ANTARES "IO" 150/1200

Novembre 2019 e primavera 2020

INTRODUZIONE

Correva l’anno 1993 quando fui ospite alla “Settimana a un passo dall’Universo”, una vacanza di qualche giorno (una settimana appunto) presso un bel Hotel sopra a Madonna di Campiglio, quasi a passo Carlo Magno, organizzata dall’allora giovanissimo Matteo Maturi. La manifestazione godeva della sponsorizzazione parziale (tramite prestito di alcuni strumenti) di Auriga che, tra i telescopi inviati, aveva anche un Celestron 150/1200 uguale all’Antares oggetto di questo articolo.

Snobbai lungamente il grosso rifrattore nero finché una sera, per curiosità, misi l’occhio al suo oculare mentre puntava la grande galassia di Andromeda. Il basso ingrandimento, il cielo buio e le stelline finissime mi “aprirono” un mondo nuovo.

Cominciai a riconsiderare sotto altra luce le prestazioni del mio Meade 2080 (il classico SC da 20 cm. su montatura a forcella) e mi appassionai agli strumenti a rifrazione tanto che l’ultima sera osservativa usai solamente i due tubi lunghi e neri a disposizione: il 150/1200 e il più classico 102/1000 in livrea scura.

L' “IO” oggetto di queste pagine è frutto di uno scambio con l’amico Vincenzo e ha il compito di accompagnare mia figlia Ginevra nelle sue osservazioni personali dato che, da tempo oramai, ha espresso il desiderio di cimentarsi nell’osservazione estemporanea del cielo profondo.

CARATTERISTICHE GENERALI

L’Antares “IO” è uno dei primi esempi di “cinesone” a rifrazione da 150mm. con apertura f8 (150/1200) comparso sul nostro mercato. Declinato anche in altre versioni, identiche per caratteristiche tecniche ma diversamente marchiate (Swkywatcher, Konus, etc..), è imponente e non leggerissimo. Al tavolo di misurazione accusa una lunghezza di 128 cm. compreso paraluce rimovibile e un peso, con anelli e barra Vixen, di 8,2 chilogrammi sbilanciato in avanti per via del grande doppietto acromatico frontale.

E’ di un bel colore nero lucido pieno con la cella porta ottica e il focheggiatore in lega di alluminio con finitura a vernice martellinata.

L’aspetto è gradevole, pur non avendo le rifinitura di un “top class”, e non sfigura. Risulta meno “giocattolo” di quanto appaiano i nuovi Skywatcher “glitterati” neri e bianchi di ultima generazione, ma anche più “agreable” del vecchio azzurrino SW o del giallo Konus.

Dal punto di vista meccanico il rifrattore presenta una costruzione semplice con cella non regolabile, ma ben fatta, e un focheggiatore a pignone e cremagliera classico adatto per accessori da 2 pollici che presenta una fluidità discreta ma anche tolleranze eccessive. Per evitare basculamenti fastidiosi serve frizionarlo un poco e questo impone che la montatura di sostegno sia capace di reggere azioni più intense sulle manopole di focheggiatura.

Il “nostro” esemplare ha una scheggiatura nella parte estrema (attaccata alla cella) del Flint ma fortunatamente la posizione al bordo rende il problema molto marginale tanto che nelle immagini a fuoco non risulta percepibile e anche in quelle di intra ed extra focale risulta appena osservabile e va cercato con attenzione.

STAR TEST

La prima luce dello strumento, ovviamente, è avvenuta in collaborazione con GINEVRA che ha seguito il test con interesse e ha valutato in mia compagnia le immagini di alcune stelle doppie facili e luminose.

Come abbiamo avuto modo di appurare, lo star test e la sua corretta valutazione richiede un corretto acclimamento dello strumento che, pur non imponendo tempi lunghissimi (siamo al cospetto di un doppietto spaziato in aria anche se di ben 6 pollici di apertura), influisce in modo sostanziale sulle prestazioni dell’ottica.

Una volta in temperatura, l’obiettivo del IO Antares esibisce una collimazione accettabile (perfettibile in effetti ma con uno scostamento dall’ideale non eccessivo che consente di operare anche in alta risoluzione con buone prestazioni) e una correzione geometrica generale più che discreta.

Emerge un errore zonale (che però non incide in modo sostanziale nella focalizzazione) e una rugosità media. E’ ovviamente presente anche la fatidica aberrazione cromatica residua che si palesa come un alone esterno bluastro in intra focale ed una macula parimenti bluastra interna nelle posizioni di intra focale.

A fuoco la geometria di immagine appare corretta sotto ogni punto di vista con la sola lieve e apprezzabile distorsione dovuta alla collimazione non perfetta. Resta un certo alone violaceo tenue intorno agli astri di primissima grandezza (lo star test è stato effettuato su Vega prossima allo zenit) che nell’osservazione degli astri risulta un dato molto secondario e poco influente per quanto riguarda il potere risolutore. Variando gli ingrandimenti dai 40x ai 240x (oculari rispettivamente LE 30 e LE 5 serie Takahashi) si ha sempre accesso ad una immagine accettabilmente pulita e godibile.

Provando a diaframmare lo strumento a 11 cm., usando il foro predisposto sul tappo anteriore, il residuo cromatico tende a ridursi molto pur restando visibile ad una ricerca intorno a componenti fulgide come la suddetta Vega. L’operazione, che sconsiglio nell’osservazione sia degli oggetti deep sky che nell’indagine dei sistemi multipli, può risultare più utile nel caso dei pianeti maggiori o di Venere se non si utilizza un filtro selettivo (verde o rosso a seconda delle esigenze).

STELLE DOPPIE

A conferma di quanto emerso nello star test tradizionale il grosso tubo Antares lavora bene quando lo si impiega nell’osservazione dei sistemi multipli.

Ho scelto tre sistemi canonici delle sere cittadine di fine ottobre, stelle molto alte in cielo che fossero accessibili anche attraverso la cappa milanese e l’umidità densa dell’aria.

La prima, a catalogo STF 2351, è una doppia facile nella Lira con componenti di magnitudine 7.60 e 7.64 separate da 5,1”. Entrambe bianche sono ovviamente un target semplicissimo per un rifrattore da 6 pollici ma hanno dimostrato di poter reggere un ampio range di ingrandimenti mantenendo un aspetto stellare convincente.   

Decisamente più significativo il test su Rukh, la famosa delta Cygni, doppia da test per ogni ottica a causa delle sue caratteristiche utili: magnitudini di 2.89 e 6.27 con separazione attuale pari a 2,76”. Il rifrattore Antares ha offerto una visione piacevole del sistema con la primaria intensa e circondata da un anello di diffrazione ben netto, un accenno leggero di secondo debolissimo, e la secondaria perfettamente visibile e ben contrastata. La generale pulizia di immagine tipica dei telescopi non ostruiti, pur non raggiungendo la “durezza” degli apocromatici, risulta lodevole e consente di superare quanto ottenibile da un classico compound da 8 pollici di tipo SC.

19159+2727 STT 371AB

 
 
19H 15M 56.96S +27° 27' 21.4" P.A. 161 SEP 0.9 MAG 7.03,7.55 SP B8V DIST. 277.01 PC (903.61 L.Y.)
 
 
Coord 2000
19159+2727
  Discov num
STT 371
  Comp
AB
  Coord arcsec 2000
19 15 56.96 +27 27 21.4
 
Date first
1843
  Date last
2018
  Obs
208
 
Pa first
149
  Pa last
161
  P.A. Now (θ)
161°
 
Sep first
0.7
  Sep last
0.9
  Sep. Now (ρ)
0.9"
 
Mag pri
7.03
  Mag sec
7.55
  delta mag (ΔM)
0.52
  Spectral class
B8V (blue-white)
 
Pri motion ra
+001
  Sec motion ra
+001
 
Pri motion dec
-005
  Sec motion dec
-005

Il terzo target è stata la difficile STT 371, un sistema triplo posto al confine della costellazione della Lyra quasi a ridosso delle costellazioni della Volpetta e del Cigno.

La Otto Struve 371 rappresenta un target "limite" poiché offre una separazione sub secondo d’arco (0,9”) con le componenti A e B di magnitudine quasi identica (7.03 e 7.55) e anche una terza componente “C” più debole (9.77) a 47,4”.

La scarsa trasparenza del cielo ha reso difficile cogliere la componente C, che ho visto in visione distolta o quasi, ma non ha fermato l’Antares nel separare la doppia A-B.

Pur con difficoltà, a 240x i due piccoli dischi di Airy risultavano distinti. Tentativi ad ingrandimenti superiori, anche a causa della foschia del cielo e del seeing buono ma non perfetto, si sono rivelati meno utili. Il 2,8mm Takahashi serie LE, capace sul IO Antares di 430 ingrandimenti, faceva molta fatica a raggiungere un fuoco certo e non migliorava in alcun modo la percezione della separazione, aggiungendo inoltre molta luce diffusa.

Molto belle, colorate e contrastate sono risultate ovviamente Albireo e Sheliak sulle quali mi sono soffermato in compagnia di Ginevra per valutare insieme la percezione di colore e anche fare un poco di scuola sulla tecnica di rilievo dell’angolo di posizione.

L’esperienza osservativa dei sistemi multipli indica comunque che questo 150/1200 sia in generale più appagante di un SC da 8 o 9 pollici (come i classici C8 o C9,25). Benché giunga a poteri risolutivi inferiori (0,8” contro 0,6” teorici) ritengo che mostri immagini più “facili”, piacevoli ed esteticamente belle e permetta prestazioni standard statisticamente più alte. Nelle notti di test, se avessi ad esempio tentato di osservare coppie di simili caratteristiche con un C9,25 avrei avuto solo enormi “puffetti” tremolanti sovrapposti mentre il IO ha concesso disegni quasi perfetti con separazioni nette e pulite pur con la sua leggere scollimazione.

LUNA E DINTORNI

Nell'immagine sopra: scatto lunare eseguito con metodo afocale in proiezione di oculare

su smartphone tenuto a mano. Scatto singolo non elaborato.

Per poter effettuare un test lunare ho dovuto abbandonare la mia postazione da giardino e trasportare l’attrezzatura di qualche decina di metri e posizionarla ove le chiome degli alberi mi consentissero una visione decente dell’eclittica.

Cito il fatto perché mi da modo di affrontare la questione “montatura adatta allo strumento”.

Se infatti è vero che l’Antares IO, e così tutti i suoi cugini da 15 cm. e pari focale, ha costo di acquisto competitivo è altrettanto vero che per poterne sfruttare le caratteristiche sia necessaria una montatura dal costo quantomeno triplo o quadruplo.

E’ impensabile destinare ad un 150/1200 qualcosa che sia più piccolo della sempiterna EQ6 (nel mio caso una versione PRO), o ancor meglio una Losmandy G11 (ma in questo caso e per una versione “goto” i costi crescono in modo abnorme), e di questo bisogna tenere conto sia dal punto di vista economico che da quello logistico.

Trasportare a mano una EQ6, il suo ospite e contrappesi non è cosa facile e impone, il più delle volte, di smontare e rimontare il tutto.

Si tratta di un set-up non semplicissimo da gestire (impossibile per una ragazza o donna ad esempio) che può creare qualche piccolo problemino anche solo nell’essere caricato e scaricato dall’automobile in caso di trasferta.

E’ però altrettanto vero che un dobson da 25 o 30 cm. appare forse ancora più scomodo e un classico catadiottrico SC da 20 cm. dotato di montatura non è da meno.

Il test lunare è stato illuminante sotto molti punti di vista. In una mezza sera di inizio dicembre (il giorno 7/12/2019 per l’esattezza), ho osservato con accettabile pazienza la zona del Sinus Iridum che permette, con alcuni piccoli crateri sparsi nel mare Imbrium, di valutare la capacità dello strumento di notare dettaglio.

Sotto questo punto di vista il Antares IO si è fatto apprezzare scorgendo tutti i microcrateri indicati sull'atlante Rukl. Ho ad esempio visto con ottimo dettaglio e piacevolezza di immagine la gobba meridionale di Heis e una piccola ma netta ombra interna al suo sottocratere "D". Anche il fondo piatto di Caroline Herschel (un cratere di circa 13,4 km di diametro) si è palesato in modo sicuro ma soprattutto è stato immediato individuare i piccoli crateri denominati “U”, “V”, “F” nelle vicinanze della zona di allunaggio di Luna 17, ma anche il piccolissimo Helicon “E” (cratere da circa 2,4 km di diametro con pareti di altezza non superiore ai 470 metri).

Il potere utilizzato è stato quello di 170x offerto dall’oculare zoom da 7,2mm e di 240x permessi dal Takahashi LE da 5mm.

Ho eseguito alcune prove mettendo e togliendo il diaframma da 11 cm. contenuto nel tappo copriottica. L’esperimento ha fatto emergere un particolare che fino a quel momento mi era sfuggito, intento com'ero a determinare il fuoco corretto e il contrasto delle ottiche. L’immagine, nel suo complesso ma in particolare sui terrazzamenti dei crateri colpiti dal sole, appare estremamente gialla. In effetti, anche a piena apertura, la dominante bluastra della cromatica residua emerge ma resta molto diluita nella tonalità gialla di fondo.

L'effetto assume tonalità più scure riducendo l’apertura a 11 cm., operazione che riduce moltissimo anche il residuo blu a scapito di una maggiore emersione del giallo.

Di per sé la caratteristica non sembra inficiare il potere risolutore sui dettagli lunari e anche il cratere Plato, pur con poteri non eccessivi (240x sono il giusto compromesso per un rifrattore da 15 cm.), ha mostrato abbastanza bene 4 dei suoi piccoli crateri interni con un quinto al limite della percezione.

Sopra: disegno a matita su cartoncino della zona del piccolo cratere HEIS (nel mare Imbrium a ridosso del Dorsum Heim). Sotto: cartina di riferimento (generale e ingrandita): RUKL ATLAS

Sotto: disegno a matita su cartoncino del cratere GASSENDI ripreso nel giorno di passaggio al terminatore. Il disegno è stato compiuto usando un oculare da 5mm. Takahashi LE (potere di circa 240x) e riprende ovviamente solo una piccola parte del campo inquadrato per semplicità di disegno. Si è raggiunto un dettaglio di circa 2-2,5km. in condizioni di seeing piuttosto buone.

Nelle immagini sopra viene mostrata la differenza di tonalità tra l’apertura massima (15 cm.) e quella diaframmata a 11 cm. (immagine a destra). Le fotografie sono scatti al cellulare tenuto a mano in metodo afocale con proiezione di oculare. C’è del mosso e la risoluzione è bassa a causa dello zoom digitale dello smartphone ma risulta ben visibile la colorazione gialla dei terrazzamenti dei crateri nonché parte del residuo di cromatica blu residua.

Indagando i piccoli residui da impatto intorno al Promontorium Heraclides e il micro cratere appena davanti ai rilievi che guardano il Mare Imbrium non ho notato una sensibile diminuzione della sua percezione passando dalla massima apertura a quella da 11 cm. Contrariamente ho percepito, pur con una minore luminosità globale, un miglioramento nella visione di alcuni particolari.

Faccio comunque presente che, al momento del test lunare, lo strumento ha denunciato una non perfetta collimazione che si rendeva visibile operando lo star test su Capella. Curiosamente, come rinvenuto in altre occasioni, il disallineamento ottico appariva più pronunciato a tutta apertura che non lavorando con il diaframma a poco più di 4 pollici.

Poiché l’impiego dello strumento è principalmente votato alla visione di oggetti del profondo cielo a medio e medio/basso ingrandimento (tipicamente non superiore ai 120/140 ingrandimenti), la perfettibile collimazione risulta aspetto molto marginale e tendenzialmente accettabile.

L’utilizzo lunare, che mi ha permesso di operare comodamente a poteri oltre i 200x, ha anche evidenziato, come detto in apertura, quanto sia necessaria una montatura adeguata a sorreggere lo strumento. Il focheggiatore, che per non generare basculamenti ho dovuto registrare in modo preciso, risulta più resistente all’utilizzo di un crayford moderno e trasmette quindi maggiori vibrazioni al tubo ottico e alla montatura.

Se in queste condizioni la EQ6 ha svolto degnamente il suo compito è altrettanto vero che una montatura di portata inferiore sarebbe stata poco utilizzabile.

In ultima analisi, sempre parlando di osservazioni lunari, ho apprezzato ancora una volta la “pastosità” di immagine del rifrattore rispetto alla restituzione tipica di un compound come un SC tradizionale. La percezione dei mutevoli dossi del Dorsum Heim, a sud del cratere Caroline Herschel, e la meno elevate sinuosità del Dorsum Zinkel sarebbero ovviamente state alla portata anche di un 8 pollici Celestron/Meade ma la morbidezza e l’aspetto meno tremolante offerto dal rifrattore rendono l’immagine più godibile e “naturale”.

Anche la visione dei piccoli crateri al limite della visibilità pone una grande distinzione nella osservazione lunare condotta con un rifrattore piuttosto che con un telescopio a specchi. In questi casi limite, così come nella percezione delle varie elevazioni dei mari di lava, il telescopio a rifrazione consente immagini più facili. Anche là dove, come in un 8 pollici a specchio, possa essere disponibile maggiore potere risolutivo questo non sempre si traduce in particolari aggiuntivi e, anche quando lo fa, la visione appare tanto più nervosa da essere più difficile la “leggere”.

CIELO PROFONDO

Il campo di gioco ideale per un rifrattore da 6 pollici aperto a f8, stelle doppie a parte, è il depp sky a medio campo dove i 15 cm. non ostruiti e la focale “centrata” consentono un mix vincente.

Non ci si può attendere il guadagno luminoso di un 10 pollici e nemmeno la sua capacità di fare “esplodere in stelle” il nucleo degli ammassi globulari ma è indubbio che la visione offerta da un rifrattore consente una godibilità dei campi stellari e delle nebulose sconosciuta ad altri schemi ottici. Non vi è nulla di magico in questo, semplicemente la fisica dell’ottica.

Su questo sito e in altri articoli o interventi vari ho sovente descritto il limite dei 20 cm. quale “colonne d’Ercole” oltre cui si apre la visione approfondita degli oggetti del cielo profondo. Esiste una differenza sia fisica che psicologica nell’oltrepassare la soglia degli 8 pollici che distingue l’osservazione estemporanea da quella più attenta e finalizzata, almeno finché si utilizzano strumenti ostruiti.

Nel campo dei rifrattori questa soglia si sposta in basso ed è posizionabile proprio intorno ai 6 pollici. 

Osservare da un cielo buio con un rifrattore da 20 o 25 cm. è esperienza davvero notevole che consiglio a chiunque, un po’ come farlo con uno strumento da 16/20 pollici in altre configurazioni. Non che il risultato sia il medesimo, ma la sensazione di “infinito” è molto vicina.

Un rifrattore da 15 cm. è un buon compromesso ma benché venga da molti indicato come “spettacolare” ritengo sia giusto ridimensionare gli entusiasmi dei neofiti.

L’Antares IO si è distinto con lode nel mostrare gli ammassi aperti, nel coglierne i sottili bagliori delle componenti stellari e il loro variegato arcobaleno di colori (tenui a volte ma ben discernibili). Ha offerto la sensazione impagabile della "immensa oscurità del cosmo infinito" alle loro spalle ed è stato capace, più di altre configurazioni ottiche, di rendere “dense” alcune volute di nebulose luminose.

Ama molto i medi campi stellari da cui fare emergere piccole nebulose planetarie o l’alveare dei globulari classici e non disdegna affatto le tante galassie di media luminosità alla sua portata.

Al tempo stesso, però, fa capire di non essere a volte “abbastanza”. Proprio nell’indagine dei globulari manca dell’ultimo “allungo”, osservando molte planetarie che richiedono di salire con gli ingrandimenti palesa un deficit di luminosità (intesa come capacità di raccolta di fotoni) e cercando di allargare al massimo il campo inquadrato per godere dell’effetto “binocolo” mostra una non trascurabile curvatura di campo quando si supera il grado di FOV.

Si tratta quindi, come per ogni rifrattore da 6 pollici indipendentemente dal suo costo e perfezione ottica, non di un "re" ma di un buon "alfiere" se mi si concede il paragone scacchistico.

VENERE E DINTORNI

Nelle giornate di fine marzo 2020 abbiamo dedicato molto tempo all’osservazione del pianeta Venere con una ampia schiera di strumenti diversi tra i quali anche il "buon" Antares IO.

Accoppiato all’oculare zoom 21.5 - 7.2 mm il telescopio fornisce, alla minore focale, un potere di circa 170x che si sono rilevati adatti ad osservare tutto quanto il secondo pianeta ha da offrire in visuale. Con l’impiego dei filtri verde 58 e rosso i particolari non si sono fatti attendere. L’indentatura delle cuspidi emerge chiaramente così come alcune tenui variazioni di albedo corrispondenti a formazioni nuvolose molto estese. I disegni effettuati hanno anche avuto una certa conferma dalle immagini tratte in ultravioletto a testimonianza della loro, pur indicativa, veridicità.

Non potendo operare in ultravioletto (tipicamente i rifrattori hanno una trasparenza limitata in questa banda dello spettro elettromagnetico) ho ripreso il pianeta in infrarosso impiegando un filtro Astronomik da 742 nm (quindi con un “taglio” abbastanza spinto). Il risultato è visibile nell’immagine sottostante.

E’ giusto dire che le condizioni di seeing sia diurno che soprattutto al crepuscolo di cui abbiamo goduto nella seconda parte di marzo 2020 sono state molto buone e di questo hanno goduto principalmente le osservazioni visuali che, con quasi tutti gli strumenti utilizzati, hanno offerto grande spettacolo. In questo il IO non è stato da meno e l’impiego di filtri colorati ha limitato la parte di spettro non correttamente a fuoco restituendo immagini migliori, probabilmente, di quanto non accadrebbe normalmente.

Sopra: Ginevra osserva Venere con il Antares IO dal giardino di casa.

CONCLUSIONI

Siamo giunti alla consueta sezione delle “conclusioni” e quando si arriva a questo punto significa che l’articolo è finito (salvo piccoli ritocchi nel tempo) ma anche e soprattutto che alla regia è richiesto di esprimere una valutazione finale, cosa non sempre facile.

In effetti mi è difficile esprimere la "summa" della nostra chiacchierata sull’Antares IO e questo perché i tempi sono profondamente cambiati da quando lo strumento è stato progettato e con i tempi sono mutati sia l’approccio degli amatori alla loro passione che, in generale, le condizioni di osservabilità del cielo.

Il continuo deteriorarsi delle condizioni di trasparenza del cielo notturno, specialmente in pianura e in prossimità dei grandi centri abitati, non solo a causa dell’inquinamento luminoso ma anche e soprattutto di quello dovuto a polveri sottili, smog, gas di scarico, che generano uno strato di opacità che viene “acceso” dalle luci, ha modificato il nostro modo di fare astronomia.

Si sta vieppiù perdendo l’approccio visuale in favore di quello fotografico, anche con filtri interferenziali molto selettivi, e questo ha mutato l’utilità di alcuni strumenti a favore di altri.

Oggi è quasi inutile un rifrattore da 6 pollici per la stragrande maggioranza degli astrofili di pianura e questo con buona pace per gli affezionati. Non vi alcuna campagna vessatoria da parte mia (che notoriamente amo gli strumenti a lenti) ma una semplice constatazione di “quello che è”.

A questo si deve aggiungere che anche un meraviglioso apocromatico estremamente ben corretto, oggi differentemente da quanto avveniva venti anni fa, costa un “nonnulla”. Con meno di quattromila euro si accede ad un 150 f8 tripletto apocromatico con meccanica superlativa e chi vuole un “grosso rifrattore” compra quello e con esso una montatura goto da 30 kg di portata per reggerlo adeguatamente, e ci fa.. di tutto.

Il nostro Antares IO vale forse 300 euro sul mercato dell’usato e richiede una montatura quasi parimenti capace e questo ne limita molto la logica.

“Chi me lo fa fare di risparmiare sull’ottica quando tanto e comunque devo comprarmi un dinosauro per reggerla?” è la domanda che sorge spontanea. 

Sul fatto che si possa installare un Antares IO su una altazimutale manuale (mi sovvengono le varie “GIRO” e similari multimarchiate) non posso che ridere sonoramente e me ne infischio se esistono appassionati (e ce ne sono) pronti a spergiurare che questa sia la soluzione ideale. 

Se però le considerazioni sino ad ora fatte non interessano si può dire che l’Antares IO, pur con i suoi limiti insiti nella impossibilità di collimazione, è uno strumento che può regalare anni di osservazione. C’è cromatica, c’è un po’ di scollimazione, tutto vero ma, all’atto pratico e se quello che ci interessa è “guardare” le stelle e non vincere concorsi, chissenefrega!

Sapete quanto bello è osservare un ammasso aperto con un 15 cm. a lenti che costa come una camera cmos planetaria entry level?

Ci potete contattare a:

diglit@tiscali.it

oppure usare il modulo online.

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