TAKAHASHI TOA-150: COLLIMAZIONE COMPLETA

Giugno 2018 - Atutore: MARCO MURELLI

INTRODUZIONE

di PAOLO CASARINI

L’astrofilo esperto e dotato di pazienza e buona volontà, oltre che di un minimo di indispensabile strumentazione, ha capacità talvolta superiori a quelle dei centri “specializzati” (o che tali si definiscono), nel portare a “regime” anche strumenti difficili che altrimenti verrebbero bollati come scadenti o mal riusciti. E’ il caso del “nostro” Takahashi TOA-150, superbo rifrattore alla fluorite dal costo importante e dalle prestazioni eccezionali. Lo strumento in questione ha trascorso una vacanza di un paio di mesi a casa mia, circa un paio di anni fa o poco meno, in occasione della quale ho avuto modo di usarlo più volte ricavandone una impressione di notevole qualità e solidità. Pur nelle sue prestazioni di alto livello ho però constatato quanto la sua collimazione fosse perfettibile seppure di un nonnulla tanto che il suo proprietario non se ne era accorto. Quando restituì il bel rifrattore all’amico Fabio avemmo occasione di osservare insieme una sera e in tre, complice anche Marco, autore dell’articolo che segue, il lievissimo difetto fu finalmente osservato. Si trattava di un “cavillo” ma chi compra tali strumenti desidera la perfezione e così il TOA-150, dopo qualche mail di richiesta, venne spedito in Francia per una collimazione a prova di test, il tutto con i tempi e i costi relativi. La storia ci ha restituito un TOA-150 in condizioni disastrose, come ben evidenziato dalle parole che seguono…

PREFAZIONE

Negli ultimi anni, lo sviluppo dei vetri ad alto contenuto di Fluoro* ha permesso la produzione di doppietti e tripletti con correzioni cromatiche migliori rispetto a quelle dei classici rifrattori acromatici di Fraunhofehr (o Steinheil) prodotti con i classici crown e flint pur mantenendo rapporti focali medi e corti a costi concorrenziali. Tali rifrattori offrono quindi la possibilità di avere strumenti abbastanza versatili (vedere sullo stesso sito la prova del APM152ED), adatti alle osservazioni visuali ma anche alla ripresa di oggetti del profondo cielo con opportuni riduttori e/o spianatori. 

La riduzione dello spettro secondario dei rifrattori acromatici non deve però essere l’unico scopo dell’utilizzo di questi nuovi vetri a causa della possibile insorgenza di aberrazioni di ordine superiore: una delle più deleterie è lo sferocromatismo, ben peggiore dello spettro secondario residuo. Non bisogna inoltre dimenticare le deformazioni geometriche (coma ed astigmatismo in primis) che si manifestano velocemente all’allontanarsi dall’asse ottico. Questo problema è molto evidente con la diffusione di sensori di dimensioni sempre maggiori, pixel sempre più piccoli e sensibilità estesa ad un amplissimo intervallo di lunghezze d’onda. Sono infatti implacabili nel mostrare difettosità ottiche anche lievi, scentraggi, scollimazioni e curvature di campo anche lievi.

Si vede quindi come il progetto di un moderno rifrattore apocromatico sia decisamente complesso che coinvolge sia l’ottica che la meccanica “a contorno”. Un lato spesso oscuro è infatti quello delle tolleranze di fabbricazione e di montaggio; un ottimo progetto infatti non deve avere tolleranze troppo strette, i telescopi non sono usati in laboratori metrologici a condizioni controllate, e deve poter essere regolato opportunamente in maniera più o meno agevole. Per ottenere rapporti focali corti su diametri medi (diciamo dai 130 ai 150mm di diametro per rapporti intorno a f6-f7) le curvature interne delle lenti devono essere molto pronunciate (sia nel caso di doppietti che di tripletti) che rendono tutto il sistema molto sensibile alla centratura delle lenti.  Non si confonda la centratura con la collimazione. Con la prima si intende la coincidenza degli assi ottici di tutte le lenti, con la seconda si intende la coincidenza dell’asse ottico dell’obiettivo con l’asse “meccanico” del tubo ottico su cui dovrà giacere a sua volta l’asse ottico degli eventuali correttori/spianatori e/o degli oculari. Nel caso di strumenti totalmente corretti a campo piano la coincidenza degli assi ottici e meccanici potrebbe non essere richiesta, basterebbe il parallelismo. 

Il panorama produttivo moderno (ricordo che esistevano tripletti “apo” già un secolo fa circa, gli Zeiss B typ e i tripletti Cooke/Taylor per dirne un paio) si è orientato verso tripletti spaziati in aria o in olio a cortissima spaziatura (tipo i doppietti acromatici). Nella prima categoria, tra i marchi top abbiamo LZOS, TEC (alcuni con vetri ED, altri con Fluorite) e Takahashi (serie FCT, TSA p.es.), nella seconda Astro-Physics (i vari EDT, EDF etc.) che hanno scelto di produrre celle non centrabili oppure celle centrabili con viti laterali che muovono le lenti singolarmente. 

Una particolare eccezione è rappresentata dalla serie TOA (130 e 150 f7 circa), tripletti orto apocromatici, in cui per correggere al meglio lo sferocromatismo ed altre aberrazioni geometriche, si è scelto di avere due lenti ravvicinate e la terza più distanziata. Questa scelta però ha posto notevoli difficoltà progettuali per quanto riguarda la cella; le tolleranze di centraggio, collimazione, distanza fra gli elementi sono al decimo di millimetro. Vediamo se il centraggio e la collimazione sono appannaggio di ottici professionisti o se, con un po' di pratica e costanza, si può far qualcosa con metodi e strumenti amatoriali.

Rimando alla pagina http://www.telescope-optics.net/semiapo_and_apo_examples.htm in cui sono ottimamente rappresentati diversi tipi di obiettivi apo e semi-apo con le probabili specifiche ottiche e relative simulazioni. Il progetto TOA è rappresentato dal numero #20.

UN TOA-150 CON QUALCHE PROBLEMA

Avendo allienato recentemente un fantastico Takahashi FCT150, sostituito da un seppur ottimo APM150ED, mi è sempre rimasta la mancanza di un rifrattore da 150mm della casa giapponese. Quando recentemente è capitata l’occasione di acquistare un Takahashi TOA 150 con diversi accessori, non ho esitato a porre rimedio alla mancanza di cui sopra. Lo strumento pareva in ottime condizioni ed il precedente proprietario l’aveva fatto ricontrollare (dopo che l’amico Cherubino aveva evidenziato una leggera scollimazione del tripletto), meccanicamente ed otticamente da Optique Unterlinden a Colmar, importatori ufficiali europei Takahashi. Non mi esprimo sulle loro abilità tecniche ma, ad una prima ripresa con camera ASI1600 (sensore da circa 22mm di diagonale, pixel da 3,8um) al fuoco diretto con spianatore originale Takahashi, tutte le stelle presentavano un evidente coma, costante su tutto il campo ed orientato sempre nella stessa direzione. Dubbioso provo il riduttore a f5,6 (sempre originale Takahashi, un pezzo d’ottica da 2500$), uno spianatore TS Optics e senza alcun accessorio ottico. Il risultato non cambia, coma sempre presente. Anche lo star test con oculare evidenzia lo stesso problema. Ricordo che il campo dovrebbe essere piano e corretto fino a formati 6x7cm!!! Un difetto evidentemente intollerabile. Le figure intra ed extra focale, seppure comatiche, non esibivano marcate differenze per cui la diagnosi è stata di centraggio imperfetto tra le lenti del tripletto.

RACCOLTA INFORMAZIONI

La cella presenta 6 “triplette” di viti push-pull per un totale di 18 viti di regolazione…piuttosto disorientante. La documentazione in rete è piuttosto scarsa ed il manuale in inglese non porta alcuna nota a riguardo; agire alla cieca è sconsigliabile, in questi casi. Fortunatamente, dopo attenta ricerca e con l’aiuto dell’amico Fabio, è stato ritrovato il manuale in giapponese che riporta le istruzioni per procedere alla collimazione dello strumento e una sintesi della struttura della cella e delle funzioni delle varie viti. In rete si trova inoltre la traduzione in inglese della parte necessaria, e sul sito di Wolfgang Rohr si trovano altre informazioni, perciò almeno la ricerca teorica si poteva considerare conclusa.

Rimosso il paraluce scorrevole, si nota che la cella è composta da due celle fra loro indipendenti ma regolabili; la G1 porta le due lenti frontali, la G2 la terza, distanziata di qualche centimetro. La G1 è fissata alla G2 da tre “triplette” di viti push-pull che servono al centraggio dei due assi ottici, la G2 è fissata al tubo ottico con le altre tre per permettere la collimazione classica dell’obiettivo al tubo. Regolando la distanza fra le due celle si agisce sul coma, sulla correzione della sferica e penso anche sulla correzione cromatica. I gradi di libertà sono quindi tre: distanza fra G1 e G2, angolo fra le due e angolo fra G2 e tubo.

Ma come disse Elvis Presley: “A little less conversation, a little more action, please”.

IN AZIONE!

Per facilitare le operazioni evitando le incostanze del seeing di questo periodo, decido di fare il tutto con:

  • stella artificiale con treppiede Manfrotto
  • uno spessimetro da officina (risoluzione 5 centesimi di mm)
  • una serie infinita di raccordi e prolunghe per raggiungere il fuoco senza diagonali (come dice l’amico Fabio, l’arte oscura dei raccordi Takahashi)
  • un oculare da 6mm Takahashi Orto (183x) per una prima approssimativa regolazione
  • una Televue Powermate 2x da 2” (366x con oculare da 6mm) per regolazioni fini
  • qualche chiave a brugola
  • un collimatore REEGO
  • l’aiuto e la pazienza di Fabio

Un parametro veramente importante è la distanza fra le celle. L’esemplare in mio possesso ha una distanza originale di 1,2mm mentre il manuale originale giapponese riporta test di Ronchi ad una distanza fra le celle di 2mm. Interpretando erroneamente la cosa come settaggio corretto di default, è stata quindi portata la distanza G1-G2 a 2mm. Una prima verifica con collimatore REEGO ha mostrato un evidente disallineamento delle celle ma anche dopo diversi tentativi non è stato possibile allineare perfettamente tutte le riflessioni mostrate dal tripletto. Non è ancora chiaro il perché di questo, anche a strumento perfettamente collimato e centrato la “croce” formata dai riflessi non è perfetta. Decidiamo di procedere con il classico sistema di verifica di una stella artificiale con oculare ad ingrandimenti medi per sgrossare ed elevati per regolazioni fini. Dopo vari tentativi e con l’aiuto di Fabio riesco ad avere un risultato soddisfacente ma non perfetto, ripromettendomi di perfezionare con una stella reale. Le figure intra ed extra però apparivano palesemente differenti per cui procedo con un test di Ronchi in autocollimazione con reticolo da 150 linee per pollice (circa 6 linee per mm), corrispondenti a circa 12lpmm non in autocollimazione. Il test di Ronchi evidenzia linee perfettamente dritte e nessun colore spurio quindi pensiamo che la distanza di 2mm sia corretta.

In una serata successiva, provo “in solitaria” il grosso rifrattore su Merak (β Ursae Majoris) rilevando un leggero coma, come evidenziato dal centraggio preliminare su stella artificiale. Procedo alla regolazione fine fino a far scomparire il coma, operazione che richiede una buona dose di pazienza e sensibilità. La verifica delle figure intra ed extra evidenzia però una aberrazione sferica troppo pronunciata, impensabile che sia correlata ad errori di lavorazione su uno strumento di questo calibro. Non rimane che l’ipotesi di errata distanza fra le celle, quindi decido di ritornare alla separazione originale di 1,2mm con successivo centraggio del tutto. L’esperienza precedente giova perché il lavoro procede più spedito e si evitano “divagazioni” inutili con strumenti che non portano beneficio. Settata la distanza a 1,2mm e fatto il centraggio (con rifinitura sul cielo) si notano le figure intra ed extra uguali e mancanza di coma su tutto il campo del sensore Panasonic della ASI1600! Dopo tanto tempo dedicato, finalmente lo strumento è pronto per rendere al meglio…

CONCLUSIONI

Che conclusioni si possono trarre (a parte i giudizi relativi all’operato di Optique Unterlinden)?

  • Lavorando con metodicità e pazienza si possono ottenere buoni risultati, non ci si deve far spaventare dalla complessità apparente
  • Ove possibile, preferire strumenti regolabili. Uno strumento scollimato/scentrato ma regolabile può essere sistemato, altrimenti bisogna ricorrere a difficili regolazioni con spessori in punti “strategici”.
  • Non fidarsi dei test di Ronchi a basso numero di linee per mm, non sono sensibili a sufficienza su questo tipo di strumenti. Meglio usare reticoli con 20lpmm.
  • Diffidare dei rifrattori apo di una certa dimensione a basso prezzo molto leggeri. Le ottiche possono essere buone ma, senza un’adeguata meccanica di supporto, è impossibile rispettare le strettissime tolleranze di montaggio. Le lenti grandi sono pesanti e vanno tenute in posizione perfettamente a diverse temperature. Molto difficile avere economicità, leggerezza, precisione, qualità ottico-meccanica…
  • Sarebbe bene imparare a leggere il giapponese per evitare di fare il lavoro due volte…

* Da ricordare che tali vetri sono concettualmente diversi dalla Fluorite che si tratta di un vero e proprio cristallo con struttura ben definita, sia esso naturale che accresciuto artificialmente. I vetri invece sono strutture amorfe. La Fluorite ha prestazioni ottiche ancora superiori, specialmente dal punto di vista della trasmissione a certe lunghezze d’onda.

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