Autunno 2016
Per cortesia non mi si ponga la fatidica domanda ("perché hai acquistato anche un newton 100/600?") alla quale non ho una sola risposta e, tra le varie, nessuna che possa giustificare oltremodo la scelta.
Non avevo bisogno di un newton da 10 centimetri aperto a f6, questa è una ineluttabile verità che in nessun modo potrebbe essere scalfita da pretestuose considerazioni.
Un MIZAR d’epoca, però, desideravo possederlo. Dopo aver restaurato, usato ed amato la montatura RV-85 (si veda articolo presso questo sito http://www.dark-star.it/astronomia-articoli-e-test/progetti-vari/mizar-rv-85-restauro/) e non essere mai riuscito a possedere la EX (una sorta di via di mezzo tra la EM-10 e la EM-200 di casa Takahashi), dopo aver rinunciato al KAISER 80/1200 (di cui non avrei avuto davvero motivo con la pletora di rifrattori in scuderia) un piccolo tributo alla gloriosa casa giapponese mi sentivo di concederlo.
La versione 100/1000 sarebbe stata un doppione del mio Hypertech di pari diametro e focale, la 100/800 un ripiego, il CX-150 un oggetto intrigante ma complicato per via dei sistemi negativi interni e comunque poco utile avendo un MT-160 Takahashi. Il piccolo F6 invece sembrava il solo a poter essere in qualche modo giustificabile agli occhi di una moglie oramai sempre più spazientita.
Non lo cercavo, nemmeno distrattamente, ma il destino me lo ha posto innanzi in una livrea e completezza a cui non ho saputo resistere.
“Un piccolo strumento portatile, amore”. “Non occupa spazio, lo prometto, e poi potrebbe essere utile, anche solo per sfizio” ho detto alla gentil consorte.
E’ sempre l’onestà a pagare e l’ammissione di un puro capriccio ha valso un sospirante “no comment” che i più accorti possono interpretare a proprio favore.
E’ così che il Mizar SP-100SL è arrivato a casa.
Un MIZAR 100 F6 completo di rifrattore guida e montatura.
Una immagine su cui molti avranno, tanti anni fa, sognato. Foto non dell’autore.
Centinaia, anzi migliaia sono le fotografie che ritraggono il Doppio Ammasso del Perseo. Ne ho scelta una, però, che pur non spiccando per profondità, saturazione, bellezza intrinseca, ben rappresenta ciò che è stato per me questo singolare oggetto doppio del cielo. E’ così, come nell’immagine proposta, che lo ricordo durante quella che fu la mia prima “vera” osservazione dell’oggetto sotto un cielo pulito e scuro, a St. Barthelemy, attraverso un enorme oculare SWA da 40 mm. accoppiato a un rifrattore semi-apocromatico Meade 152-ED
Quell’immagine ha nella memoria le vesti della fotografia che ho trovato (ancora una volta per caso) sul web scattata proprio da uno strumento identico a quello di queste pagine.
Non conosco il nome dell’autore, me ne dolgo, ma lo ringrazio per il tuffo nel passato che mi ha inconsapevolmente donato.
Hino AR-100SL 600 millimetri F6 fotocamera: Fuji X-E1 - foto non dell’autore
Il produttore delle ottiche, la Hino Optical Corporation, è noto per alcune realizzazioni di estremo pregio nel campo dell’astronomia amatoriale e per una reputazione solida e consolidata. I vari 68/1000 e 80/1200, doppietti Fraunhofer classici, hanno fatto la gioia di molti amatori del passato e anche del presente, e le ottiche a riflessione certificate con correzione pari a lambda/20 non passano inosservate.
Sul tema della correzione, vera o presunta, si può scrivere molto ma è certo che gli specchi targati H.O.C. presentano solitamente una qualità molto alta e se pur questa abbia subito fluttuazioni nel corso del tempo (cosa più che probabile così come probabile è che alcuni esemplari siano “mal riusciti”) è indubbio che il loro blasone sia solido.
Un 10 cm. a f6 con presunta qualità di livello superiore a quanto l’occhio sappia cogliere è dunque una prelibatezza per cui vale la pena rischiare.
Nato negli anni ’70 e poi aggiornato nella meccanica ma soprattutto nella componentistica, il “nostro” 100SL appare figlio di quella decade che tanto ha saputo dare al mondo della musica, delle automobili, di una certa letteratura, così come si è imposta come disastrosa nel campo della moda: gli anni ’80. Va detto che la sigla SP e AR corrispondono alla montatura con cui veniva venduto ma anche alla presenza di "culla" o di "anelli". Benché la scatola originale reciti, nel nostro caso, la sigla "SP" in realtà, essendo dotato di anelli, il nostro "100SL" dovrebbe avere previsso "AR".
Immagini del “nostro” MIZAR SP-100SL che corredavano l’annuncio di vendita.
Una scheda tecnica, limitata nei dati ma comunque sufficiente a dare idea delle caratteristiche salienti dello strumento, può essere così riassunta:
MIZAR 100SL
schema ottico: riflettore di tipo Newton
specchio primario con (cito dall’originale): “Precision specchi parabolici,
elevata riflettività processo di evaporazione sottovuoto”
apertura effettiva: 100 millimetri (specchio da 110 mm. poi molato - in realtà la parte alluminata ha diametro 105mm.)
focale: 600 millimetri (f / 6)
risoluzione teorica: 1,20”
magnitudine limite teorica: 11, 8
cercatore: acromatico doppietto cementato 6x30 millimetri
oculari standard in dotazione: K-25mm, O-7mm. (oppure K-9mm.)
Qui sotto propongo le pagine del catalogo MIZAR anno 1981 che illustra l’ampia rosa di strumenti e accessori che la casa giapponese offriva.
Il Mizar 100SL è giunto a me in condizioni più che discrete, sia dal punto di vista cosmetico che ottico.
Il tubo presentava piccoli graffietti “qua e là”, le ottiche erano un poco sporche ma con gli strati di alluminatura in ottimo stato (nonostante l’età) e solo il tubo del cercatore presentava varie zone in cui la vernice, a causa delle 6 viti di ritenzione a punta priva di gommino, era distaccata o mancante.
La prima opera di pulizia generale ha richiesto un minimo di attenzione e pazienza ma, alla fine, il tubo ottico (cercatore a parte) appariva in stato eccellente.
Ho poi provveduto allo smontaggio integrale di tutte le parti del telescopio, sezionandolo accuratamente e procedendo ad una sistemazione e pulizia della minuteria metallica e dei pezzi a scorrimento. Il complesso del focheggiatore, che palesava sia basculamenti non corretti che un indurimento eccessivo dei grassi di frizione, è stato interamente smontato, ripulito e gli ho applicato nuovo grasso di qualità in quantità corretta.
Mi aspettavo di dover spessorare in qualche modo il canotto scorrevole ma ho poi scoperto con sorpresa che il sistema è dotato, oltre della vite di blocco tradizionale, anche di due piccolissimi grani di contrasto che esercitano pressione su uno dei tre cuscinetti vinilici rigidi il cui compito è quello di sopperire alle ovvie tolleranze di lavorazione tra il diametro esterno del canotto e la sede di scorrimento. Un sistema piuttosto valido (anche se agisce in un solo asse) che ha eliminato il 90% dei problemi pur mantenendo invariato la piccola rotazione del canotto durante l'inversione del moto (causata dalla forma del pignone e cremagliera e dalla scanalatura troppo ampia della sede di scorrimento - come in quasi tutti i focheggiatori di questo tipo) e alcune incertezze nello scorrimento dovute a un accoppiamento non perfetto del pignone e della cremagliera.
Il canotto è dotato di prolunga per il raggiungimento del fuoco con vari treni ottici oltre che di due anelli adattatori filettati con passo e diametro adattato ai connettori fotografici al fuoco diretto: una bella attenzione che denota costruzione e progetto ben ponderati soprattutto se si pensa agli anni di produzione.
Sistemato il focheggiatore, che pur non perfetto quantomeno consente di focheggiare a oltre 150x con una discreta precisione, mi sono dedicato allo specchio secondario e alla sua cella che, durante le operazioni di pulizia, avevano manifestato uno spostamento dello specchio all’interno della sua sede.
Smontando l’intera cella mi sono imbattuto in un curioso sistema di spinta del secondario, posteriormente ed esternamente tenuto in sede dal collare della cella e da due graffette metalliche ma che, internamente, viene “spinto delicatamente” contro i sistemi di fissaggio da un elemento in gommapiuma morbida tagliato a 45°.
La gommapiuma si era completamente disgregata e ho dovuto sostituirla in modo un poco roccambolesco con una nuova più densa, adattata anche con parti più piccole per ottenere una spinta uniforme e più robusta di quanto avvenisse in origine così da non avere spostamenti se non a seguito di urti importanti.
Ho smontato interamente anche il cercatore pulendo da sporcizia e particellato le ottiche e ripristinando il crocicchio interno che appariva fuori asse.
L’ultima opera ha riguardato lo specchio principale la cui accessibilità è resa semplice dal tipo di cella che si smonta, almeno nella sua parte solidale allo specchio, svitando semplicemente le tre viti di ritenzione principale.
Una amorevole pulizia e la superficie riflettente è tornata “nuova” mostrando l’alluminatura non intaccata dal tempo e priva di segni, graffi, o sbeccature.
Dopo la “rimessa quasi a nuovo” dello strumento mi sono dedicato alla sua collimazione diurna e poi a quella notturna fine prima di effettuare la mia prima osservazione.
Provvisoriamente ho collegato gli anelli ad una piastra Losmandy disassata rispetto al centro della basetta (in attesa di prepararne una con le forometrie adatte a quelle presenti sulla base degli anelli) e installato il tutto sulla montatura Ioptron CEM-60 su colonna fissa.
Il complesso appariva molto sovradimensionato rispetto allo strumento anche se, a dispetto delle sue compatte dimensioni (il tubo ottico misura 16 cm. di diametro esterno per una lunghezza di 57 cm.), va detto che la costruzione decisamente solida del piccolo newton fa segnalare alla bilancia un peso, comprensivo di oculare standard da 31,8 mm. e di piastra Losmandy, prossimo ai 4 chilogrammi.
La centratura degli assi ottici e delle inclinazioni del primario è avvenuta a 214x (oculare Takahashi LE 2,8mm.) ed è stata piuttosto agevole sintomo di una buona meccanica. Una volta che le ottiche erano ben collimate la visione di Vega è stata sorprendentemente piacevole.
L’elevata ostruzione lineare, compresa tra il 44 e il 45%, si fa sentire nell’indagine delle immagini di intra ed extra focale ma una volta a fuoco lo strumento lavora in modo egregio.
L’aberrazione sferica risulta molto ben corretta (benché un poco la si percepisca anche in funzione della notevole ostruzione che rende lievemente diverse tra loro le immagini di intra ed extra focale) e nessuna traccia di astigmatismo è stata rilevata.
Il risultato è una immagine “da manuale” con centriche molto ben definite e un punto di fuoco precisissimo che mostra il disco di Airy ben netto e un primo anello di diffrazione estremamente regolare con un accenno leggero di un secondo (molto debole).
Per “tirare” il collo all’ottica ho inserito anche una barlow celestron Ultima 2x (operazione non proprio lecita considerando che gli LE di corta focale già annoverano, al loro interno, un sistema negativo) ma anche al potere di 430x circa la geometria stellare appariva impeccabile.
Come accennato, la Hino Optical dichiarava per le sue ottiche una precisione di superficie pari a 1/20 di lambda. Non ho ovviamente possibilità di verificare questo dato, che ritengo francamente poco utile "in sé", ma sicuramente ciò che giunge all’occhio dopo aver rimbalzato sui due specchi del sistema ha una correzione che è almeno “diffraction limited” ossia pari o superiore a 1/4 di lambda. Ritengo che ci si possa sbilanciare asserendo che siamo a livelli di correzione un po’ superiori ma già oltre 1/6 o 1/8 l’occhio non è capace di percepire differenze e quindi, anche se a questi valori fosse limitata la reale correzione del sistema, mi sento più che soddisfatto dell’acquisto.
Immagine tratta con metodo afocale su smartphone HUAWEI P8 tenuto a mano in proiezione
di oculare da 2,8mm. La colorazione e la non perfetta assialità dipendono dal telefono e dal suo posizionamento che, a mano, non è mai perfettamente in asse. Inoltre la fotografia rende "impastati" gli anelli di Fresnel che invece, all'osservazione visuale, mostrano una notevole pulizia e uniformità di illuminazione con anche una scattered light piuttosto contenuta.
Con le premesse fatte mi sono avventurato nell’indagine di alcuni sistemi multipli classici, diversi tra loro per caratteristiche, colori, separazione e magnitudini stellari.
Il primo, e non poteva che essere così, è stato quello della facile e colorata Albireo che appare sempre bella se non attraverso strumenti con ottiche di infima qualità. Non ha quindi rappresentato un test valido ma l’immagine, a qualsiasi ingrandimento, è stata molto pulita e con colori piuttosto saturi.
Il secondo, Sheliak, è apaprso anch’esso molto convincente con una immagine che mi ha ricordato da vicino quella offerta da un rifrattore da 10 cm. di buona qualità, forse solo con una saturazione meno pronunciata dei colori.
Sono poi passato alla Epsilon Lyrae con l’intento non tanto di osservarla separata (risultato ovvio) ma di cercare l’ingrandimento minimo al quale fosse possibile discernere con certezza la separazione delle componenti delle due coppie di stelle.
A 50x (oculare LE da 12,5mm.) percepivo solamente immagini stellari allungate mentre a 80x (oculare LE da 7,5mm.) la separazione era già avvenuta con un contrasto notevole e un sottilissimo filo nero tra le stelline.
L’immagine diventava ovviamente molto bella a 120x (oculare LE 5mm.) e addirittura incantevole a 214x (oculare LE 2,8mm.) apparendo a tutti gli effetti indistinguibile da quella di un ottimo acromatico da 10 cm. a f9 o f10, con un solo sottile anello di diffrazione (quasi immobile) intorno ad ogni componente.
La sola differenza eventualmente riscontrabile con un 102/1000 consiste in una minore percezione di “luminosità” nel newton, anche per via della ostruzione importante che tende a far perdere un po’ di “brillantezza” alle componenti stellari.
Armato di entusiasmo e corroborato dalle ottime immagini ho puntato il piccolo Mizar sulla difficile Delta Cygni, un sistema che mette sempre a dura prova i sistemi ostruiti di non grande diametro per via della forte differenza di magnitudine delle sue componenti (a settembre 2016 separazione di 2,7” e magnitudini pari a 2,89 e 6,27).
Nonostante le quasi 3,4 magnitudini di differenza l’immagine flebile della secondaria faceva capolino sul primo anello di diffrazione con visione non continuativa ma sufficientemente stabile da essere apprezzata. La migliore percezione è stata ottenuta a 214x mentre saggi a ingrandimenti inferiori (120x) e superiori non davano certezza di riconoscimento.
Ritengo la prestazione molto lusinghiera soprattutto per le caratteristiche proprie dello strumento che non è progettato per un impiego in questo campo dell’alta risoluzione dove (sistemi doppi sbilanciati) il valore dell’ostruzione incide molto.
Sopra: la stella Vega ripresa con un telefonino Huawei P8 con metodo afocale a mano. L'immagine non rende la bellezza di quanto si percepisce ad occhio ma è sufficiente a
mostrare la corretta geometria delle 6 punte. I valori sono forzati per fare emergere gli
spikes e l'ingrandimento è molto elevato (150x dall'oculare, zoom 4x sul telefono e un
resize del 200% finale). Immagine con supporto "a mano" e scatto singolo, nessun filtro.
Dove il nostro bel newton si è comportato meno bene di quanto mi aspettassi è stato nell’ampiezza del campo corretto a basso ingrandimento.
Con l’oculare Takahashi LE da 30mm (che offre 20X e un campo reale di circa 2,5°) ho stimato che la porzione di campo interamente priva da aberrazioni geometriche non superi la metà (quindi con un valore prossimo a 1,2° circa oltre il quale comincia a manifestarsi una sorta di astigmatismo e successiva curvatura di campo).
Le cose sembrano andare un po' meglio con il 24mm. e con il 18mm. Con quest’ultimo oculare (33x e circa 1,5° di FOV) il campo inquadrato è quasi interamente corretto anche se, nelle vicinanze del field stop, emerge ancora una apprezzabile (ma contenuta) distorsione.
Inserendo il 12,5mm. (50 ingrandimenti e campo appena superiore a 1°) l’immagine risulta invece praticamente perfetta ovunque.
In un pomeriggio di fine settembre (il 29/9 per l’esattezza) ho avuto la possibilità di rincasare presto e dedicare una mezz’ora all’osservazione diurna con il Mizar 100/600.
Il primo target, obbligatorio, è stato il Sole. Con l’ausilio di un filtro in vetro a tutta apertura adattato al piccolo newton ho indagato la fotosfera della nostra stella ottenendo immagini convincenti sebbene non al livello di quelle offerte da un rifrattore acromatico di pari diametro. L’attività solare, almeno in luce bianca ridotta a “nulla”, mi ha permesso solamente di osservare una regione attiva prossima al lembo, che si scorgeva con discreto livello di dettaglio, oltre alla granulazione superficiale bene accennata e visibile anche se meno contrastata che non in uno strumento a lenti.
Ho utilizzato oculari con focali comprese tra i 20 e i 5 millimetri trovando ideali quelle di 9 e 7 millimetri (che offrono poteri di circa 66 e 85x) con le quali l’immagine, pur affetta dalla turbolenza atmosferica e dall’irraggiamento solare, mostrava una discreta quantità di particolari e una nitidezza buona a 85x e ottima a 66x. La generale sensazione è però quella di forzare lo strumento ad osservazioni che non gli sono proprie. Nonostante la buona focalizzazione la capacità di salire con gli ingrandimenti risulta infatti limitata rispetto a quello che consente un buon doppietto a lenti, anche da 8 cm. (Per confronto il mio Goto 80/1200 garantisce prestazioni molto superiori e anche un 70/900 sembra avere una incisione migliore).
Nonostante la presenza di fronde e foglie, un’altezza sull’orizzonte molto bassa e la piena luce del sole sono riuscito ad osservare anche Venere.
Utilizzavo oculari da 0,965” e i filtri acquistati per questi barilotti non si avvitano (credo un difetto di fabbricazione della gloriosa industria cinese...) così mi sono dovuto accontentare dell’immagine in luce bianca, senza i filtraggi violetti ideali per questo pianeta.
Nonostante le condizioni sfavorevoli, il seeing ballerino, e il modesto diametro di 12 secondi d’arco ho potuto percepire bene la fase del pianeta prossima al 86%. La parte gibbosa appariva ben delineata e quella al terminatore più sfumata. Non ho avuto altre informazioni dalla sterile coltre di nubi ma pur piccolino (lavoravo ai 150x concessi dall’otoscopio Vixen da 4mm.) il pianeta si lasciava apprezzare con una tonalità bianca avorio brillante. Anche in questo caso devo dire che la prestazione assoluta non pareggia quella di un doppietto acromatico da 9 o 10 cm. che risulta più "netta" e "densa" con una migliore affilatura dei contorni e una sensibilità inferiore al seeing.
Avendo per le mani lo smartphone Huawei P8 non ho resistito alla tentazione di scattare un paio di fotografie in afocale tenendo però semplicemente accostato a mano il telefono alla piccolissima lente dell’oculare. L’estrazione pupillare di un OR4 è tristemente annoverata nel guinnes dei primati negativi e ottenere, di giorno, una immagine decente è piuttosto difficile. Per ovviare ai fuori asse e agli angoli di inclinazione tra camera e oculare ho processato l’immagine finale con Photoshop ottenendo un fondo cielo accettabilmente uniforme ma va ricordato che, nello scatto “originale”, questo era azzurro-biancastro con notevole vignettatura.
Non si tratta di una immagine da primato e sicuramente è possibile fare molto meglio ma la posto comunque, benché quanto accessibile in visuale fosse superiore e più pulito, a titolo esemplificativo.
Il pianeta Venere ripreso nel pomeriggio del 29 settembre 2016.
Proiettato nella costellazione della Vergine il nostro vicino mostra alla data dello scatto una
fase del 86% e un diametro di circa 12,3". Immagine tratta con singolo scatto in metodo
afocale per proiezione di ocualre OR 4mm. e zoom 4x su smartphone Huawei P8.
L'immagine è stata rielaborata con Photoshop per uniformare il bianco/azzurro del cielo
e offrire maggior contrasto al pianeta. Nessun filtro usato e smartphone sostenuto a mano.
Quando descritto rischia di relegare il buon Mizar 100SL a un ruolo subalterno rispetto ad altri strumenti nell’utilizzo diurno. In effetti le sue capacità sembrano risentire molto della turbolenza tipica dovuta all’irraggiamento pomeridiano e per poter mettere a frutto l'elevata qualità ottica va sicuramente sfruttata (almeno per quanto riguarda Venere) la finestra crepuscolare di inversione termica.
Sul Sole invece c’è poco da fare… quando l’attività è ridotta al lumicino come nei giorni di fine settembre e inizio Ottobre del 2016 conviene rinunciare alla sua osservazione che permetterebbe solamente la percezione di un po’ di granulosità superficiale e l’eventuale apprezzamento di regioni attive marcate.
Urano, indipendentemente dal pensiero di molti astrofili neofiti, è un pianeta piuttosto semplice da osservare. La sua luminosità, generalmentepari a circa 5,6 o 5,7 magnitudini, lo rendono un target alla portata di qualsiasi telescopio, per quanto piccolo. Anche da cieli inquinati come quello Milanese il pianeta è visibile come debole stella in un cercatore 6x30 e attraverso un telescopio da 10 cm. mostra un dischetto piccolo ma colorato e innegabilmente “planetario”, soprattutto se paragonato alle stelle vicine di pari intensità luminosa.
E’ indubbio che un newton da 4 pollici, corta focale e ostruzione del 44% non rappresenti l’optimum tecnico per affrontare osservazioni o riprese del pianeta. Il settimo corpo maggiore del sistema solare richiede aperture molto superiori per sperare, in fotografia, di registrare qualche dettaglio di albedo o di banda sulla sua superficie ma è comunque possibile ritrarlo anche con strumenti piccoli purché ci si sappia accontentare di un “pallino azzurro-verdognolo”.
La tarda notte del 29 settembre 2016, dopo essere rincasato da una lunga assemblea di lavoro, ho trovato il piccolo Mizar ancora perfettamente puntato sulla oramai bassa Vega (dopo almeno quattro ore di inseguimento solitario) e ho voluto capire se il verde e rotolante pianeta fosse ancora coperto dalle fronde e foglie degli alberi vicini al mio giardino.
In questi casi il puntamento automatizzato è impagabile e fa la differenza tra vedere un oggetto e non mettersi nemmeno a cercarlo... A mezzanotte e venti, dopo oltre sedici ore consecutive di lavoro, non si ha più pazienza per frugare nel cielo cittadino una stellina di sesta magnitudine. Il goto invece richiede semplicemente la pressione di pochi tasti e il pianeta appare nel campo di un oculare a basso ingrandimento.
Nonostante i modesti 30x offerti dal kellner da 20 millimetri ho individuato senza incertezze quale “stella” fosse Urano e ho ingrandito scovando, già a 120x ma ancora meglio a 150x il suo bel dischetto di un chiaro colore grigio-verde.
La visione ottica appariva intrigante, benché ovviamente del tutto priva di particolari se escludiamo la forma a disco pieno non stellare, e la colorazione inconfondibile.
Avrei potuto spingere ulteriormente i poteri ma avevo la sensazione di inutile perdita di luce e nessun guadagno globale, così ho giocato con gli oculari da 4 e 5 mm ortoscopici (150x e 120x).
In tasca avevo ancora il cellulare e ho provato qualche scatto. Impostata la sensibilità ISO sul valore massimo (1600 ISO) e il tempo di posa su 1/8 di secondo (sotto il quale diventa impossibile fotografare) ho cominciato la snervante operazione di inquadrare il fascio ottico formato da un OR4 con la camerina dello smarphone che ha un diametro altrettanto ridicolo.
Urano, dopo un po’ di lavoro e pazienza, è apparso vagheggiante sul display come una stellina microscopica di colore vagamente verdastro. Con lo zoom digitale del telefono impostato al valore massimo (4x) ho scattato una quindicina di fotogrammi sprenado che almeno una si fregiasse di una messa a fuoco accettabile.
In effetti, sfogliando i risultati, un paio di fotogrammi apparivano decenti nonostante un ovvio lieve mosso (incredibilmente contenuto però) e ho deciso di processarle con PS per ottenere un bilanciamento migliore dei colori, del fondo cielo, una maggiore “morbidezza” ed esaltare un poco sia la luminosità del pianeta che la saturazione del suo altrimenti tenue colore. Un ulteriore "resize" ha anche donato al minuscolo disco planetario un minimo di dimensione rendendolo più piacevole alla vista.
Al di là della validità o meno dello scatto devo dire di aver apprezzato l’immagine visuale concessami dal piccolo newton.
Parlare di "ottima visione" appare onestamente illogico ma se si considera il cielo a disposizione e il potere di raccolta di luce del 4” a riflessione e si analizza l’immagine generata all’oculare non ci si può che stupire della resa. Un dischetto verdino bene a fuoco è già un grande successo ed è intellettualmente poco onesto attendersi di più a 150 ingrandimenti.
Un rifrattore acromatico da 10 cm. e 1 mero di focale avrebbe fatto altrettanto, sia chiaro, magari con una maggiore luminosità di immagine, ma a parte questo non avrebbe consentito nulla più.
Con questo non sto indicando il Mizar 100/600 come lo strumento per osservare Urano, ma mi preme suggerire come, anche con un piccolo newton (e sui forum sento sovente additare i “vecchi” 114/910 come strumenti inutili), si possa ottenere soddisfazione.
Il MIZAR 100/600, come altri strumenti giapponesi di diametro medio/piccolo, possiede una cella del secondario sostenuta da 3 supporti posti a 120°. Questi supporti sono di sezione circolare e spessore appena superiore ai 2mm., molto simili a quelli impiegati su alcuni Takahashi di pari età. Benché il valore del diametro non sia particolarmente contenuto la loro rigidità e rubustezza appaiono ben calibrate a supportare la cella del secondario che è di dimensioni e peso complessivo importanti. Il buon dimensionamento strutturale si traduce nella completa assenza di disallineamenti e torsioni rilevabili e non si fa particolarmente sentire nelle osservazioni che mostrano, anche su stelle di primaria grandezza, 6 spikes ben marcati ma non eccessivamente "cicciotti".
Personalmente ritengo lo spider a tre razze la soluzione migliore (o tra le migliori) per l’utilizzo in alta risoluzione di qualsiasi strumento con schema newton.
Nonostante si sia molto dibattuto e studiato per valutare la forma più adeguata di questi supporti al fine di minimizzarne l’effetto sulle immagini stellari a fuoco, penso che le varie proposte esotiche (tra l'altro ben poco premiate dal mercato) curve, asimmetriche, triangolari, siano onestamente meno performanti.
Allego una serie di elaborazioni, fatte non da me ma indicative, sulla forma e distribuzione dei baffi di luce (oltre che sulla deformazione del primo anello di diffrazione) che i vari sistemi inventati generano.
Su quale sia l'optimum non ho una risposta univoca anche perché, dipendentemente dal soggetto osservato, gli effetti degli “spikes” possono rivelarsi più o meno invadenti o addirittura dimostrarsi (ad esempio nell’osservazione di alcuni sistemi doppi) utili a ridurre la luce concentrata nel disco di Airy e nel primo anello di diffrazione.
Mi limito perciò a mostravi alcuni studi sugli effetti così che, ognuno, in base alle proprie necessità e desideri, si faccia una idea della resa finale dei possibili sistemi di spider.
In linea generale non credo sia incorretto dire che un newton da 10 cm. aperto a f6 con ostruzione del 44% circa non sia lo strumento più adatto per l’osservazione della Luna. Se però le caratteristiche di partenza rappresentano un limite oggettivo è altrettanto vero che più di una volta strumenti non dedicati ma con ottiche di ottimo livello e ben collimati mi hanno stupito, soprattutto su un soggetto come il suolo lunare che presenta contrasti (almeno nella parte del terminatore) elevati.
Le possibilità che ho di riprendere e fotografare il nostro satellite in questo momento dell’anno (settembre e ottobre del 2016) sono ridotte a una finestra di circa quindici minuti dalla mia postazione fissa (causa alberi ad alto fusto) oppure rimandate alla voglia e pazienza di spostarmi con una montatura piccolina in zone poco simpatiche della mia abitazione (zona pattumiera condominiale).
Nel tardo pomeriggio del 11 ottobre 2016 ho però colto l’ispirazione passeggera, installato il Mizar 100SL su una Super Polaris motorizzata solo in A.R. (quindi dovendo correggere in declinazione manualmente), e mi sono posizionato dove avevo possibilità di osservare e riprendere qualche filmato.
L’immagine all’oculare appare più che convincente con un contrasto e incisione notevoli e sicuramente pari, almeno fino ai 100x, a un ottimo rifrattore acromatico 100/1000.
Oltre si coglie una maggiore difficoltà a trovare il fuoco preciso (che è molto “stretto”) ma l’osservazione a 150x (oculare plossl da 4mm.) è incredibilmente ricca di particolari tanto da lasciarsi ammirare a lungo.
Non ho avuto occasione di spingermi oltre i 150x (mi sono dedicato a qualche ripresa) ma ho potuto verificare sia il comportamento in asse che la curvatura di campo del progetto Mizar.
Con oculari a campo medio (circa 50°) e schema plossl l’immagine risulta molto incisa e i dettagli accessibili sono tutti quelli che il potere risolutore può gestire o quasi. In compenso, come già evidenziato in altre occasioni, il campo perfettamente corretto si dimostra non molto ampio. Con gli oculari a lunga focale (30mm e 20 mm., che offrono 20x e 30x rispettivamente) la Luna è ampiamente contenuta nel campo visivo ed è molto bella ma se solo la si sposta verso il diaframma di campo si nota un degrado del dettaglio e anche un lieve “shift di fuoco”, sinonimo di apprezzabile curvatura di campo). In compenso ad ingrandimenti medi e alti l’immagine appare ben corretta e definita.
Quanto detto ricade tutto sommato nella norma anche se mi sarei atteso da un f6 un campo corretto lievemente più ampio.
Le immagini che ho tratto, in occasione di un seeing non eccelso e valutato intorno ai 5/10 rapportati all’apertura dello strumento, sono il frutto di filmati da 2500 frames ricavati con una camera a colori QHY5L-II color e interposizione di barlow 2x e di un filtro IR-CUT.
Le sole immagini eseguite a focale nativa sono state tratte senza funzione di ROI e con una definizione di 1280x960 pixel.
E’ indubbio che la camera a colori non sia il massimo per la ripresa lunare e credo che con una monocromatica (che al momento non avevo a disposizione essendo in altra postazione) e un filtro arancione (o anche un IR-PASS al limite) avrei potuto ottenere una maggiore pulizia e pastosità di immagine ma ritengo comunque incoraggianti i risultati.
Nella sera del 9 marzo 2017 ho rispolverato il bravo Mizar 100 per riprendere qualche filmato alla Luna. Il seeing poco favorevole (circa 4/10) non ha permesso di sfruttare le potenzialità massime dello strumento ma qualche scatto decoroso ne è uscito.
Il piccolo MIZAR 100SL è stato comprato, come detto in precedenza, sulla scia di un entusiasmo momentaneo dovuto principalmente al desiderio di possedere uno strumento della gloriosa marca giapponese, alla sua livrea che mi piace molto, e anche alla possibilità di farne telescopio da viaggio pur mantenendo un diametro accettabile se confrontato con i tanti rifrattorini “ED” di moda oggi da 70 o 80 millimetri a corto fuoco.
Dopo averlo ben testato su una montatura adatta a spremerne al massimo le capacità ottiche gli ho dedicato la bella e quasi contemporanea Vixen New Polaris su cavalletto in legno che riprende, per finitura e colori, quelli delle parti metalliche del piccolo newton (... e mando un bacio al mio grande amico Francesco Romano che mi ha donato la montatura!).
Devo ammettere che l’utilizzo in accoppiamento con la equatoriale Vixen si è dimostrato ideale. Le misure compatte del tubo permettono infatti di accedere comodamente ai moti micrometrici a manopola della montatura così che l’inseguimento manuale diventa molto facile e comodo. Ho provato a osservare una serie di doppie ad alto ingrandimento conservando una impeccabile stabilità e smorzamento delle vibrazioni (limitate in poco più di 1 secondo a ingrandimenti superiori ai 200x) e una fluidità di movimento molto piacevole.
L’ingombro complessivo e anche il peso superano obiettivamente quelli di un 80/480 ED installato su cavalletto fotografico ma l’usabilità sul campo è superiore non facendo rimpiangere (nei limiti del diametro) strumenti più solidi e massicci.
Date le prestazioni di grande soddisfazione concesse dal newton giapponese ho deciso di dedicargli un set di oculari adatti e “coevi”. Non possedevo pezzi di marchiatura Mizar e così mi sono accontentato di oculari HM, K, e OR giapponesi risalenti ad anni compatibili con quelli di produzione del 100-SL.
Ne avevo molti e li ho testati uno ad uno, anche confrontando quelli di pari caratteristiche, per scegliere il set più performante.
Mi sono così tenuto da parte un Kellner da 28 mm, un OR da 9mm, un HM da 7mm, un OR da 5mm, e un OR da 4mm, scartando il HM da 12,5 mm che palesava una sferica residua dovuta probabilmente al posizionamento non corretto di una lente interna.
Inoltre, al fine di massimizzare le prestazioni in alta risoluzione al fuoco dello strumento ho cercato tra la ma ampia dotazione di prolunghe compatibili che permettessero, a fuoco, di avere una posizione del canotto di scorrimento del focheggiatore il meno invasiva possibile sul piano ottico. Questo risulta importante per eliminare il “baffo” di diffrazione aggiuntivo dovuto all’ombra del canotto del focheggiatore.
Ho trovato il giusto compromesso con un raccordo GoTo che consente, con gli oculari dai 7 ai 4 mm. di avere l’immagine di extra focale completamente scevra da ombre e un solo piccolo accenno di proiezione (davvero limitato) in intra focale. In questo modo l’immagine a fuoco permetteva solamente la visione dei 6 spikes dovuti ai 3 supporti del secondario senza baffi aggiuntivi che tenderebbero ad abbassare (sia pur di poco) il contrasto generale.
Tra gli oculari selezionati, tutti con barilotto da 0,965” (il mio preferito), ho scelto nella focale da 9mm. un ortoscopico non marchiato che si è dimostrato più “pulito” e “secco” rispetto ai due pari focale “circle V” (Vixen).
Per offrire poi al set-up una degna presentabilità ho creato una scatoletta in legno porta oculari (oltre a filtri colorati, sempre da 0,965”), solari, lunari e raccordi che è poi stata personalizzata in pirografia e cerata con mordente noce con le scritte originali Mizar in giapponese. Una piccola chicca di squisita velleità edonistica realizzata dal mio adorato padre Mauro, artista per diletto e capo-famiglia per vocazione.
Un Mizar 100/600 versione 1981 o anno seguente come quello del nostro test non è semplice da trovare e difficilmente si acquista per meno di 300 euro. Se poi è in condizioni impeccabili può valere sicuramente di più.
Non è un oggetto per neofiti e nemmeno per astrofili della domenica. A questi consiglio, spendendo la stessa cifra, un 80/480 ED così che possano andare ad intasare i forum raccontando meraviglie del loro “apocromatico”.
Per amare, apprezzare e portare al massimo (con prestazioni di ottimo livello) un piccolo Mizar HINO Opt come questo (o strumenti analoghi) occorre essere degli amanti dei telescopi belli e vintage e saper ottimizzare uno strumento astronomico affinché la qualità delle sue singole parti concorra a formare un concerto sinfonico e non un casuale catalogo di aberrazioni.
E’ pieno il piazzale degli Star Party di “astrofili” che non sanno nemmeno capire perché il proprio strumento non rende come dovrebbe o che, peggio, nemmeno se ne accorgono. Per loro esistono i colorati “ed” cinesi (che pur hanno notevoli qualità sia ben chiaro!).
A me questo MIZAR 100/600 piace tantissimo. Mi diverte, mi stupisce, mi piace per come è realizzato, per i colori che gli sono stati dati e perché la sua meccanica resta dove la si mette e consente di affinare bene assialità ottiche ed esaltare la notevole qualità dei suoi specchi.
Comprendo e non nascondo che esistono telescopi moderni che, con spesa analoga nell'usato, fanno lo stesso o anche meglio (si veda ad esempio i rifrattori 102/1100) ma so anche che non posseggono la trasportabilità, immediatezza di utilizzo e fascino di questa icona giapponese degli anni ’80.
Nell’ultimo scampolo delle vacanze pasquali, sotto un cielo coperto, ventoso e ancora freddo, ho voluto mettere mano all’amato Mizar 100/600 che mi ha regalato grandi soddisfazioni visuali in virtù di ottiche di alto livello.
Il solo punto debole dello strumento è sempre stato il suo focheggiatore originale, bello da vedere ma caratterizzato da scarsa fluidità di movimento dovuta a un accoppiamento non felice tra cremagliera e pignone oltre che da un po’ di basculamenti ed eccessive tolleranze del canotto di scorrimento.
L’amico Francesco Romano, nel 2016 se la memoria non mi inganna, mi aveva donato i pezzi del suo vecchio ma molto valido Vixen 100/1000 newton il cui specchio primario mi era già servito per sostituire quello del newton “Hypertech” che di tanto in tanto mi diverto ad usare.
Le altre componenti (secondario, celle, viteria varia, anelli e focheggiatore) riposavano da allora in una scatola, ordiniate ma quasi dimenticate.
Riesumato il focheggiatore, di cui ricordavo ottima meccanica (checché se ne dica sovente dei sistemi di messa a fuoco Vixen) mi invitava alla riflessione così ho smontato il Mizar.
Purtroppo la sagoma del focheggiatore Vixen e i fori della sua basetta non corrispondevano (per poco) a quelli Mizar ma la testardaggine ha avuto il sopravvento e dopo un’ora di lavoro, trascorsa a misurare, tagliare, forare nuovamente il tubo in punti estremamente vicini alle asole già esistenti, ha sortito l’effetto voluto.
Il vecchio focheggiatore Mizar è andato a riposare nella scatola e il “nuovo” Vixen è stato correttamente installato con notevoli miglioramenti non solo nella fruizione del sistema ma anche con il guadagno sia di front-focus che di back-focus, andando quindi ad ampliare la gamma di accessori usabili.
L’operazione è stata eseguita con attrezzatura spicciola ma grande soddisfazione finale.
Dotato del “nuovo” focheggiatore il MIZAR 100-SL è diventato a tutti gli effetti un newtoniano di alto livello a molte leghe di distanza dai 114/900 tradizionali.
Le ricerche sul web hanno poi dato parziale spiegazione alle prestazioni notevoli di cui lo strumento è capace indicandomi chiaramente la correzione sul fronte d’onda che il telescopio esibisce è che è pari o superiore ad 1/8 di Lambda (un valore impensabile per la produzione mass market attuale). A questo proposito allego copia del catalogo tecnico del tempo.