Notte tra il 7 e 8 Novembre 2015
Nella frenesia da prestazioni che è tipica di questo scorcio di secolo anche l’astronomia amatoriale vive un fermento travolgente di innovazioni, ansia competitiva, e voluttuosità edonistica.
Sembrando scomparse, se non nelle biblioteche di pochi amatori o nelle speculazioni collezioniste, le pubblicazioni cartacee di rilievo, surclassate dalla velocità di adeguamento tecnico che il diffondersi di internet ha imposto e impossibilitate ad essere integrate nella “interattività” che domina il nostro anelito storico.
Se però, supportati da una cultura di base che abbracci conoscenza scientifica e amore per le materie umaniste, ci rivolgiamo pacatamente alla vicina storia passata potremmo ammorbidire la frenesia che ci segna in plaghe di letteratura di compagnia, un tempo pubblicazioni di riferimento, oggi pagine fautrici di un revival storico nostalgico di profonda portata.
Tra i molti testi capaci di una simile spirale temporale, LE STELLE e Le Curiosità del Cielo, scritto da Camille Flammarion ed edito da Sonzogno nel 1904 è quello che forse più di tutti si adatta ad essere guida turistica alle principali meraviglie del cielo.
Se si desidera sperimentare un approccio simile a quello dell’astronomo di Montigny nel suo libro più famoso è necessario operare sotto un ottimo cielo, usare uno strumento comparabile a quelli da lui impiegati, e accertarsi di non essere raggiungibili dallo squillo molesto di un moderno telefono cellulare.
Per cercare di essere coerente ho dedicato a questa passeggiata tra le stelle un fine settimana (due notti) di fine ottobre, freddo e lontano dal periodo di plenilunio. La mia postazione alpina, posta a 1800 metri di altitudine, gode di cieli profondamente bui grazie alla mancanza di centri illuminati vicini e alla particolare conformazione della valle nel punto di osservazione.
Mio compagno, oltre al libro rosso di Camille, è stato un bellissimo rifrattore da 76 millimetri di apertura e 1250 di focale dotato di accessori tassativamente da 0,965 pollici (per avvicinarsi il più possibile alle condizioni strumentali osservative del Flammarion) e una ultra moderna montatura computerizzata. Ho trascorso oltre 15 anni a gingillarmi con lo “star hoping”, ho pagato il mio pegno all’astronomia da “uomini veri” in mille occasioni privo di sistemi di inseguimento elettrico, ho usato quasi sempre cartine stellari cartacee, inumidite, spiegazzate, alla fioca luce di una lampadina tascabile.
Ho dato… e quindi mi sono concesso una certa libertà di movimento nello scegliere lo stativo all’Antares da 3 pollici anni ’70.
Questa immagine, oltre a ritrarre mia moglie e il testo oggetto dell’articolo, mostra il primo strumento che avevo pensato di usare: un Revue 60/910. Dopo la prima notte osservativa
ho però valutato, per essere il più possibile aderente al testo, l’impiego di un rifrattore un pochino più grande scegliendo poi il 76/1250 Antares.
Quando il buio scende e le prime stelle si accendono in cielo staziono con calma la montatura ottenendo un allineamento molto preciso nonostante il metodo manuale “old style” usato.
Ho tempo per giocare con i bambini, godere dell’ultimo caffè, e sfogliare lentamente alcuni passi del libro che sarà mio unico compagno per tutta la lunga notte. E’ una attesa dolce, non ho fretta, e quando esco al cospetto della volta stellata lo spettacolo a cui gli occhi richiedono qualche minuto di adattamento è stupefacente.
In cuore mio so di assistere ad una notte di rara trasparenza e oscurità…
M57 appare come un anello di fumo in un campo ricco i stelle finissime.
E’ piccola all’oculare HA da 40mm (che permette circa 32 ingrandimenti) e diventa bella e densa con il Kellner da 20mm. Ma è salendo con gli ingrandimenti che la sua sagoma diviene lattiginosa, asimmetrica e non scevra di dettagli.
Metto a fuoco con l’oculare HM da 12,5 millimetri (sono 100 ingrandimenti giusti giusti) e l’anello di fumo diventa non uniforme nel suo spessore e neppure nella sua densità. Il foro centrale è leggermente più luminoso del cielo di sfondo e alcune stelline debolissime si proiettano appena a ridosso della nebulosa.
E’ l’ingrandimento ideale e non serve visione distolta per apprezzare molti dei dettagli mostrati. Mi sento proiettato in un tunnel temporale e l’uso degli oculari da 0,965” è incredibilmente valido tanto che non sento il bisogno dei larghi campi concessi dai prodotti moderni. La puntiformità stellare è ineccepibile, sembra di vedere punti privi di dimensioni, perfetti fino a bordo campo mentre l’immagine della nebulosa attira e seduce come l’anello del potere forgiato da Sauron in persona.
Il sistema di puntamento automatico appare quantomeno straniante vicino alle gialle pagine dell’opera di Camille ma rende tutto molto semplice e comodo.
Basta un attimo, e con la pressione di qualche pulsante si può essere proiettati verso la fantasmatica Campana Muta, la Dumb-bell Nebula segnata al numero 27 del catalogo di Messier. Mi muovo con l'ocurale HM da 12,5mm. (per il non modesto potere di 100 ingrandimenti) e la nebulosa viene portata perfettamente al centro del ristretto campo visivo.
E’ grande e delicata e quasi diafana benché riesca ancora a distendersi nella sua forma a doppio ventaglio con una leggera nebulosità di fondo a forma di mandorla.
Scendo con gli ingrandimenti e ai 62x offerti dal kellner 20mm. la sagoma fumosa appare leggera e bellissima. La sua forma tradizionale emerge chiaramente con alcune striature e rinforzi sui bordi dei ventagli ma appare anche la più debole nebulosità circostante attraverso la quale fanno capolino stelline sottili di campo. Non c’è nessuno con me, se non lo spirito del Flammarion, ed è un peccato perché molti astrofili farebbero fatica a credere ai loro occhi sapendo che l’obiettivo con cui osservano non arriva a 8 centimetri di diametro. Il cielo è così profondo e nero da fare paura e quanto appare all’oculare è una distesa di stelle lontane e vicine, delicate come zucchero a velo e contorno meraviglioso agli oggetti più cospicui del cielo profondo.
Sicuramente Camille usava, tra gli altri, anche un rifrattore da 3 pollici ma non credo che la qualità delle ottiche a sua disposizione fosse pari a quella dell’Antares, e non sono neppure certo che godesse di un cielo nero e terso come quello da cui osservo in occasione di questa “passeggiata tra le stelle”. E non credo quindi che godesse di una visione tanto bella di M27 con il suo 75 millimetri. Mi basta guardare il disegno n° 142 sulla sua opera per pensarlo, meno dettagliato e plastico rispetto a quanto appare oggi a me.
Quanti astrofili moderni cercano tali emozioni? Quanti accettano la sfida mentale di usare un piccolo rifrattore sotto cieli bui per osservare il cielo profondo? Temo pochi… Un peccato considerando quanta gioia sa offrire.
Seguendo l’istinto del momento mi sposto nella piccola costellazione della Freccia, mia antica conoscenza di quando mi occupavo di ricerca di nove galattiche. Nostalgici ricordi affiorano alla mente, disteso sulla sdraio con il binocolo Zeiss 8x30 e una cartina segnata da tanti appunti sulle ginocchia.
Il globulare M71 non può apparire eclatante in uno strumento da 7 centimetri e mezzo ma incredibilmente le condizioni del cielo lo mostrano per ciò che realmente è: un ammasso di centinaia di stelle di cui se ne intravedono una decina su una sagoma ben riconoscibile e moderatamente allungata a formare una cuspide in un contesto stellare ricco e denso.
Il mio amato oculare HA da 40 millimetri, accreditato di un campo claustrofobico e quindi affascinante proprio perché riporta agli anni che lo hanno generato lascia il posto al kellner da 20 millimetri che permette alla natura globulare dell’oggetto di emergere.
E’ delizioso apprezzare la differenza di luminosità tra le stelle di campo, nette e brillanti, e quella flebile delle pur più luminose ma distantissime componenti dell’ammasso. Serve quiete e una osservazione volta all’indagine lenta e attenta, lontana dalla visione più immediata concessa da un catadiottrico da 20 cm. moderno.
E poiché il cielo è ricco di nebulose e galassie ma soprattutto di stelle, prima che la fulgida Vega volga al tramonto oltre il crinale altissimo della montagna verso ovest le concedo una visita più lunga di quella necessaria all’allineamento multistellare del telescopio e indugio sulla sua fittizia compagna di nona magnitudine. Il cielo è attraversato dalla sua luce bianca e la compagna visuale emerge bene dal fondo cielo nero. E’ quasi un peccato sapere che le due stelle non sono legate fisicamente ma vagano in modo proprio nell’universo a noi vicino e sembra quasi sufficiente allungare le dita della mano per catturarle e avvicinarle, delicatamente.
Leggere l’opera di Camille significa avere la pazienza di leggere le sue pagine, sovente dedicate alla variazione di luminosità degli astri nel corso dei precedenti due o tre secoli, al buio, magari con una sola flebile luce per non perdere la sensibilità al buio. Per quanto mi sforzi di limitare l’illuminazione quando volgo nuovamente lo sguardo al cielo devo attendere un paio di minuti affinché il velluto della volta notturna si schiarisca e si riempia completamente del sentiero della Via Lattea e immagino cosa dovesse essere, più di un secolo fa, usare lampade a olio o le prime lampadine a incandescenza schermate con teli o pitture.
A est le costellazioni di Cassiopea e del Perseo cominciano ad essere ben visibili e Pegaso attraversa il meridiano celeste.
La Grande Galassia di Andromeda segna il cielo ad occhio nudo e non richiede neppure tanta attenzione per essere colta. Ho voglia di guardarla con il mio 3 pollici ma riesco a resistere per il tempo di una cena e di un buon bicchiere di vino (Camille permettendo).
Quando torno a riveder le stelle il cielo è, se possibile, ancora più profondo di prima e il gelo pungente e ruvido. Le costellazioni centrali della prima notte offrono buona viabilità con Andromeda e Cassiopea ben alte.
La BLU SNOWBALL appare molto più luminosa di quanto non immaginassi potesse essere attraverso soli 3 pollici di apertura. La inquadro direttamente con l’oculare Huygens modificato da 100 ingrandimenti e la nebulosa appare compatta (con le bordure lievemente sfrangiate) e di un colore bianco azzurro ben definito. All’ingrandimento di 62x (oculare Kellner da 20 mm.) il contrasto con le stelle di campo è molto forte sia per dimensioni che per colore e la nebulosa, un gomitolino di lana con i contorni sfuocati, appare davvero intensa.
La 7331 si mostra a 62x ben elongata e con un bulge visibile. La visione distolta lascia apprezzare un po’ di alone maggiore che tende a ridursi in visione diretta.
Il desiderio di volgere a est la mia attenzione è però invincibile e così mi concedo un giro turistico tra le stelle delle Pleiadi, luminosissime nel cielo. Il campo reale permesso dagli oculari con barilotto da 0.965” è ridotto e non può contenere tutto l’ammasso che però sciorina le sue gemme luccicanti e qualche doppia interessante.
Ma è M31 che, la Grande galassia in Andromeda, che sorprende oltre misura il mio occhio desideroso di meraviglie. La galassia tende sovente a deludere l’osservatore benché sia sicuramente molto luminosa. dietro al lungo e sottile tubo bianco ho però meraviglia dell’immagine restituita. Non solo appaiono bellissime le due galassiette satellite ma anche tutta la grande galassia appare leggibile nella sua morfologia principale con un grande bolge centrale luminoso che degrada lentamente e disegna un accenno di banda oscura lungo l’asse longitudinale della sagoma lattiginosa. Non ho la possibilità di accedere alle regioni esterne granulari alla portata di grandi strumenti ma l’animo è intimamente soddisfatto.
Nel cuore del Perseo è racchiuso un piccolo gioiello di ammasso aperto, conosciuto con il nome di M34 e facilmente alla portata di qualsiasi strumento ottico. Si tratta di un ammasso poco concentrato con stelle generalmente luminose e ben spaziate. Indugio alcuni minuti nella sua contemplazione e ne approfitto per alcune considerazioni riguardo il campo concesso dagli oculari AH-40 e K20. Nonostante una differenza notevole di ingrandimento (31x il 40mm. e 62x il 20mm.) il campo reale fornito è quasi identico con un lieve margine a favore dell’oculare a focale maggiore.
NGC 884 e 869 appaino maestosi, ricchi e molto belli in qualsiasi strumento. Quando poi li si raggiunge dopo una lunga peregrinazione nelle plaghe ricche di stelle del Perseo e della Via Lattea invernale acquistano il sapore di veri scrigni di piccole brillanti gemme.
Tra i due ho sempre preferii il 869 per la sua zona centrale ricca di catenelle di finissime stelle colorate. All’oculare dell’Antares lo spettacolo è assicurato e non posso che trovare in un cielo realmente molto scuro scenario ottimale per le osservazioni.
Camille descrive così l’ammasso che all’oculare mi appare ricco di colori, anche se tenui, in un caleidoscopico guazzabuglio di stelline...
L’alzata dell’Auriga offre altre belle visioni dei suoi tre principali ammassi aperti tra cui, come sempre, M37 assurge al ruolo di maggiore con un fascino tutto dovuto alla miriade di stelline che lo compongono. Benché i suoi cugini vicini facciano bella mostra di loro all’oculare da 20mm. è proprio M37 che lascia senza parole e si farebbe osservare a lungo indugiando alla ricerca di catenelle e allineamenti fortuiti tra le sue fini stelle.
Nella sua articolata descrizione il Flammarion ne parla in questo modo:
Mentre il rifrattore indugia tra i confini dell’Auriga alzo lo sguardo allo zenit e incontro nuovamente la regina Etiope Cassiopea, così alta nel cielo da invitarmi al ricco e delicato ammasso cui Charles Messier dedicò il numero 52 del suo famoso catalogo.
Va detto che M52 richiede, per essere davvero apprezzato, strumenti di diametro medio e focali piuttosto corte. Un newton da 30 cm. operante a circa 45 ingrandimenti con un campo di oltre un grado offre dell’ammasso una visione realmente spettacolare ma anche il nostro piccolo 76 millimetri, con i suoi oculari microscopici, è riuscito a disegnarmi un sorriso sulle labbra. Benché molte delle stelline apparissero deboli l’intera sagoma dell’ammasso era un puntaspilli di delicate lucine lontane.
Quando scendo verso est scivolo sulla via segnata dalle corna del Toro e incontro la bella planetaria M1. La nebulosa, che ha la forma netta delle immagini fotografiche, non mostra ovviamente le nervature a cui i CCD ci hanno abituato ma appare molto densa, luminosa, e anche frastagliata nei suoi confini. E’ possibile osservarla con profitto anche al potere di 100 ingrandimenti senza che divenga eccessivamente evanescente o diafana.
Meissa ha superato da un po’ i crinali delle montagne della vallata e i tre guardiani della cintura di Orione risplendono fulgidi quando la regione della Spada diviene visibile.
Il complesso nebulare conosciuto come M42 e M43 si mostra al telescopio con una maestosità tale da lasciare incantati. Le volute gassose, di colore grigio, appaiono non solo incredibilmente ampie ma soprattutto ricche di indentature, anse, chiaroscuri e lievi rinforzi. La nebulosa è molto ampia e le sue ali ricurve si disegnano con contrasto elevato sul fondo scuro del cielo mentre le stelle del trapezio scintillano brillanti. Utilizzo gli oculari AH-40, K-20 e HM-12,5 per indagare i baffi nebulosi e l’interno del trapezio e poi cerco la componente E che sarebbe alla portata dello strumento sotto un simile cielo se però la nebulosa fosse un po’ più alta sull’orizzonte.
Rimando l’osservazione di circa 4 ore nell’attesa che sorgano anche i pianeti interni e la coppia Marte-Giove.
Quando, alle 4:30 del mattino, rimetto il naso sotto le stelle lo spettacolo che mi attende è tale da farmi dimenticare il telescopio. La volta stellata è mutata nel suo eterno peregrinare: Orione volge ai monti a Ovest e il Perseo si adagia quasi sulle cime degli alberi. L’Orsa maggiore domina il cielo, allo zenith o quasi il Cancro con il suo ammasso Alveare, immenso a occhio nudo, sovrasta le stelle del Leone.
Giove è già alto e sotto di lui, dietro le creste montane, si intravede la luce della Luna che sta per sorgere (uno spicchio meraviglioso che permetterà una visione telescopica da favola oltre che una congiunzione con gli altri pianeti emozionante).
Sfrutto il cielo ancora scurissimo per gli ultimi oggetti del cielo profondo e mi rivolgo inizialmente alla costellazione del Cane maggiore che appare in tutta la sua estensione. Non posso non cercare l’ammasso M46, ricchissimo, grande, e punteggiato di finissime stelle di discreta luminosità. Impiego solo qualche manciata di secondi ma la piccola nebulosa anulare che lo segna si lascia trovare. L’ingrandimento di 62x è già eccessivo per inquadrare tutto l’ammasso (che risulta bellissimo nel AH-40) ma è con il Huygens modificato da 100 x che colgo meglio la piccola planetaria. E’ una visione emozionante sia dietro che di fianco all’oculare.
Ho ancora qualche minuto per osservare la celebre coppia di Galassie tra le zampe dell’Orsa Maggiore e decido di rimandare i sentimentalismi. M81 e M82 appaiono molto più cospicue di quanto sia logico immaginarsi attraverso un 3 pollici. La più grande M81 brilla come un alone nuvoloso e allungato intorno a un bulge concentrato e luminoso. Non è possibile scorgere altri particolari e mi è ovviamente preclusa la visione dei suoi bracci. Molto particolareggiata si mostra invece lo spesso fuso di M82 denso e ricco di indentature, zone più oscure e l’accenno di nucleo luminoso. Passo in rassegna più volte gli oculari adatti all’osservazione tra i 31 e i 100x e la visione che raccolgo è sempre simile a quella delle vecchie fotografie in bianco e nero.
Dopo aver indugiato a sufficienza sulla bella M82 scivolo verso M108 ma la falce di Luna è oramai già sorta e benché visibile la galassia non offre molto di sé.
Mentre attendo che l’altezza degli astri attorno alla Luna cresca (Giove ma soprattutto Marte e il luminosissimo Venere) colgo l’ultimo ammasso di cui leggo sovente la bella descrizione riportata ne “LE STELLE”. Ai piedi dei Dioscuri brilla cospicuo, visibile già distintamente nel piccolo cercatore, il bellissimo M35.
Osservarlo è sempre gratificante, soprattutto con strumenti a focale non eccessiva, ma richiede un minimo di pazienza lasciare che emergano, con il 3 pollici vintage in mio possesso, le debolissime stelline che punteggiano le anse buie interne alla sua sagoma. Quando l’occhio è pago della visione e dopo aver giocato con gli ingrandimenti permetto che NGC 2158 entri nel campo visivo. La prima sensazione che l’ammasso offre è quella di una “nebulosa senza stelle”, descrizione cara a Charles Messier e perfettamente adatta alla visione che si ha a poco più di trenta ingrandimenti (AH-40). Con il kellner da 20mm. comincia a insinuarsi nella mente il dubbio che l’oggetto abbia altra composizione e a 100x diventa quasi certa la sua natura sellare emergendo alcune debolissime tracce di astri nella diafana figura.
Dopo aver indugiato a sufficienza sulla bella M82 scivolo verso M108 ma la falce di Luna è oramai già sorta e benché visibile la galassia non offre molto di sé.
Mentre attendo che l’altezza degli astri attorno alla Luna cresca (Giove ma soprattutto Marte e il luminosissimo Venere) colgo l’ultimo ammasso di cui leggo sovente la bella descrizione riportata ne “LE STELLE”. Ai piedi dei Dioscuri brilla cospicuo, visibile già distintamente nel piccolo cercatore, il bellissimo M35.
Osservarlo è sempre gratificante, soprattutto con strumenti a focale non eccessiva, ma richiede un minimo di pazienza lasciare che emergano, con il 3 pollici vintage in mio possesso, le debolissime stelline che punteggiano le anse buie interne alla sua sagoma. Quando l’occhio è pago della visione e dopo aver giocato con gli ingrandimenti permetto che NGC 2158 entri nel campo visivo. La prima sensazione che l’ammasso offre è quella di una “nebulosa senza stelle”, descrizione cara a Charles Messier e perfettamente adatta alla visione che si ha a poco più di trenta ingrandimenti (AH-40). Con il kellner da 20mm. comincia a insinuarsi nella mente il dubbio che l’oggetto abbia altra composizione e a 100x diventa quasi certa la sua natura sellare emergendo alcune debolissime tracce di astri nella diafana figura.
Indugio ancora a lungo osservando questa volta il manto celeste e a occhio nudo, comodamente posto su una sdraio. Il quadro che il cielo offre è incantevole, emozionante, indimenticabile e attendere le prime avvisaglie dell’alba un privilegio.
Grazie, Camille, per la tua compagnia…