Ricercato, sicuramente costoso, sconosciuto al nostro mercato.
Anno 2018 e 2019
Servono oltre 600 euro per acquistare un Kenko 63/800 (o la sua versione “corta” da 540 mm di focale), ammesso di ottenere una importazione parallela dal Giappone o dagli Stati Uniti (dove ne sono giunti pochissimi tra l’altro).
Sembrano molti e, in termini assoluti, forse lo sono anche considerando che con la stessa cifra si può acquistare il classico dobson cinese da 25 cm. o anche più. Quello che però il Keno oggetto dell’articolo offre è una meccanica intrigante, un aspetto estetico eccezionale, e una esclusività che ha pochi pari.
Lo cercavo da tempo ma i 960 dollari richiesti per il solo esemplare trovato in occidente vari mesi fa mi imposero di pazientare anche perché alla cifra avrei dovuto aggiungere il trasporto e i dazi che lo avrebbero reso costoso quasi quanto un Takahashi FS-102 di seconda mano.
Quando però una seconda occasione mi si è presentata non ho saputo resistere e mi sono regalato uno strumento raro, nuovo e particolare.
Nel panorama delle ottiche astronomiche, Kenko ha sempre cantato un poco “fuori dal coro” con strumenti sicuramente di nicchia, decisamente costosi, ricercati ma anche non privi di focheggiatori poco consoni alle cifre richieste per l’acquisto.
Da noi hanno riscosso successo i rifrattori a lungo fuoco da 80 e 90 millimetri (quotati più degli analoghi Vixen) le belle montature equatoriali NES QS, e una serie di oculari Plossl di medio livello qualitativo.
Poco diffusi invece i Cassegrain e derivati (ricordo i 125 F8 e lo Schmidt Cassegrain 125/1250, o il piccolo 100/800) principalmente per via di un costo di acquisto che, a metà degli anni ’90, superava quello di un tradizionale 8” di casa Meade o Celestron.
Però, se si escludono focheggiatori un po’ sottotono, la meccanica di questi telescopi era molto ben fatta e la livrea (il famoso azzurrino mare accoppiato al beige sabbia delle parti strutturali) piacevolissima.
Poco valutata, Kenko ha continuato a produrre strumenti astronomici di piccolo diametro che sono stati completamente dimenticati dai nostri importatori, di fatto rifrattori e riflettori posti nella zona entry level o middle prize del mercato e anche io ho smesso di porre loro attenzione. Quando però, in occasione della presentazione della nuova montatura altazimutale new KDS (declinata in due versioni destinate a carichi massimi diversi), sono stati proposti anche i nuovi piccoli acromatici da 63 millimetri di apertura non ho più potuto chiudere gli occhi.
La strategia Kenko sembra, con questa linea di piccolo calibro ma di alta pretenziosità, voler rinverdire i fasti di una nicchia di mercato che ha visto eccellenti nomi cimentarvisi alcune decadi fa e con una strizzata d’occhio ai celebri Zeiss Telementor che tanto hanno successo presso gli amatori smaliziati.
In questa direzione è stato scelto di installare un focheggiatore Borg di tipo elicoidale dotato di una serie di prolunghe atte a raggiungere il fuoco corretto con vari tipi di accessori foto-visuali.
L’operazione, alla quale si aggiunge un tubo ottico molto curato dal punto di vista estetico, appare costosa dato che il solo focheggiatore ha un prezzo di listino superiore ai 230 euro ma strizza l’occhio a coloro i quali desiderano un oggetto principalmente bello ed estremamente piacevole da usare.
Sopra: immagini scattate all'arrivo del Kenko 63/800. Molto bello vedere che anche l'interno
del paraluce è dotato di vellutino nero e notare i numerosi diaframmi interni al tubo ottico.
Sotto: immagine non dell'autore (presa dal web): raccordo per macchina fotografica.
Dopo aver fatto la conoscenza statica del Kenko 63/800 diventa però imperativo capire se l’ottica e il suo assemblaggio siano all’altezza delle premesse.
Per valutare correttamente la visione stellare di riferimento che il Kenko restituisce vanno tenute a mente le sue caratteristiche di progetto. Poco più di 6 cm. di apertura e un rapporto focale di quasi f12,7 si traducono in un valore di proporzionalità (indice) pari a 5,12 che soddisfa non solo il limite di Sidgwick (impostato su 3) ma anche il più stringente valore di Conrady (impostato su 5)
Questo pone il rifrattore, salvo problemi legati alla lavorazione ottica, nel ristretto mondo degli acromatici privi di spettro secondario visibile o quasi.
Tale valore implica inoltre una dimensione importante del disco di Airy con una positiva ricaduta sulla relativa stabilità delle immagini anche in condizioni di seeing non eccellente.
Con queste doverose premesse ho dedicato un po’ di tempo allo star test visuale classico eleggendo la stella Capella (alpha Aurigae) quale target preferenziale.
Il primo aspetto che innervosisce è la difficoltà di andare a fuoco con diagonale e oculari da 31,8 millimetri.
Nonostante tutte le meravigliose (perché in altro modo non è possibile descriverle) prolunghe Kenko, utilissime per la visione diretta o l’impiego di sensori fotografici vari, risulta quasi indispensabile il formato da 24,5 millimetri per usare i diagonali, a meno che non si impieghino i plossl Kenko originali che hanno barilotto molto ribassato e con i quali si raggiunge il fuoco in modo corretto (esattamente a metà della escursione del focheggiatore per la versione con lunghezza focale di 17 millimetri). Assurdità, ma i giapponesi sono così e dobbiamo adeguarci…
Ho quindi portato il Kenko al banco di prova con la serie MC ORTHO da 0,965” Takahashi e i rispettivi OR e HM GOTO KOGAKU.
Per i puristi dell’aberrazione cromatica posso dire che rilevarne traccia in visuale è davvero difficile. In compenso lo star test ha evidenziato una certa sferica residua non corretta che si traduce in immagini di intra focale eccezionalmente contrastate e di extra focale impastate e con luce diffusa (per quanto concerne la visibilità degli anelli di Fresnel).
La valutazione del residuo di sferica non è mai facilissimo anche perché la sua esaltazione dipende (o può dipendere) anche dal treno ottico impiegato.
Ho comunque stimato il valore in circa 1/4 di lambda che risulta significativo anche se non tale da rendere inusabile lo strumento. Tale indicazione va valutata anche in relazione all'apertura del rifrattore e quindi alla capacità di acquisire luce ed informazione, oltre che di potere risolutore. Questi aspetti risultano molto importanti poiché a parità del valore di AS (aberrazioen sferica) la medesima produce effetti maggiori all'aumentare del diametro dello struemnto in quanto tali effetti vengono percepiti su componenti stellari via via più deboli.
Nonostante la non trascurabile AS, Il nostro Kenko esibisce infatti a fuoco immagini non solo scevre da altre aberrazioni sia geometriche che cromatiche ma anche generalmente godibili. Ovviamente il residuo di sferica, che si risolve nell’inspessimento del primo anello di diffrazione e nella visione di un secondo (almeno sulle stelle di primissima grandezza), comporta una riduzione del contrasto specialmente sui soggetti non puntiformi. L'osservazione dei campi stellari, degli ammassi, delle nebulose non ne risente ma lo strumento rende meno bene nel separare doppie strette mentre offre una visione bellissima di quelle più larghe, come tutti i rifrattori affetti da sferica tangibile ma non eccessiva. L'immagine classica del disco di airy circondato da un deciso anello di diffrazione è bella, anzi mi si permetta, bellissima, purtroppo allontana il telescopio dalle sue prestazioni teoriche in alta risoluzione.
Nei vari test eseguiti ho reputato l’ingrandimento migliore/massimo usabile sui panorami lunari quello fornito dagli oculari da 6 (133x) anche se saggi a 160x sono risultati accettabilmente ben tollerati pur con un certo decadimento della secchezza di immagine.
Sopra: immagine dello star test ottenuto in proiezione di oculare su smartphone Huawei P8.
Il doppietto è quello originale Kenko che denuncia una certa sferica residua sottocorretta che penalizza le prestazioni ottiche dello strumento.
Nonostante uno star test al di sotto delle mie aspettative, il Kenko si è dimostrato un buon strumento con cui osservare la Luna.
Non ha ovviamente le prestazioni di un maksutov 127/1900 come il mio Bresser (che permette non solo ingrandimenti maggiori ma anche una risoluzione decisamente più spinta e che si dimostra in ogni test un vero sprinter in alta risoluzione lunare) ma permette comunque di “veleggiare” a ingrandimenti bassi e medi (quindi dai 30 ai 160x) con un buon dettaglio e immagine quieta e godibile.
Incredibile la assoluta assenza di cromatica sia sul lembo estreno che al terminatore.
Ho indagato lungamente, per ben due notti a cavallo della illuminazione migliore, sulla rima Ariadeus e i suoi dintorni cercando, anche con l’ausilio del catalogo lunare Rukl, di spingermi fin dove potevo a livello di dettaglio.
Il test comparativo con il MAK 127 F15, come prima citavo, è stato vinto in maniera travolgente dal compound cinese (che ha anche il doppio dell’apertura) ma la visione attraverso il Kenko è stata comunque ricca di dettagli e di piacevole.
Bellissima, tra l’altro, la visione con il OR-25 (circa 32x) con la Luna che mostrava contemporaneamente la fase illuminata e l’intricato carosello di ombre al terminatore e la parte “buia” illuminata dalla luce cinerea con moltissime formazioni visibili.
Per accentaure l’effetto ho rimosso il diagonale e aggiunto le prolunghe in dotazione passando al diametro da 31,8 mm e all’oculare LE da 30 millimetri. Nonostante la scomodità dell’osservazione “diretta” lo spettacolo si è dimostrato entusiasmante tanto che con i bambini ci siamo divertiti a riconoscere mari e maggiori rilievi sulla parte lunare in ombra.
Sopra: Rima Ariadeus fotografata dall'Apollo 10 nel 1969.
Sotto: due immagini di ANDREW PLANCK della rima indicata (posizione e close-up)
Il doppietto originale Kenko da 63 millimetri di apertura libera risulta estremamente ben corretto dalla aberrazione cromatica come è facile notare dall’immagine sovraesposta della Luna che mette in risalto anche parte della parte “scura” lievemente illuminata dalla luce cinerea (foto sotto). La fotografia, tratta in afocale con proiezione dell’oculare su uno smartphone Huawei P8, ha ovviamente i suoi limiti dovuti alla non perfetta corrispondenza dei centri ottici dei vari obiettivi ma risulta sufficientemente chiara per evidenziare una cromatica residua molto contenuta.
Con il doppietto originale la visione dei sistemi multipli è gradevole ma viene limitata un po’ dalla sferica residua che risulta penalizzante nell’osservazione delle compagne deboli. Nessun problema su doppie ben bilanciate come Castore, ad esempio, ma decisamente al limite con il rischio di non vedere la piccola compagna in sistemi con secondaria debole, come avvenuto nel test sulla THETA Aurigae che, visibile in strumenti perfetti da 6 cm., risulta molto difficile da percepire con il Kenko.
Da purista quale mi sento ho sofferto un poco nel constatare questo limite che, tollerabile in telescopi economici, non posso invece accettare in uno strumento della fattura (e costo) del Kenko 63-800. Per questo motivo ho provato a correggere il difetto lavorando sulla spaziatura del doppietto e ho poi finito per accettare l'idea di sostituirlo alla ricerca di un obiettivo che fosse più prestazionale. Affinché non si pensi che mi sono arreso al primo tentativo vorrei raccontare brevemente che gli "esperimenti" sono durati quasi una settimana giungendo perfino a spaziare in olio il doppietto. Nessuno però dei miei tetativi ha sortito gli effetti desiderati portando solamente a peggiorare le cose. Questo indica quanto ben realizzato sia il progetto Kenko che, forse sul mio esemplare (?) è scivolato su un doppietto non all'altezza.
Immagine sopra: fotografia della doppia dei Gemelli CASTORE (componenti A e B)
ripresa con il Kenko 63/800 in proiezione di oculare su smartphone Huawei P8.
Nonostante la ovvia separazione l'immagine denota il residuo di sferica che
non la rende "tagliente" come dovrebbe o potrebbe essere. Nelle immagini sotto
l'obiettivo più volte smontato, spessorato, rimontato (inutilmente direi) del telescopio.
Infastidito dalla sferica residua e affranto dalla impossibilità di ridurla a livelli accettabili modificando la spaziatura tra crown e flint mi sono messo alla ricerca di un doppietto nuovo.
Il mercato giapponese mi è giunto in aiuto e ho trovato un doppietto Vixen 60/910 di tipo Fraunhofer che sembrava fare al nostro caso. Non ho potuto ovviamente testarlo e l'ho acquistato a "scatola chiusa" sapendo di dover risolvere comunque alcuni problemi di natura meccanica. Il primo è legato alla cella del Kenko che, essendo progettata e realizzata per lenti da 63mm. di apertura libera (quindi circa 64-65 reali) avrebbe richiesto sia un anello di appoggio tornito per evitare che le lenti cadano nel tubo, sia di spessori di compensazione per centrare in modo corretto il nuovo doppietto all'interno della cella.
Nell'immagine sopra il "nuovo" doppietto di provenienza Vixen con misure lievemente
diverse da quelle originali Kenko (riduzione di 3 millimetri del diametro utile e allungamento
della focale da 800 a 910 millimetri).
Per testare il nuovo doppietto ho preparato un anello di spessore che tenesse in sede l’obiettivo e ho rivolto così il telescopio alle stelle.
Purtroppo anche il nuovo 60/910 (come purtroppo avviene su molti Vixen) si è dimostrato fortemente aberrato da sferica residua. Lo strumento si può utilizzare ma il posizionamento provvisorio e la resa ottica non adeguata mi hanno imposto di tornare all'ottica originale.
Le immagini che posto testimoniano il notevole residuo di sferica del doppietto 60/910.
Nell'immagine sotto la doppia ALBIREO nel Cigno, ben separata, ben satura, ma con i dischi di airy crcondati da un anello di eccessive dimensioni. Foto scattata in afocale e proiezione con un telefonino HUAWEI P8.
Nelle immagini sotto: a destra l'andamento in INTRA FOCALE, a sinistra quello in EXTRA FOCALE, al centro l'immagine a FUOCO. La stella ripresa è VEGA (Alpha Lyrae).
Vistosissima la sferica residua. Immagini riprese in afocale su telefonino HUAWEI P8.
Per quanto possa sembrare incredibile, e questo la dice lunga su due aspetti fondamentali se mi si permette una digressione. Il primo riguarda la statistica qualità dei doppietti Vixen da 60 mm. che risulta altalenante tanto che entrare in possesso di un esemplare ben corretto non è tanto facile (nella mia esperienza ne ho trovato 1 su 6…).
Il secondo interessa invece il mio approccio all’astronomia e ai test strumentali. Sono infatti più che certo che moltissimi astrofili non si accorgerebbero quasi nemmeno del problema (specialmente quelli che hanno avuto minore possibilità di provare/avere un gran numero di telescopi) e che invece definirebbero “perfetta” la visione con i bei anelli di diffrazione “definiti e concentrici”.
Tralasciando questo aspetto che affonda le proprie ragioni d’essere in parte nella incompetenza (non necessariamente da intendersi con accezione negativa), in parte nella mala fede (chi ha modo di leggere alcuni articoli della sezione TERZA PAGINA può facilmente comprendere a cosa mi riferisca), devo ammettere che anche il secondo doppietto Vixen 60/910 acquistato si è rivelato deludente.
Nel mio animo, rimontando per la ennesima volta le ottiche originali e trascorrendo in loro compagnia una serata piacevole, è andata crescendo la sensazione che fosse stato il Kenko KDS a veicolare sostituti inadeguati, quasi volesse costringermi ad accettarlo con tutte le sue qualità rare e anche i suoi difetti.
Con questo novello approccio, che non nego mi ha conquistato, ho continuato le osservazioni chiedendomi se avessi avuto davvero bisogno di ottiche superiori.
Il mio piccolo harem di telescopi è stracolmi di performanti rifrattori di vario diametro, alcuni dei quali a livelli di eccellenza assoluta cercati, trovati e coccolati nel corso degli anni.
Mentre vagavo tra le plaghe di Orione, danzando tra la grande M42 e le stelle della cintura, dalla fulgida e azzurra Rigel al complesso delicato di Meissa, mi sono accorto che le immagini stellari “finte”, identiche a quelle che comparivano su alcuni libri dell’inizio del secolo scorso vergate a china su carta ingiallita, mi piacevano moltissimo.
Non avrei voluto “correggerle” anche perché il difetto rimane a livelli tutto sommato tollerabili e così, contrariamente a quanto abbia mai fatto con altri strumenti, sempre alla ricerca della “perfezione”, ho deciso di tenere il Kenko “così come è”, accettandolo semplicemente.
E come sovente avviene quando ci si rilassa è giunta anche la soluzione al back focus del treno ottico. Aprendo alcune delle scatole nel mio armadio degli accessori ho infatti riesumato un dimenticato diagonale da un pollice e un quarto un pochino più corto rispetto a quello che uso solitamente. In abbinamento all’oculare zoom 21,5-7,2mm. (che guarda caso sviluppano il range di poteri ideale per il Kenko), il nuovo diagonale permette di andare a fuoco risolvendo in un lampo il problema.
Il KENKO KDS 63/800 è uno strumento “unico”, sotto molti punti di vista e comprendendo nell’aggettivo sia i suoi notevoli plus che la non eccelsa ottica di cui è dotato il mio esemplare.
Non mi è mai capitato di imbattermi, giusto per cominciare, in un 6 cm. con le fattezze del Kenko né per qualità costruttiva che per progetto e piacevolezza di design.
Persino il nuovo FOA 60 Takahashi, strumento che sul nostro mercato viene venduto nuovo alla stratosferica cifra di oltre 1500 euro, non può vantare a mio parere tanta bellezza.
A questo si aggiunge una distribuzione ottimale dei pesi, una discreta leggerezza (non come i vecchi Telementor che sembrano residuati bellici), anelli portaottiche ben fatti, un paraluce bellissimo e un ottimo focheggiatore.
A tutta questa meraviglia (e mi si creda che di “meraviglia” trattasi) fa da contraltare un'ottica che delude un poco. Ciò che mi lascia un pizzico di amaro è la notevole lavorazione della stessa e la ottima correzione cromatica, aspetti che mi fanno pensare che forse sia solo il mio doppietto a prestare il fianco a critiche sul residuo di sferica. Senza tale limite il 63mm. giapponese sono sicuro volerebbe ad ingrandimenti ben maggiori ma è comunque anche onesto dire che un 6 cm. non è fatto per eccedere con i poteri pena la perdita eccessiva di luce.
Con quanto detto, pro e contro, non posso esimermi dal dichiarare di apprezzare questo Kenko in barba ad ogni considerazione che ponga le prestazioni al primo posto. Mi piace come è fatto, mi piace anche solo guardarlo e usarlo, con quel suo focheggiatore Borg dolcissimo e la sue stelline un po’ troppo “disegnate”. Non lo vorrei diverso e sono quasi certo che se mi dovesse capitare la versione da 540mm. cercherei di farla mia.
E infine mi domando… perché non ho un Borg 101 ED prima o seconda serie?