Anno 2017
Il progetto di questo piccolo strumento, se di “progetto” si può parlare data l’estrema semplicità e anche approssimazione realizzativa, è nato per caso da un annuncio postato da un astrofilo amico che metteva in vendita un insolito doppietto giapponese da 60 millimetri di apertura nella sua cella originale.
L’ottica appariva cementata, differentemente dalla maggioranza di questi doppietti che venivano presentati in configurazione standard Fraunhofer spaziata in aria.
Il vissuto stato della cella e l’esigua apertura ponevano l’obiettivo ad un costo molto basso ma l’amico Maurizio R. ha deciso di regalarmelo, con un esempio di notevole signorilità, e il pacco contenente l’oggetto è giunto in pochi giorni.
Non avevo grandi idee a riguardo se non quella di farne un rifrattore economico intubato in cartone come alcuni giocattoli educativi del paese del Sol levante ma guardando le dimensioni della cella e i filetti ho tentennato un poco.
Mia figlia Ginevra era però molto curiosa e così, durante un giretto allo store di bricolage, ci siamo chiesti cosa usare per trasformare il semplice doppietto in uno strumento che potesse essere usato, magari a basso ingrandimento, come telescopio guida o come semplice gioco con cui divertirci un poco.
Girovagando ci siamo imbattuti nei paletti in plastica che sostengono i lampioncini da giardino, tubi della lunghezza di 80 cm. e diametro 60mm. esterno e 54 interno, ben rigidi, antigraffio e dal costo economico (meno di 5 euro) e così ne abbiamo acquistato uno e poi ci siamo dedicati a inventare il nostro mini telescopio.
A parte le scherzose immagini in cui tengo a mano obiettivo e oculare il calcolo della focale approssimativa dell’ottica ammontava a 52 cm. con un rapporto focale equivalente di F8,7 circa che sarebbe però cambiato con la diaframmatura parziale a lavoro finito introdotta dallo spessore delle pareti del tubo in plastica.
Il reciproco intento era quello di non spendere soldi e di arrangiarci con quanto già disponevamo così, rovistando tra i tanti cassetti dedicati a raccorderie varie, abbiamo trovato le parti necessarie: un tubetto di prolunga da 2 pollici marchiato TS, un vecchio focheggiatore elicoidale artigianale rotante, le riduzioni e ovviamente (almeno per questi lavori da bricolage casalingo semplice) spessorini, nastro adesivo, una vecchia culla portatubo, un tappo in alluminio del diametro quasi corretto, una bomboletta spray agli sgoccioli e altre amenità sparse.
Non c’è ovviamente alcuna pretenziosità in quanto realizzato ma il gioco di poche ore è stato simpatico e i risultati tutto sommato gratificanti.
Per prima cosa abbiamo dedicato attenzione al doppietto che è stato liberato dalla sua cella mostrando molta sporcizia e la sua cementazione rafforzata e impermeabilizzata da un giro di nastro adesivo nero sullo spessore del crown (sottile) e del flint (più spesso).
Pulita l’ottica in modo adeguato è stata spazzolata la cella, ripulita, carteggiata al necessario, lavata con il diluente e poi riverniciata di nero lucido. Lavoro sicuramente perfettibile ma sufficiente a restituire un aspetto finale ordinato e restaurato.
La cella, che ricorda e ricalca quelle degli anni ’60 e ’70 con un filetto interno per il tubo e uno esterno per il paraluce, aveva un diametro di imbocco quasi uguale a quello interno del nostro tubo plastico. Un paio di giri di nastro isolante sono stati sufficienti ad ottenere un “incastro” accettabilmente solido e il taglierino ha rifinito l’opera.
Il tubo era però ancora lungo un metro e la necessità di tagliarlo ha richiesto la morsa, un panno, e poi lavoro semplice di sega a mano a dentini sottili.
Siamo stati bravi devo dire riuscendo a sezionare in modo molto pulito e ortogonale (con i limiti imposti dalla nostra manualità) il tubo e rifinendo poi con una passata leggera di carta vetrata fine.
L’annerimento interno del tubo è quello che è e la sua superficie goffrata ma riflettente non rappresenta l’optimum per un rifrattore ma poteva essere tollerata anche perché non avevamo idea della bontà ottica del doppietto e ci sembrava inutile, almeno in prima istanza, rivestire l’interno con il vellutino adesivo.
Il primo errore, e qui mi assumo tutte le colpe del caso, è derivato dalla iniziale scelta di investire la cospicua cifra di quasi 15 euro nell’acquisto di un focheggiatore di plastica dura. Guardando il sito web della ditta COMA di Adriano Lolli avevo infatti trovato un focheggiatore ultra economico con portaoculari da 24,5mm. che presentava un diametro di innesto adeguato (52mm. contro i 54 interni del nostro tubo) e avevo quindi calcolato il back focus necessario e tagliato così il tubo in previsione anche di un prisma da 0,965”.
All’atto della stesura di questa prima parte dell’articolo è stato però deciso per il momento di soprassedere all’acquisto e di impiegare il piccolo rifrattore in visione diretta.
Poiché tagliare e accorciare è facile ma “allungare” richiede di comprare un nuovo tubo, ci siamo fatti una risata e abbiamo sconsolatamente accettato di utilizzare una prolunga TS che avevamo.
I puristi non storcano il naso ma il modo più veloce di bloccare la prolunga e renderla “solidale” al tubo è passato per l’impiego di una striscia di feltro adesivo che lascia ovviamente ampi margini migliorativi alla teorica perfetta assialità dei centri degli elementi usati.
L’aspetto finale, in compenso, appariva piacevole e quasi professionale e il vecchio focheggiatore elicoidale a disposizione ci ha permesso di raggiungere, con i vari oculari usati per le prime osservazioni, il fuoco corretto.
Al paraluce non abbiamo pensato. “Si avvicina l’estate e l’umidità non la farà da padrona” ho detto a Ginevra (errore gravissimo come vedremo nel prosieguo..) e così ci siamo illusi che il lavoro volgesse oramai al termine.
Mentre il cielo imbruniva e la sagoma della Luna si levava sull’orizzonte abbiamo smontato la clamshell in metallo da un altro rifrattore, l’abbiamo spessorata con una pezzuola da bagno (scelta tra quelle gialle, rosa e azzurre) e montato il nostro JAPAN “C” sulla Ioptron CEM-60.
Oculare plossl da 40mm. pronto, seggiolina e attesa della prima stella luminosa a portata del vespero.
Inquadrare Regolo è stato emozionante!
Non avevo la certezza di raggiungere il fuoco ideale ma sorprendentemente la stellina faceva bella mostra di sé con una luce fulgida e pulita.
Un 40mm. offre sul nostro rifrattore circa 13 ingrandimenti con un campo reale di poco inferiore ai 3,4° e risulta molto difficile notare aberrazioni geometriche limitate ma qualcosa mi dava la sensazione che, per quanto bellina, la lontana alfa del Leone ci stesse dicendo che la collimazione era poco convincente.
Un oculare da 10mm. e poi il 6mm. hanno confermato il verdetto: disastroso ma sistemabile.
Ci sembrava di aver posto in modo ben ortogonale tubo e cella ma il nostro approssimativo accrocchio palesava risultati ben poco dignitosi nelle immagini di diffrazione, ovali e soprattutto con il centro ottico molto lontano dalla sua posizione ottimale.
In questi casi il problema va affrontato con filosofica non calanche e si deve mettere mano all’insieme un po’ come è possibile.
La frizione esercitata sull’interno della cella da tubo e spessore in nastro adesivo era adeguata a non portare spostamenti involontari ma lasciava spazio per qualche aggiustatina con azioni di frizione che, con un po’ di perizia, hanno migliorato la focalizzazione in modo significativo.
Eravamo lontani dall’optimum ma comunque Regolo appariva ora a quasi 90x con un disco di Airy piccolino ma rotondo e un anello di diffrazione quasi costante e solo lievemente elongato da un lato.
Anche a 130x (oculare plossl da 4mm.) la condizione rimaneva più che accettabile e la scollimazione, anche in virtù del ridotto diametro, tollerabile per osservazioni non impegnative e al limite del potere risolutore.
Per accertarci di quanto ci appariva abbiamo prima tratto una fotografia con lo smartphone alla luminosa Regolo in metodo afocale e proiezione dell’oculare da 6mm. e poi rivolto le nostre attenzioni alla vicina Algieba, sistema doppio con separazione prossima ai 5”.
La gialla Algieba mostrava le sue due componenti principali ben separate nonostante il basso potere impiegato (86x circa) e pulite anche se non a livello di un 60/910 usato per paragone.
Anche a 130x la visione era molto piacevole benché il 60/910 fosse più “affilato”.
Considerando però la meccanica prodotta ci è parso il risultato molto positivo e comunque sufficiente a qualche osservazione interessante.
Nel frattempo la Luna e il vicinissimo Giove (in congiunzione la notte stessa) si erano finalmente liberati delle ramaglie degli alberi a noi vicini e si presentavano in un quadretto splendido.
L’oculare da 40mm. ci è venuto nuovamente in aiuto abbracciando nel campo inquadrato entrambi gli oggetti con una lodevole inclinazione didattica per la mia giovane Ginevra, estasiata nel notare le tracce dei piccolissimi satelliti galileiani insieme alla luminosa e butterata Luna.
“Com’è gialla, la Luna” mi diceva Ginevra osservando e anche io non mi capacitavo di come il doppietto giapponese mostrasse una dominante tanto calda e insolita.
“La luna dovrebbe essere bianca” rispondevo... “guarda bene, gioia!”.
“Sai, papà che non vedo più i satelliti di Giove?”
“Guarda bene”, ripetevo, “scomparsi non sono!”
Povera Ginevra! lei guardava benissimo e altrettanto bene vedeva il nostro satellite tinto di un bel giallo opaco e notava la scomparsa delle lune di Giove... ero io che non mi ero accorto del completo appannamento dell’ottica!
Dopo una pulita tutto è tornato alla normalità e per qualche minuto abbiamo goduto di uno splendido e miniaturizzato quadretto celeste. :-)
Prima di pensare ad un aggiustamento “fine” della collimazione abbiamo dedicato le nostre ultime inventive costruttive alla creazione di un paraluce e di un tappo simpatico e comodo da applicare.
Lo scarto di taglio del tubo originale, una passata a flessibile, un vecchio tappo di plastica molle spessorato con il sempiterno nastro isolante e una vite carina come pomello hanno reso possibile la “magia”.
Nel frattempo il telescopio è stato battezzato da un amico, che seguiva la costruzione via whatsapp, con il mistico nome di "Black Mamba" a cui molti ricorderà l’omonimo serpente (detto anche "sette passi") o un film di Quentin Tarantino ma che a me richiama inequivocabilmente il cartone animato Megamind.
Paraluce e tappo integrato (sopra), vista finale dello strumento completo (sotto).
Con tutte le limitazioni dello strumento ancora “provvisorio”, le sere del 8 e 9/5/2017 ho eseguito alcune di fotografie a Giove. La prima con metodo afocale in proiezione di oculare da 4mm. e telefonino HUAWEI P8 tenuto a mano, le seconde con una camerina planetaria vecchio modello QHY5L-II a colori.
La prima è immagine di basso livello, anche perché l’impegno profuso è stato limitato e il tentativo fatto perlopiù per gioco ma qualcosa su Giove è uscito lo stesso, le altre invece non sono male anche se soffrono di una perfettibile messa a fuoco. Sono state ottenute con due barlow diverse (una 2x Ultima Celestron e una 4x circa cinese). L'elaborazione è un po' troppo accentuata ma la resa globale può ritenersi soddisfacente data la strumentazione usata.
Sopra: immagine single shot con telefonino in afocale e proiezione di oculare plossl da 4mm. (telefono tenuto a mano). Sotto: immagine risultato dell’elaborazione di un corto filmato eseguito con una QHY5L-II a colori e barlow 2x.
Sopra: immagine risultato dell’elaborazione di un filmato con una QHY5L-II a colori e barlow 4x.
Nonostante la scomodità osservativa indotta dalla visione “diretta” senza diagonali va detto che l’osservazione del gigante Gassoso è stata comunque piacevole. L’ingrandimento massimo (130x) ha dato prova di essere un poco “sopra-tono” per le caratteristiche di allineamento degli assi ottici e ho preferito quello di circa 104x offerto da un oculare da 5mm. della serie LE Takahashi che sembrava offrire il miglior compromesso per l’osservazione delle bande principali e di alcune loro accenni di dentellature.
Si tratta di immagini non all’altezza di un buon 60/910 ovviamente ma forse, rivedendo la meccanica in chiave migliorativa, si potrebbe ottenere qualcosina in più.
Continuando con il tono scherzoso dell’articolo riporto quelle che sono le “cifre” dello strumento, un po’ come nei test seri:
diametro utile: 60mm. ridotti a 54mm. per via dello spessore del tubo
lunghezza focale: 520mm. circa
rapporto focale finale: F9,6
potere minimo gestibile: 13x (oculare plossl 40mm.)
campo massimo reale: 3,3° (con oculare plossl 40mm.)
potere massimo sfruttabile: 130x circa (oculare plossl o ortoscopico 4mm.)
cromatica residua: visibile sul bordo lunare e stelle più luminose
fruibilità: ottima ma va messo in conto che, ogni tanto, va un po’ “sistemata” la collimazione.
peso complessivo con clamshell e barra Vixen: 700 grammi circa.
In buona sostanza abbiamo creato quasi dal nulla un telescopio (privo di montatura self made per il momento) usando quello che siamo riusciti a “raccattare” un po’ qui e un po’ la.
Siamo felici possessori di un 54/520 che funziona con cui guardare la Luna, le stelle e anche i pianeti!
Ci siamo divertiti nel realizzarlo e ci divertiamo nell’usarlo, abbiamo imparato che “tutto o quasi si può fare”. Abbiamo nuovi amici, e siamo riusciti anche a testimoniare che (parafrasando un famoso film di animazione in cui si diceva “tutti possono cucinare”) “tutti possono fare astronomia”, basta volerlo.
Del resto non vorrete mica che utilizzi sempre costosissimi telescopi iper corretti, no?