Febbraio 2017
L’idea, o meglio il desiderio, è nato da solo e mi ha lasciato stupito nella sua semplicità. Possibile che, in così tanti anni di osservazioni e ricerca strumentale, non abbia mai sentito il prurito per un cannocchiale terrestre di stampo classico?
Non un moderno ED compatto waterproof dalle prestazioni sicuramente entusiasmanti, ma un vecchio classico doppietto con raddrizzatore di immagine installato sulla semplice forcellina e treppiedi in legno.
Vagabondando tra le plaghe del net e delle offerte di e-bay mi sono imbattuto in un oggetto che ha acceso inconsapevolmente il desiderio. Un vecchio Zeiss derivato: C.O. curow Dresda con ottica di Carl Zeiss Jena citava l’annuncio, oggetto tendenzialmente poco utile e non necessariamente performante ma che i collezionisti di ciarpame, nonostante le condizioni pessime di conservazione, si litigano a cifre sconvenienti.
Considerando che non ho alcuna affezione per le ottiche Zeiss ho servito al sistema il mio obolo e puntato una cifra quasi ridicola (poco più di un centinaio di euro) certo di non vincere ma sicuro invece dell’idea che mi si stava formando in testa.
Non avendo fortunatamente vinto l'asta per lo pseudo-Zeiss mi sono rivolto altrove.
Aprendo uno degli armadi stracolmi di ottiche ho recuperato il mio “beloved R.D.N.”, qualche oculare vintage da 0,965” da smontare e pulire, un paio di prismi di porro anch’essi da restaurare, e una manciata di adattatori e prolunghe filettate varie.
Dopo aver testato gli oculari e scelto quello che mi sembrava più adatto allo scopo prefisso l’ho aperto (un Kellner classico da 28 millimetri di focale con attacco a vite) e ripulito (con le tante, infinite difficoltà nell’eliminare il più possibile peluche microscopici e polvere che vengono perfettamente e fastidiosamente focalizzati) e poi cercato un adattatore utile al suo impiego.
Dei due prismi di porro ho scelto quello che mi sembrava più pulito (a dire la verità il primo che mi è capitato in mano..). Ho aperto anche lui e pulito i prismi interni, rimontato il corpo e inserito nel focheggiatore.
Alle prime prove mi sono accorto che, del tutto casualmente, le dimensioni del prisma di Porro si sposavano perfettamente con la corsa del focheggiatore permettendo di andare a fuoco su un “infinito vicino” come le fronde degli alberi a una sessantina di metri o poco più.
Sicuro del funzionamento mi sono preoccupato del tubo ottico, dotato di un supporto a semi-anelli in legno che è stato rimosso e sostituito con una piastra di alluminio tornita e scavata per adattarsi alla curvatura esterna del tubo. Uno strato di velluto nero adesivo e nuove viti filettate, un po’ di lavoro al trapano a colonna, e il rifrattore 70/900 era trasformato in un tubo adatto ad una montatura altazimutale.
Qui mi sono momentaneamente arenato, ho preparato la moka e atteso che gorgogliasse il caffè bollente. Mezzo cucchiaino di zucchero adagiato sul fondo della tazzina prima del caffè, come insegna il Botta, e poi l’attesa per gustarlo alla giusta temperatura.
Nel frattempo ho inviato alcune immagini del lavoro svolto all’amico Francesco che proponeva una qualche altazimutale moderna. magari una Vixen Custom (che però non si adattava per cromai) o un suo clone come la AZ-3.
Sono anni che mio padre reclama lo sgombero del suo garage da montature varie lì stipate, e tra loro sapevo esserci una T-MOUNT Zeiss installata su colonna in ferro e ruote.
L’opera risale a quasi una decina di anni fa, quando acquistai la montatura da un amico astrofilo (che mi vendette un esemplare problematico mai sistemato) e le feci creare una colonnina adeguata per poi mai utilizzarla.
L’occasione mi è parsa propizia, ho recuperato montatura e stativo e mi sono messo a sistemarla.
Per onestà e il piacere di attirarmi antipatie va detto che la T-MOUNT (carina, leggera ed esteticamente ben fatta) è una montatura largamente sovrastimata dagli amatori che la strapagano per avere prestazioni che, quanto a portata, non superano quelle di una banale giapponese da 50 euro sull'usato (o meno).
Benché non ami la produzione astronomica tedesca devo però ammettere che, ben bilanciata e messa a punto, la T-MOUNT si è rivelata ideale in configurazione altazimutale per gestire, con una fluidità incredibile, il leggero 70/900.
Ultimo tocco di finitura è stato un piccolo peso applicato al tubo per ottenere un bilanciamento perfetto.
A cosa possa servirmi un ennesimo “telescopio” è presto detto: nulla.
Come possa essere piacevolmente impiegato un cannocchiale classico è altrettanto facile a dirsi. Con una bella baita in alta montagna tra picchi e ghiacciai sorge quasi spontanea la necessità di affiancare al pur comodo binocolo uno strumento che permetta di spingersi a ingrandimenti maggiori mantenendo però l’immagine ferma e godibile.
A questo scopo la scelta del Kellner da 28mm.appare, nella imposta limitazione di oculari vintage tradizionali, adeguata. Accoppiato ad una focale di 90 cm. l’oculare offre circa 30 ingrandimenti con un campo di poco superiore ad 1 grado (1,3° per l’esattezza) con una non eccessiva degenerazione dell’immagine a bordo campo anche se con palese facilità a mostrare la sporcizia e il pulviscolo depositato sulle lenti.
Il prisma di Porro, nato e dimensionato per fasci ottici molto stretti e normalmente trasmessi da rifrattori con rapporto focale “chiuso” e barilotto da 0,965”, non eccelle per trasmissione luminosa ma l’obiettivo da 70 millimetri e trattamenti antiriflesso moderni mette una pezza al problema soprattutto sui panorami diurni dove l’immagine appare piuttosto brillante.
Come detto l’idea principe era quella di impiegare lo strumento per osservare i picchi alpini, i seracchi nel ghiacciaio, i rifugi lontani e qualche paesino di fondo valle.
Poiché in visione diurna risulta meno facile ad un occhio poco allenato come il mio cogliere le sfumature di resa ho cominciato a testare il “novello” cannocchiale, che d’ora in poi chiameremo “Occhio” come lo ha battezzato mia moglie, sul cielo notturno.
Conosco bene le prestazioni del R.D.N. (versione telescopia di “Occhio”) ma il suo accoppiamento con il prisma di Porro e l’oculare recuperato K-28 richiedeva un nuovo test, quantomeno qualitativo visto il limitato potere sviluppato dal treno ottico.
La mancanza di diagonale e di moto elettrico di inseguimento impone posizioni scomode nell’uso astronomico ma risulta comunque possibile verificare dati importanti come cromatica laterale e distorsione che tendono ad essere maggiormente apprezzati quando ad essere studiata è una sorgente luminosa puntiforme su fondo scuro.
La prima doccia fredda (onestamente la sola) è stata scoprire che il K-28 non permette di andare a fuoco sulle stelle avendo il punto di fuoco troppo interno (probabilmente a causa del raccordo a vite che sposta in fuori di un paio di centimetri il complesso dell’oculare). Per non modificare i raccordi del prisma di Porro ho sostituto l’oculare K-28 con un AH-40 che ha campo e ingrandimento inferiore. Con i 23x offerti la visione dei campi stellari si è resa molto piacevole. Il campo ristretto permette a mala a pena di contenere le principali stelle dell’ammasso delle Pleiadi ma la puntiformità stellare si è rivelata precisa e il campo corretto ampio (limitatamente a quanto disponibile).
Bello il Trapezio (con le quattro stelline ben nette) e la nebulosa di Orione circostante ma anche le stelle della Cintura e le altre della Spada.
Ho eseguito alcuni test di valutazione della geometria stellare tra centro e bordo campo scegliendo come test la rossa Betelgeuse con risultati dignitosi e comunque più che validi se rapportati all'impego di visione diurna.
Poiché però il mio fine principale era quello di impiegare “Occhio” in visione diurna CON il K-28 ho deciso di rimboccarmi le maniche e mettere mani al tubo.
Lo strumento è stato interamente smontato, il tubo tagliato, e poi rimontato incontrando alcuni problemi sulla sagomatura del tubo che mi hanno imposto di tagliare più di quanto fosse effettivamente necessario.
Ho però potuto eliminare i giochi delle viti e rimontare l’obiettivo in modo ottimale ottenendo uno star test molto buono.
Con la nuova configurazione ho ritentato l’osservazione stellare che finalmente mi ha concesso il corretto fuoco con il K-28 offrendo una visione molto bella di Venere, seppure in scala ridotta a causa dei poco più che 30 ingrandimenti permessi.
L’accorciamento del tubo ha reso necessaria una modifica del bilanciamento e la ricerca di una prolunga a vite atta a portare a fuoco gli oggetti vicini (tipicamente alberi, animali, strutture poste a distanze tra i 30 e i 90/100 metri circa).
L’oculare K-28 si è rivelato un buon compagno di osservazioni notturne e anche l’apertura di 70 millimetri sufficiente a percepire nettamente gli aghi delle conifere vicine. Mi mancava solamente qualche osservazione "dedicata" per terminare le impressioni di utilizzo.
Test con il cellulare (HUAWEI P8 accostato manualmente all’oculare) su soggetto lontano (sopra e sotto). Picco montano, zoom telefono circa 2x.
Così ho trasportato lo strumento dove dovrebbe stare, ossia nella postazione aostana a 1800 metri di quota e l’ho usato durante le vacanze pasquali 2017.
Nonostante i bambini abbiano per ben due volte fatto cadere lo strumento, cosa che mi ha obbligato a mettere mano al prisma di porro, il povero cannocchiale è riuscito a risorgere in modo quasi esemplare mantenendo solamente una lieve caduta di luce in prossimità del field stop lato sinistro dell’oculare, problema modesto ma avvertibile.
Nonostante ciò la visione delle vette lontane, dei daini, delle malghe e dei rifugi si è rivelata molto piacevole con un corretto bilanciamento tra ingrandimento e luminosità percepita.
La messa a fuoco risulta facile e il contrasto più che adeguato ad osservazioni dettagliate e di “curiosità”.
Ho provato a scattare un paio di fotografie con il cellulare tenuto a mano e quindi necessariamente affette da una serie di vignettature, cromatiche residue e luce diffusa. Nonostante la scarsa resa fotografica la visione diretta appare appagante e quindi ritengo che il risultato voluto sia stato raggiunto.
Test con il cellulare (HUAWEI P8 accostato manualmente all’oculare) su soggetto lontano (sopra e sotto). Rifugio "Guyde d'Ayas" - Lambronecca - mt 3420, zoom telefono circa 2x.
Test con il cellulare (HUAWEI P8 accostato manualmente all’oculare) su soggetto lontano (sopra e sotto). Camoscio, zoom telefono circa 3x.
Ho anche osservato velocemente Giove in occasione del suo sorgere dietro le frastagliate creste delle montagne vicine che mi ha permesso di cogliere le principali caratteristiche del pianeta, ovviamente limitate al potere di 32x circa disponibile.
Per l’occasione ho schizzato un disegno indicativo di quanto visibile e della posizione mutua dei quattro satelliti galileiani, tutti fortunatamente accessibili al momento dell’osservazione.
Trarre conclusioni è facile, sia lodando i vantaggi che indagando le limitazioni dello strumento.
Tra i primi vanno sicuramente annoverati i costi (nel mio caso praticamente nulli avendo già a disposizione le parti utili alla creazione del cannocchiale) nonché la possibilità di variare sia l’ingrandimento (opzione scartata per permettere a mio padre una fruizione semplicissima del cannocchiale) e la quasi totale assenza di aberrazione cromatica (difficile da visualizzare benché comunque un poco presente).
Tra i secondi una minore compattezza rispetto agli spotting scope sul mercato, un campo inquadrato un po’ più limitato e un ingrandimento maggiore (30x contro i canonici 20x) il che fanno di “Occhio” uno strumento ovviamente non da zaino.. :-)