VIXEN SP-140SS (Comet Catcher Celestron)

Anno 2017

INTRODUZIONE E ACQUISTO

Non c’è alcuna spiegazione logica né utilitaristica nella “voglia” ma la semplice accettazione che questa esista e che vada, in qualche modo, assecondata (almeno entro limiti di tollerabilità).

Il desiderio è quello di un Comet Catcher Celestron, o meglio di un Vixen SP-140SS (perché questa era la sigla originale dato che Celestron si è semplicemente limitata ad applicare il suo adesivo sul tubo ottico giapponese).

In effetti alcune limitate variazioni sono anche percepibili nel corso degli anni, principalmente il supporto del secondario a singolo o doppio disco e un cambio di colore (da arancione a nero) nelle ultime produzioni.

Desideravo quello arancione a doppio disco però! Motivo? Mi piace di più esteticamente...

Il 140SS ha un fascino tutto suo: se ne sono lette di cotte e di crude e chi lo ha avuto lo ha anche amato e/o odiato a seconda che fosse più o meno capace di usarlo, collimarlo, anche nei limiti strutturali di una scelta forse errata di abbinare parti ottiche nate per altro strumenti (ad esempio una lastra correttrice adatta più ad un primario a F1,9/2 che non ad uno aperto a F3,6). Ma queste sono particolarità che rendono interessante il telescopio, almeno ai miei occhi. Sono riuscito a trovarne uno, in Giappone, non certo in stato di conservazione rimarchevole ma almeno completo (e nemmeno economico se vogliamo proprio dirla tutta!).

Prodotto nei primissimi anni ’80 del secolo scorso (la presentazione credo risalga al 1981), Il Comet Catcher aveva come target pubblicitario l’imminente ritorno della cometa di Halley (il cui nucleo vidi da ragazzo, avevo 13 anni, attraverso un telescopio al planetario di Milano in occasione di una serata pubblica alla quale i miei genitori mi accompagnarono data la passione  indomabile dimostrata per l’altra metà del paesaggio.

Nella mire Vixen e Celestron (a cui si deve il nome con cui è conosciuto) si trovavano quegli astrofili desiderosi di uno strumento a largo campo, specializzato e con velleità fotografiche di prim’ordine. Lo strumento era piuttosto caro (cifre intorno al milione e mezzo di lire) e benché strizzasse l’occhio anche ai neofiti per la sua facilità di utilizzo su grossi cavalletti fotografici, era sicuramente un telescopio votato ad un pubblico raffinato alla ricerca di un secondo strumento fotografico di qualità e che potesse essere, diversamente dalle camere Schmidt, usato anche per applicazioni visuali.

In Italia non ebbe gran successo ma negli States ne furono venduti un buon numero e anche ovviamente nel mercato interno Giapponese.

Si tratta di uno schmidt-newton con primario sferico a focale spinta (f3,6 circa) e una lastra correttrice posta davanti al secondario e derivata dalle camere Schmidt dell’epoca.

Meccanica e ottiche erano Vixen, mutuate dai modelli da 130 e 150 mm. a fuoco newton classico con un singolo braccio di supporto per la cella del secondario che traslava longitudinalmente insieme al caratteristico focheggiatore a “cassetto” con alloggiamento per oculari da 31,8 millimetri.

Nella versione più commercializzata il tubo aveva un aggancio per testa micrometrica fotografica ma la versione originale (SP-140SS) nasceva per essere alloggiata sulla montatura Super Polaris Vixen ed era quindi completo sia di cercatore 6x30 che di doppio anello in verde Vixen e piastra ad analogo passo.

A parte la versione in livrea nera offerta nell’ultimo periodo di commercializzazione, di questo strumento esistono due versioni che differiscono, almeno per quanto ne so, principalmente per il tipo di supporto del secondario. Singolo o doppio disco. Motivo di questa differenza non lo conosco (forse semplicemente la disponibilità di questo o quel tipo di supporto nel corso degli anni per uniformarsi al resto della produzione).

Tra le mani, comunque, mi è capitata la versione SP-140SS (con anelli, slitta e cercatore) a “doppio disco”.

Nelle immagini sopra le versioni a “disco singolo”, “doppio disco”, e in livrea “nera”.

Foto prese dal web - non dell'autore.

Altra differenza che suggerisce l’utilizzo di economie di scala con il resto della produzione Vixen risiede nella ghiera di fermo della lastra di Schmidt anteriore. la versione “a singolo disco” propone una classico anello filettato mentre quella a “doppio disco” prevede un carter tenuto in sede da tre viti spaziate a 120°. Quest’ultima soluzione è la mia preferita poiché risulta non solo più semplice l’operazione di rimozione e fissaggio ma perché evita una frizione asimmetrica sulla lastra di Schmidt che sovente introduce problemi di tensionamento.

Nelle immagini sottostanti il primo (credo) manuale/brochure Celestron dello strumento.

Sopra le immagini delle pagine del manuale Celestron dei primissimi anni ’80 riferito al

Comet Catcher di produzione Vixen.

Gli ’80 erano gli anni in cui il primato Celestron tra gli strumenti amatoriali a larga diffusione veniva insidiato e poi acquisito dalla Meade americana.

Fu una battaglia a colpi di pubblicità, manuali in carta patinata (imbattibili quelli Meade obiettivamente), elettronica e trattamenti antiriflesso con sigle accattivanti.

Alla Meade non rimasero a guardare e in pochissimo tempo proposero la loro alternativa al duo Celestron Vixen che si chiamava COMET TRACKER con una fantasia che fa sorridere...

Stando ai gusti del mio amico Francesco Romano il Comet Tracker era forse più bello, esteticamente parlando, del suo competitor. Blu Meade, con un focheggiatore a pignone e cremagliera tradizionale, la possibilità (meno male!) di collimare il secondario senza dover smontare la lastra di Schmidt, e una apertura maggiore (153mm. contro i 140 del Celestron).

Nonostante tutto però il suo successo commerciale fu limitatissimo. Il focheggiatore non aiutava (era inusabile o quasi per gli standard odierni) ma forse il vero limite fu quello di essere stato “il secondo”, un ripiego o quasi. Peccato perché i Comet Tracker sono belli (e ne cercherò uno forse per il piacere di averlo...chissà!).

Sopra e sotto due immagini prese dal web (non dell’autore) di un Comet Tracker Meade.

Ben visibili le differenze progettuali con il modello Celestron.

CONDIZIONI DELLO STRUMENTO

Nonostante il prezzo di acquisto non proprio “cheap” e le condizioni dello strumento rilevabili dalle fotografie allegate all’annuncio mi sono lasciato tentare e ho comprato il telescopio.

Riporto, a memoria, le immagini di come pubblicizzato lo strumento: lastra di Schmidt in vari punti ammuffita, graffi e chip un po’ ovunque sul tubo esterno, imperfezioni varie. Mi sono augurato, all’atto del pagamento, che i difetti potessero essere sistemabili, sia dal punto di vista ottico/meccanico che estetico.

RESTAURO

Sopra: culatta dello strumento (versione “piatta”) prima dello smontaggio con segnata

la posizione reciproca di tubo e culatta. Sotto: vista frontale della lastra di Schmidt

con varie zone di sporcizia e muffa.

In basso: lastra di Schmidt dopo le operazioni di pulizia e sanificazione.

Nella immagine sopra e sotto sono mostrate le condizioni in cui versava lo specchio primario al suo arrivo. La sua pulizia ha richiesto qualche attenzione ma il risultato finale è stato più che buono mantenendo solamente un paio di punti in cui l'alluminatura è rimasta intaccata (il problema, limitatissimo, non ha ovviamente alcun effetto sulla resa dello strumento).

Sotto immagine dello specchio secondario (poi accuratamente ripulito!) e della ghiera di ritenzione della lastra di Schmidt.

Sotto: lo strumento privo di lastra correttrice e preparato per la collimazione degli specchi.

COLLIMAZIONE E STAR TEST E PRIME LUCI

Si è trattato, devo ammetterlo, di un mezzo “calvario”. Lo strumento va necessariamente collimato privo della lastra di Schmidt con una sferica risultante abnorme dovuta allo specchio primario sferico aperto a f3,6. Il problema, almeno in asse, risulta però superabile in fase di collimazione anche se le immagini di intra ed extra focale sono notevolmente diverse (mentre si normalizzano molto con l’inserimento della lastra correttrice).

Il problema fondamentale che ho dovuto risolvere era connesso alla corretta distanza tra primario e secondario che appariva sbagliata tagliando una fetta del cono di luce. Inoltre, il supporto monobraccio del secondario appariva installato in modo errato e non ortogonale e ad ulteriore inasprimento delle condizioni vi era anche la non corretta e asimmetrica spinta del riempimento interno al supporto del secondario che introduceva una certa instabilità nella sua posizione.

Ad appurare i citati problemi ho impiegato alcune sessioni formandomi un’esperienza interessante e passando attraverso una piccola odissea che mi avrebbe snervato se i piccoli passi di miglioramento che compivo procedendo non mi avessero dato la speranza di dipanare la matassa.

Una volta ottenuta una accettabile ortogonalità e allineamento di tutti i componenti (che ha richiesto anche lo spessoramento laterale di uno dei tre supporti dello specchio primario e una “aggiustatina" all’inclinazione del focheggiatore a slitta e alle sue viti laterali di spinta) ho potuto rimontare la lastra di Schmidt e cominciare la ricerca della sua corretta posizione di montaggio che NON era quella con cui il telescopio è giunto. Nota di colore, a testimonianza di come molti trent’anni e più fa si lavorava, la lastra di Schmidt (che alcuni indicano ingiustamente essere un “vetro da finestra”: non lo è affatto!) ha i bordi ben poco rifiniti e malamente molati.

Quando tutto mi è parso concorrere a formare l’immagine migliore ho potuto rimontare la ghiera di blocco e usare un poco lo strumento per osservare un paio di oggetti ed effettuare l’ennesimo star test (questa volta con lo strumento “a posto”, o quasi).

Le immagini in intra focale appaiono a questo punto di buon livello con una geometria corretta degli elementi e una corretta centratura degli assi ottici sia in intra che extra focale benché le immagini non siano identiche a testimonianza del residuo di sferica non totalmente corretto.

A fuoco si offre una stella ben delineata con il disco di Airy piuttosto netto e un paio di anelli di diffrazione un po’ confusi e con qualche “baffetto” debole debole che rendono non “da manuale” la focalizzazione benché ci si possa ritenere soddisfatti considerando la vocazione dello strumento e il fatto che lo star test sia stato operato a 100x con un oculare Takahashi LE da 5mm.

La prima prova cui ho sottoposto lo strumento è stata la valutazione del campo corretto che dipende, come già avevo avuto modo di leggere in alcuni forum dedicati, in parte dallo schema ottico dell’oculare usato. Con i plossl (anche di eccelsa qualità) a centro campo si lavora bene ma l’immagine degrada già a  partire da metà campo con oculari a lunga focale (sopra i 24 mm.) mentre risulta molto meglio corretta sotto i 12,5 mm.

Ideale sembra impiegare lo strumento con oculari come i TeleVue Nagler tipo IV o superiori che sembrano “sposarsi” bene con il Comet Catcher.

I 17 x offerti dal Takahashi LE 30mm per poco più di 2,5 gradi di campo reale sembrano comunque discretamente sfruttabili e valuto in quasi 2° il campo senza distorsioni fastidiose. Ho deciso però di rimandare a test montani più approfonditi questo aspetto e mi sono concentrato sull’impiego in “alta risoluzione”.

La logica progettuale dello strumento non ne fa ovviamente una lama affilata a ingrandimenti sostenuti e mi è parso di comprendere che non convenga spingersi oltre i 100x dati da oculari da 5mm. circa di focale.

A questo potere il campo appare interamente corretto e la focalizzazione ancora accettabile tanto che ho potuto godere di una osservazione piacevole della doppia Epsilon Lyrae che ha mostrato entrambe lo coppie separate, prive di astigmatismo e con quattro stelline circondate da un ben presente anello di diffrazione.

L’immagine, pur gradevole, risulta comunque meno contrastata rispetto a quella concessa da un buon acromatico da 8 cm. ma è comunque geometricamente corretta anche se, come vedremo in seguito, lo strumento aveva ancora margini di miglioramento nell’allineamento ottico.

UTILIZZO VISUALE IN ALTA MONTAGNA

Ho portato lo strumento in quota nella mia postazione alpina in Valle D’Aosta (nell’agosto 2017) da dove si gode di un cielo adatto alle caratteristiche del Comet Catcher. Nonostante i primi giorni di luna quasi piena ho avuto la possibilità di giocare con lo strumento e comprenderne le caratteristiche essenziali.

In prima nota va detto che ho provveduto ad una nuova collimazione globale del telescopio previo smontaggio completo delle sue parti e ottenuto quello che mi è sembrato un “optimum” con un lieve miglioramento rispetto al lavoro svolto a Milano.

Con queste premesse ho cominciato ad indagare alcuni oggetti celesti partendo dalla invadente Luna a cui mancavano due giorni alla totalità.

Con l’oculare Meade SWA 24,5 mm. (campo apparente di 68°) la visione del nostro satellite è impressionante per il campo celeste in cui è immersa, la possibilità di cogliere alcuni rilievi montani all’orizzonte e alcune stelle di campo sufficientemente luminose da vincere il lucore lunare.

Venti ingrandimenti e oltre 3,5 gradi di campo reale sono una situazione ideale per il rich field e anche la Luna ne trae enorme beneficio a livello estetico.

Il campo corretto effettivo è però più limitato così come facilmente percepibile spostando sia il lembo lunare che una stella campione verso il field stop dello strumento. Per calcolarlo in modo meno approssimativo ho impiegato lo zoom Orbinar 21,5-7,2mm. che, alla focale maggiore, offre circa 23x e 1,73° di campo. La correzione visuale sembra spingersi quasi fino a ridosso del diaframma di campo e la stimo conservativamente in circa 1,5°, un valore piuttosto lusinghiero.

Va detto che, essendo l’immagine stellare estremamente piccola e non influenzata dalle fluttuazioni del seeing, a ingrandimenti di 20x risulta sfruttabile una porzione più ampia che rende usabile l’oculare grandangolare Meade. 

Nella visione dei campi stellari ho infatti trovato poco fastidiosa la distorsione a bordo campo anche se ritengo che l’immagine ancora accettabile non si spinga oltre i 2,3/2,4 gradi circa.

Dopo l’analisi del campo pienamente sfruttabile mi sono abbandonato a bighellonare tra le plaghe del Cigno, della Lira, dell’Aquila, e di Ercole trovando precluse dalle nuvole le altre zone di cielo. 

Il grande campo e il basso ingrandimento hanno reso piacevoli e insolite osservazioni. La nebulosa M57 appariva infatti come un piccolo “bottone bucato” in mezzo ad un campo stellare fine e profondo, il grande ammasso globulare M13 offriva una immagine vagamente somigliante a quella di un grosso binocolo ma con un potere separatore accennato visibilmente superiore tanto che bastava inserire l’oculare zoom per salire di ingrandimento e vedere “esplodere” l’ammasso in una miriade di deboli e fini stelline.

Anche la ampia M27, con la sua forma a clessidra asimmetrica, appariva quasi piccola nel campo dell’oculare SWA.

Doppie “larghe” come Albireo e Sheliak sono incantevoli a questi bassi ingrandimenti con una saturazione di colore piuttosto evidente e anche un sistema solitamente poco esaltante come quello di Alcor-Mizar assurge a nuova bellezza con ingrandimenti così bassi e campo ampio.

A questo piacevolissimo modo di osservare (sembra di avere per le mani un super binocolo da 10/12 cm di diametro) fa da contraltare una scarsa propensione a sopportare alti ingrandimenti. Indipendentemente dalla corta focale nativa è sconsigliabile spingersi oltre i 100/120x anche se la focalizzazione non risulta malvagia, più che altro si perde un po’ di contrasto soprattutto sui soggetti planetari. Con Saturno, in questo periodo basso e affetto da notevole turbolenza atmosferica specialmente in ambito alpino, ho provato a impiegare un plossl da 4mm. per 120x finali. Nonostante riuscissi a trovare abbastanza facilmente il fuoco corretto la qualità dell’immagine risultava un poco “pastosa” con un contrasto appena nella media e una sensibilità notevole alla manopola del focheggiatore. Sono comunque riuscito a cogliere Titano e un accenno instabile della divisione di Cassini sulle anse degli anelli. Il disco planetario appariva piuttosto “giallo” e non credo di poter dire di aver evidenziato alcuna banda sul globo. Migliore e più incisa invece l’immagine a 83x offerta dal 6mm. con cui si coglie meglio il tenue “taglio” scuro della Cassini.

Per ulteriori prove ho dovuto attendere una notte con presenza meno invasiva della Luna che, circa cinque giorni dopo il plenilunio, mi ha concesso un paio di ore di bel cielo nero pulito per usare il Comet Catcher.

La mia prima esperienza con il telescopio “Celestron rimarchiato” è stata arditamente costellata di continui “smontare, rimontare, collimare” alla ricerca oltre che del migliore allineamento anche e soprattutto della approfondita conoscenza dello strumento  della logica progettuale che lo ha generato.

Per l’occasione ho voluto cercare il miglior compromesso tra ingrandimento e campo apparente che credo aver trovato con l’oculare SWA da 18 millimetri (serie 4000 Meade). Il potere di circa 28x e i 2,4 gradi di campo reale si sposano meglio con le caratteristiche del telescopio che ha meno spazio per mettere in evidenza la curvatura di campo che emerge a ingrandimenti inferiori.

In effetti la sensazione generale è quella di una maggiore correzione globale con un potere anche più indicato all’indagine di molti oggetti deep sky e che si differenziano dalla visione quasi binoculare dei 20x e 3,5 gradi di campo provata nei giorni precedenti.

Alternando il 18mm. con il 13,8 della stessa serie (36x e 1,88 gradi reali) ho goduto di belle visioni che hanno saputo coniugare l’ampio respiro concesso dal grandangolare con un potere già adeguato alle maggiori nebulose planetarie, galassie, ammassi aperti, ma anche ai globulari più luminosi.

A 36x il cospicuo M13 rende ad esempio molto bene mantenendo una piacevole brillanza ma consentendo comunque già la risoluzione delle porzioni esterne parte della propria figura. 

Anche M92, che per certi aspetti ritengo più intrigante, offre un bello spettacolo così come le nebulose del triangolo estivo e le principali galassie nell’Orsa Maggiore. 

Ciò che affascina è comunque la capacità dello strumento di mettere in evidenza alcune nebulose diffuse classiche come le nuvole della bassa Via Lattea (M16, M8, M20 con le ultime due nello stesso campo inquadrato) e anche le tenui volute della Veil Nebula nell’ala del Cigno.

Pur in assenza di filtri interferenziali il basso ingrandimento consentito dal telescopio permette di cogliere deboli filamenti che emergono con netto contrasto rispetto al cielo stellato circostante. la forma della Veil Nebula, è quasi interamente discernibile con solo alcune propaggini che tendono a diluirsi troppo e uscire dalla soglia di visibilità. Benché l’utilizzo di un filtro OIII migliorasse il contrasto della nebulosa con il fondo cielo e permettesse ad una prima occhiata una maggiore visibilità delle volute gassose ho preferito la visione in “luce bianca”, forse meno eclatante ma più reale.

DEEP SKY DALLA CITTA'

Solitamente non faccio fotografie al cielo profondo e non ho neppure l'attrezzatura adeguata.

Le foto che vi mando non hanno quindi alcuna velleità estetica, quanto qui Dagli anni della Hyakutake e della Hale Bopp, quando ancora mi dedicavo a questa branca dell'astronomia amatoriale con le varie Scotch Chrome, TP2415 ipersensibilizzate (tutto ovviamente su emulsione! sono passati 25 anni o poco più) mi capitava di trascorrere le notti con l'occhio al crocicchio illuminato guidando rigorosamente a mano sulla vecchia Great Polaris Vixen… Qualche volta scoprivo di NON aver inserito il rullino (c'è ben poco da ridere!!!), altre che i dentini del trascinamento NON avevano preso bene la pellicola (quindi con 3/4 pose sovrapposte di soggetti diversi.. anche qui: niente da ridere!)…

Le pose erano di 30/40 minuti, il difetto di reciprocità.. insomma.. un vero calvario. Oggi è tutto molto più semplice da quando la SBIG mise sul mercato la prima ST-4 CCD.

Però, dopo tanti anni in cui forse di scatti ne avrò fatti una decina in tutto, ho voluto riprendere qualche oggetto con il “nostro” COMET CATCHER.

Ho operato da Milano con un cielo pessimo (la magnitudine visibile limite non raggiungeva la seconda) senza autoguida, montaggio, con semplici scatti singoli da 15 o 20 secondi su una camera ben poco adatta, una Altair Astro 224C planetaria (a colori).

Eppure qualcosa ne è uscito… Modesto, rumoroso, male inseguito (ho dovuto usare una HEq5 malamente stazionata poiché la mia CEM-60 era al momento in riparazione), senza flat, dark, soppressione del rumore. Nonostante le premesse i risultati sono stati incoraggianti.

CONCLUSIONI

Quando venne presentato il Comet Catcher era strumento molto caro, “ricercato” e dedicato sia all’osservazione rich field che alla fotografia a lunga posa con emulsioni chimiche.

Oggi la “perfezione” richiesta dai moderni CCD ne penalizzano probabilmente  l’utilizzo per via della non planarità del campo inquadrato ma la velocità di ripresa resta affascinante tanto che lo vedrei molto bene accoppiato a certe camere “sky view” come la Watec 120N o le Minitron di ultima generazione che dovrebbero garantire una resa stupefacente e “in diretta” oppure anche ad alcune CMOS planetarie che hanno campo ridotto e che quindi non dovrebbero soffrire in alcun modo della curvatura ai margini.

Le sue caratteristiche meccaniche del resto sono più adatte alla emulsione fotografica (capace di perdonare molto) che ai pixel ultra piccoli delle nuove CCD.

In ambito visuale lo strumento sa offrire visioni spettacolari della Via Lattea e dei regioni stellari a largo campo con un approccio che difficilmente si riesce a uguagliare con altri telescopi. Un diametro da 140 mm. per 500mm. di focale sono ancora oggi rari da ottenere se non con strumenti dedicati dal prezzo di qualche migliaio di euro (ad esempio gli epsilon 130 o 160 Takahashi o i Boren Simon a f2,8 con correttore che a quasi parità di diametro costano oltre 1500 euro) che, pur con una maggiore precisione meccanica, non possono offrire nulla di più in ambito visuale.

A chi è dedicato, oggi, un Comet Catcher?

Sicuramente agli amanti dello schema newton e a coloro che desiderano avere uno strumento poco ingombrante ma altamente trasportabile alla ricerca di cieli bui e per godersi ampi campi stellari. Il tutto ad un prezzo di saldo poiché il mercato vede oggi i Comet Catcher ben poco valutati con cifre che raramente superano i 450/500 dollari a cui aggiungere però, nel nostro caso, importazione e dazi vari

Personalmente ritengo corretta una valutazione lievemente inferiore e vicina ai 350/400 euro che rappresenta anche una soglia di spesa non impegnativa e con la quale ci si può togliere la soddisfazione di possedere una piccola icona dell’astronomia degli anni ’80.

Se ne volete uno cercatelo in buono stato e prendetelo senza troppi patemi: il valore viene mantenuto nel tempo abbastanza bene e perderci grandi cifre è impossibile.

Una personalissima considerazione sul progetto voglio però condividerla. Ritengo, dopo aver più volte smontato completamente il telescopio, che la genesi di questo pur interessante strumento sia stata segnata dalla pre-esistenza degli elementi che lo compongono.

Il tubo, il focheggiatore, gli anelli e il cercatore sono mutuati dal Vixen 130, la lastra correttrice è derivata dalla camera Schmidt già in listino Celestron/Vixen, il secondario è uno standard Vixen.

L’insieme di questi componenti dimostra come una serie di compromessi porti alla creazione di uno strumento che pur con limiti ottici progettuali sa funzionare e può essere “agreable”. Correggere l’aberrazione sferica insita in un primario aperto a f3,6 richiede un progetto “ad hoc” e impiegare una lastra “disponibile” e nata per operare in modo ottimale con uno specchio aperto invece a f2 circa impone ovvi problemi che possono far storcere il naso ai puristi ma che si compensano con un prezzo di acquisto molto limitato (alcuni oculari costano molto di più ad esempio…). Oggi siamo disposti a “passarci sopra”: con 350/400 euro possiamo riuscire a comprare lo strumento e usarlo nei limiti che gli sono propri, ma al tempo della commercializzazione spendere milioni di lire e trovarsi a convivere con handicap importanti come l’impossibilità di lavorare in modo corretto a ingrandimenti pari al diametro utile era onestamente un po’ eccessivo. Trovo inoltre che la scelta dell’epoca di limitare a 24,5 o 31,8 mm. (con adattatore apposito) gli accessori ottici impiegabili introduca anche una minima limatura del fascio ottico che, secondo i miei calcoli, equivale a quello fornito da uno specchio primario da poco più 130mm. nel caso dei 24,5mm. e appena sotto i 140 con il 31,8.

Lo strumento ebbe comunque un discreto successo e vide ben tre versioni (con piccole differenze estetiche ma ininfluenti a livello prestazionale) e alcuni cloni tra cui il più interessante è il già citato Comet Tracker Meade.

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