, un rifrattore di buona qualità sembra avere il sopravvento nella visione di un pianeta difficile e poco contrastato come Giove.

Archiviato il risultato provo ad aumentare gli ingrandimenti con l’ausilio di un oculare plossl da 6 mm. sul rifrattore e un 7,5mm. LE Takahashi sul newton. A 300x l’immagine sul D&G custom è ancora molto bella e, grazie alla serata particolarmente quieta, ulteriormente dettagliata. Questo potere, almeno a mio gusto, appare comunque coincidere con il limite superiore gestibile dall’acromatico. Questo non tanto per via della eventuale “rottura” dei dettagli quanto per la loro inevitabile diluizione cromatica. Però, e questo anche in base a tanti anni di osservazione planetaria, mi sento di dire che 300 ingrandimenti retti bene su Giove sono, indipendentemente dallo strumento usato, un valore più che sufficiente a mostrare (e anche bene) tutto quanto visibile.

Il newton non sembra invece trarre beneficio dall’aumento di ingrandimento offerto dall’oculare Takahashi (circa 267x) che, nonostante una qualità superiore a quella del plossl classico a 4 elementi, tende a rendere meno nitida l’immagine del pianeta.

Rimuovo il diaframma eccentrico e riporto l’apertura ai nativi 50 cm. ma la situazione cambia solo quanto a luminosità.

Resto però all’oculare, digerendo la fatica di inseguire a mano (pur con uno strumento morbidissimo nei movimenti) il simpatico Giove mentre saltella allegramente da un capo all’altro del campo inquadrato e rende al meglio solo nei pressi del cerchio centrale di circa 25° apparenti (dove l’immagine è corretta completamente dalle lievi aberrazioni geometriche introdotte dal sistema a f4) e qualcosa ottengo. Nei momenti di assoluta calma l’immagine mostra accenni di risoluzione superiore che sembrano pareggiare quanto visibile (più facilmente) con il rifrattore, ma la fatica è notevole e il risultato non proporzionale al sacrificio.

Su un soggetto difficile come Giove il rifrattore (purché di diametro opportuno e correzione ottica di buon livello) vince senza eccessivi sforzi. Se però ci si sposta dal disco planetario all’osservazione dei satelliti Galileiani si ottiene un risultato diverso. All’oculare del newton il diametro delle 4 lune principali di Giove è palese in modo imbarazzante e, mi si perdoni l’azzardo, verrebbe voglia di misurarlo con un piccolo righello. La sensazione di grande potere risolvente, assolutamente inefficace sul grosso pianeta, appare qui invece molto appagante e quanto facilmente alla portata del newton resta lontano dalle possibilità della pur ottima lente del D&G.

Quando si parla di “alta risoluzione” ci si può riferire a molteplici target e benché Giove possa essere a ragione uno dei principali non è certo il solo.

La sera del test, poco distante dal gigante gassoso, campeggiava una meravigliosa Luna quasi al “primo quarto”. Una condizione di seeing tanto buona non avrebbe potuto avere epilogo migliore di una assidua osservazione delle zone del terminatore e dei principali mari limitrofi.

Se Giove ha decretato una netta superiorità dello strumento a rifrazione, la Luna ha incoronato il superiore potere risolutore del grosso newton.

Nonostante il diametro di mezzo metro il bordo lunare appariva praticamente immobile e il dettaglio sulla superficie selenica “mozzafiato”. L’aspetto più impressionante, al di la della possibilità di cogliere dettagli estremamente minuti e la morfologia di ogni terrazzamento, rima o cratere, è costituita dalla “compattezza” con cui appare la superficie del nostro satellite. Sembra di osservare una delle migliori immagini ad altissima risoluzione in cui il terreno è mostrato come una compatta e densissima superficie lapidea. E’ una sensazione difficile da tramettere se non si è all’oculare, sensazione che il rifrattore acromatcio (ricordiamolo), staccato solo di “mezza lunghezza” quanto a dettaglio, non è in grado di pareggiare in alcun modo.

I forti contrasti lunari, molto diversi dalle elusive nubi di Giove, rendono giustizia alla mole del newtoniano che riesce, finalmente, a far valere tutti i suoi centimetri di vetro. 

Devo però dire che il potere risolvente è lungi dall’essere sfruttato (come sovente affermo quando si tratta di strumenti di diametro considerevole) e la sensazione all’oculare può essere molto ingannevole a tal proposito.

Diaframmando infatti lo strumento a 20 cm. l’impatto luminoso diminuisce e la prima impressione è quella di vedere “di meno”. La compattezza impenetrabile del terreno sembra sgretolarsi e senza analizzare con attenzione l’immagine si potrebbe avere la certezza di aver perso dettaglio. Così, però, non è. I particolari alla portata dello strumento diaframmato sono esattamente i medesimi visti a piena apertura, solo un po’ meno luminosi. Ogni terrazzamento, ogni “sbuffetto” di polvere, catenella di craterini, rima, è al suo posto e nulla appare minimamente influenzato dalla riduzione di diametro utile. L’esperimento, che richiede un poco di tempo per essere svolto in modo esaustivo, è interessante e utile. Un newton diaframmato eccentricamente NON vale quanto un rifrattore di pari apertura ma non è questo il nocciolo della questione. Il punto è che, quando alcuni osservatori planetari esperti dicono che un superbo rifrattore da 20/22 cm. rappresenta, de facto, il maximum per l’alta risoluzione visuale non sono certi lontani dal vero. Piuttosto si potrebbe solo ribattere che, a una frazione del costo, si può avvicinare tanta perfezione con un semplice newton ben fatto e di grosso diametro a patto di accettare un notevolissimo “handicap” . Vediamo di cosa si tratta...

Il web riporta (gli autori sono sempre i soliti) mirabolanti osservazioni effettuate da luoghi paradisiaci con grandi dobson fatti in legno. Tali osservazioni sono e restano ecclatanti se indirizzate a oggetti del cielo profondo ma quando il target è un pianeta, se forse escludiamo Saturno (solo per via dei suoi contrasti), risulta francamente molto dubbia la oggettività di tali descrizioni.

Lo schema newton è, di fatto, il più semplice da progettare e, al contempo, uno dei più difficili da realizzare, soprattutto quando i rapporti focali sono molto spinti come generalmente avviene in configurazione dobson (pensata per rendere portatile uno strumento di diametro generoso).

Al di la delle ovvie difficoltà insite nel portare una struttura smontabile a performare al meglio lontano da un attrezzato laboratorio, resta la scarsa propensione di fondo che una tale struttura ha nel gestire un tipo di osservazione come quello in alta risoluzione che, per sua natura, necessita di calma e assenza di vibrazioni.

Un newton aperto a f4 o simile ha un campo corretto molto limitato (anche ad alto ingrandimento) e l’immagine di un pianeta, nell’attraversare il campo inquadrato da un oculare, passa da un livello di definizione basso a uno più alto (al centro) a uno nuovamente basso (al bordo). La movimentazione manuale, anche in presenza di moti fluidi, è poi tutt’altro che adeguata. Se a questo aggiungiamo la difficoltà (perché anche di questo si parla) di tarare una torretta binoculare e ottenere un fuoco adeguato per entrambi gli occhi in queste condizioni si capisce come certe affermazioni passino agli occhi di osservatori esperti accompagnate da un benevolo sorriso.

Sono sicuro, in quanto fruitore da tanti anni di strumenti anche di generose dimensioni (il mio primo 16 pollici risale a 20 anni fa, quando tale diametro non era certo diffuso come oggi), che sia tutto possibile a questo mondo. Esiste la miracolosa amalgama di ingredienti che, contro ogni previsione, permette il raggiungimento (una tantum) di un risultato inaspettato, ma questa non è la regola.

Usare in alta risoluzione un grosso newton in configurazione dobsoniana è possibile. Eseguirci lavori utili e continuativi, invece, non lo è. Ritengo comunque di essere riuscito a trovare le condizioni di turbolenza adatte a offrire al newton le giuste possibilità per poter lavorare al meglio e il risultato sintesi di questa prova ne è testimone. 

Resta il fatto, insindacabile, che tali strumenti debbano essere impiegati per quanto sono progettualmente strutturati: l’osservazione del cielo profondo. Dedicherò una parte delle future notti estive a questo scopo, probabilmente dalla fortunata postazione osservativa a 1900 metri sulle Alpi Valdostane, dove il cielo è nero pece e l’aria tersa e generalmente poco umida.

Allora, abbandonate le frivole nubi dei pianeti esterni, ci si potrà addentrare nello spazio buio e profondo dove il nostro amico dobson avrà un altro (diversissimo) avversario: il binoscopio a rifrazione. Golia contro Davide in un test che ha senso solo per il divertimento di eseguirlo.

Le due immagini postate (non dell’autore) ritraggono in modo convincente quanto visibile all’oculare del grosso newton. Tanto è esaltante la capacità di cogliere dettagli finissimi sulla superficie lunare quanto è limitata la resa su Giove.

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