VIXEN NP-80L (80/1200 f15)

febbraio/ottobre 2020

INTRODUZIONE

“Solo con strumenti di precisione come i Vixen New Polaris R-100L e 80L potrete ammirare con soddisfazione le bellezze del cielo” recitava, nel 1988, il catalogo Auriga dedicato al marchio giapponese.

Uno sfondo blu su cui si stagliano i due tubi nero lucido sulla bella New Polaris con cavalletto in legno è l’immagine che, e non credo di essere il solo, ho osservato decine di volte, fantasticando. Alcune icone restano intimamente legate alle sensazioni di un momento e per quanto tempo passi basta riguardarle per tornare, giostra della memoria, all’incanto di un tempo passato.

Non ha importanza quanto oggi si possa andare oltre, ciò che conta è l’emozione che un oggetto sa trasmette o evocare. Il Vixen New Polaris 80L è stato a tutti gli effetti un "istant-classic" ed è, oggi, uno strumento "ever green" che travalica le mode e si impone come stupefacente compagno di osservazioni.

SOPRA e SOTTO: pagine estratte dal catalogo Auriga del 1988

CARATTERISTICHE FISICHE

Il Polaris 80L ha dimensioni non indifferenti. Pur relativamente leggero (alla bilancia accusa, completo di anelli e cercatore originali, un peso di 4,1 kg) la sua lunghezza di 119 cm. è capace di mettere in crisi molte montature. Installato sulla originale New Polaris il telescopio è bello, addirittura bellissimo se dotato di treppiedi ligneo come nel nostro esemplare, ma risulta un po’ al limite nella osservazione visuale, soprattutto per chi come me ha criteri estremamente stringenti in fatto di stabilità.

La verniciatura del tubo ottico è di buona qualità come da standard Vixen e la distribuzione dei pesi, complice lo schema ottico a doppietto, adeguata permettendo un utilizzo intuitivo dello strumento, aspetto ulteriormente enfatizzato dalla meccanica semplice della montatura e dalla sua movimentazione manuale.

L’aspetto più esaltante è rappresentato proprio dalla facilità di utilizzo che rende sempre pronto il telescopio e che ne permette un impiego “sbarazzino” anche per la veloce osservazione della Luna o dei pianeti principali lungo l’eclittica.

Sopra: catalogo TASCO d’epoca. Le ottiche Vixen 80/1200 andarono ad equipaggiare anche il raro TASCO 17-V. Identica genesi la avevano avuta anche i TASCO 13V, 18V, 19V, equipaggiati con ottiche a rifrazione Vixen (da cui la “V” nella sigla) che risultano oggi piuttosto rari.

Il notevole divario di peso con il “simile” GOTO Kogaku della mia personale collezione (anch’esso un 80mm aperto a f15), prossimo a quasi 2 kg (spessore del tubo ottico, tipologia di cella, focheggiatore), ne stigmatizza bene la differente vocazione oltre a giustificare la compresenza di entrambi gli strumenti.

Il paraluce fisso, un focheggiatore ben modulabile con ampia escursione, e il cercatore standard Vixen 6x30 completano le caratteristiche generali dello strumento.  

A corredo del tubo ottico, la serie NP prevedeva due anelli appositi per collegare l’ota alla montatura che non sono adatti all’impiego, se non con alcune modifiche, su differenti stativi ma che, insieme alla New Polaris, offrono un insieme esteticamente molto gradevole.

La versione bianca del tubo appare essere quella più classica ma non nascondo una personalissima affezione a quella nera condivisa con il marchio Celestron che, pur non essendo né la prima né la migliore (ottiche con cella non regolabile), resta per me legata al manifesto in apertura di articolo.

Sopra: immagine di confronto tra il GOTO Kogaku 80/1200 (sotto) e il Vixen 80L (sopra). Pur con caratteristiche dimensionali ottiche identiche (80mm di apertura e 1200mm. di focale per entrambi) appare evidente una sostanziale differenza strutturale tra i due strumenti. Alla bilancia hanno denunciato 5.8 kg il GOTO e 4.1 kg il Vixen.

RESTAURO CONSERVATIVO

Quando ho partecipato all’asta e ho deciso di acquistare lo strumento avevo il dubbio che le ottiche non fossero a posto (esisteva solamente una immagine vaga che sembrava mostrare problemi di trasparenza) ma avevo altresì la certezza che lo strumento fosse completo di tutta la dotazione originale.

Set di oculari, diagonale, montatura Polaris prima serie (rara in effetti - de facto una “new polaris” con alcune lievissime differenze), cavalletto ligneo a sezioni estensibili (molto bello) e altre amenità tra cui i libercoli Vixen dell’epoca.

A completamento ho acquistato anche una serie di adattatori e raccordi nonché un set di filtri colorati visuali.

Per riportare in auge uno strumento con ottiche nelle condizioni di arrivo del “nostro” Vixen serve smontare tutto, lavare, pulire, rimontare. Serve un poco di perizia, un minimo di conoscenza, e la voglia di ricominciare da capo se il risultato non soddisfa.

Se si è disposti a questo si è in grado di sistemare le ottiche della maggior parte degli strumenti, almeno dal punto di vista cosmetico.

Sopra: condizioni del doppietto Fraunhofer al suo arrivo

Sotto: condizioni a opere di pulizia ultimate

Sotto: immagini della montatura Polaris e visione generale dello strumento a fine pulizia.

UN AIUTO AL TRACKING MANUALE

Dopo avere eseguito i primi test ed essermi accertato delle prestazioni indicative dello strumento ho deciso di motorizzarlo sull'asse di ascensione retta con un sistema che non lo snaturasse e che fosse, almeno dal punto di vista tecnico, compatibile con la soluzione dell’epoca (che prevedeva un motorino “on-off” posto sull’asse principale).

Ho così acquistato un motorino cinese presso un negoziato Veneto (via Amazon) che si è rivelato un vero calvario sia nella risoluzione dei problemi tecnici del "pezzo" sia nel rapporto con il venditore.

Nonostante le difficoltà il progetto ha avuto coronamento senza inficiare l’originalità generale e permettendo un tracking più che adeguato come il prosieguo dei test ha dimostrato. Gli anni ’80 sono rispettati!

In tutta onestà ritengo che, indipendentemente dai gusti personali, l’installazione di un motore almeno in ascensione retta risulti indispensabile se si desidera osservare con un minimo di attenzione i soggetti celesti.

A oltre 100x inseguire una stella doppia, un cratere lunare, o un disco planetario usando i comandi flessibili, soprattutto se l’insieme montatura-telescopio non è eccezionalmente stabile, può essere noioso e antipatico. Se invece, dopo le doverose operazioni di puntamento, si può disporre di un inseguimento valido che consente di tenere nel campo inquadrato l’oggetto desiderato, pur senza velleità fotografiche particolari, la vita dell’atrofilo cambia radicalmente e si apre ad un comfort che diviene presto irrinunciabile.

Il sistema da me implementato purtroppo richiede, almeno per il momento, una alimentazione continua e non a batterie ma presto costruirò un alimentatore portatile di peso contenuto che possa essere integrato nel cavalletto della montatura e che permetta libertà e indipendenza al set-up.

OTTICA E STAR TEST

Un doppietto Fraunhofer da 80 mm. di apertura e focale di 1,2 metri possiede un Indice di aberrazione cromatica pari a 4,76 (ottenuto dividendo rapporto focale per il diametro espresso in pollici), valore che soddisfa pienamente il criterio di Sidgwick (CAI>3) e si avvicina moltissimo a quello di Conrady (CAI>5). Si tratta quindi, almeno sulla carta, di un’ottica dalle prestazioni visuali quasi apocromatiche.

Se il contenimento della cromatica residua risulta ottimale, quello che fa la differenza in campo visuale (e quindi poi ovviamente in modo ancora più evidente in applicazioni fotografiche) è la gestione delle aberrazioni geometriche fondamentali: astigmatismo e sferica.

In seconda istanza intervengono eventuali errori zonali e rugosità delle ottiche.

Per valutare, almeno a livello qualitativo, tali aspetti risulta indispensabile eseguire uno star test attento in condizioni adeguate.

Va evidenziato che più il rapporto focale sale e maggiore tende ad essere il diametro del disco di Airy e (rugosità a parte) ridursi la luce focalizzata nel secondo anello di diffrazione che tende a scomparire completamente su aperture limitate come i 6 o 8 cm.

Questo aspetto conferisce allo strumento due caratteristiche apprezzate da alcuni osservatori: profondità di fuoco e minore sensibilità al seeing.

Sono entrambe caratteristiche che, se da un lato permettono di ottenere immagini estremamente piacevoli e rilassanti, non necessariamente consentono prestazioni teoriche “limite”.

Cercherò di spiegarmi affinché tali parole non vengano male interpretate.

La profondità di fuoco, che rende lo strumento meno “nervoso” nella sua focalizzazione, porta a livellare un poco le prestazioni degli oculari impiegati ma rende anche difficile capire con esattezza quando si è “nel migliore punto di fuoco possibile”. Da questo punto di vista, pur con tutt’altra serie di problemi, lavorare con un f8 è decisamente più semplice.

Il fatto poi che il disco di Airy tenda ad essere più grande rispetto a quanto mostrato da strumenti più aperti (F minore) riduce lievemente il potere risolutore raggiungibile (percepito). Si tratta di differenze molto limitate che risultano ampiamente compensate da immagini più piacevoli ma, quantomeno per amore della verità, vanno considerate quando si tende ad affermare che “più è lunga la focale e meglio è, sempre”.

Per eseguire lo star test ho impiegato due treni ottici ben diversi tra loro: un diagonale prismatico Takahashi e la serie OR da 24,5mm. della celebre casa giapponese e un diagonale dielettrico moderno con oculari serie LE (sempre Takahashi) da 31,8mm. e alcuni “planetary eyepiece” di valore medio basso.

Come anticipavo in apertura di articolo è stato difficile cogliere con marcata evidenza differenze di resa e quanto emerso è, a mio avviso, più il frutto della suggestione che non altro a suggello di un vecchio adagio che suggeriva, con i rifrattori classici, di usare gli oculari più semplici (ad esempio gli HM) per l’osservazione in alta risoluzione di oggetti angolarmente poco estesi (stelle e pianeti).

 

Tornando al discorso introduttivo vorrei approfondire i concetti di aberrazione cromatica e star test applicati al "nostro esemplare"

I due tormentoni degli astrofili moderni, concetti che fino ad una quindicina di anni fa erano sconosciuti ai più (e in parte lo sono ancora), hanno sostanzialmente ribadito quanto è logico attendersi da un doppietto tradizionale con lavorazioni di buon livello e vetri non esotici.

Il rapporto focale pari a 15 comporta (come dicevamo in apertura di paragrafo), per un rifrattore da 8 cm di diametro, di ottenere un valore di dispersione cromatica pari a 4,76 che lo pone, in una ipotetica scala, in una zona di quasi assenza di cromatica residua.

Poiché questo è un mero dato matematico che tiene conto del rapporto focale e della apertura espressa in pollici senza alcuna indicazione variabile rispetto né al grado di lavorazione, né allo schema ottico, né alla composizione dei vetri con cui l’obiettivo è composto si comprende bene quanto tale dato potesse soddisfare la curiosità empirica degli osservatori di 50 anni fa ma oggi risponda molto male alla diversificazione che la tecnica ottica ha imposto.

All’atto pratico è possibile affermare che, salve alcune applicazioni specifiche, un 8 cm. con focale di 1,2 metri sia, sostanzialmente, molto acromatico o quasi apocromatico (termine che non ha specifiche caratterizzazioni).

Lo spettro non corretto residuo è praticamente ininfluente e sebbene possa essere visto nell’osservazione del lembo lunare (ad esempio) il suo valore è molto basso e non pregiudica in alcun modo l’osservazione visuale che raggiunge i limiti teorici imposti dall’apertura dell’obiettivo.

Questo non significa però che un 80/1200 sia apocromatico. Non lo è il Vixen 80L della nostra prova, non lo è lo Zeiss AS80/1200, non lo è il mio GoTo 80/1200. 

Significa però che la preoccupazione inerente il residuo di blu (o di rosso) che può giungere all’occhio dell’osservatore è l’ultimo dei problemi che l’astrofilo dovrebbe porsi. Confrontato con un pur ottimo 80/910 (quindi un rifrattore di pari apertura e rapporto focale di f 11) la pur leggerissima cromatica visibile scompare a dispetto di quanto invece non avvenga nel f11. Se poi dovessimo confrontare entrambi con un classico 102/1000 (magari sempre di casa Vixen per restare in tema) scopriremmo come il 4 pollici letteralmente “anneghi” in un alone blu ogni oggetto che inquadra. Eppure, i tanti astrofili che hanno osservato e fotografato con profitto con il 102/1000 classe M, non sono mai… morti!

Ciò che dovrebbe interessare maggiormente l’astrofilo con un minimo di esperienza è come l’obiettivo corregga altre aberrazioni, geometriche in primis, capaci di degradare in modo irreversibile l’immagine finale.

Astigmatismo e aberrazione sferica sono i principali ostacoli ad una visione in alta risoluzione appagante e ricca di dettaglio.

Da questo punto di vista si legge sovente che “i rifrattori a lungo fuoco per loro natura correggono bene l’aberrazione sferica”, una affermazione vera come quelle di tanti "ufologi"...

Lo star test visuale effettuato sul Vixen 80L (eseguito sia in luce bianca che con filtro verde) ha messo in evidenza un comportamento in intra ed extra focale diverso che vede gli anelli di Fresnel molto più puliti e contrastati in intra focale e più impastati in extra focale. Il residuo di sferica, pur discernibile, è però piuttosto contenuto e non genera differenza di ispessimento negli anelli tanto che l’immagine a fuoco si mostra corretta, ben focalizzata, geometricamente corretta e priva di difetti geometrici.

Parimenti l’astigmatismo risulta non percepibile all’indagine visiva e non si sono rilevati errori zonali.

In sostanza, il doppietto Vixen appare ben riuscito e lavora quindi come da specifiche con un potere risolutore teorico pari ad 1,5” che, all’atto pratico, si riesce ad abbassare un pochino.

QUALI OCULARI? I VIXEN "LV", oppure i "suoi" originali OR circle "V" da 0,965"

Tendenzialmente gli oculari Vixen sono sempre stati bruttini e quelli di ultima generazione sono così pacchiani da essere difficilmente acquistabili, anche sapendo che alcuni di loro sono di ottima fattura..

Quando però, all’inizio degli anni ’90, venne presentata la serie "LV" al lantanio, ci fu una vera “corsa” all’acquisto nonostante il prezzo non popolare.

La possibilità di avere una generosa estrazione pupillare e una lente di campo di grandi dimensioni, in una epoca dove i Plossl andavano per la maggiore ma ancora si usavano i Kellner e i Ramsden, rappresentava novità quasi fantascientifica.

Oculari da 6,5,4 e addirittura 2,5 mm di focale divenivano di facile utilizzo, anche per chi era abituato a non togliersi mai gli occhiali dal naso.

Alcuni dei primi entusiasti utilizzatori divennero poi detrattori di questi oculari speciali attribuendo loro una dominante di fondo e una certa distorsione a bordo campo.

Il fatto, almeno per il secondo problema, è che le focali più corte venivano utilizzate su strumenti aperti, tipicamente newton a f5 o f4 oppure Schmidt Cassegrain commerciali con focali da oltre 2 metri.

In entrambe le condizioni di utilizzo i cari LV Vixen si trovavano ad operare male, da una parte su strumenti affetti da ampia curvatura di campo e coma, dall’altro su telescopi generalmente non in grado di supportare gli ingrandimenti forniti dalle focali inferiori ai 6 o 5mm.

Rimasti in produzione fino a pochissimo tempo fa, gli LV hanno comunque dimostrato di saper resistere bene alle ingiurie degli anni. Non saranno probabilmente i migliori oculari in assoluto esistenti ma sicuramente sono e sono stati tra i più belli da guardare.

All’epoca in cui erano un “must” ne ho avuti alcuni che mi sono pentito di aver venduto così, in occasione dell’acquisto del Polaris 80L, ho deciso di riprenderne un set adeguato a operare in alta risoluzione.

In effetti, in accordo con le loro specifiche (che li rendono estremamente vicini a ortoscopici specializzati e modificati pur avendo schema di 5 lenti in 3 gruppi o 7 lenti in 5 gruppi a seconda della focale), gli LV offrono il meglio di sé con rifrattori a lungo fuoco.

A ben guardare, e limitandosi alla resa a centro campo, quando si lavora a f15 o oltre niente supera un HM a 3 lenti, ma gli LV sono così belli che tutto il resto può passare in secondo piano.

Ho trovato un “pacchetto” in vendita all’asta (che mi è costato una piccola fortuna) composto dalle focali da 20, 9, 5, 4 mm. (per poteri di 60x - 133x - 240x - 300x quando abbinati al Vixen 80/1200), da alcune prolunghe originali Vixen e da una serie di 6 filtri colorati “old style” molto belli. A questi ho poi aggiunto altri 4 pezzi (LV 6mm, LV10mm, LV 15mm, e il grande LV30mm da 2 pollici).

Il loro campo apparente ristretto (limitato a 45° o 50°, che salgono a 60° per il solo 30mm.) non consente un impiego a largo campo come ci hanno abituato gli economici SWA cinesi odierni ma si sposa molto bene al concetto di “alta risoluzione” cui sono tendenzialmente dedicati. Del resto l’osservazione delle stelle doppie e dei pianeti non richiede oculari grandangolari.

Con la sola aggiunta di un plossl da 40mm. economico ho così composto il set dedicato al lungo rifrattore giapponese (il grande 30mm LV da 2 pollici si sposa malissimo con il concetto "vintage" del Vixen 80L polaris e gli preferisco quindi il plossl 40).

Sopra e sotto: il set LV a corredo del Vixen 80L

Se gli LV sono comodi da usare e le loro prestazioni generali decisamente sopra la media, con buona pace di chi non la pensa nello stesso modo, il corredo classico standard per un 80/1200 come quello del test è però rappresentato dagli originali oculari ortoscopici da 0,965" marchiati circle "V". Lavorano meravigliosamente se associati al loro diagonale prismatico e sono in perfetto accordo con lo spirito dello strumento. Ho preparato quindi una scatola lignea in "original shape" che li contenga compreso un ottimo Kellner 28mm. che fungeva da oculare "grandangolare" (mi si passi il termine dato che farebbe sorridere se valutato con i parametri odierni). In "trasferta", sono questi gli oculari che prediligo su questo e anche su altri strumenti vintage (foto sotto).

LA LUNA IN 80 MILLIMETRI

Sulle visioni lunari non vi è molto da dire, o quantomeno da aggiungere a quanto già in altre occasioni scritto riguardo alle prestazioni dei rifrattori da 8 cm.

Indipendentemente dalle lenti con cui sono realizzati, purché siano ben corretti, quanto alla loro portata è “standard”. Che si tratti di un Vixen 80M (80/910), del 80L oggetto del nostro test (80/1200) di un GoTo 80 F15, di un Vixen 80ED (80/720 apocromatico) di un FS-78 Takahashi, e via discorrendo i dettagli discernibili sono praticamente i medesimi. Quello che può cambiare è il grado di correzione della cromatica residua (questo a parità di altre lavorazioni ovviamente) ma le informazioni che si possono trarre dall’osservazione visuale non cambiano.

In 80 millimetri la Luna offre molto ma decisamente meno di quanto non permettano i 120mm di un banale Callisto Antares cinese, per non parlare di quanto offrano i 200mm di un cassegrain come il VMC200 in serate di buon seeing.

Quello che in 8 cm è “piatto” e compatto in 12 o più cm. diventa rugoso e polveroso… alla fisica non si impongono le mirabolanti parole dei venditori dei piccoli rifrattori alla fluorite. Sono baggianate e nulla di più.

Però, e in questo un fondamento fisico c’è, un rifrattore a F15 è più “morbido” rispetto ai suoi cugini apocromatici a focali più spinte.

Facendo un test comparativo tra il Vixen 80L e il Vixen 80ED-S prima generazione (quello migliore, a f9) non ho percepito differenze di dettaglio. Il rifrattore apocromatico ha mostrato una assenza totale di cromatica residua che il f15 ha invece lasciato visibile seppur con un valore percepito molto basso.

Ho inoltre valutato come più realistica l’immagine del f9 che appariva meno “densa” (mi riferisco ad alcuni domi sui mari lunari) e sembrava quasi dare accenno di microincrespature assenti nel f15 (ma si tratta di dettagli davvero al limite della percezione e che generano differenze non significative).

Le tonalità di fondo appaiono lievemente diverse (un pochino più calda nel f15 e più fredda nel f9) ma con variazioni molto relative e, ancora una volta, ben poco significative.

Non mi è stato possibile decretare un netto vincitore benché il f9 apocromatico offra pulizia dalla cromatica perfetta e un corpo lungo meno della metà..

Al tempo stesso, osservare seduti dietro al “lungo” 80L, magari usando il suo diagonale prismatico e gli oculari originali OR circle “V” da 0,965” è davvero intrigante. Serve una montatura robusta (una EQ-6 magari) ma ci si diverte, soprattutto nel guardare le stelle doppie e la Luna, o il Sole, magari con un prisma di Herschel. 

E’ una questione di scelta, io li ho tutti a dire il vero e non so mai cosa usare la sera (giusto per farvi sorridere…).

Sopra e sotto: immagini del raccordo per foto in proiezione di oculare e al fuoco diretto. Si tratta di raccordi costruiti in modo oggi dimenticato, con finezze che denotano molta attenzione alla meccanica e al suo corretto impiego. Il sistema permette anche la rotazione della camera per "aggiustare" l'inquadratura e consente l'intercambiabilità con altri corpi per ottenere il "tiraggio" corretto.

PERCHE' IL VIXEN 80L?

Questa è la domanda fondamentale!

Posseggo già un GoTo 80/1200 (ben più costoso) e ho appena venduto ben due (2) Vixen 80/910 (prima e seconda serie, entrambi ottimi). Quale motivo allora per acquistare un 80/1200 acromatico? Ancor più dopo aver da poco portato a casa un altro Vixen: il 80/720 apocromatico prima serie.

Il motivo è… masochistico, credo.

Sopra: il Vixen 80L e una Canon FTb manuale intenti a riprendere la Luna di inizio febbraio 2020

Sotto: una Canon FTb manuale connessa al Vixen 80L con i raccordi originali

Il GoTo 80/1200 è bellissimo ma è pesante e delicato ed è un oggetto raro.

Volendo un 80 mm a f15 da usare “senza remore” il suo blasone stride… inoltre avevo un progetto particolare: tornare a fotografare con l’emulsione fotografica. Fotografare la Luna, per iniziare.

Difficilissimo trovare gli accessori originali GoTo per la foto in proiezione e al fuoco diretto e benché il passo dei filetti sia identico impiegare un raccordo Mizar o Vixen mi avrebbe dato fastidio.

Così ho deciso di ripartire da capo e mi sono regalato un classico Vixen 80L completo di tutto, con i raccordi dell’epoca… e anche alcune macchine fotografiche analogiche dei primissimi anni ’80 o fine anni ’70.

In questo c’è stata una corsa al regalo: amici, parenti, tutti a consegnarmi corpi macchina, obiettivi, custodie, filtri. Possiedo persino una Mamyia medio formato personale che però appariva eccessiva sull’esile copro del Vixen 80L.

Ho sistemato così una delle Canon FTb avute in regalo e l’ho sposata al Vixen lasciando il gioco iniziare. Ma questa, obiettivamente, è un’altra storia…

Sopra e sotto: immagini del Vixen 80L e del GoTo 80/1200 messi a confronto

LE STELLE DOPPIE: MA il FC100N TAKAHASHI NON E’ MEGLIO?

Quando si è alla guida di una Nissan GT-R si comprende che nessuna altra automobile ci permetterà di fare le stesse cose con la medesima facilità. Questo non significa però che non possa essere più divertente usare una Peugeot 205 GTI anni '80.

La filosofia alla base della risposta alla domanda del titolo è la medesima.

Non esiste nessun 10 cm. che mostri gli astri come fa il Takahahsi FC100-N, questo però non mi impedisce di amare anche quello che sanno fare altri strumenti, magari meno “perfetti”, ma dotati di una loro accattivante personalità.

Quindi perché non un Mizar 102/1000? O perché non un “plebeo” 80/1200 giapponese purche' non sia una mezza-schifezza marchiata Towa o similare? (per i cuoriosi esterrefatti: sì... mi riferisco esattamente al ciarpame che i "soliti" spacciano sui mercatini italiani come "strumenti mitici" a prezzi imbarazzanti per chiunque abbia un po' di onestà intellettuale.)

Osservare i sistemi doppi con 8 cm. è una bella esperienza e il potere risolutore che il telescopio consente appare sufficiente ad onorare una lunga carriera osservativa, soprattutto se si dispone di un sistema di puntamento automatico che consente di inquadrare sistemi altrimenti poco visibili dai cieli cittadini odierni.

Il test “mastro” lo ho effettuato sulla Theta Aurigae, sistema interessante e sovente utilizzato per il provare gli strumenti, capace di conciliare una separazione “media” e uno sbilanciamento di magnitudine tra le componenti che può mettere in crisi ottiche non perfette o quasi.

 

05597+3713 STT 545AB (The Aur)

 
 
05H 59M 43.24S +37° 12' 45.9" P.A. 303 SEP 4.1 MAG 2.60,7.20 SP A0PSI DIST. 50.76 PC (165.58 L.Y.)
 
 
Coord 2000
05597+3713
  Discov num
STT 545
  Comp
AB
  Coord arcsec 2000
05 59 43.24 +37 12 45.9
 
Date first
1871
  Date last
2018
  Obs
124
 
Pa first
7
  Pa last
303
  P.A. Now (θ)
303°
 
Sep first
2.1
  Sep last
4.1
  Sep. Now (ρ)
4.1"
 
Mag pri
2.60
  Mag sec
7.20
  delta mag (ΔM)
4.6
  Spectral class
A0pSi (white)

 

 

Per l’occasione ho voluto usare il set di oculari Vixen LV con il diagonale da 31,8 mm.

Sia il 10mm. (120x) che il 9mm e il 6mm (144x e 200x circa) hanno mostrato senza tentennamenti la debole compagna, piccolo punto luminoso appoggiato sul bordo esterno del primo anello di diffrazione della stella primaria. L’immagine migliore la ho avuta con il 9mm. che permetteva il giusto compromesso tra ingrandimento e gestione del guadagno luminoso e della turbolenza atmosferica.

La compagna, debole ma netta, appariva al primo sguardo, senza tentennamenti, e mi ha offerto una sensazione di pulizia simile (se non maggiore) rispetto a quella data dal cugino apocromatico Vixen 80ED F9 che, per ottenere il medesimo potere, mi obbligava ad usare un oculare più “spinto” come il Takahashi LE 5mm.

Ho eseguito anche un test comparativo con un newton da 10 cm. e 1000 mm di focale (il mio personale Hypertech 100/1000). Lo strumento a riflessione, realizzato con alcune specifiche avanzate e al tempo stesso “azzardate”, è frutto di una scelta precisa votata all’alta risoluzione e sfoggia immagini di primissimo piano tali da non sfigurare nemmeno a confronto con i migliori apocromatici di pari apertura disponibili.

Nell’osservazione della Theta Aurigae, pur con una ostruzione da 0,245 (limitata ma non nulla), i 4 pollici del newton hanno fatto valere una brillantezza di immagine superiore a quello che era permesso all’oculare del Vixen 80L o del 80ED-S. La compagna della Theta Aurigae appariva più fulgida e piacevole, indicazione di quanto il diametro, se accoppiato a progettazione e ottiche di buon livello, faccia la differenza soprattutto tra gli strumenti di piccola dimensione.

Anche la percezione del colore della Garnet Star (il “rubineo” astro ai piedi del Cefeo) è risultata migliore nel newton da 4 pollici benché per ottenere maggiore apprezzamento della sua tonalità sono dovuto passare dai 30x circa del Vixen ai 40/50x sul newton.

UN GIOVE LONTANO NEL TEMPO - cortesia di "NIKLO"

SOPRA e SOTTO: alcune immagini di pochi anni fa. L'autore, che si sigla con l'avatar di NIKLO, e che ringrazio per la concessione, ha saputo ben usare il suo Vixen 80 f15 ottenendo fotografie di ottimo livello che ritengo possano essere bissate in occasioni di condizioni di seeing favorevole.

VENERE E NON SOLO

Il giorno dell’equinozio di primavera del 2020 ho effettuato lunghe osservazioni del pianeta Venere, con cui ho condiviso tutte le ore pomeridiane fino al tramonto eseguendo una serie di disegni e rilevamenti visuali sulle apparenti variazioni dello strato di nubi del pianeta. Nonostante il ridotto diametrio il Vixen 80L è stato in grado, anche in virtù delle condizioni di seeing particolarmente favorevoli del periodo, di mostrare accenni di variazione luminosa che sono mostrati nella scheda sotto riportata.

La lunga giornata osservativa è stata condivisa in differita con l’amico Vincenzo che eseguiva le medesime osservazioni usando un C 9.25. Differenti densità di filtraggio (il blu nel suo caso e “luce bianca”, filtro 47H violetto chiaro e light blu per me) hanno evidenziato formazioni lievemente diverse.

La mia osservazione è stata condotta esclusivamente con la dotazione originale del 80L ossia la sua montatura New Polaris motorizzata in AR con motorino sincrono da me dotato di doppio potenziometro di regolazione, il tutto installato su treppiedi ligneo anch’esso originale, con estrazione delle gambe al 70/80% circa per consentire una posizione osservativa accettabilmente comoda.

L’impiego e la regolazione fine del motorino sincrono e uno stazionamento polare “decente” (dico questo perché è stato effettuato a occhio su riferimenti posti sul mio edificio) ha consentito un inseguimento quasi perfetto tanto da richiedere solo piccole correzioni in declinazione (rigorosamente manuali nel caso della New Polaris) ogni 10/15 minuti circa al potere di 170 ingrandimenti.

Il pianeta Venere, in fase al 50% (49% a detta di Vincenzo come da suo rilevamento), si è mostrato davvero bene con una silhouette netta, priva di sbavature, cromatica, e molto ricca di dettagli: dalla indentatura delle cuspidi, più pronunciata al polo Sud, alle screziature morbide al terminatore, ai chiaroscuri sul disco fin quasi al lembo est.

L’utilizzo di filtri chiari (azzurro e verde) ha permesso infine lievi variazioni nella percezione dei dettagli accessibili.

Sopra: scheda UAI di osservazione pianeta Venere - pomeriggio del 21/3/2020

Se Venere ha offerto spettacolo entusiasmante (anche in relazione alle prestazioni “super” del vicino VMC200L che era intento alla ripresa del pianeta nelle regioni dell’infrarosso e dell’ultravioletto), è a sera che ho coronato un “piccolo sogno”.

Con Orione ancora disponibile nelle primissime ore a cavallo del vespro ho puntato la regione dell’ammasso NGC 2169 (uno dei miei preferiti in assoluto) famoso con il nomignolo di “CLUSTER 37” per via della curiosa disposizione dei suoi astri che disegnano il numero “37” rovesciato.

L’osservazione, compiuta prima con un plossl da 40mm e poi con un lantanio serie LV da 20mm., pur nel cielo bianco con bassissima trasparenza di Milano, è stata emozionante. Puntare l’oggetto, con la sola stella Betelgeuse visibile a occhio (giusto per dare idea di cosa sia il cielo di Milano tra umidità e inquinamento luminoso), non è stato facilissimo ma mi ha riportato un poco all’epoca in cui non si disponeva dei sistemi “go-to” odierni e in cui l’astronomia amatoriale era quindi un po’ più “lenta” nei suoi risultati.

In onore di quanto sopra ho rimosso l’oculare e inserito al suo posto la piccola camera monocromatica Minicam 5S QHYL, spento il suo sistema di raffreddamento (perché ai tempi della prima ST-4 questo non esisteva), sistemato l’inquadratura e focheggiato al possibile (privo di maschera di Bathinov ho eseguito l’operazione a schermo pur con una forte dilatazione stellare dovuta all’umidità del cielo).

Ho scelto di riprendere con tecnica di “lucky imaging” con pose da 2 secondi (totale di circa 250 frames) aggiustando ogni tanto i valori al potenziometro di gestione del motore sincrono per avere l’oggetto con poca deriva (in relazione al minuscolo sensore della QHYL che è lo stesso della vecchia ASI 120 mono).

Il risultato finale non è certamente da “APOD” ma resta ai miei occhi emozionante e lo posto a corollario di questa lunga chiacchierata.

Sopra: il "CLUSTER 37" (NGC 2169) ripreso in lucky imaging da Milano con il Vixen 80L su montatura Polaris. Sotto: la stessa immagine a colori invertiti e con elaborazione diversa.

PROFONDO CIELO E FINALITA' DELLO STRUMENTO

Non ha alcun senso, o non lo ha oggi quantomeno, eseguire un test approfondito sulla resa che un rifrattore vintage a lungo fuoco da soli 8 cm ha sul cielo profondo.

Sono cose risapute e ricordare che, anche in barba alla moda, con 80 millimetri si possono osservare tutti gli oggetti Messier non serve. Ogni volta che scrivo questo mi domando quanti astrofili abbiano in coscienza davvero osservato TUTTI i 110 oggetti catalogati a fine del 1600 dal celebre Charles. Chiunque tra i lettori si senta nella “terra di mezzo del peccato” accantoni per un paio di mesi la macchina fotografica o il ccd e si dedichi ai rudimenti basilari dell’astrofilia. Si può essere bravissimi a fotografare cento volte la “nebulosa rosetta” ma se non si sono mai visti almeno gli 8 pianeti principali del nostro sistema solare e gli oggetti Messier non si ha il diritto di chiamarsi astrofili e di pontificare sui forum o sui mercatini.

Quello che invece ha senso, o almeno lo possiede ai miei occhi, è impiegare il buon Vixen 80L (o qualsiasi altro rifrattore a lungo fuoco) nel fotografare la Luna. O meglio: nel fotografarla con una emulsione fotografica in bianco e nero, rigorosamente dotati di scatto flessibile meccanico e corpo macchina privo di assistenze elettriche e servomotori. Bisogna caricare la pellicola girando con il pollice la leva di avanzamento, porre il cartoncino nero davanti all’obiettivo per le immagini che richiedono tempi più lunghi (ad esempio con i sottili spicchi lunari) e diventare matti con la messa a fuoco attraverso il vetrino smerigliato di reflex pensate per lavorare all’abbacinante luce del deserto…

Come dite? Con il CMOS o il CCD le immagini “vengono meglio”? Assolutamente sì.. chissenefrega! Non avrete per caso il pallino di produrre la migliore foto della Luna, vero? In questo caso rinunciate, ci sarà sempre qualcuno che elaborerà meglio, prima o poi. Ma lo scopo è divertirsi, intimamente. Se raggiungete tale fine con un CCD "potreste" essere miei amici, se lo raggiungete con la Ilford IF4 da 125 ISO invece lo siete sicuramente! 

LA GIUSTA MONTATURA

La montatura giusta è la sua, la POLARIS originale come quella che equipaggia l’esemplare in mio possesso, naturalmente con il cavalletto in legno dell’epoca e i comandi flessibili o, al più, un motorino in ascensione retta come quello che ho faticosamente (1) donato al mio Polaris 80L.

Se però vogliamo fare in modo che il nostro 80/1200 ci segua nel cielo e ci consenta di osservare con tutti i crismi allora dobbiamo accettare di dotarlo di una coppia di anelli aggiuntivi (quelli esistenti originali vanno  bene solamente sulle equatoriali Polaris e New Polaris), una barra Vixen o Losmandy, e installarlo su una montatura capace di sorreggerlo in modo adeguato. 

Se dovessi far parlare il cuore abbinerei al nostro 80L una SENSOR originale come quella qui ritratta (foto non dell'autore).

CONCLUSIONI

Il Vixen 80L va considerato, a mio avviso, nella sua globalità ossia come strumento completo della montatura Polaris (o New Polaris) originale.

Indubbiamente, se installato su una moderna montatura dotata di puntamento computerizzato, si trasforma in un duttile strumento di osservazione dei sistemi multipli anche da cieli inquinati, dai quali non risulta tendenzialmente possibile (o lo è con grandi difficoltà) lavorare con la tecnica dello “star hopping” per cercare il target richiesto.

Anche in sua assenza, e rifinito con la Polaris originale, il cavalletto ligneo alto, e un semplice motorino sincrono in ascensione retta, lo strumento è un appagante mezzo per tuffarsi nel passato della astronomia amatoriale.

Il Flammarion descrive moltissime osservazioni effettuate con “canocchiali da 3 pollici” e seguendo i suoi passi sono innumerevoli gli oggetti del cielo capaci di regalare grande emozione.

Qualsiasi astro singolo o sistema stellare multiplo si trasforma, all’oculare, in un “gioiello” di geometria ottica. La Luna, i pianeti maggiori (Venere tra tutti ma anche Giove) rivelano dettagli e pulizia di visione eguagliabili forse solamente dai migliori apocromatici moderni.

Bisogna sapersi accontentare dei limiti insiti nel diametro (80 millimetri sono sufficienti per fare tanto ma certo non esuberanti) e nella architettura della sua montatura che richiede la conoscenza del cielo, l’utilizzo di un buon atlante, e una certa pazienza.

Non so trovargli difetti, sinceramente, né ottici e neppure meccanici, ma resta un telescopio non per tutti e più amabile dall’atrofilo esperto, magari dotato di strumenti più grandi e automatizzati, che non dal neofita che potrebbe esserne scoraggiato.

Ne serve uno “perfetto”, bello, completo di tutto il corredo originale, e allora può essere un acquisto di cui non ci si pente… mai.

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