Anno 2019
Sopra: pagina pubblicitaria della serie ED Vixen tratta da TENMON GUIDE del 1984
Nella mia esperienza, che proprio marginale non è, il Vixen ED80-S è uno dei migliori apocromatici visuali nei limiti degli 8 cm.
La focale lunga (720mm), che permette un rapporto di apertura di f9, e il diametro limitato unite alla scelta azzeccata dei vetri impiegati (di cui nessuno bene ha conoscenza certa, tranne i tecnici Vixen progettisti dell’epoca) ne fanno uno strumento capace di grandi soddisfazioni.
I puristi gli hanno sempre preferito la versione a f8 con lenti in fluorite naturale di cui decantano prestazioni fantascientifiche (del tutto ingiustificate nella pratica per chi come me lo ha provato) soprattutto per spingerne vendita e quotazioni sull’usato ma chiunque abbia onestamente usato un 80/720 ED f9 sa bene che più corretto di così, almeno in visuale, uno strumento non può essere. E se così anche fosse le differenze sono talmente risibili da risultare difficilmente valutabili.
Molti anni fa (credo almeno una ventina) ebbi la fortuna di possederne uno che poi vendetti (perché poi chissà) e che mi lasciò nella mente un tassello perpetuo.
Per mille ragioni di carattere pratico ho sempre rimandato l’acquisto di un altro esemplare, che è de facto più difficile da trovare rispetto al FL-80/640, ma alla fine ho ceduto ad una occasione d’asta d’oltreoceano (dalla parte del Sol Levante).
Lo strumento, completo di montatura Great Polaris, appariva in stato vissuto e non erano presenti immagini delle ottiche per cui l’acquisto è stato un vero azzardo, anche in considerazione dei prezzi non popolari e dei dazi di importazione e trasporto altissimi.
Quando è arrivato, il buon Vixen ha denunciato tutti i maltrattamenti subiti dal suo folle precedente proprietario, giapponese ignorante con pochissimo rispetto per quanto il suo stesso popolo ha saputo creare.
La montatura era inchiodata in ogni movimento ed è stato necessario smontarla interamente, comprese le corone e gli spessori compensatori, lavare il tutto, sgrassarlo e poi rimontarlo con i corretti accoppiamenti e lubrificanti.
A fine opera la GP storica pareva aver riacquistato un aspetto da “quasi nuovo” e la sua corretta funzionalità.
Ben peggiori erano, se mai fosse stato possibile, le condizioni del tubo ottico: focheggiatore bloccato, tubo ingiallito, chips ovunque, supporto rotto del cercatore, viteria da pulire o sostituire, adesivi sul paraluce scoloriti e irrecuperabili. In compenso l’ottica appariva accettabilmente pulita…
L’opera di restauro è stata lunga e ha portato alla rinascita del rifrattore che pur con una generale opacità della vernice esterna del tubo ora ha aspetto dignitoso.
E’ stato ovviamente smontato e lavato interamente e anche l’ottica, fortunatamente intonsa nelle superfici interne del doppietto, è stata oggetto una accurata pulizia e controlli.
Il piccolo apocromatico di casa Vixen è solo idealmente uno “small telescopie” misurando 70 cm. con fogheggiatore interamente retratto e dichiarando un peso alla bilancia di 2,75 kg completo di anelli, cercatore 6x30 e barra Vixen.
Lo strumento appare ben bilanciato il che gli permette di essere installato anche su montature leggere pur mantenendo un accettabile soppressione delle vibrazioni durante l’uso.
Del doppietto si sa quasi nulla e al semplice fatto che sia un Fraunhofer spaziato in aria non aggiungerò speculazioni figlie del “sentito dire”.
Nel complesso il tubo ottico è molto bello e quando viene installato su una classica Great Polaris con cavalletto in alluminio o meglio ancora in legno raggiunge il suo “top.
La prima luce e le successive notti osservative hanno beneficiato del supporto stabile di una montatura SW EQ6 PRO in postazione semi-fissa con un buon allineamento polare e la gestione del PEC appropriata.
Come accennato in introduzione il telescopio beneficia di ottiche di eccezionale qualità tanto che lo star test tradizionale, sia in luce bianca che in luce verde, esibisce una quasi ideale simmetria tra le figure di intra e di extra focale con un punto di fuoco precisissimo e privo di aberrazioni sia cromatiche che geometriche (assenti in toto sia aberrazione sferica che astigmatismo rilevabili).
Con queste premesse e in occasione di serate di buon seeing (non difficili da trovare dalla mia postazione che però soffre di una trasparenza di cielo bassissima) è facile immaginare che nessuno degli oculari a disposizione raggiunga il potere massimo supportato dall’ottica, quantomeno su soggetti stellari.
Anche il Takahashi LE da 2,8 mm (che genera sul Vixen ED80-S il buon potere di 257x) risulta troppo poco corto e si sente la necessità, osservando alcuni sistemi multipli, di disporre di poteri superiori.
Poiché dal mio cielo cittadino non risulta possibile altra osservazione se non quella di sistemi doppi, della Luna, e dei pianeti (anche in diurna), a questi mi sono dedicato.
Vi è un grande adagio che sovente cito e che recita, in libera interpretazione, così: “se un telescopio mostra bene le stelle doppie, allora lavorerà alla grande anche su Luna e pianeti. Non necessariamente è vero il contrario”.
Poiché mai sentenza è stata tanto corretta (Marte in realtà beneficia anche di altri fattori come la reale correzione nel rosso che molti ED cinesi da 80 mm hanno bassissima con conseguenti immagini sul pianeta rosso che certamente non "brillano") per personale passione è proprio dai sistemi multipli che sono partito.
Il Vixen ED80-S è giunto senza alcun problema a separare componenti al limite del suo potere risolutore di 1,5” mostrando stelle distinte e non interpolate, ed è andato oltre consentendo di notare l’allungamento (e quindi una chiara indicazione di duplicità) di sistemi anche al di sotto di tale valore.
E’ appassionante, rilassante, istruttivo e anche educativo disegnare la “doppie” standosene comodamente seduti al tavolino e spostando l’occhio dall’oculare al foglio, indipendentemente da quale sistema si stia osservando.
In una giornata di metà settembre ho puntato Venere alle 14:30 del pomeriggio in un cielo azzurro come i lapislazzuli e inondato dal caldo sole di autunno, con una turbolenza media non eccessiva.
Il secondo pianeta del sistema solare si è mostrato come un dischetto nitido e rotondeggiante, con una fase prossima alla totalità ma non scevro di una leggera ombreggiatura al terminatore.
Il potere di 145x offerto dal 5mm. Takahashi serie LE appariva troppo limitato e i 257x del 2,8mm un poco eccessivi per supportare l’agitazione atmosferica. Ho così cambiato il treno ottico scendendo ai barilotti da 0,965” dove avevo a disposizione due ortoscopici classici di ottima qualità come il Takahashi MC ORTHO 4mm. e il corrispettivo GOTO 4mm. OR.
A 180x Venere ha trovato il suo giusto compromesso tra luminosità, contrasto con il cielo azzurro, e scala di immagine offrendo tutto ciò che era possibile attendersi dalla visione.
Parimenti indicativa è stata la visione della Theta Aurigae, sistema sbilanciato in modo ideale per testare ottiche da 3/4 pollici in condizioni medie. La compagna, debole ma pulita e ben netta sul fondo cielo grigio della città si è fatta immediatamente vedere anche a ingrandimenti medi privilegiando l’immagine offerta dal 5mm. LE (poco più di 144x) ma emergendo bene anche a poteri inferiori come i quasi 100x garantiti dal 7,5mm. Takahashi.
In occasione di una delle serate dedicate ai primi test sullo strumento ho eseguito alcune prove atte a rivelare il massimo campo corretto in abbinamento ad oculari di varia estrazione e lunghezza focale.
Ho così scoperto quanto il nostro Vixen 80ED si trovi bene con i plossl da 2 pollici e lungo fuoco più che con alcuni molto più costosi oculari Takahashi come il LE da 30mm.
Comparando i risultati il plossl 56mm. offre un potere di 13x e un campo reale prossimo ai 4 gradi. Il Takahashi LE 30 genera 24 ingrandimenti e un campo di 2,1 gradi.
L’oculare Takahashi costa 220 euro, il plossl da 56mm e barilotto da 2 pollici poco meno della metà eppure il più classico plossl offre campo molto più corretto tanto che mentre ho stimato questi prossimo a 1,6° usando il Takahahsi LE, impiegando il 56mm ho potuto non notare degrado di immagine fin quasi a ridosso del field stop ammettendo quindi un campo corretto di almeno 3,5°.
Si tratta di un risultato sconcertante ma che, come sovente mi ritrovo a ripetere, non sempre l’oculare più costoso vince in ogni ambito applicativo.
Indipendentemente dal confronto emerge il dato entusiasmante sul campo corretto di questo F9 ED che permette di bighellonare a 13 ingrandimenti con ampiezza di campo inquadrato da binocolo e una puntiformità stellare eccellente. Non è da tutti e per trovare simili prestazioni dovrei scomodare alcuni Petzval americani famosi.
A questo proposito ho lungamente osservato l’ammasso M45 delle Pleiadi che, pur dal cielo inquinato di città, ha riempito parte del campo inquadrato del grosso oculare con la sua forma tipica, ricco di stelline puntiformi e immobili, a vari gradi di magnitudine, e con una ampia sensazione di tridimensionalità garantita dal campo inquadrato ampio.
Anche le più deboli e meno esaltanti Iadi, escludendo il fulgore aranciato di Aldebaran, si sono lasciate ammirare pur con qualche difficoltà dovuta alla loro intrinseca minore luminosità.
Ho spaziato dai campi del Perseo, con M34 e il doppio Ammasso, verso i tre gioielli dell’Auriga (M36, M37, M38) e mi sono anche concesso una osservazione con l’oculare zoom della Garnet Star nel Cefeo.
Volevo apprezzare la qualità di restituzione della sorgente rossa al variare dell’ingrandimento utilizzato e l’oculare zoom si è dimostrato il compendio più veloce.
La percezione dei colori è sempre molto variabile sia a causa della sensibilità propria di ogni osservatore alle lunghezze d’onda sia a causa delle condizioni di contorno osservative che comprendono il diametro dello strumento ma anche la qualità del cielo e l’ingrandimento usato.
Se quindi raggiungere la separazione certa di un sistema binario può essere un dato abbastanza universale e condivisibile, altrettanto non si può dire per la percezione delle cromie stellari.
Come da aspettative il migliore compromesso tra luminosità dell’oggetto e percezione della sua tonalità l’ho avuta ad ingrandimenti bassi o medio bassi. Impostato a 22 mm, l’oculare zoom offre poco più di 30 ingrandimenti che mettemmo in evidenza in modo netto il colore rosso/arancione della stella del Cefeo. Sfocando lievemente l’immagine la percezione del colore aumenta e diventa più facile osservare alcune differenze anche nelle altre stelle di campo. L’operazione, condotta per esperimento sotto un cielo migliore, offre maggiore differenza e saturazione.
La LUNA ha offerto il solito emozionante spettacolo che è capace di regalare con qualsiasi strumento la si osservi: grandi, piccoli, di alta o bassa qualità.
Per quanto il Vixen 80ED sia dotato di ottiche con lavorazione di alto livello e una correzione cromatica praticamente ottima, il suo diametro resta però limitato e questo influisce non poco sulle sue prestazioni massime nell’osservazione del nostro satellite che privilegia i diametri maggiori.
Non importa come siano realizzate le ottiche, ultimamente ho avuto modo di compiere molte osservazioni con strumenti da 8 cm. di varia natura e lunghezza focale e tutti hanno dato il medesimo responso, nei limiti della propria correzione cromatica ovviamente.
Se a poteri bassi e medi il dettaglio, pulizia di immagine e contrasto sono altissimi (fino a 70/80x circa l’immagine sempre “infinita”) man mano che si sale il potere risolutore mostra i suoi limiti. A poteri doppi (oltre i 140x) un 10 cm. otticamente meno qualitativo (penso al sempiterno Vixen 102M) offre più dettaglio e un banale 150/1200 acromatico cinese va anche oltre.
Ogni volta che osservo il nostro satellite con i piccoli e corretti rifrattori da 8 cm. mi vengono in mente gli annunci mirabolanti di alcuni venditori che propinano i 70/80 millimetri alla fluorite come strumenti magici capaci, a detta dei loro proprietari, di orizzonti fantascientifici… Baggianate contrarie alla fisica.
Con questo non voglio dire che non ci si possa divertire e che 8 cm. non siano adatti all’osservazione selenica. Le immagini sono pulite, ferme, piacevoli e ben leggibili, almeno fino a poteri non superiori ai 200x quando la luce comincia a venire un po’ meno. Chi però avesse come target osservativo principale il nostro satellite naturale farebbe meglio a rivolgersi a rifrattori di maggiore diametro (10 o 12 cm.) anche a costo di rinunciare magari alla perfetta correzione cromatica di questo e altri apocromatici da 80 millimetri.
E’ una questione di dettaglio, la differenza tra il vedere e il NON vedere una rima al limite o un piccolo craterino. Quanto all’oculare disponibile è oltre il disegno di chiunque, è vero, ma se si desidera “scavare in profondità” serve più diametro e attendere serate adeguate.
Generalmente l’immagine del Vixen 80ED è più “bella” di quella fornita, sulla Luna, dal VMC200 sempre di casa Vixen ma se le condizioni di seeing sono adeguate il dettaglio che il 20 cm. raggiunge trasforma radicalmente il paesaggio lunare. I domi morbidi restituiti dal 80mm diventano rugosi e disseminati di microincrespature, i pendii di molti crateri perdono il loro grigio uniforme e pieno e acquisiscono scanalature, polveri di materiali di eiezione, a volte anche microcrateri finissimi.
Per correttezza introduttiva, il paragrafo qui presente è sintetico e molto schematico, va detto che quanto eseguito rappresenta il "minimo sindacale" ottenibile con l'ottica oggetto di utilizzo. Le condizioni di ripresa sono improbe (Milano, almeno dalla mia postazione immersa nel verde, nebbia e luce) si contraddistingue per un valore di Bortle che definisco 9+ (in quanto la magnitudine visuale limite nelle serate migliori non supera la 1,6). Nonostante questo, con qualche scampolo di tempo e voglia di provare, ho puntato il Vixen 80ED f9 verso alcuni oggetti famosi e facili e impiegato una camera molto scadente: la Minicam Mono 5s che ha un sensore ricolmente piccolo (quello della prima ASI 120) e un rumore di lettura e di fondo alto nonostante il raffreddamento. A questo si aggiunge ovviamente il limite del cielo e dell'ottica aperta a f9 e di soli 8 cm. di apertura (che magari sotto un cristallino cielo montano avrebbe reso molto di più). Quanto a seguire è però un invito a chiunque non possegga sensori di grande formato (o magari disponga di una semplice vecchia camera planetaria) a "tentare". Con pazienza superiore alla mia, integrazioni maggiori, e una post elaborazione degna di questo nome (quasi assente nel mio caso) qualcosa si può ottenere...
SOPRA: Test di "lucky imaging" sulla nebulosa planetaria M57 con una camera Minicam 5S QHY monocromatica dal cielo di Milano. Trasparenza prossima a "nulla", poche stelle visibili in cielo, somma di 400 pose da 3 secondi non guidate a f9. Vixen ED80-S. Elaborazione minima.
SOTTO: ingrandimento della parte centrale dell'immagine
SOPRA: Test di "lucky imaging" sull'ammasso globulare M71 con una camera Minicam 5S QHY monocromatica dal cielo di Milano. Trasparenza prossima a "nulla", poche stelle visibili in cielo, somma di un migliaio di pose da 3 secondi non guidate a f9. Vixen ED80-S. Elaborazione minima. SOTTO: la stessa immagine esaltata con maschere di contrasto. Per entrambe le immagini si segnala una messa a fuoco non ottimale.
SOTTO: dati come nelle immagini precedenti ma target il globulare M56
Avendo la possibilità di operare contemporaneamente sia con il Vixen 80ED che con un novello Skywatcher Evostar 72-ED è risultata spontanea l'idea di operare un confrontro tra i due, sia sul campo prettamente stellare, ia su quello planetario che nei mesi di marzo e aprile 2020 ha visto disponibile solamente il pianeta Venere.
Lo star test comparativo tra il rifrattore giapponese e quello cino-globalizzato ha messo in evidenza le differenze di fondo tra le ottiche che distinguono i due antagonisti.
Benché si fregino infatti dell'aggettivo "apocromatico" entrambi la loro resa sul contenimento dello spettro secondario appare molto diversa. Mentre il Vixen è realmente (almeno all'occhio umano) completamente privo di colori fuori fuoco, il Evostar 72ED mostra chiaramente alone bluastro intorno ai soggetti luminosi e anche una dominante intra ed extra focale che lo relega nell'ambito dei buoni "semi-apo". La sua correzione geometrica è convincente (anche se non al livello di quella Vixen) e le immagini che genera molto belle, comunque.
Diversa la resa del Vixen che appare de facto appartanere ad un altro livello ottico. Questo non necessariamente si traduce in una schiacciante superiorità nel suo utilizzo visuale ma giustifica la differenza notevole di costo tra i due strumenti (il Vixen è non più in produzione rimpiazzato dal nuovo modello "81" che gli è del tutto analogo a livello di "posizione di fascia di mercato" pur con una focale più corta): Evostar 72-ED prezzato a circa 370 euro con dotazione piuttosto completa, Vixen 81-S euro 1.000,00 circa.
Benché gli strumenti siano differenti per vocazione e progetto (Evostar è un 72mm con focale di 420mm - Vixen un 80mm con focale quasi doppia e pari a 720mm.) li ho confrontati osservando lungamente il pianeta Venere in condizioni di seeing realmente ottimali.
La differenza di resa è stata enorme e molto più marcata di quanto non mi aspettassi. Osservare con il 72-ED può indurre l'astrofilo proco esperto al pensiero di trovarsi di fronte ad uno strumento "perfetto". Venere è bello anche ad alto ingrandimento (circa 172x ottenuti con barlow) con un disco in fase del 47%-46% circa che presneta una bella indentatura delle cuspidi, un lembo netto, un terminatore ondulato e lievi distonalità sul globo illuminato.
C'è un certo alone bluastro intorno al pianeta ma l'immagine è bella, indubbiamente.
Quando si sposta l'occhio all'oculare da 4mm. installato sul Vixen 80/720 ED si capisce però che la perfezione ottica appartiente ad un piano superiore. L'immagine cessa di essere gialla (e ci si accorge in quel momento che nell'Evostar la dominante giallina colora in modo significativo il pianeta) e diventa bianca, l'alone bliastro scompare all'istante e quello che sembrava rasor-sharp nello Skywatcher lo diventa qui davvero...
I 180x del 4mm. Vixen LV sono pochi. Con una ardita manovra inserisco una barlow Ultima 2x e salgo a 360 e il pianeta è ancora quasi perfetto. Dico "quasi" perché il valore di incisione dell'immagine a 360x sul Vixen è pari a quello ottenuto a 172x sul Evostar 72ED con la differenza che sul Vixen siamo ancora in ambito di immagine "color free" anche al potere doppio. Olter a questo e alla differente possibilità di usare a piacimento gli ingrandimenti, il pianeta nel Vixen mostra con certezza alcune zone tenui di albedo, dettaglio non alla portata del Evostar.
Nell'immagine sopra: Il Vixen 80/720 ED e lo Skywatcher Evostar 72-ED installati
su una Vixen Sphinx SXW osservano il pianeta Venere in pieno giorno.
Lo skywatcher Evostar 72-ED mi piace e lo trovo ideale come strumento guida o come grab and go per lo zaino in montagna. Funziona meravigliosamente anche come struemnto fotografico a patto di impiegarlo con sensori di piccola taglia per non incorrere in distorsioni di campo. Se però si vuole guardare attraverso 8 cm. apocromatici di alto livello il Vixen ha una marcia in più.
Meccanica di buon livello, estetica raffinata, costruzione solida, lenti ED con correzione cromatica molto spinta e assenza di aberrazioni geometriche rilevabili (notevole l’esito dello star test a tale proposito), rapporto focale a F9, fanno del Vixen ED-80S un telescopio perfetto.
Un po’ piccolo di diametro, è vero, così come è facile affermare che il fratello maggiore, il ED-102S, sia globalmente più performante. Al tempo stesso va però detto che il 4 pollici risulta molto più grande (quasi il doppio) sia a livello visivo che di peso e questo lo obbliga ad una gestione meno friendly su montature equatoriali di classe superiore (assolutamente indispensabili EQ6, Losmandy G11 o GM8 al limite, solo per citare le più conosciute e diffuse) o a qualche altazimutale costosa (dalla AZ PRO in su).
Il 80mm è invece “perfetto”. Impossibile trovare difetti nella sua capacità di mettere a fuoco gli oggetti o mancanze nella qualità del suo obiettivo. Tra 8 e 10 cm. il salto si nota un po’ ma non è abissale. Il potere risolutore migliora di poco meno di 3/10 di arcosecondo, il guadagno luminoso appare più significativo (0,5 magnitudini) ma questo non trasforma gli oggetti del cielo profondo in modo significativo…
Indubbio il fatto che, come telescopio unico, il Vixen 80 possa andare un poco stretto: in questo caso meglio indirizzarsi sulla versione da 10 cm. o su apocromatici di pari diametro. Se però si vuole un secondo telescopio senza compromessi ci si può accostare al F9 Vixen che ha molte più frecce nel suo arco rispetto ai banali 80 ED cinesi che infestano il mercato (indipendentemente dal numero di lenti che forma il loro obiettivo).
Per chi cercasse una versione più votata all’astrofotografia (per rapporto focale) può indirizzarsi sul ED-102SS con focale nativa a f6.5 oppure al successivo ED-114SS con disegno pseudo-petzval quando in uso con il suo correttore/riduttore.
P.S: mi piacerebbe molto avere anche il 102S (sempre a f9) ma quelli proposti sul nostro mercato sono affetti dalla febbre del guadagno smodato e offerti a prezzi tali da rimanere invenduti. Oggi con 600 euro si compra un apocromatico ED a f11 da 10 cm. con intubazione ottima e focheggiatore a due velocità e passo da 2 pollici. Forse gli “affaristi” dovrebbero rendersene conto e comprendere che se il valore di un ED80S può essere di circa 400/450 euro al massimo e quello di un 102S non può in alcun modo superare i 550 euro.