Anno 2019 - 2020
Sui catadiottri modificati Vixen si sono spese molte parole, soprattutto sui forum generalisti, non sempre con note positive, molte volte a mio avviso con poca cognizione di causa.
Ho avuto ampiamente modo di trattare il VISAC 200L, strumento dalla architettura unica, e dimostrare che se collimato in modo sapiente e corretto le sue prestazioni sono notevoli.
Ho anche avuto modo di usare per qualche mese un VMC260 che reputo strumento di altissimo livello in relazione al suo diametro e al suo costo di acquisto. So che molti aspettavano una recensione completa del 10 pollici giapponese ma le vie della provvidenza mi hanno portato a venderlo ad un amico che lo desiderava ardentemente e così propongo su questo sito solamente un “test breve” di impressioni generali d’utilizzo.
Ho infine deciso di regalarmi il VMC200L perché mi attrae. Non in modo viscerale come fa il VISAC, ma gli riconosco un fascino discreto da “strumento di nicchia” e una serie di pregi che ai miei occhi assumono particolare importanza.
Inutile paragonarlo ad un banale Schmidt Cassegrain di pari apertura che si fregia di una architettura differente, che grossomodo fa le stesse cose (anche se in modo diverso), ma che soprattutto possiede alcuni svantaggi per me insopportabili.
Affinché non ci siano dubbi su come sia fatto il VMC200L riporto la descrizione originale Vixen che lo descrive:
The VMC200L is an all around scope that will take amazing astrophotographs and deliver great visual images. The Vixen VMC200L Reflector Telescope is a unique 200mm 8 inch catadioptric optical system. It incorporates a primary mirror and a meniscus corrector just before a secondary mirror. By doing so, light is corrected twice on the optical path. The end result is that spherical aberration and field curvature are corrected to a high degree of optical performance.
The VMC200L's primary mirror is f/2.5; the compound optical system is f/9.75. This makes the system much more compact and portable than its competition. With the optical correction placed before the secondary mirror, the VMC200L avoids the necessity of having a corrector plate and all the dewing problems associated with a closed optical tube. An additional key feature is the rack and pinion focusing that is placed behind the primary mirror. The use of this focusing system eliminates the image shift associated with most other SCT systems.
SOPRA: schema ottico del VMC200L (fonte Vixen).
Si tratta quindi di uno strumento ibrido che possiede, oltre alle caratteristiche sopra citate, un enorme vantaggio su tutti gli altri 8 pollici esistenti, ovvero la possibilità di registrazione dei tre elementi fondamentali che ne compongono l’architettura: specchio primario, specchio secondario, gruppo focheggiatore.
Sembra esistere una certa “ansia” riguardo alla esistenza di tutti questi gradi di libertà ma come sempre avviene se si sa come intervenire più possibilità si hanno e più facile sarà ottenere il risultato prefisso.
La maggior parte degli astrofili, qui come oltre oceano dove sui forum si scrive di tutto, non sono semplicemente avvezzi a mettere mano ai loro strumenti e quando lo fanno è solo nel caso in cui questi abbiamo pochissime possibilità di collimazione. Sono tutti bravi a collimare uno Schmidt Cassegrain commerciale agendo sullo specchio secondario con la sola speranza che tutto il resto sia a posto dato che non è possibile modificarlo.
Sembrano altrettanto tutti bravi a magnificare il back focus e in-focus di un SC che, traslando il primario, permette di operare con qualsiasi treno ottico. Sottolineo “traslando” lo specchio primario che, mentre “scorre”, si inclina e modifica la distanza di progetto ottimale per assestarsi sempre su posizioni di “compromesso”. Ma se la targhetta riporta la magica sigla “HD” allora tutto è perfetto… me lo vedo, Gioele Dix (quello de ”l’automobilista incazzato come una bestia”), con i suoi occhiali neri e il pugno alzato alla bocca che recita: “Eh, Si! HD.. HD.. come se fosse un mantra! Cos’è? Una supposta? HD!”
Ma non è finita. Il VMC200L (come del resto il VISAC) ha una ostruzione troppo elevata e con razze di sostegno del secondario grandi “come autostrade!” (Sempre ho in mente la voce e le espressioni del grande comico nostrano). Ed è vero... ma è uno dei suoi pregi come ho già ampiamente spiegato nell’articolo riguardante il VISAC 200L.
Perché se è vero che all’aumentare dell’ostruzione tende anche aumentare la sensibilità all’agitazione atmosferica e la curva ottimale MTF si sposta un poco dal suo limite teorico è altrettanto vero che la meccanica ha la sua importanza nel rendere uno strumento usabile. E in questo caso il Vixen VMC è davvero ben fatto.
Gli spikes disturbano? Non costruiamo più nemmeno i newton allora, oppure proviamo bene a vedere se questi fantomatici spikes peggiorano davvero le prestazioni del telescopio o se invece, forse, contribuiscono a rendere più piccola l’immagine stellare percepita (con ovvio vantaggio nel caso di osservazioni al limite strumentale).
Quando i tecnici Vixen hanno progettato il VMC200L lo hanno fatto probabilmente con l’intento di creare uno strumento alternativo ai classici SC (quindi un "all around") che permettesse di ovviare ai loro difetti principali: correzione della sferica, correzione del campo curvo, eliminazione del problema del tubo chiuso e riduzione dei tempi di cool down, eliminazione dei problemi di appannamento della lastra correttrice nel 50% delle notti dell’anno, ovviare al difetto del mirror shift, permettere all’utente di intervenire sulle parti essenziali dello strumento. E qui credo si riferissero a "utenti" capaci, mettendo a destra della linea la maggior parte degli esperti da forum.
Il costo da pagare è stato quello di un maggior prezzo di vendita e di una ostruzione superiore (anche se non di molto) oltre al rischio che la maggior parte degli utenti sopra richiamati lo avrebbero definito "incollimabile".
In effetti il VMC200 costa più di un C8, ha più ostruzione (0.40 contro 0.36 circa) e richiede una utenza più evoluta per essere portato a lavorare al meglio.
Almeno sulla carta il vero punto critico che lo strumento offre è a mio avviso la teorica alta sensibilità alla turbolenza che risulta dalla summa di due caratteristiche proprie: ostruzione importante e tubo aperto. Teniamo a mente questa considerazione perché assumerà notevole importanza nella valutazione del telescopio e delle sue prestazioni che dipendono molto dalle condizioni del seeing locale e atmosferico.
A completare la lunga nota introduttiva posso aggiungere che la seconda serie del VMC200 appare poco attraente, bianca come un cadavere e un poco priva di vera personalità. La prima invece, con la culatta verdina, è proprio bella anche se meno slanciata rispetto al VISAC, ed in effetti è quella a cui mi sono rivolto all’atto dell’acquisto.
Circolano a questo proposito voci incontrollate che vorrebbero differenti procedure di assemblaggio tra la prima e la seconda serie. Non sono in grado di emettere giudizio in merito e quindi rimetto ogni considerazione al test vero e proprio.
SOPRA: raffronto dimensionale tra il VC200L e il VMC200L (fonte Vixen).
SOTTO: alcune immagini del mio esemplare.
Ben realizzati, la cella e supporto dello specchio primario e secondario offrono una tenuta alla collimazione di altissimo livello. Così come per il cugino "VISAC" devo ammettere di non avere mai incontrato strumenti a specchio che permettessero di essere utilizzati senza la necessità di collimazione ogni sera. Qualcuno si lamenta dello spessore consistente dei bracci di supporto indicandoli come causa di prestazioni non eccezionali. Se questi genialoidi imparassero a collimare e gestire lo strumento credo che si ricrederebbero e troverebbero nella non corretta messa a punto del telescopio giustificazione alle loro delusioni visuali.
SOPRA: il cercatore in dotazione è un ottimo 7x50 con immagini piuttosto nitide e prive di aberrazioni significative. Costa decisamente di più rispetto agli analoghi "orientali cheap" a corredo di strumenti meno evoluti ma il suo utilizzo ripaga in toto della maggior spesa.
SOTTO: Lo strumento viene commercializzato con una barra a passo Vixen premontata e che irrigidisce il tubo oltre a garantirne l'innesto sulle montature. La scelta del passo Vixen, che non amo eccessivamente, è giustificata dal limitato peso del tubo e dalla possibilità di utilizzarlo anche con montature piccoline come la Great Polaris su cui veniva proposto all'epoca. Per motivi nostalgici alcune fotografie a corredo di questo articolo sono state scattate proprio nella configurazione originale.
SOTTO: uno dei PEGGIORI accessori che l'astrofilo possa comprare è rappresentato dal CLICK LOCK della Baader. Avendone avuti più di uno posso confermare senza alcun timore di smentita che nessuno di questi (costosi) autocentranti svolge correttamente il suo compito inserendo al contrario disallineamenti nell'asse ottico. La sola possibilità di impiego è quella in postazione fissa, dopo aver corretto una volta per tutte le criticità del sistema, utilizzando semplicemente il CLIK LOCK come riduttore da passo 60mm. standard Vixen a quello da 31,8mm. impiegando un ulteriore riduttore da 2 pollici a 1,25.
All’atto pratico il VMC 200L si è dimostrato uno strumento eccezionale. Per arrivare però a poterlo affermare la strada non è stata semplice e sono anche io incappato in una serie di errori grossolani.
Il fatto è che, almeno nel mio caso, lo strumento aveva già avuto un precedente proprietario che, a sua detta, non era mai riuscito a portarlo al suo massimo pur avendolo smontato e poi rimontato oltre che collimato.
Quando lo strumento mi è arrivato mi sono accorto che qualcosa nell’opera di rimontaggio del precedente proprietario sembrava non essere corretta. Il focheggiatore in primis appariva non correttamente allineato e tutto il complesso ottico sembrava registrato in modo da cercare di correggere questo problema introducendo problemi contrari.
In effetti l’immagine a fuoco nel classico star test appariva convincente ma le immagini di diffrazione in intra ed extra focale palesavano una serie di aberrazioni strane.
In queste condizioni l’osservazione del cielo non appariva soddisfacente o almeno non a sufficienza per la qualità solita dei prodotti Vixen “doc”.
Così, armato di buona pazienza, ho provato a ripartire da quella che chiamo la posizione “zero” di collimazione ma pur con tutta la mia perizia non ho raggiunto un risultato che mi soddisfacesse in pieno.
Ho così preferito smontare lo strumento e riassemblarlo per essere certo che ogni parte aderisse in modo perfetto alle altre e potesse essere poi variamente inclinata con l’utilizzo delle molteplici viti di regolazione. Ho così scoperto che il problema principale risiedeva nella non perfetta centralità dell’asse ottico del focheggiatore rispetto a quello della sua sede e del complesso ottico degli specchi e del correttore.
Si trattava di un problema non eccessivo ma significativo anche per quanto riguarda una pecca della meccanica che prevede, una volta lasche tutte le viti di fermo del gruppo di focheggiatura, un certo margine di disassamento del medesimo oltre alla possibilità di inclinarne l’asse.
E’ facilmente intuibile come la sovrabbondante possibilità di regolazioni rendano estremamente complicata la gestione dello strumento ma al tempo stesso ne permettano anche, in mani esperte o quantomeno pazienti, una messa a punto certosina.
Si tratta di possibilità anni luce distanti da quelle di un banale Schmidt Cassegrain tradizionale che risulta impossibile portare al 100% per via di limitazioni meccaniche e progettuali vecchie di cinquant’anni, ed è proprio questo, unito alla reale superba correzione ottica degli specchi Vixen, a fare la differenza in alta risoluzione.
La maggior parte degli astrofili, nostrani o di oltre oceano, che hanno comparato le prestazioni di questo VMC da 8 pollici con quelle dei più diffusi Meade o Celestron ACF e HD hanno generalmente scritto di non trovare vantaggi nello schema VMC o addirittura di preferire gli HD americani riscontrando nel catadiottrico giapponese scarsa propensione a reggere gli ingrandimenti maggiori, trovando inoltre differenze notevoli tra le figure di intra ed extra focale (tra cui anche alcuni "titolati" recensori).
Dopo la mia esperienza e dopo aver compreso la generale dinamica di funzionamento del VMC200L posso senza alcun timore affermare che non è così e che tali rumors possano dipendere più che altro da incapacità di gestione dell’ottica giapponese e/o superficialità nella sua collimazione.
In una notte di ottimo seeing il “nostro” VMC 200L, dopo 5 sere dedicate alla sua collimazione e alla comprensione di come eseguirla al meglio, ha sfoggiato prestazioni terrificanti e impensabili per qualsiasi catadiottrico a lastra correttrice di pari apertura.
La finezza delle dimensioni stellari, la pulizia degli spikes, e la presenza di un anello di diffrazione sottile e debole privo di deformazioni, un aspetto incredibile se si considera l’ostruzione lineare del 40%, mi ha concesso di giungere a separare stelle doppie quasi al limite del potere risolutore teorico oltre a spingere gli ingrandimenti a valori eccezionali (e utili solo ai fini di un test sia chiaro). Operare su soggetti stellari a 390x (oculare Takahashi LE da 5mm.) appare limite molto inferiore alle reali potenzialità dello strumento che offre il meglio di sé con il 2.8mm (circa 700x).
Incredibile poi è stato osservare alcune immagini stellari a circa 1400x con l’insorgere di una leggera quantità di astigmatismo dovuto all’inclinazione (minima ma non nulla) dell’asse ottico del treno aggiuntivo (barlow + oculare).
Tornare a 400x o poco meno dopo aver trascorso lungamente le osservazioni a 700 ingrandimenti mi è sembrato come scendere a 40/50x con un SC normale dopo aver osservato lungamente a 200/250x.
La superiorità in asse del VMC a qualsiasi potere rispetto ad un SC commerciale appare schiacciante.
Dove invece le cose vanno meno bene è nella valutazione del campo di piena correzione.
Differentemente da quanto la stessa pubblicità Vixen dichiari, e in modo molto lontano da quanto faccia invece il VISAC 200L, il VMC da 8 pollici mostra un campo corretto non ampio come quello fornito da un C8 HD o da un analogo ACF Meade. Con tradizionali plossl anche di ottima qualità l’occhio attento comincia a percepire l’insorgere di aberrazioni geometriche di deformazione nelle immagini stellari oltre la metà del campo inquadrato o poco più.
I test effettuati con i critici 40mm. ma anche con i 30, 24, e 18 hanno dimostrato quanto sopra riportato. A seconda dell’ingrandimento, che più sale e più restringe il campo reale inquadrato, la deformazione della puntiformità stellare si fa più o meno apprezzare a partire da circa il 55/60% del campo inquadrato e diventa sensibile a cominciare da circa il 75%.
Si tratta di un valore che mi sento di porre a metà strada tra quello di un D-K come il Mewlon Takahashi e quello offerto da un ACF Meade degli ultimi anni, risultato a mio avviso un poco deludente per uno strumento dotato di un correttore dedicato e perennemente montato davanti al secondario.
L’elevata ostruzione che caratterizza il VMC 200L l’avrei maggiormente tollerata in virtù di un campo più piano e fruibile ma credo che esista una sorta di compromesso che i progettisti giapponesi hanno valutato e approvato per differenziare maggiormente i due “cugini” VISAC e VMC rendendoli molto più specializzati di quanto non si possa pensare.
Durante l'utilizzo mi sono però anche reso conto che buona parte della mia delusione era dovuta al fatto inequivocabile che "dove l'immagine è fine e precisa diventa più facile comprendere quando comincia a deformarsi". La generale maggiore dimensione del disco stellare generata dagli SC nasconde in parte il problema lasciando presupporre un campo corretto maggiore.
Ritornando alle prestazioni percepite ho apprezzato molto anche la resa decisamente neutra delle tonalità stellari che permette di godere, quasi come se si fosse all’oculare di un rifrattore d'eccezione o di un ottimo newton, il colore delle componenti nei sistemi multipli anche sbilanciati.
Eccezionale è stata ad esempio la visione di Izar, con una immagine molto vicina a quella di un doppietto a lenti, se si fa eccezione per la presenza degli spikes, o meglio a quella di un newton specializzato che non al pasticcio tremolante tipico di un SC.
La pulizia ed il contrasto esibiti dal “fustino” giapponese permettono ad esempio di cogliere la duplicità di sistemi stretti anche a basso ingrandimento quando ai catadiottrici con lastra servono poteri ben superiori.
Nell’attesa delle osservazioni planetarie classiche (Luna e Giove quantomeno) è possibile trarre una prima importante conclusione riguardo le capacità in alta risoluzione del VMC200L che si è dimostrato, quantomeno nei test sui sistemi multipli, più prestante rispetto ai suoi competitor dotati di lastra di Schmidt.
Al tempo stesso il telescopio giapponese ha mostrato un campo corretto lievemente meno esteso se paragonato a quello gestibile dai moderni HD e ACF.
Terzo aspetto, che ritengo rilevante ai fini della valutazione di uno strumento, il VMC si rivolge ad un pubblico smaliziato e che ha alle spalle l’esperienza e la manualità adeguate a trarne le superiori capacità ottiche rispetto ai tipici SC commerciali.
Il VMC200L non è il 260L e questa affermazione, che può sembrare banale, va bene considerata.
Sotto ogni aspetto il 20 cm. è una macchina diversa e, apertura a parte, superiore al suo fratellone da 10,3 pollici. Non mi riferisco alle prestazioni raggiungibili che sono ovviamente meno estreme sia per via di una ostruzione lineare maggiore che, soprattutto, per un diametro notevolmente diverso, ma valuto la complessità e raffinatezza dello schema ottico e della meccanica che lo gestisce che sono, nella versione da 8 pollici, più evolute e raffinate.
Specchi fissi, una quantità enorme di regolazioni, focheggiatore senza incertezze e modulabile in modo eccellente, distribuzione dei pesi e gestione delle flessioni (questo grazie a masse inferiori in gioco) fanno del VMC 200L uno strumento eccezionale (e questo lo dico da estimatore ed ex possessore di un bel VMC-260).
Come ebbi modo di scrivere per il VC200L (auspicandone una versione da 10 pollici) mi ripeto per il “Modified Cassegrain”: se ne esistesse uno con pari caratteristiche ottio-meccaniche da 250 millimetri sarebbe un goal eccezionale e non mancherebbe sicuramente dalla mia piccola scuderia.
Il VMC200L è stato comunque (e continua ad esserlo) il compagno preferito nelle notti di buon seeing per l'osservazione dei sistemi multipli. La sua resa complessiva, come già detto, è tale da consentire di giungere al potere risoluto teorico o a valori ad esso molto vicini. In un periodo di seeing medio buono o molto buono (come è stata la prima metà di marzo 2020, almeno dalla mia posatzione milanese) ho eseguito una serie di osservazioni che hanno dimostrato come il cassegrain giapponese sappia lavorare quando messo nelle condizioni giuste.
Ho ispezionato una serie di sistemi target e alcuni che rientrano nella mia personalissima classifica dei "preferiti", posti nella costellazione dei Gemelli ma anche e soprattutto della Lince.
La stella Wasat, test molto facile, ha mostrato due bellissimi astri con un notevole divario sia cromatico che di luminosità. La coppia, nel fianco dei Gemelli, consta di due componenti rispettivamente di magnitudine 3.55 e 8.18 separate da un angolo di 5.4". Di classe spettrale A e K la coppia è avvero bella a ingrandimenti medio alti e permette, nelle notti migliori, di apprezzare l'anello di diffrazione (unico nel VMC200) su entrambe le componenti. Visibile anche l'arrossamento profondo della stella di classe K.
Test più significativo è rappresentato dalla Struve 1559 (STF 1559), un sistema posto nell'Ursa Maior a metà strada tra Dubhe e la aliena Giausar. La duplicità fisica del sistema è ancora dubbio ma alla carta numerica la coppia consta di due astri di magnitudine 6.81 e 8.01 con separazione di 1.9". Benché entrambe le componenti siano identificate come stelle di classe A, all'osservazione visuale la secondaria mostra tonalità grigio/azzurre. Entrambe mostrano un sottile anello di diffrazione e la separazione è abbondante (oculare LV 4 da 500x).
Coord 2000 |
11388+6421
|
Discov num |
STF1559
|
Comp |
|
Coord arcsec 2000 |
11 38 49.11 +64 20 49.4
|
||||
Date first |
1830
|
Date last |
2017
|
Obs |
82
|
||||||
Pa first |
323
|
Pa last |
328
|
P.A. Now (θ) |
328°
|
||||||
Sep first |
2.5
|
Sep last |
1.9
|
Sep. Now (ρ) |
1.9"
|
||||||
Mag pri |
6.81
|
Mag sec |
8.01
|
delta mag (ΔM) |
1.2
|
Spectral class |
A5IV (white)
|
||||
Pri motion ra |
+018
|
Sec motion ra |
+018
|
||||||||
Pri motion dec |
+006
|
Sec motion dec |
+006
|
Scendendo verso il limite separatore del cassegrain giapponese mi sono spostato sulla STT 235 (coordinate AR 11.32.20 DEC + 61.04.9), una stella tripla le cui stelle più interessanti, "A" e "B", distano tra loro di un angolo di circa 0.95"(che rappresenta grossomodo il massimo di separazione raggiungibile dal sistema) e brillano di magnitudine 5.69 e 7.55 (differenza circa 1.86). Entrambe bianco-gialle vengono riportate con un angolo di posizione di 30° sull'atlante cartaceo che però ai miei calcoli visuali (la coppia a 500x è perfettamente separata con una immagine praticamente da rifrattore) appariva non consono ai circa 45° che potevo verificare all'oculare. Un controllo sul sito Stelle Doppie Database ha corretto l'atlante riportando l'angolo di posizione attuale in 44.2 gradi, in perfetto acordo con quanto rilevato.
A verifica della prestazione ottenuta sulla STT 235 ho abbandonato la costellazioen dell'Orsa Maggiore per addentrarmi tra le deboli e dai più miscononosciute stelle della Lince fino a raggiungere Struve 936, sistema doppio composto da astri di magnitudine 7.26 e 9.04 con separazione angolare di 1.1". La "doppia" appariva perfettamente separata anche con l'oculare da 7.2mm. nonostante il cielo traslucido di Milano.
Poiché ero a "pochi passi" non ho potuto lesinare un viaggio di saluto a qualla che è la plaga stellare a me preferita in tutto il firmamento: il piccolissimo fazzolettino di cielo che contiene i sistemi di Struve 946 e 948, visibili entrambi con un oculare da 20mm a campo stretto come il Vixen LV-20 e che già al modesto potere offerto (50x circa) lasciano intravedere la spettacolarità della propria formazione (immagine sopra NON dell'autore). La doppia "946", due stelline gialle di magnitidine 7.3 e 9.1 circa separate da 4", fa da contraltare al più luminoso sistema triplo della "948" composto da astri di magnitudine 5.44 e 6.0 separati da 1,91" a loro volta ruotanti su centro di massa comune insieme ad una terza componente di magnitudine 7.05 separata 8.8".
Il sistema annovera in realtà anche una quarta componente di mag. 10.5 lontana ben 172" poco significativa all'osservazione telescopica.
Dopo aver lungamente atteso una serata di seeing favorevole tra le poche da dedicare all’astronomia in un periodo di fitti impegni lavorativi sono stato graziato, il 25 di giugno del 2019, da una condizione di ottima stabilità che, nonostante il pianeta Giove fosse basso, mi ha concesso di avere immagini molto dettagliate pur se inferiori alla potenzialità massima raggiungibile dallo strumento.
Il VMC200L, che ha dimostrato di mantenere in modo corretto la collimazione anche a distanza di settimane e con numerose attività di montaggio e smontaggio, ha accarezzato le delicate volute delle coltri nuvolose di Giove in modo lodevole e non dissimile da quanto avrebbe fatto un buon rifrattore da 6 pollici in condizioni analoghe.
La finezza dei particolari raggiunta ha reso impossibile il disegno, che non ero pronto ad eseguire, incollandomi all’oculare per godere della lenta rotazione planetaria. L’osservazione, durata circa un’ora, ha visto il sorgere della GMR osservata non appena oltre il lembo di attacco intravedendo però alcune formazioni sia al bordo della macchia che un netto rinforzo della saturazione quasi al centro della medesima.
Le delicate segmentazioni della SEB (che mi è apparsa divisa in tre sottostrutture) si sono lasciate osservare con poca fatica mentre le indentature, rigonfiamenti, e due o tre festoni nella NEB facevano da contraltare con una saturazione maggiore.
Estremamente intricata si è palesata anche la zona temperata nord con almeno tre sottili bande, una delle quali dentellata, prima di giungere alla regione polare con un delicato e poco marcato inspessimento cromatico che virava al grigio.
Altrettanto interessante la regione meridionale con un paio di bande, non complete, lungo la parte di circonferenza visibile e un accenno di WOS verso il polo SUD.
Interessante anche la regione equatoriale che presentava zone di densità cromatica diseguali.
Ciò che mi ha incuriosito è stata la generale sensazione di basso contrasto con colorazioni tutte piuttosto tenui, un po’ per via della luminosità del pianeta, un po’ credo per un decolorimento globale che caratterizza il volto di Giove quest’anno.
E’ stato molto bello comunque apprezzare le differenti tonalità anche se queste differivano in modo non marcato e la sensazione che lo strumento mi ha restituito è stata quella di una grande capacità di scorgere dettagli fini pur a scapito del contrasto marcato tipico di alcuni rifrattori.
Non ricordo comunque di avere mai avuto dettagli tanto fini in Schmidt Cassegrain commerciali di pari diametro.
La mia postazione non mi ha permesso la visione di Saturno che richiede un orizzonte più basso ma credo che sul pianeta inanellato il VMC 200L avrebbe fatto anche meglio di quanto già ottenuto su Giove.
Sotto: anche se "fuori tema" rispetto a quanto sopra posto una imagine di Marte ripresa a novembre 2020 in condizoni di seeing pessimo. La ripresa è stata effettuata in uno "scampolo" di tempo attendendo che una nuvola si spostasse dalla regione di cielo che stavo riprendendo in deep sky. E' quindi il risultato di una sola ripresa di 6000 frames colti "al volo" senza badare nemmeno tanto alla messa a fuoco di cui ne sono stati tenuti il 15%. In tali condizioni ho provato a dare una fugace osservazione al pianeta rosso che però risultava immerso in una agitazione che ne rendeva limitati i particolari visibili.
La visibilità delle nuvole atmosferiche di Venere è oggetto di grande controversia tra gli osservatori visuali. L’uso di filtri (alcuni tra i quali il sottoscritto preferiscono il verde al blu/azzurro/viola), la scelta di osservare in diurna o al crepuscolo oppure alla levata mattutina, l’esagerazione dei dettagli disegnati negli scketches, la maledetta difficoltà di riprendere con i cmos/ccd in ultravioletto o la scelta di lavorare nell’infrarosso rinunciando al microdettaglio (che tanto non esiste o quasi) sono argomenti noti.
E’ comunque indubbio che risulti non semplicissimo né riprendere né osservare i fenomeni nebulosi sul pianeta. E’ anche altrettanto vero che sovente osservazioni visuali, riprese in UV e in IR non corrispondono mettendo in risalto strati nebulosi diversi e albedo variabile.
Inoltre, spada di Damocle imperversante, tutto dipende, in fotografia, sia dal filtro usato che dalla tipologia di sensore.
Ad esempio la pur decente Minicam 5s monocromatica utilizzata nel periodo di prova, basata su sensore Aptina della vecchia ASI-120, risulta quasi completamente cieca sotto i 400nm impedendo de facto l’uso dei filtri UV-PASS (che costano anche non poco).
In una giornata di marzo 2020 ho dedicato, complice gli “arresti domiciliari” imposti dal contagio di COVID-19, oltre cinque ore alla ripresa del pianeta Venere in fase al 50%. Ho ripreso con due camere diverse (in attesa di quella dedicata che ancora non era arrivata) in monocromatico e a colori usando sia la QHYL MiniCAM 5S che la Altari IMX-224 a colori.
La differenza in IR, visibile, e UV è stata schiacciante a favore del sensore con matrice di bayer (!) con cui sono persino riuscito, con una ripresa purtroppo breve dato che è stata effettuata per ultima e avevo il pianeta che scompariva dietro alle ramaglie degli alberi, a registrare qualche striatura nuvolosa.
Il VMC 200L si è comportato benino nonostante il correttore interno (solitamente i complessi ottici assorbono la radiazione UV) e il risultato è incoraggiante. Siamo lontani dalle riprese eseguite con il mio vecchio CN-212 che mettevano in mostra più finezza (oltre ad una scala maggiore di ripresa) ma sono certo di poter bissare con l’esperienza e la giusta camera i risultati e anche superarli (forse).
Fotografia a parte (io non sono certamente un imager planetario capace) devo però dire che alcune tra le migliori osservazioni di Venere sia in diurna che al crepuscolo effettuate negli ultimi anni mi sono state concesse proprio dal VMC200L e questo nonostante io abbia potuto impiegare allo scopo strumenti come i rifrattori di alto e altissimo livello (compreso un Takahashi da 15 cm.). Raramente ho avuto accesso a immagini di livello comparabile (nell'ambito dei 7-9 pollici) con quelle che il Vixen mi ha permesso nei primi mesi del 2020, con ogni tipo di filtro visuale, e con particolare resa abbinata al 80A (blu medio) e al 58 (verde medio) oltre a quanto ottenibile in luce bianca.
Sopra: immagine di Venere acquisita con filtro UV e camera Minicam 5S monocromatica.
Focale 1950mm. (fuoco diretto). Milano - 21/3/2020
Bene, bene, bene, non il migliore ma… piuttosto bene.
Sul suolo selenico il cassegrain Vixen lavora in modo disinibito e consente prestazioni elevate a patto che le condizioni di turbolenza siano favorevoli.
L’ostruzione che lo caratterizza tende a renderlo un poco più nervoso del dovuto e quando il seeing è ballerino le immagini risultano al livello di un compound di pari apertura come un SC tradizionale.
Se però l’aria è stabile il VMC sembra avere un po’ di vantaggio, principalmente su due aspetti che ritengo importanti: il microdettaglio fine o finissimo (quello insomma che permette di apprezzare meglio i microcrateri e alcune indentature fini delle ombre) e la tonalità di immagine che è piuttosto neutra e più “grigia brillante” rispetto agli strumenti con lastra di Schmidt frontale.
Non starò ad elencare quanto osservato in molti mesi: crateri, rimae, dossi. Cercherò di trasmettere invece al lettore la sensazione che il casserain giapponese offre.
Indubbio beneplacet riceve l’affermazione che tra i 20 cm. Compound esistenti le prestazioni siano del tutto simili, altrettanto vero è che un rifrattore da 18 cm. offre una visione migliore, più bella e nitida, per certi aspetti anche più dettagliata perché non sono solo i numeri a decretare una visione ma anche il modo in cui questi giungono al complesso occhio-cervello che li elabora.
Se devo pensare ad un paragone non del tutto fuori tema accosterei il VMC-200 al Mewlon 180.
Il 18 cm. Takahashi è ottimo sulla Luna e anche su Giove, il 210 secondo me risulta invece più difficile.
Le prestazioni sono vicine ai due “barilotti” Takahashi e mi piacciono di più rispetto a quelle di un C8 o di un Meade 8”. Non se la prenda chi possiede altro, il dettaglio alla portata degli strumenti è grossomodo il medesimo, ma il modo in cui il VMC lo fa emergere (anche nella sensibilità alla microturbolenza) mi da la sensazione di essere al cospetto di una visione più “reale”.
Inoltre, il focheggiatore posteriore del giapponese lo rende decisamente superiore sia ai Mewlon Takahashi che agli SC competitor.
Come ultima considerazione sottolinerei il fatto di non avere lastra correttrice. Per gli osservatori di pianura come me, per molti mesi all’anno affogati nell’umidità fredda delle notti autunnali e invernali, la mancanza della lastra di Schmidt è una benedizione. Lo strumento resiste meglio all’umidità (non si appanna) e solo nelle situazioni più estreme porta condensa sullo specchio secondario (senza stupore: dalle mie parti le condizioni sono tali da appannare anche quello…).
In sintesi il VMC-200 è un buon strumento lunare. Se sia migliore del mio Mak 178 F15 Meade è difficile dirlo. Ritengo il Maksutov Gregory americano uno dei migliori strumenti intorno agli 8 pollici per osservare il suolo lunare ma anche lui soffre la turbolenza (micro o macro che sia).
Per testare compiutamente uno strumento osservando il cielo profondo si ha la necessità che la postazione osservativa goda di un valore di Bortle adeguato.
Il cielo che dispongo dalla mia postazione valdostana a 1800 metri è di ottimo livello per questo tipo di test e non contento ho deciso di portarmi il bel VMC anche all'annuale ritrovo di St Barthelemy che, pur godendo di un cielo più inquinato dal punto di vista luminoso, è comunque sovente graziato da una buona trasparenza.
La prima indagine condotta, con oculari sia plossl tradizionali, sia SWA Meade di vecchia serie (la 4000 nel mio caso), sia con alcuni Nagler type IV da 12,5, 17 e 22 millimetri di focale, spaziando così dai 40mm ai 12 circa, è stata quella di un FOV generalmente piuttosto corretto benché non si arrivi alla spianatura completa di un VISAC o di UN C8 Hedge. In compenso, l'immagine appare molto più fine rispetto a quella fornita da uno Schmidt Cassegrain con una percezione generale di maggiore profondità e migliore concentrazione luminosa che si traducono nella sensazione che gli oggetti siano un po' meglio visili e contrastati.
Gli ammassi globulari, pur nei limiti di risoluzione offerti dai 20 cm di diametro, come M13, M92, M12, M10, ma anche M22 ad esempio appaiono visibili con stelline apparentemente più fini, più dense e con un contrasto con il fondo cielo più marcato. Nonostante la risoluzione sia la medesima tale migliore focalizzazione si traduce in una migliore visibilità sia in visione distolta che in visione diretta. Sembra, in poche parole, di avere a disposizione un paio di cm. in più di specchio e la sensazione è decisamente gradevole.
Nulla di trascendentale, ma anche le cromie stellari sembrano potersi percepire in modo più neutro rispetto ad un SC di pari apertura e lo strumento appare capace di sopportare meglio l'aumentare degli ingrandimenti, quantomeno sui soggetti di tipo stellare.
Altro vantaggio (come già accennato) risiede nella mancanza della lastra correttrice che in un SC impone necessariamente la presenza di un lungo paraluce o di un sistema di rimozione della condensa elettrico.
Pur sotto i cieli duri dei 1800 metri delle Drole il confronto con un SC da 28 cm. (Celestron Nexstar 11" GPS) è stato ad esempio impietoso. Ogni 15 minuti il 28 cm. Schmidt Cassegrain risultava completamente appannato mentre il VMC 200 ha permesso di osservare tutta la notte senza problemi di sorta.
Nelle medesime condizioni ho effettuato anche un test comparativo tra il cassegrain giapponese e un rifrattore acromatico Tecnosky 152/900 con ottiche da me sistemate e quindi portato alle sua massime capacità (o quasi).
Va detto che il 152/900, anche in virtù di una geometria ottica e di elementi e lavorazione molto indovinati, risulta essere un piacevolissimo compagno nelle osservazioni deep sky a medio e basso ingrandimento pur non disdegnando di operare senza difficoltà particolari a 150x sui globulari e sulle planetarie.
Le immagini fini del rifrattore che fanno innamorare di loro molti osservatori vengono bissate bene dal VMC200 (pur con una minima differenza ad appannaggio dello strumento a lenti) mentre un SC tende a formare dischi stellari più diffusi e meno netti.
Perso in buona parte il suo tradizionale vantaggio il 152/900 si dimostra meno emozionante rispetto alla raccolta di luce quasi doppia del cassegrain giapponese. Se sulle nebulose diffuse le immagini si possono dire quasi comparabili, pur con una migliore brillanza del 20 cm., su planetarie e ammassi globulari il divario si fa rimarchevole.
Per la prima volta, a parte quanto già ottenibile con il VISAC, mi sono trovato a preferire uno specchio da 20cm. rispetto ad un rifrattore (ben corrertto dal punto di vista geometrico) da 15 cm. nella osservazione della stragrande maggioranza degli oggetti del cielo profondo.
Se la differenza è ben visibile comparando l'immagine di oggetti alla portata di entrambi gli strumenti la cosa si fa ulteriormente apprezzabile nell'osservazione del "limite".
La galassia NGC 891 ne è a mio vedere testimone ideale.
Checché se ne dica e legga su alcuni libri la sua diafana sagoma, anche sotto cieli estremamente favorevoli, non è affatto facile da distinguere e il più delle volte risulta essere al imite di percezione di un 15/20 cm.
Nel corso dell'estate del 2019 ho osservato questa spirale vista di taglio più volte con strumenti molto diversi tra loro incontrando sempre non poche difficoltà nel fare emergere dal fondo cielo alcuni tenui dettagli.
Il Binoscopio da 127/1000, il VMC 200, il VISAC 200, il rifrattore 152/900, il grosso C11 nexstar, si sono avvicendati nella prova offrendo risultati in linea con le mie aspettative.
Se infatti i 280 millimetri del C11 mi hanno consentito di apprezzare in modo diretto la banda scura che attraversa il piano di rotazione galattica, pur lasciando i particolari molto delicati con una sensazione di estrema diafanità di insieme, gli strumenti più piccoli hanno mostrato la corda sul soggetto, almeno finché questi non transita al meridiano o quasi (cosa che accade quando l'alba dista non più di un'ora).
Il VISAC 200 e il VMC 200 hanno offerto la medesima immagine con una sagoma debole e allungata della galassia e un accenno a "qualche cosa che la attraversa".
Una immagine simile è stata ottenuta con il binoscopio da 127 millimetri che grazie alla visione stereoscopica ha colmato in modo valido la differenza di diametro. Va però detto che il binoscopio mi ha dato più lavoro per indiviuare la galassia e che l'immagine avrebbe potuto risultare quasi invisibile per un osservatore non molto esperto.
Il 152/900 ha invece dimostrato una certa inferiorità nella ricerca della 891 che, anche quando puntata con il sistema goto, ha faticato ad essere rilevata nel campo dell'oculare ed è stata apprezzabile, pur senza alcuna caratteristica se non il suo allungamento, solo in visione distolta.
Il test sulla Veil Nebula ha invece permesso la rivincita del binoscopio ma anche del 152/900 con i quali, in virtù di un maggiore campo offerto dalla focale inferiore, era possibile seguire quasi interamente le 3 porzioni principali della nebulosa e percepirne bene i filamenti anche a ridosso della stella 52 cygni, luminosa e contrastata con un solo accenno di luce diffusa. Benché il VMC200 permetta di apprezzare alcune lievi sotto-striature tra quelle principali, la maggiore scala di immagine impone un campo più ridotto e quindi una diluizione maggiore del contrasto tra la nebulosa e il cielo circostante.
La stessa considerazione è stata fatta riguardo alcune nebulose di Barnard situate prospetticamente nei pressi di Altair e della coda dell'Aquila. Pur accessibili la loro morfologia e bellezza si perde all'oculare del VMC e del VISAC pur anche usando un grosso 40 millimetri mentre risulta molto più netta sia nel 152/900 (oculare da 56 mm. plossl e 40mm. SWA) che nel binoscopio Istar 127/1000 (oculari da 27mm e 53° di campo).
Sugli stessi soggetti a farla da padrone è però il binocolo angolato da 10 cm. e 20 ingrandimenti GHiT che stacca in modo nettissimo le Barnard dal fondo cielo punteggiato da migliaia di stelline finissime.
In accordo quindi con un vecchio e saggio adagio mi preme ricordare quanto sia importante ricordare che ogni strumento (se otticamente valido) abbia il suo corretto campo di utilizzo.
La doverosa premessa è che le fotografie allegate non possono essere prese a testimonianza della bontà del VMC-200 nella ripresa del cielo profondo.
Il motivo è semplice e lapalissiano: sono tratte da Milano, in mezzo alla nebbia, con cieli Bortle 9 o 9+ (magnitudine massima visibile NON superiore alla 1-1,5) e nebbia o nuvole di umidità. Sempre, sempre e comunque.
Non esistono filtri validi in queste condizioni, non è questione di luci parassite. Persino i più stretti H-Alpha non registrano quasi nulla con un cielo traslucido come il mio (all’interno di un parco costantemente umido).
Quindi i lettori le valutino con buon senso e pensino che sono dei piccoli miracoli.
Alle condizioni di contorno va aggiunto il fatto che le immagini non hanno quasi elaborazione e sono ottenute in “live stacking” con il programma Sharpcap. Non utilizzo Photoshop se non per le scritte e tarare i livelli di base e questo deve essere debitamente considerato.
Dopo aver “introdotto” il mio lavoro devo spendere qualche parola sull’impiego del cassegrain giapponese nell'imaging di deep-sky. Sia che si lavori a piena focale (1950mm) che con il suo riduttore/spianatore dedicato che lo porta a f 6 (circa 1230mm.) il VMC 200 è un buon compagno di ripresa.
E’ pulito, focalizza bene, genera gli “spikes” a me cari, e non denota flessioni o problemi meccanici.
Per contro va utilizzato con sensori di non eccessive dimensioni. La ASI 294 PRO o ancora meglio la ASI 533 sono ideali. Oltre questi formati il complesso ottico non riesce a spianare il campo come oggi si vuole e quindi sconsiglio l’utilizzo sul full-frame.
Altra particolarità riguarda i raccordi Vixen che impongono anelli specifici con due conseguenze. La positiva è che si tende a lavorare per quasi tutto il treno ottico con anelli “a vite”, la negativa è che tali raccordi vanno comprati e pagati a caro prezzo.
Ancora una manciata di fiato va dedicata alla valutazione dell'operato del correttore/spianatore originale. Sulla sua resa il web offre una pletora di impressioni fortemente discordanti tra loro e i risultati ottenuti da vari amatori segue questo trend. Per esperienza diretta devo dire che, quando correttamente gestite le spaziature ed eliminate le flessioni del treno ottico usando appositi raccordi "a vite" (come citavo sopra), l'insieme ottico-meccanico lavora bene e lo spianatore... spiana. Almeno fino ai formati non grandissimi le immagini finali non risentono di difetti significative e dove si comincia ad intuire un po' di coma o curvatura di campo questi sono simmetrici.
Parimenti devo però dire che arrivare ad avere questo risultato non è facile come sembra e molte prove e modifiche sono state necessarie. I primi risultati sono infatti stati disastrosi (almeno per il palato degli astrofotografi più attenti) e quindi immagino possa essere condivisibile un certo "scoramento" per chi si appresta, le prime volte, all'impiego del telescopio.
Sopra: riduttore/correttore 0,62x - Vixen VMC-200L
Sotto: il VMC durante l'acquisizione di una sessione di "flat field frames"
Il titolo volutamente scherzoso è dovuto alle condiizioni proibitive con cui l'immagine riprodotta è stata ottenuta. In una notte di metà marzo, dal mio giardino di Milano, con una trasparenza nulla o quasi, mi sono messo cocciutamente in testa di riprendere la celebre galassia "sigaro" M82 nell'Orsa Maggiore. Dotato della camera Minicam 5s monocromatica raffreddata (che ha lo stesso sensore della vecchia ASI-120mm) ho preparato il tutto e poi bruciato per corto-circuito l'alimentatore della camera.
Privo di sistema di raffreddamento ho comunque ripreso 73 immagini non guidate a focale piena con durata di 15 secondi ciascuna. In realtà ho ripreso ben 382 immagini ma ne ho butatte un 25% per micro-mosso dovuto all'inseguimento della EQ-6 e le altre mi informava Deep Sky Stacker non essere adatte ad essere "sommate".
Nonostante questo e pur con una messa a fuoco eseguita a monitor senza maschera di Bathinov, e un problema di disassamento della camera di ripresa, M82 è comunque "apparsa" e ha reso meglio di quanto mi aspettassi. L'immagine in sé non è in assoluto di alcun rilievo ma assurge a "mezzo miracolo" considerando le condizioni in cui è stata ottenuta. Mi piace e l'ho tenuta a manifesto del fatto che anche all'inferno si possa vedere qualcosaina...