CONCLUSIONI

Un bilancio positivo

Quanto emerge dagli articoli scritti in questa sezione testimonia che l’utilizzo dello smartphone nella ripresa dei soggetti planetari è non solo possibile ma anche foriero di discreti risultati. 

Benché ottenute in condizioni non sempre ottimali e con strumenti di diametro limitato e alla portata della maggior parte degli astrofili, le immagini postate sono piacevoli, accettabilmente dettagliate e a volte più lusinghiere di quanto ci si possa immaginare.

Va obiettivamente detto che uno smartphone come quello utilizzato dallo scrivente (che non è l’ultimo ritrovato ma che assicura comunque una buona qualità di immagine e ripresa) costa più di una piccola camera CMOS dedicata (penso ad esempio alle diffuse MagZero QHY5L nelle versioni monocromatiche e a colori con matrice di Byer) che offre anche risultati migliori. A questo però va contrapposta una maggiore semplicità di utilizzo del telefonino: non serve un PC portatile (ma un supporto x smartphone sì) e si risparmia una preparazione preventiva che a volte può risultare noiosa. Inoltre, per quanto economiche, le camere planetarie vanno acquistate mentre un telefono con fotocamera è oramai “dotazione standard” di chiunque o quasi.

La fotografia con il telefonino è una “nuova via”, sino ad oggi poco sfruttata, ma reale e concreta che coniuga risultati validi ad un approccio più scanzonato ed estemporaneo adatto a chi, come me, non fa dell’imaging planetario motivo esistenziale.

Con strumenti telescopici di alto livello ci si può avvicinare molto alla qualità ottenibile con camere CMOS e CCD vendute con velleità astronomiche (oggi inflazionate) anche se risulta chiaro il limite di risposta spettrale del sensore dello smartphone e l’impossibilità di variare i parametri di ripresa in modo tale da rendere operativi filtri che selezionino in modo stringente la banda ottica passante (in particolare quelli che privilegiano le lunghezze d’onda prossime all’ultravioletto).

Finché non verranno studiate applicazioni in grado di gestire in modo più disinvolto i sensori dei telefoni resterà in essere un divario impossibile da colmare ma la strada è aperta e non dubito che presto si potrà riprendere Venere in UV anche con un Iphone o un Samsung come i tanti diffusi sul mercato.

A parte questo la vera sfida ora riguarda l’imaging a lunga esposizione (che riguarda gli oggetti deep sky) e che rappresenta il vero limite oltre i quale non si riesce ad andare. Attendiamo una applicazione (gratuita possibilmente) che permetta pose da almeno 30 secondi per migliorare quanto espresso nella sezione "deep sky" qui contenuta e che mostra qualche timido tentativo di impiego sul cielo profondo.

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