Anno 2016
Takahashi, ho avuto modo di dirlo più volte nei vari articoli presenti su questo sito, è uno dei produttori non artigiani che ha fatto la storia dell’astronomia moderna nel mondo. Indipendentemente dalle simpatie e partigianerie personali alla casa giapponese va riconosciuto di essere stata una delle poche, forse l’unica, a mantenere costante la produzione nel tempo, almeno fin dalla prima ottica realizzata, e avere contemporaneamente ampliato la propria gamma differenziandola e rendendola costantemente adeguata non solo al progresso tecnologico generale ma anche e soprattutto alle esigenze degli astrofili che sono cambiate profondamente dalla fine degli anni ’60 a oggi.
Acquistare un prodotto del marchio con la T e S interpolate (Takahashi Seisakusho) ha sempre significato entrare in possesso di uno strumento o accessorio di altissimo livello, sia ottico che meccanico, realizzato per durare e che non ha mai o quasi prestato il fianco a critiche sulla sua bontà.
Ovviamente, come accade per ogni marchio, esistono “pezzi” speciali (o semplicemente molto rari) e altri più facilmente reperibili (in virtù dei numeri di produzione all’atto della commercializzazione).
Di Takahashi ne ho avuti indubbiamente tanti e molti li ho venduti nel corso degli anni ma quelli rari li ho tenuti andando a creare una personalissima (e purtroppo ancora incompleta) piccola collezione non facilmente riproducibile.
Bellissimi i Mewlon, gli Epsilon, le serie a rifrazione denominate FC e FS, ma pur con le loro ottime prestazioni ho finito per alienarli lentamente man mano che l’impegno e la fortuna mi portavano ad acquistare i pezzi rari. E’ così che mi sono ritrovato con un TS-65P tripletto, un FC100-N, un TG150, un FCT-150, un CN-212 (e non cito il FS-60Q che pur mantengo benché sia tutto fuorché un pezzo da “90”).
Ciò che è sempre mancato è un MT (la serie newton) e benché ne abbia incontrati molti non ho ancora avuto il coraggio di acquistare (addendum: sia agli atti che, al momento della pubblicazione del presente articolo, un MT-160 1° serie è stato aggiunto alla mia scuderia...).
Se per onestà intellettuale non posso evitare di citare i grandi FCT (200 e 250) e FET (200 e 300) posso però nascondermi dietro la dichiarata impossibilità economica e logistica di possederne uno (prezzi e dimensioni sono proibitivi) ottenendo così un alibi al desiderio.
Esiste però una serie che mi ha sempre profondamente affascinato e il cui possesso ho solo sfiorato avendo un TS-65P.
Quando la Takahashi Seisakusho Ltd., nel 1967, decise di proporre i suoi primi strumenti astronomici li denominò semplicemente “TS” con a seguire il diametro espresso in millimetri dei loro obiettivi. Cerco ancora con grande attenzione un TS-90 e sono incappato in alcuni TS-65/1000 con obiettivo a tre lenti ma la vera “perla tra le perle” resta il primissimo rifrattore proposto dalla casa giapponese: il TS65/900.
Annunciato nel 1967 e prodotto fino al 1970, di questo doppietto acromatico si sa molto poco. Sicuramente la produzione, come si evince da alcuni siti giapponesi che ne parlano tra le righe, è stata piuttosto limitata e crederlo non è difficile. Si era agli albori, il mercato doveva ancora essere sondato e preparato, inoltre il bacino di utenza era ristretto e non è difficile immaginare numeri molto contenuti. Se a questo si aggiungono i decenni trascorsi e la sicura perdita, rottura, abbandono di molti esemplari è giocoforza assumere che i pezzi sopravvissuti siano davvero pochi.
Trovarne uno è atto di fede..
Non si dica che non rientra nei miei desideri la versione lunga del mio TS65-P (tripletto 65/500), quella quindi a focale di un metro, ma per quanto rara la si recupera a ben volerlo e con una certa costanza di ricerca (all’estero ovviamente), ma è illogico non pensare che un amatore del mio livello non agogni il primo rifrattore di casa Takahashi. Un tripletto ha probabilmente migliore correzione cromatica ma il doppietto con diametro da 65 millimetri e focale 900 è oggetto “mitico” di cui nulla o quasi si sa.
E’ sufficiente spulciare il web per capire che i documenti relativi al 65/900 si giocano ai dadi con un croupier attento. Fotografie quasi inesistenti, test mai eseguiti, pareri non proferiti per mancanza di esemplari. E’ più facile avere un Nishimura che incontrare, anche solo a distanza, qualcuno che abbia avuto il primo Takahashi.
Non me ne vogliano i fan di Vixen, AP, Zeiss. Si trova tutto anche della vecchia produzione tedesca, è solo questione di denaro, e i più rari APQ, E, e via discorrendo compaiono ciclicamente sui mercatini europei. Sfido inchiunque chiunque a raccontare le sue esperienze con un TS 65mm. a doppietto fraunhofer...
Per questo, quando ne ho trovato uno, ho trattenuto l’aureola con entrambe le mani affinché non scivolasse rovinosamente a terra minata dai fremiti che mi scuotevano. Solo ottica in cella, con il paraluce rovinato. “Ovvio” ho pensato, “già un miracolo che sia sopravvissuto l’obiettivo”. Ma il miracolo è stato doppio quando ho reperito anche il suo tubo originale che il venditore aveva chissà dove a prendere polvere. Forse pensava che fosse buono per crearci un caleidoscopio casalingo..
I pacchetti hanno attraversato il mondo, perché dal Giappone la strada è lunga, e sono giunti a bussare la mia porta, come fosse la cosa più naturale di questa terra.
Una piccola Arca dell’Alleanza, una microscopica Pietra Filosofale... no, esagero, ma forse uno degli strumenti che campeggiavano nella cabina di comando del Titanic che la marea, con decenni di ritardo, portava a me.
Il primo problema che ci si trova ad affrontare volendo cercare di fare chiarezza nella produzione Takahashi dei primissimi anni riguarda la progressione dei numeri di serie e la corrispondenza tra i modelli realizzati e le varie “connotazioni” che hanno ricevuto con variazioni avvenute in soli pochi mesi.
Il primo aspetto presenta alcuni lati oscuri poiché se è corretto determinare che la stringa di cinque cifre (a volte precedute da una o più lettere a indicare una particolare versione del telescopio individuato) corrispondono all’anno di produzione (prime due cifre) e all’esemplare realizzato (secondo gruppo di tre cifre) appare molto difficile immaginare che i numeri di produzione dei primissimi tempi fossero elevati.
Nel mio caso la targhetta del TS-65 riporta 70953 che, nella normalità dei casi, indicherebbe il 1970 come anno di produzione e il 953° esemplare dell’anno. Si tratta di un valore anacronistico a mio modo di vedere anche perché nel 1970 sembrerebbe cessare la produzione della versione a doppietto acromatico e appare impossibile una produzione tanto copiosa.
Personalmente ritengo quindi più corretto immaginare che “953” rappresenti un numero progressivo di serie calcolato “dall’inizio della produzione dello specifico strumento” (nel nostro caso quindi dall’ottobre del 1967). Tra l'altro questa ipotesi di attribuzione (che sembra funzionare per molti prodotti Takahashi) mostra il suo limite quando si analizzano le serie FCT e MT per le quali sembra sia usata una numerazione progressiva e basta (per singolo modello).
Poiché si tratta di semplici illazioni ho voluto scrivere alla casa madre attraverso Takahashi America che è la filiale più grande e conosciuta. Il buon Art Ciampi è stato molto veloce nel rispondermi assicurandomi che, non avendo lui notizie da darmi, avrebbe trasmesso la mia richiesta di delucidazioni direttamente alla sede centrale. E’ bastato un solo giorno per ricevere risposta dai giapponesi che hanno candidamente ammesso di non disporre più dei dati di produzione di quegli anni e di non essere quindi in grado di dirci quanti TS-65 siano mai stati prodotti.
Malignamente ho al momento pensato fosse un elegante modo per mantenere il segreto ma riflettendo su cosa potesse essere, alla fine degli anni ’60, sia il modo di archiviare dati e informazioni che la tecnologia esistente (puramente cartacea), posso forse accettare che si tratti di verità. Al tempo forse non si è tenuto in debita considerazione la possibilità di diventare punto di riferimento dell’astronomia amatoriale e forse alcuni primi registri sono andati distrutti o semplicemente perduti.
E se davvero alla casa madre non hanno informazioni è quasi certo che nessuno potrà mai ricostruire, se non per approssimazione da “ricordo”, i numeri che ci interessano.
Accennavo però ad un secondo problema che, alla luce dei fatti, appare ancor più impossibile da risolvere. Lo stesso TS-65 (presentato con due nomenclature differenti nel 1967 e 1968 in versione altazimutale ed equatoriale) appare avere due tipi di paraluce diversi e non necessariamente corrispondenti al tipo di montatura su cui venne proposto. La versione equatoriale sembra infatti che potesse montare indistintamente un paraluce in tinta con il tubo ottico (bianco laccato) oppure in tinta con la cella dell’obiettivo (nero lucido).
Anche questo aspetto denota una certa improvvisazione di quel tempo e una iniziale ricerca di identità propria.
Era il 1972 quando Arthur C. Clark pubblicò il suo celebre romanzo "incontro con Rama", anni compatibili con la nascita (1967) del progetto che ha portato alla creazione del nostro TS-65/900.
Scartate le protezioni di imballo (ben fatte devo ammettere) ho disposto le parti presenti dello strumento su un piano per osservarle attentamente e preparare mentalmente un primo intervento di pulizia.
Fortunatamente il cuore pulsante dello strumento, l’obiettivo a due lenti in configurazione fraunhofer, appariva in buono stato anche se con un piccolissimo "chip" laterale.
Una ispezione in controluce e poi luce radente ha messo in evidenza la presenza di alcuni micro-graffi sul trattamento antiriflesso ma l’entità è tale da risultare quasi invisibile e comunque ininfluente sulla resa ottica.
Anche la serigrafia sulla cella e il microscopico logo con la T e la S interpolate apparivano perfettamente conservate.
Parimenti non si può dire della parte esterna della cella, del paraluce e del tubo ottico affetti da incrostazioni, abrasioni, perforazioni più o meno filettate, macchie, decolorazioni, e puntinature varie.
I filetti di serraglio di ogni elemento, nessuno escluso, erano incriccati e bloccati e lo smontaggio ha richiesto più di un’ora di attento lavoro. Solamente a tarda sera avevo a disposizione i singoli pezzi (dalla targhetta di identificazione al più piccolo grano di blocco passando per le guarnizioni di frizione delle prolunghe del focheggiatore) ben allineati e separati.
La prima opera di pulizia, con un completo sgrassaggio, ha richiesto altre due lunghe ore ma a fine lavoro avevo la possibilità di non offendermi nel guardare i singoli pezzi e potevo azzardarmi al loro assemblaggio e alla “prima luce” delle ottiche.
La sera era oramai terminata e la notte tarda, umida e velata, mostrava solamente una Luna calante non lontana dalla totalità e il brillante disco di Giove oltre a due o tre stelle di primaria grandezza.
Avendo dovuto rinunciare all’adattatore originale da 0,965 pollici (che è giunto con la ghiera di frizione deformata) ho usato un raccordo Takahashi da 31,8 millimetri e gli oculari della serie LE di pari diametro, il tutto senza diagonale.
L’ottica è apparsa subito non collimata e affetta da un discreto astigmatismo ma anche molto ben lavorata con un contenutissimo residuo di luce diffusa tra gli anelli di Fresnel e l’assenza di aberrazioni sferiche rilevabili.
Sicuro che un’ottica Takahashi non potesse essere astigmatica per errata lavorazione ho smontato la cella e l’ho riportata alla luce sul tavolo di lavoro. Ho allentato lievemente la ghiera di blocco (di una valore prossimo a 1/10 di giro forse) e come per magia sono apparsi dei bellissimi anelli di Newton la cui vista mi ha illuminato d’immenso. Ho impiegato non più di quindici minuti con sapienti interventi di pressione e poi ho pulito il filetto interno della cella rimuovendo alcune piccole impurità e collosità del tempo. La collimazione finale con le viti di push e pull ha riportato l’ottica alle sue specifiche di fabbrica con una centrica perfetta e una focalizzazione da manuale.
Con l’oculare LE da 5 mm. (per un potere di 180x) l’immagine stellare di riferimento è apparsa virtualmente perfetta e anche giocando con le focali da 12,5, 7,5, e 2,8 mm. ho riscontrato una sostanziale corrispondenza tra le immagini di intra ed extra focale. L’aberrazione cromatica mi è parsa non rilevabile e quando ho puntato Giove sono rimasto letteralmente folgorato dalla quantità di dettagli visibili e dalla pulizia del contorno contro il cielo retrostante. Una veloce occhiata alla Luna confermava la tonalità neutra del lembo con una incisione e contrasto notevoli.
Stanco per il lavoro che aveva preceduto l’osservazione non ho prolungato il tempo all’oculare e ho smontato il tubo dalla bella montatura EM-100, più che felice per la qualità ottica accennata.
Mi sono concesso il tempo di riporre il tutto in ordine e smembrare nuovamente le parti principali dello strumento separando il tubo ottico e il paraluce da obiettivo e focheggiatore. I secondi li ho riposti al sicuro, i primi impacchettati per portarli l’indomani in carrozzeria.
Li avrebbe attesi una attenta opera di stuccatura e riverniciatura professionale con la creazione a tintometro delle corrette tonalità di bianco e nero. Mentre il carrozziere si sarebbe occupato della cosmesi delle due parti più macroscopicamente rovinate io avrei dovuto dare la caccia alle parti mancanti.
La lettura di ciò che resta (o quantomeno di ciò che sono riuscito a recuperare) dei depliant del tempo indica che la dotazione dello strumento prevedeva un cercatore 5x25 diretto e, negli anni tra il 1968 e la fine del 1969, due oculari Kellner da 12,5 e 25 millimetri poi sostituiti, nella versione del 1970, da due ortoscopici MC di pari lunghezza focale.
La fortuna sembrava sorridermi; l’esemplare il mio possesso non aveva né cercatore né oculari, ma possedeva l’originale supporto con viti di regolazione e nella mia ampia collezione di “pezzi” avevo un cercatore Takahashi adatto e corrispondente oltre ai corretti ortoscopici in barilotto da 24,5 millimetri.
Quello che mancava era il diagonale prismatico e un anello di frizione per sostituire quello deformato. Si trattava solamente di cercare, trovare e acquistare, e per farlo avevo bisogno di un po’ di fortuna e di chiudere entrambi gli occhi sugli esborsi necessari (le parti vintage di casa Takahashi non sono mai economiche) con la speranza di non farmi troppo male.
Affinché il mio TS65-900 acromatico fosse “completo” ho dovuto lavorare un po’ sul web inseguendo “miraggi” e “delusioni” ma alla fine sono riuscito a mettere insieme il corredo (quasi completo) che mancava.
La prima attenzione è stata catturata dall’adattatore da 24,5 mm. che avrebbe dovuto sostituire quella giunta con il tubo ottico e irrimediabilmente danneggiata. Trovarla non è stato molto difficile e alla fine il “pezzo” necessario è giunto all’ovile.
Altra necessità riguardava il diagonale. Gli oculari originali richiedevano, per performare come da specifiche, il prisma Takahahsi da 0,965” che è stato scovato in Giappone, ovviamente, come il resto delle parti necessarie.
Un vezzo che mi sono concesso (più che altro a corollario del mio bellissimo FCT-150) è il vari-extender originale 3x. Si tratta di un duplicatore di focale dedicato che Takahahsi ha evoluto nel corso degli anni ottimizzandolo per i suoi vari rifrattori e cassegrain e variandolo lievemente a seconda dello strumento a cui veniva dedicato. Il risultato è che la produzione Takahashi in questo campo è ampia e ritrovare il duplicato “adatto” non semplice. Il bello di questo accessorio è che, con una serie di prolunghe, varia l’ingrandimento fino a 3x dichiarati (ma anche con alcuni “tiraggi” maggiori) e rende quindi più facile ottenere il corretto campionamento in fase di ripresa ad alto ingrandimento a seconda del sensore utilizzato.
Veramente difficile (e quindi ottenuto solo per grazia dello Spirito Santo) è stato recuperare il clamshell (culla) originale. Poiché chi mendica non può scegliere quando mi sono imbattuto nell’annuncio ho fatto buon viso all’ammaccatura presente. Sapevo che difficilmente e chissà in che tempi avrei avuto altra occasione così ho acquistato e organizzato la spedizione dal Sol Levante.
Non nascondo che per ottenere lo strumento “finito” ho dovuto pazientare, lavorare, non lesinare portafogli e sperare che tutto andasse per il verso giusto.
Quando però ho potuto assemblare lo strumento e guardarlo ho provato una grande gioia, difficile da trasmettere a chiunque non si cimenti nella ricerca di pezzi tanto rari, e anche le spese affrontate mi sono scivolate addosso senza rimpianti.
Non ho avuto cuore di togliere al rarissimo TG-150 il suo cercatore 5x25 originale così ho adattato un 6x30 moderno vendutomi da TS Italia che si adattava molto bene come cromia alla livrea del TS-65. L’alloggiamento originale del supporto era troppo stretto e ho dovuto lavorare di lima ma alla fine il set-up appariva completo e... bellissimo!
In queste immagini lo strumento appare ancora privo di cercatore e culla originale che,
al momento degli scatti, non erano ancora “finiti”.
Ho voluto guardare ancora una volta sia la Luna che Giove. Un controllo alle ottiche indicava una lieve scollimazione dovuta alle operazioni monta/smonta e ho fatto ricorso all’esperienza e a un certo “tocco” per trovare l’amalgama perfetta. Quando però il TS-65 si è rivolto al nostro satellite e al più grande dei pianeti l’emozione è stata tanta. L’immagine era virtualmente perfetta con poteri, anche sul Gigante gassoso, di 225x (ortoscopico MC da 4mm.) perfettamente tollerati e una pletora di dettagli estremamente fini.
Una grande gioia e anche la partecipazione dei bambini e di mia moglie che hanno apprezzato l’immagine all’oculare.
65 millimetri non sono tanti ma quando le ottiche mostrano lavorazione impeccabile e un rapporto focale di f 13,85 circa le immagini degli astri che lo strumento restituisce sono meravigliose.
Qualunque stellina che abbia luminosità sufficiente mostra il suo unico anello di diffrazione e un disco di Airy "ciocciottello" ma completamente privo di aberrazione sferica, ed è un gran risultato.
Il potere risolutore teorico, secondo la diffusa equazione di Dawes, è prossimo a 1,85 secondi d’arco ma non è raro scendere sotto questo limite se si accetta il semplice allungamento e interpolazione dei dischi stellari.
Sotto 1,8” non si può ovviamente sperare di vedere gli astri “separati” ma cogliere la duplicità di sistemi binari stretti è possibile, in condizioni di buon seeing e con componenti bilanciate, anche fino a 1,6” o 1,5”.
Ci si accorge della qualità di uno strumento in fatto di contrasto osservando le mutevoli nubi gioviane dove leggeri striature emergono meglio, benché decolorate, rispetto a strumenti a specchio di diametro maggiore.
In una notte milanese di seeing medio tendente al mediocre (e questo la dice lunga sulla insensibilità relativa dei piccoli strumenti a rifrazione) ho portato a “spasso” per costellazioni mio figlio Riccardo mostrandogli alcune delle stelle doppie più simpatiche del momento. Abbiamo cominciato il tour con la gialla Algieba e, usando oculari da 7 e 4 mm ortoscopici ci siamo lasciati trasportare alla ricerca di Castore, Rigel, il sistema di Mizar e Alcor, la difficile (per “delicatezza” della compagna) Stella Polare.
Sistemi non da test di risoluzione, possedendo tutti separazioni superiori ai 2”, ma molto indicati a mostrare la mutevolezza delle condizioni stellari ad un bambino di cinque anni, entusiasta sia del cielo che della visione che lo strumento permetteva.
La tarda sera del 9 aprile 2016, dopo aver lavorato un poco con il Vixen 60M alla ripresa di Giove, il cielo si è coperto e ho smontato camere, tavolini, montature e strumentazione. Nel tempo di qualche decina di minuti però il miracolo del secondo natale si è avverato (Teen Titans Go docet) e l’aree si è perfettamente ripulito mostrando una stellata notevole per il cielo Milanese.
Non ho saputo resistere e ho nuovamente installato il TS-65 sulla EM-100 puntando poi il grande Giove che stava culminando.
Il seeing non era dei migliori con una generale micro turbolenza da 5/10 che però, a tratti, permetteva di scorgere dettagli estremamente fini.
Con il diagonale prismatico originale e la serie MC Ortho da 0,965” ho scalato gli ingrandimenti fino ai 225x circa concessi dal 4 mm. ottenendo una immagine di Giove deliziosa anche se solo a tratti.
La NEB si disegnava con andamento molto sinuoso e colorazione densa di un rosso mattone intenso. Due festoni apparivano accennati con diramazione dalla NEB verso il centro della banda equatoriale chiara e con un nodulo denso e scuro come genesi di uno dei due nel punto di incontro con la NEB.
La zona nord appariva ben densa con un rinforzo lieve ad anello (quasi una banda) a delimitazione della zona polare. La SEB, all’interno della quale si sviluppava la GMR, molto evidente e con un netto rinforzo centro/meridionale rosso circondato da un accenno di contorno più chiaro, precedeva alcuni vortici male definiti ma comunque piuttosto visibili data la loro interna variazione di colore dal chiaro allo scuro, e una netta divisione della SEB in due bande dentellate.
Nell’emisfero sud erano visibili alcune bande striate (almeno un paio) prima di giungere alla zona polare. Tutta la regione a sud della STB appariva infine più senza della sua omologa a nord.
Nelle prime prove di imaging il seeing non è mai stato eccezionale. Qui sopra alcune
riprese effettuate con seeing 5/10 che ha penalizzato un poco il risultato finale.
Diversa la resa (si veda il proseguo dell'articolo) in condizioni di seeing superiori.
Nelle mie scorribande per il cielo primaverile con il TS-65/900 mi sono accorto di quanto le sue prestazioni dipendessero anche dall’oculare utilizzato.
I miei plossl cinesi, che in tante occasioni hanno mostrato di essere molto vicini a oculari più blasonati - almeno a centro campo, hanno fatto un poco “cilecca” se accoppiati al rifrattore Takahashi.
Un confronto diretto tra i plossl e gli ortoscopici giapponesi con la T e S interpolate hanno infatti messo in evidenza un calo di contrasto, pulizia di immagine, e una dominante più gialla e calda dello schema plossl rispetto all’ortoscopico.
E’ sicuramente vero che gli MC Takahashi del secolo scorso sono in assoluto tra i migliori ortoscopici esistenti ma notarlo distintamente, in particolare modo nell’osservazione Lunare e di Giove, è stato interessante.
Oltre ad una maggiore “luminosità”, dovuta forse anche alla restituzione glaciale dei bianchi, ciò che è risultato palese è stata la supremazia dello schema ortoscopico Takahashi nella percezione dei dettagli fini e minuti delle bande gioviane.
Alcuni festoni e sottili bande temperate, immediate con il 4mm. e il 7mm. MC erano meno nette e pulite nel plossl di poco prezzo e solo dopo averle viste distintamente nell’ortoscopico sono riuscito a “recuperarle” nel plossl simmetrico.
Non si tratta ovviamente di differenze schiaccianti ma l’immagine appare generalmente più contrastata, bianca e pulita e si colgono con apparente disinvoltura dettagli al limite strumentale.
Il pomeriggio del 5 Maggio 2016 era tinto di colori azzurri cheti e lasciava immaginare una serata meravigliosa, sia quanto a trasparenza che seeing.
In effetti, man mano che la sera si avvicinava, l’aria restava azzurra e ferma con una innaturale sensazione di immobilità.
Era un po’ di tempo che desideravo testare il Takahashi TS 65/900 acromatico confrontandolo con il cugino semi apocromatico con focale 500 mm. (Takahashi TS-65P) e un personale e riuscitissimo “cavallo di battaglia”: il R.D.N 70/900.
Gli strumenti sono stati installati su tre montature equatoriali motorizzate: una Super Polaris Vixen su colonna e ruote, una CEM-60 Ioptron su colonna fissa, e una rara EM-100 Takahashi anch’essa su colonna e ruote.
I tre contendenti pronti alla prova sul pianeta Giove.
Giove è stato inquadrato dai tre strumenti ancora prima che diventasse buio e non appena individuabile a occhio nel cielo azzurro della prima sera.
Le focali “compatibili” dei tre rifrattori hanno permesso di lavorare con ingrandimenti similari e comparare in modo oggettivamente valido le loro performances.
Fortunatamente le promesse della giornata sono state mantenute e il seeing si è attestato, quando ancora il cielo era chiaro, su valori di eccellenza assoluta con numeri superiori agli 8/10.
In queste condizioni osservare il grande pianeta gassoso con le sue mutevoli nuvole è stato esaltante. Avevo a disposizione strumenti da 6/7 cm. ma la quantità di dettaglio era pari a quella di un buon 6/7 pollici in condizioni normali. Festoni, bande a iosa, indentature, e poi l’ombra di Ganimede sul disco netta e contrastata.
Ho alternato oculari, diagonali, visione diretta e ingrandimenti e sono riuscito a disegnare un profilo realistico delle ottiche a disposizione.
Dovendo redigere una classifica sicuramente porrei al primo posto il TS 65/900, seguito a una lunghezza dal R.D.N 70/900 (risultato a sorpresa) e per ultimo il TS 65P semi apocromatico.
Poiché le classifiche risultano “sterili” se non commentate, spendo alcune parole per raccontare le differenze che l’occhio coglie.
Sicuramente il TS 65 a f 13.8 acromatico mostrava un livello di dettaglio leggermente più fine dei suoi due concorrenti ma ciò che lo rendeva superiore era la resa cromatica di fondo. Giove appariva bianco o quantomeno piuttosto neutro con una saturazione delle tinte estremamente naturale. Il cromatismo residuo risultava limitatissimo tanto che per vederlo bisogna cercarlo ed essere “sensibili” alla sua lieve entità.
Il R.D.N., cui ho dato la palma del secondo posto, raggiungeva un dettaglio molto simile a quello del 65/900 ma la cromatica residua appariva decisamente più pronunciata (soprattutto nella componente blu) e questo tendeva a “sporcare” un poco l’immagine benché questa rimanesse molto bella.
Infine, il TS65-P (tripletto semi-apocromatico), sia per via della focale quasi dimezzata rispetto agli altri due rifrattori (500 mm. contro 900 mm.) sia forse per il tipo di lenti e trattamenti, offriva una tonalità più calda e “gialla” e una maggiore difficoltà di messa a fuoco. La sua immagine, pur disponendo di quasi tutti i dettagli visibili anche negli altri due strumenti, diventava ai poteri di test (tra i 130 e i 150x) meno “affilata”.
Il paragone è stato molto utile e le differenze che emerse, principalmente per via della dominante di immagine e delle leggere differenze di risoluzione ottenuta, indicativo di come ottiche di pari diametro performino in maniera sostanzialmente differente, con buona pace di chi tende a fare “di ogni erba un fascio”.
Primo piano degli obiettivi dei rifrattori in prova. Da sinistra a destra: R.D.N 70/900 - Takahashi TS-65P - Takahashi TS 65/900
Data la ottima calma atmosferica presente ho deciso di dedicare qualche scampolo del test alla ripresa di Giove con il rifrattore TS 65 acromatico che risultava, almeno in visuale, più prestante. Ho accoppiato la camera QHY5L-II a colori con una barlow Celestron Ultima 2x per ottenere un campionamento accettabilmente corretto e una focale di ripresa idonea (circa 1.800 millimetri) per un rapporto focale di f 27,6.
I filmati (3 in totale di cui elaborati solo due per via di un problema al terzo) hanno avuto durata di 2 minuti ciascuno con un frame rate prossimo a 45 FPS per quello che ritrae il solo Giove e di 11 FPS per quello che riprende anche i suoi satelliti. Sono stati utilizzati il 30% dei frames per il primo e il 50% per il secondo con elaborazioni effettuate solamente con Registax 6.0 e qualche ritocco ai colori con PS.
Ritengo, alla luce di quanto ottenuto, di essere giunto molto vicino al limite teorico dell’ottica con immagini che risultano migliori di quelle circolanti ed eseguite con strumenti di diametro doppio.
In alto: "quadretto" con Giove al centro e le tre lune principali non proiettate sul disco ben visibili ai suoi lati. Sotto: immagine ripresa da un filmato con ROI molto stretto (220x220 pixel) per aumentare al massimo il frame rate (che era di ben 45 FPS). Sotto ancora la medesima immagine con affiancato un ingrandimento del lembo di ingresso del satellite Ganimede.
Sera del 15 maggio 2015: osservazione del terminatore in luce radente.
L’osservazione di Clavius conduce l’astrofilo curioso in un bacino estremamente eterogeneo dove crateri dell’era Nectariana sono stati sovra scolpiti da impatti più recenti.
Al margine del bacino principale si trova un bel cratere di circa 48 chilometri di diametro a cui è stato attribuito il nome di Rutherfurd. In condizioni di illuminazione quasi radente non si possono percepire i domi interni al cratere ma la sua sagoma quasi perfettamente circolare (anche se vista di tre quarti) appare netta con alcuni terrazzamenti ben marcati da ombre interne e, soprattutto, con un doppio picco (uno centrale e uno laterale ) che si ergono a cogliere la luce del sole lontano.
Le pareti esterne del cratere degradano nella piana di Clavius in modo piuttosto scosceso ma mostrano almeno un paio di terrazzamenti almeno un contrafforte.
Il suolo di Clavius, tra le pendici di Rutherfurd e il primo grande cratere interno al bacino principale, denominato Clavius D, è solcata da appena accennati domi e corrugazioni che i 225x offerti dal 4mm lasciano appena intravedere come una non uniforme ondulazione del fondo.
Ad accompagnare Clavius D si erge un picco solitario ammorbidito dal tempo che fuoriesce dall’ombra gettata dalle pareti di Clavius D. Spostandosi verso il centro del grande bacino nectariano si incontrano le formazioni più intricate tra i crateri Clavius C e Clavius N (rispettivamente di 21 e 13 chilometri di diametro), entrambi lievemente elongati e circondati da una serie di domi, dorsali, piccoli altipiani e microcraterini secondari.
Foto SOPRA e SOTTO: immagini eseguite in AFOCALE con telefonino accostato all'oculare ortoscopico da 25 mm. Nessuna elaborazione. Zoom 4x circa per la foto in basso.
Una attenta osservazione e valutazione dei più piccoli alla portata dell’oculare e dello strumento attesta di essere in prossimità del potere risolutore teorico strumentale. Appena a Nord di Clavius N si staglia netta la sagoma di un cratere con diametro non superiore ai 4 chilometri che corrispondono a una separazione di 2,16”. In realtà, potendo “misurare” la dimensione del cratere e apprezzandolo come tale e non come semplice discordanza con il resto del panorama lunare, si è certi di essere sotto tale valor e e probabilmente prossimi a 1,8” o poco meno, un dato confacente con l’adattamento visivo e celebrale alla percezione di particolari ad alto contrasto. Ricordiamo che il TS 65/900 possiede un potere separatore teorico (usando la formula di Dawes) poco inferiore a 2” (1,86” per la precisione) che corrispondono effettivamente ad un cratere di quasi 3,5 chilometri di diametro.
Tralasciando le considerazioni meramente numeriche e tornando all’osservazione del grande bacino Lunare ci si può avventurare lungo la doppia linea curva di domi e lievi prominenze (alla data della mia osservazione rese più visibili dall’inclinazione dei raggi solari) che sembra collegare il piccolo craterico di cui disquisivamo poco fa alla muraglia di contenimento di Clavius passando per un netto cratere circolare anch’esso di circa 4 chilometri di diametro.
Incredibile, ai fini della pura risoluzione ottenibile con il TS-65/900, poter distinguere nettamente e con cognizione della sua natura craterica, la formazione da impatto vicina a Clavius J e le cui dimensioni non superano probabilmente i 3 chilometri di diametro.
Il resto del grande cratere Nectariano è una miniera di particolari. Basta soffermarsi sui rilievi che lo disegnano estremamente per imbattersi in una moltitudine di dossi, terrazzamenti, microcrateri che ne sforacchiano le pareti e anche alcuni picchi appena più alti che si ergono illuminati dalle tenebre dei bacini contigui.
Per raccontare solo alcune delle formazioni principali ammirabili in un cratere da 245 chilometri di diametro abbiamo speso molte parole, circostanziate e votate ad una sintesi radicale della visione sia per formazioni citate che per loro descrizione.
Da questo è facile dedurre quanto possa essere esaustivo, nel godimento della superficie selenica, anche un semplice rifrattore da 6 cm. e mezzo purché di ottimo livello e accompagnato da oculari che ne esaltino le caratteristiche. Nel mio caso il treno ottico scelto rappresenta quanto di meglio si possa desiderare (diagonale prismatico Takahashi e oculari MC ortoscopici sempre di casa Takahashi: 25 - 12,5 - 7 - 4 mm.).
Le condizioni di illuminazione della fase lunare erano ottimali per l’esaltazione di alcuni particolari della zona antica centrata sul cratere di Fra Mauro. Oltre alla sottilissima presenza di materiale di deposito e all’interno dei bacini di Guerike, Bonpland e dintorni la vetta osservativa l’ho ottenuta apprezzando una parte della difficilissima Rimae Parry che cogliere con un 6,6 cm. è impresa davvero ardua!
Va anche detto, a onore della super prestazione del vecchio Takahashi, che si è riusciti a intravedere la “bozza” del micro cratere sul bordo laterale di Tolansky la cui percezione è stata probabilmente aiutata dalla brillanza delle formazione .
Benché sia oggi facile per l’astrofilo accedere alla visione del nostro Sole nelle righe H-Alpha ma anche, almeno in fotografia, del Calcio, io continuo ad essere affascinato dalla così detta “luce bianca”, ossia l’osservazione della stella semplicemente “molto” filtrata.
A questo scopo risulta ottimale l’impiego di un prisma di Herschel che, accoppiato anche ad un piccolo rifrattore come il TS65/900, permette immagini molto dettagliate di macchie, zone di penombra, brillamenti principali e granulazione solare.
Ancor più intrigante è però conformarsi alla “vecchia scuola” installando uno schermo di proiezione solare e restando comodamente seduti ad osservare, con entrambi gli occhi, quanto l’oculare genera sullo schermo bianco.
Se tutto è ben calibrato la qualità dell’immagine riprodotta è molto vicina a quella mostrata all’oculare e si riesce a non perdere dettaglio.
Il risultato è emozionante anche perché facilmente condivisibile con altri, rilassante nella sua fruizione e anche molto sicuro.
Unica attenzione quella di controllare che nessuna parte del treno ottico sia in materiale plastico pena la sua “fusione” come accaduto al diaframma di campo del mio oculare plossl da 10 millimetri…
In alto: immagine di quanto viene proiettato su un comune schermo solare. Sotto: il TS65/900 accoppiato ad un prisma di Herschel Lunt da 31,8mm. e una immagine scattata in afocale con un semplice smartphone Samsung S4 tenuto a mano.
Cosa dire infine del TS65/900?
Tralasciando la sua rarità e l’incontestabile fascino legato al fatto di essere la prima creatura di casa Takahashi, lo strumento ha dimostrato di poter offrire prestazioni di alto livello, sicuramente al vertice della sua apertura sia per qualità della lavorazione che per pulizia di immagine.
Regge con disinvoltura ingrandimenti pari ad oltre 80x pollice e si avvale di un focheggiatore a doppio sistema che è molto ben fatto oltre ad essere estremamente preciso e bello da vedere. Imparagonabile la sua resa ai moderni 70/80mm ED con rapporto focale inferiore a f8 che non riescono ad avvicinare le prestazioni del vecchio Takahashi, almeno in campo visuale.
Si tratta di una “chicca” per amanti delle cose belle e tiene agevolmente il passo di strumenti moderni anche di maggiore diametro. Insieme allo Zeiss AS-63 e ai Royal di pari apertura e focale si colloca al vertice assoluto della propria categoria e cercarlo e acquistarlo è cosa buona e giusta.