DEEP SKY con 60mm a f12 da Milano: fotografia estrema?

Aprile 2021

UNO STRUMENTO INUSUALE PER LO SCOPO

Un piccolo rifrattore guida da 60 millimetri di apertura e 700 millimetri di foicale, operante sotto un cielo umido e con scala Bortle 9 da una grande città immerso nel verde è esattamente quanto da non usare per fotografare oggetti del cielo profondo che non siano ammassi aperti o qualche globulare.

Nonostante questo, per puro gioco e dopo una lunga sessione alla ricerca di Quasar e Blazar lontani con redshift superiore a 1, ho dedicato un'ora a riprendere alcuni oggetti "disponibili" nel mio cielo di inizio primavera 2021.

Nessuna volontà di stupiro, forse solo quella di dimostrare che anche con una tecnica incresciosamente "entry level", qualcosa si può fare. 

Lo strumento impiegato è un vecchio Vixen 60M guide scope che ha sulle spalle circa quarant'anni di servizio. Opera con un rapporto focale di f 11,66 e, pur in queste condizioni, il suo spettro secondario non è completamente invisibile. In compenso è simile a molti 60/700 che si possono recuperare sul mercato dell'usato per poche decine di euro (quando i ventditori non cercano di specularci raccontando frottole insostenibili che però sembrano avere appeal sui più sprovveduti". Anche la camera usata è stata volutamente scelta tra quelle "planetari" prive di raffreddamento e con un sensore relativamente piccolo. 

Per quanto seguirà è stata impiegata una montatura skywatcher EQ6 PRO solamente perché già installata e allineata al polo celeste all'atto del test. In verità la EQ6 è sprecata nel nostro caso e andrebbe benissimo anche una montatura molto più leggera ed economica.

UN'ORA DI ESTEMPORANEITA'

... Ho superato da un giro di lancette la mezzanotte quando i primi brividi si affacciano sotto la giacca. Sono oltre tre ore che riprendo Quasar distanti con luminosità al limite strumentale per le condizioni in cui opero ed è ora di smettere di vedere solamente flebili e ridicoli “puntini”.

E’ la vigilia di Pasqua, anzi si è già varcata la soglia del nuovo giorno, e decido di smontare la strumentazione e di rifugiarmi sotto le coperte.

Prima di abbandonare ho però da fugare una curiosità. Il piccolo Vixen 60/700 che guida durante le pose fotografiche il rifrattore Petzval 120S vede sempre e solo anonime stelline monocromatiche attraverso la camera Asi 178mm e non assurge mai al rango di telescopio fotografico.

E’ il suo destino, sembrerebbe, ma poiché il Fato ha modo di mescolare le carte mi chiedo cosa accadrebbe se fosse il rifrattore acromatico giapponese, con oltre un trentennio sulle spalle, a dedicarsi a qualche estemporaneo scatto alla ricerca di soggetti luminosi del cielo profondo.

Sarebbe, penso compiaciuto, un test di risposta ai tanti che per pigrizia mentale ed economica vorrebbero fare un poco di astro-fotografia impiegando mezzi che sono bene al di sotto del “minimo sindacale” richiesto.

Così facendo predispongo il nuovo set up di ripresa e lo istruisco a lavorare come potrebbe fare chi dispone di pochi mezzi.

La montatura, una EQ-6 PRO con qualche anno di servizio, è già stazionata, la piccola camera monocromatica non raffreddata ASI-178 collegata e anche il rifrattore da 60 millimetri a f11,7 portato al fuoco corretto.

Ciò che risulta necessario al fine del gioco è non utilizzare un sistema di guida automatizzato e filtri anti inquinamento luminoso, scegliendo così la linea “duri e puri” e accontentandosi del lattiginoso cielo di Milano che, pur segnato da una classe Bortle 9 è, nella notte del test, più ventoso del solito.

Imposto il programma di acquisizione Sharpcap in modalità “live stacking” delle pose effettuate così da generare automaticamente l’immagine finale. Non eseguo “dark frames” poiché, impiegando una camera non raffreddata questi sarebbero inutilizzabili in altre occasioni e, ponendomi nelle vesti di chi non ha desiderio di difficoltà aggiuntive, voglio ridurre al massimo le operazioni che un neofita si troverebbe ad eseguire per riprodurre quanto scrivo. Concedo alla titanica impresa il solo beneficio di un “master flat” ottenuto con cinquanta scatti brevi (0,4 secondi ciascuno) per pulire l’immagine dalle tracce di polvere e alonature sul vetrino del sensore.

Con tali premesse risulta ovviamente necessario tenere molto contenuti i tempi di esposizione ed accentuare di conseguenza il guadagno elettronico di ripresa (il fantomatico “gain”). La combinazione di questi fattori determina purtroppo una crescita esponenziale del “rumore a pioggia” e anche una soglia di segnale/rumore bassa che impedisce profondità di ripresa.

Tendenzialmente, anche lavorando con un rapporto focale superiore a f11, la combinazione di cielo, apertura ottica risibile, parametri di ripresa indicati, genera un tempo di integrazione utile al raggiungimento del limite S/N prossimo ai 4-5 minuti. Perseverare oltre questo tempo peggiorerebbe solamente l’immagine.

Quando tutto è pronto per iniziare l’avventura alzo gli occhi al cielo e comincio a riprendere. Non c’è tempo per scegliere la corretta inquadratura, non ve ne è neppure la necessità con un sensore piccolo come quello della Asi 178, solamente mi preoccupo di porre l’oggetto ripreso al centro del campo inquadrato.

Con pose da 5 secondi e un valore di gain a 400 (in scala da 0 a 600) il cielo, già di per sé lattiginoso e opaco, diventa a monitor subito biancastro e la curva di risposta del sensore una dolce collina. Il programma riprende e somma e in un baleno trascorrono i 5 minuti scelti come valore massimo di ripresa ed è necessario passare al altro soggetto.

A M-3 (un bell’ammasso globulare nella Chioma di Berenice) concedo la “prima luce”, poi vengono a seguire la galassia M-82 e la vicina M-81, la evanescente e diafana nebulosa “gufo” M-97, la difficile galassia M-109 e le più eclatanti M-106 e M-64 per finire poi con due oggetti NGC come la galassia 4565 e la non facile 4559 (“Koi Fish galaxy”). E poi, perché la avevo dimenticata e sarebbe stato imperdonabile dato che viene fotografata “alla nausea”, ho concesso i cinque minuti di rito anche ad M-51.

M-3 è un ammasso globulare luminoso ed esteso. Si tratta sicuramente di uno dei soggetti più facili da riprendere e non pone sostanziali differenze aumentando il diametro del telescopio di utilizzo, almeno finché si rimane nella classe tra i 3 e i 5/6 pollici

Si presta molto bene, come del resto ogni oggetto stellare puntiforme sufficientemente luminoso, ad essere ripreso con pose brevi e ad alto guadagno luminoso poiché permette di non dover porre eccessivo stretch alle immagini finali e quindi contenere il rumore termico e soprattutto geometrico delle camere cmos.

M-82, la “Cigar Galaxy”, è in assoluto l’oggetto extra galattico più facile da riprendere avendo luminosità integrata notevole e una forma allungata e contrastata che la fanno emergere dal cielo di fondo anche se ripresa con un “cercatore rotto”. L’immagine mostra bene sia la forma che le principali caratteristiche morfologiche di chiari e scuri.

M-81 è soggetto decisamente più difficile. Nonostante un nucleo luminoso e una buona magnitudine integrata i suoi bracci a spirale richiedono tempi di posa molto più lunghi rispetto ai 5 secondi usati e un valore di gain relativamente basso che consenta di fare emergere le propaggini deboli incurvate. In questo caso, pur con un accenno di morfologia, la combinazione di cielo bianco, piccolo diametro e tempi da “live stack” veloce ha imposto limiti invalicabili.

M-51 riesce bene quasi sempre. E’ luminosa, ha una forma inconfondibile, e risulta piacevole anche in immagini eseguite con tecnica “base”. Nonostante questo si riescono a vedere, postate sui forum generalisti soprattutto, immagini della “Galassia Vortice” eccezionalmente brutte e sovrabbondanti di errori tecnici.

Nella nostra prova la galassia e le sue caratteristiche principali emerge in modo chiaro e la gestione geometrica del fotogramma risulta corretta. 

M-109 è decisamente più difficile e infatti le condizioni di ripresa non hanno concesso nulla più che il semplice registrare la sua presenza con un leggero accenno alla morfologia primaria. E’ una spirale barrata che richiede un cielo di buona qualità e trasparenza mentre nella nostra prova il limite di saturazione giunge già allo scadere del quarto minuto. Nell’ultimo non sono aumentati i dettagli visibili mentre è lo ha fatto il disturbo a “rain” di fondo.

M-97 ha rappresentato un azzardo. Volevo che comparisse, nel test, anche una neblosa planetaria ma al momento della ripresa la sola “disponibile” era la Owl nebula. In sé l’oggetto è molto bello, diafano ma di superba presenza, un fantasma che offre immagini emozionanti se ripreso con filtri combinati OIII e H-Alpha. Serve però più diametro e un inseguimento.

La nostra prova di soli 5 minuti con pose da 5 secondi, rapporto focale di quasi f12 e assenza di filtri sotto un cielo Bortle 9 è ovviamente autolesionista ma ci suggerisce che, se avessimo avuto la voglia di smontare la camera e inserire un banale filtro UHC da 31,8 mm acquistabile su Amazon a circa 40 euro o forse meno, pur mantenendo inalterati tutti gli altri parametri avremmo ottenuto una immagine decisamente più contrastata e scura nel cielo con incremento significativo della visibilità della planetaria.

M-106, dopo la diafana e rumorosa immagine della Owl Nebula, rappresenta un soggetto facile. E’ grande e sufficientemente luminosa da rendere decentemente anche con le nostre condizioni di ripresa e di strumentazione. Dopo circa 4 minuti il limite S/N è raggiunto ma ho deciso comunque di esporre per i canonici 5 minuti per avere una uniformità di risultato e resa ai fini del test.

Anche M-64, la celeberrima “Black Eye Galaxy” si rivela un soggetto facile. In realtà la galassia, come del resto le precedenti menzionate, avrebbe molto altro da offrire ma la sua caratteristica morfologica principale emerge bene e si riesce ad ottenere una immagine corretta e piana. La resa risulta bassa, il fotogramma rumoroso e il rumore a pioggia emerge prepotente ma le condizioni che ci siamo imposti sono proibitive.

NGC-4565 è il primo tributo ad un oggetto New General Catalogue che può intrigare, per forma e “aura”, i neofiti. Venendo da anonimi quasar di diciassettesima magnitudine (scopo delle riprese della mia sessione serale), il lungo fuso striato della lontana galassia è esaltante anche in una ripresa tanto limitata come quella del nostro test. Il fondo cielo si satura presto e i 5 minuti di ripresa sono effettivamente il massimo concesso e anche un pochino “oltre” considerando che l’inversione di tendenza del rapporto S/N è diventata negativa già al minuto 4:15

NGC-4559, conosciuta anche come “Koi Fish Galaxy”, è meno banale di quanto i suoi dati numerici lascino intendere. Nelle fotografie a lunga posa sotto cieli degni di questo nome mostra molti particolari e una morfologia affascinante. Nella nostra immagine molto anzi moltissimo si perde ma le caratteristiche salienti sono comunque visibili.

CONCLUSIONI

Cosa può essere evinto dalla estemporanea avventura di una tarda notte di inizio primavera? Che qualcosa è possibile, sempre e comunque. Abbiamo fotografato con un doppietto acromatico da 6 cm. e rapporto focale da quasi f12, usando una camera cmos planetaria monocromatica, non raffreddata, senza inseguimento, senza post-elaborazione se non l’aggiustamento di un paio di livelli su Photoshop, impiegando infine pose brevissime e un programma di live stacking.

Non sono stati nemmeno usati filtri (e un banale e semplice Ir-Uv cut avrebbe aiutato tantissimo) e soprattutto abbiamo lavorato da Milano, con un cielo bianco come un lenzuolo.

Rumorose, poco profonde, con un insistente “amp glow” dovuto alla camera di ripresa (vedi porzione destra delle immagini), con un forte rumore a pioggia imposto dalle pose brevissime e dal gain elevato, le immagini sono però “corrette”. Non presentano errori geometrici, false inquadrature, elaborazioni troppo spinte e saturazioni che riducono in modo inaccettabile la scala dei grigi. Sono, pur “povere”, guardabili e anche apprezzabili e hanno in loro una dignità che le rende presentabili.

 

Affinché non vi siano fraintendiomenti è ovvio che, volendo, si può fare molto di più ed ottenere immagini più pulite, profonde, bilanciate e piacevoli. E' sufficiente ridurre il guadagno digitale, allungare i tempi, impiegare almeno un filtro IR-cut, usare una autoguida. Se così facessimo i risultati sarebbero sorprendenti e i "nostri" oggetti, qui solamente abbozzati, emergerebbero in modo considerevole dal fondo cielo.

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