PRIMALUCELAB AIRY 130T

Dicembre 2017 - Gennaio 2018

INTRODUZIONE

E’ stato un caso quello che mi ha portato il Airy 130T a casa, parziale conguaglio per uno scambio di strumentazione con un simpatico astrofilo che voleva “qualcosa di più impegnativo” (e lo ha trovato…).

Avevo però da tempo il desiderio di tornare alla classe dei cinque pollici a rifrazione, ovviamente apocromatici, per rendere più fruibile la strumentazione milanese ora che le cime degli alberi vicini sono cresciute oltre modo e la maggiore occupazione è diventata l’osservazione dei sistemi multipli dovendo rinunciare il più delle volte ai variegati dischi planetari del nostro sistema solare.

Avrei desiderato un doppietto, più affine all’osservazione visuale anche a discapito di una globale correzione cromatica più spinta, e più bilanciato nella distribuzione dei pesi ma il Fato ha dettato le sue regole.

CARATTERISTICHE GENERALI

Il PrimaLuceLab è uno dei tanti cloni, meccanicamente e otticamente identico ai tripletti di pari apertura e focale proposti da altri rimarchiatori (TS, Tecnosky, Lunt, Altair Astro e chi più ne ha più ne metta) ma, a differenza di questi, ha una livrea con colori più belli e accattivanti e ne risulta estremamente piacevole anche se non è a livello dei top level di categoria (TOA-130, Agema 130SD, GOTO 125) che costano però quasi o più del doppio. 

Lo strumento presenta un sistema di serraggio autocentrante degli accessori progettato e realizzato a nome PrimaLuceLab che si fa apprezzare rispetto ai classici sistemi a ladrone e vite di spinta dei concorrenti di pari valore.

Dal punto di vista meccanico lo strumento è anche dotato di anelli decisamente più belli rispetto a quelli dei competitor diretti mentre comparabile sembra essere il focheggiatore da 3 pollici con le sue luci ed ombre (ma ne parleremo più avanti).

Compatto nelle dimensioni ma non nel peso (circa 13 kg. una volta equipaggiato del necessario) il rifrattore necessita di una montatura molto solida per poter essere sfruttato al meglio. Dalla mia esperienza (che mutua anche quella di altri tripletti simili e del quasi identico modello di Telescope Service testato un paio di anni fa) il minimo sindacale è rappresentato dalle EQ6 e Ioptron IQ45 (personalmente lo installo su questa o su una CEM-60). Abbinato a queste montature lo strumento risulta molto stabile e permette l’impiego più estremo andando a sfruttare tutto quanto è alla portata dell’ottica, sia per ingrandimenti che per quantità di accessori impiegati.

Riguardo all’ottica in sé l’esemplare in mio possesso, in condizioni realmente “pari al nuovo”, mi è giunto fuori collimazione e, per ammissione dello stesso proprietario, difficilmente sistemabile. In effetti, dopo aver svitato il bel paraluce scorrevole, ci si accorge che le tre coppie di brugole classiche push and pull sono parzialmente mancanti (ce ne sono 3 su 6). I tecnici che hanno assemblato lo strumento sembrano infatti aver completamente ignorato la possibilità di inclinare la cella frontale e hanno applicato solamente le tre brugole di ritenzione rendendo quindi la cella solidale al tubo ottico. Il problema è ovviamente risolvibile aggiungendo nei fori filettati le tre viti mancanti ma risulta inaccettabile il livello di controllo qualitativo dello strumento sia da parte di chi lo produce che, ancor peggio, da parte di chi lo vende/distribuisce.

Molto utili (e piuttosto rare anche nella produzione top level giapponese) sono invece le regolazioni laterali dei tre elementi formanti l’obiettivo che il PrimaLuceLab, con mio enorme stupore e felicità, possiede. Stranamente il loro “stato di fabbrica” è “tutto lasco” e la loro regolazione non così agevole dato che la forza di spinta delle vitine è molto limitata e si rischia di poter correggere solo di pochissimo la posizione reciproca degli elementi.

Infine, follia, la cella del tripletto è serrata a “ferro” cosa che introduce lievi aberrazioni soprattutto durante i fenomeni di dilatazione termica.

Lo strumento costa da nuovo più di 3.600,00 euro e, benché si ponga ad un livello di prezzo molto più basso rispetto ai concorrenti giapponesi, le manchevolezze di controllo qualità e assemblaggio sono, a mio avviso, intollerabili anche se sistemabili "after market" da un astrofilo esperto.

Riporto infine le caratteristiche tecniche del rifrattore come da scheda del venditore:

 

Ottica

Tipo Rifrattore: Triplet apocromatico

Apertura (mm): 130

Lunghezza focale (mm): 860

Rapporto d’apertura: 6,6

Potere di risoluzione: 0,88

Capacità di raccolta della luce: 340

Max. ingrandimento utile: 260

Materiale del tubo: Alluminio

Peso del tubo (kg): 13

Valore limite (mag): 12,4

Lunghezza del tubo (mm): 800

Diametro del tubo (mm): 175

 

Focheggiatore

Tecnica di fabbricazione: Cremagliera

Connessione (lato oculare): 2

Demoltiplicazione regolazione micrometrica 1:11

motorizzato: no

Girevole: sì

Intervallo di regolazione (mm): 110

Capacità di carico (kg): 6

Apertura libera (mm): 76

 

Accessori inclusi

Adattatore per oculare: 1,25” & 2"

Anelli di sostegno: sì

Ottica girevole: no

Cercatore: no

Correttore senza

 

Campi di utilizzo

Astrofotografia

PRIME IMPRESSIONI

Il primo star test ha evidenziato, con ingrandimenti variabili dagli 86x fino ai 286x circa, una ben marcata scollimazione che penalizzava non poco le prestazioni in alta risoluzione, la focalizzazione e il contrasto finale.

Nelle condizioni in cui mi è giunto i 172x offerti dall’oculare da 5mm. apparivano il potere massimo realmente sfruttabile e lo strumento non dava grande lustro a se stesso.

Ho quindi messo mano agli elementi ottici applicando sia le viti di spinta frontale sulla cella che agendo su quelle laterali e in poco tempo ho ottenuto una collimazione quasi perfetta che ha restituito al telescopio un “allungo maggiore” e una focalizzazione degna di questo nome. I poteri tollerabili sono magicamente aumentati ma più di questo è scomparsa la cromatica differenziale e un po’ di luce spuria che affliggevano il telescopio.

Con la situazione riportata alla normalità lo star test ha dato esiti più consoni e mi ha permesso di valutare l’ottica che non mi è parsa diversa da quella provata anni fa in occasione di uno star party alpino, anche se in questo esemplare tendo a notare maggiore sferica residua.

La correzione cromatica mi è parsa molto buona con una sostanziale apocromaticità visuale ma con un residuo di sferica che si evince dallo star test nel confronto tra gli anelli di Fresnel nelle posizioni di intra ed extra focale (con l’intra focale meno pulita e con la parte centrale leggermente rafforzata).

Nonostante il desiderio di testare il “nuovo” strumento ho dovuto attendere un paio di mesi prima di trovare una serata che coniugasse buon seeing e la mia disposizione mentale ad accettare qualche ora al freddo umido milanese tra un impegno di lavoro e l’altro.

Nel frattempo ho potuto valutare l’insieme del rifrattore e, pur non potendone sfruttare le potenzialità, ho imparato ad usarlo abituandomi al progetto che lo distingue e cogliendone pregi e difetti, almeno dal punto di vista meccanico.

Innanzitutto va segnalato che il tempo di acclimatamento, che dipende ovviamente in modo radicale dal “delta termico” che si impone al rifrattore, va gestito in modo intelligente e può essere ridotto in modo sostanziale se si ha l’accortezza di mantenere il telescopio in condizioni di temperatura non troppo differenti da quelle esterne. In inverno il problema si amplifica ma disponendo di un garage o di una sala di “compensazione” mantenuta ad una piccola manciata di gradi sopra la temperatura ambiente è possibile rendere usabile al 80% il telescopio con soli 30/40 minuti di ambientamento. Dopo circa 50 minuti lo strumento sembra in condizioni ottimali e le prestazioni raggiungibili sono pressoché quelle di progetto.

Se il cool down dell’ottica è elemento caratteristico di un tripletto da 13 cm. devo ammettere che il telescopio avrebbe meritato (e con lui tutta la schiera di rifrattori di simile apertura e prezzo compreso tra i 2500 e i 4000 euro) un focheggiatore migliore. Benché la fluidità sia apprezzabile nell’utilizzo in presa diretta altrettanto non si può dire del sistema di demoltiplica che è sovente incerto e non scevro di slittamenti saltuari. Abituato al superbo e ineguagliabile focheggiatore da 4 pollici Takahashi che equipaggiava il FCT-150, o agli altrettanto splendidi sistemi in forza al FC100-N, al GOTO, o ad altri rifrattori a mia disposizione non posso che sospirare un poco alla volta di questi cinesi che cercano con approssimazione di eguagliare i migliori e più costosi ibridi oggi disponibili.

Il focheggiatore del PrimaLuceLab si usa, funziona, fa anche il suo dovere ma ha alcune incertezze che non permettono di promuoverlo a pieni dei voti. Gli astrofili oggi si accontentano, probabilmente fanno anche bene poiché all’atto pratico non serve molto di più, ma chi è abituato al “massimo”  tende a storcere un poco il naso e a pensare che con qualche soldo in più si sarebbe potuto dotare il 130T di un Feather Touch di primo livello.

Ho citato, presentando il telescopio, gli anelli di PrimaLuceLab che sono molto belli e ottimamente rifiniti, anodizzati in modo impeccabile e dotati di comode manopole di frizione e fori filettati vari. In tutta questa perfezione una sola pecca viene dagli spessori interni che nonsono sufficienti a trattenere in modo ottimale il tubo che , soprattutto nelle notti fredde e sotto il proprio peso, scivola costantemente verso il basso.

Il problema si risolve in pochi minuti con l’apposizione di una sovra-fettuccina in velluto adesivo ma il fatto è ben poco lusinghiero per una azienda che vuole emergere per qualità e che fa grande pubblicità di sé. Parimenti trovo poco professionale non offrire un controllo su ogni ottica, almeno per vedere se sia a posto visualmente (i test interferometrici fatti in cantina lasciamoli stare poiché non hanno nessun valore). Un controllo visuale su stella artificiale costerebbe invece una cifra (in termini di tempo) risibile e garantirebba alal clientela quel "minimo insindacabile" che ci si aspetta dai quasi quattromila euro di listino. Il mondo degli astrofili dimostra però scarsa competenza generale in tale ambito e sa lamentarsi solamente attraverso i forum generalisti o bearsi di fogli di carta con test che non hanno nessuna valenza.

IL TEST E LE RISPOSTE

Per testare bene il 130T ho dovuto arrampicandomi lungo la china dell’inverno, tra molte notti di cielo nuvoloso e pesante umidità, fino a trovare una bella serata di cielo terso preceduta dalla classica giornata invernale luminosa, fredda e ventosa.

Per l’occasione ho usato la serie di oculari LE di PrimaLuceLab declinati in focali tra i 18 e i 3 millimetri che permettono al 130T di spaziare con gli ingrandimenti dai 48x ai 287x circa. La calma atmosferica e il relativo seeing non erano eccezionali e ho potuto stimarli in valore prossimo ai 6/10 con una trasparenza buona per il cielo milanese e il freddo non eccessivo.

Con il rifrattore acclimatato ho puntato prima Deneb e poi la DELTA Cygni ottenendo discrete immagini a fuoco con un residuo di sferica non totalmente corretta (come del resto emerso dallo star test) ma che non affossa troppo le prestazioni. La fulgida Alpha Cigny era attorniata da due piccoli anelli di diffrazione di spessore quasi uguale mentre la doppia ne presentava uno solo per ogni astro, con quello della secondaria molto debole. La separazione era evidente e l’immagine piuttosto piacevole con i due dischi di Airy ben distinti e netti (quello della compagna quasi sovrapposto all’anello di diffrazione dell’astro principale).

La sensazione, durante i lunghi minuti di osservazione, è stata di avere per le mani uno strumento che fosse generalmente ben bilanciato, cromaticamente corretto e non troppo sofferente al salire degli ingrandimenti, almeno quelli ottenibili con il set a disposizione. Non ho invece avuto la percezione di una “secchezza” di immagine da manuale ma il seeing non eccezionale potrebbe averci messo lo zampino. Ho quindi deciso di attendere un paio di ore il sorgere del gigante Orione e indagare alcuni sistemi doppi oltre alle regioni nebulari della grande M42.

Nell’attesa ho vagabondato un pochino nelle plaghe dell’Auriga osservando prima la Omega e poi la Theta della costellazione.

La doppia OMEGA Aurigae è un sistema multiplo formato da almeno quattro componenti di cui le principali brillano rispettivamente di magnitudine 5,0 e 8,21 con una separazione di 4,8 secondi (dicembre 2017). Il sistema mostra due stelle bianche di cui la meno brillante appare più grigio bluastra per effetto del gradiente di luminosità, ben separate anche a basso ingrandimento (si tende a coglierne la duplicità già a circa 50 ingrandimenti). Con l’oculare da 6 e 5 millimetri (143x e 172x) la visione è sicuramente appagante ma il seeing non offre il meglio di sé e spingere oltre in queste circostanze non serve.

Con l’abbassamento della temperatura il focheggiatore del 130T ha mostrato qualche problemino con il riduttore che tende a bloccarsi o slittare e richiede di essere regolato “ad hoc” per funzionare in modo accettabile.

La THETA Aurigae sposta un poco più in alto “l’asticella” delle difficoltà proponendo un sistema doppio non molto stretto (separazione attuale di 4,0”) ma con un delta di magnitudo tra le due componenti di oltre 4,6 punti (primaria di mag 2,60 e secondaria di 7,20).

Il 130T separa ovviamente bene la coppia ma l’immagine è un “po’ morbida” benché il punto di fuoco sia piuttosto preciso. Emerge una vocazione più da astrografo che da rifrattore per altissima risoluzione che è, in fondo, la logica progettuale del tripletto PrimaLuceLab.

Finché i poteri invece si mantengono sotto ai 172x (oculare da 5 mm.) il telescopio sembra non avere nulla da invidiare ai blasonatissimi apocromatici giapponesi mentre già a 200x si percepisce la minore affilatura del tripletto PrimaLuceLab.

Sempre a proposito di “ingrandimenti” ho valutato il campo spianato e la capacità di “reggere” i bassi ingrandimenti mantenendo un elevato campo corretto. Lo strumento si comporta molto bene e garantisce ad esempio una visione piacevolissima dell’ammasso delle Pleiadi. Il contrasto è notevole e il campo corretto ampio sia impiegando l’oculare plossl da 40 mm. e barilotto da 31,8 mm. che con il plossl da 55 millimetri e 2 pollici di apertura.

Il seeing ballerino mi ha scoraggiato dall’eseguire ulteriori test ad alto ingrandimento e ho atteso di poter abbracciare le larghe e diafane volute della Grande Nebulosa di Orione. Il cielo milanese non è certo ideale per le visioni degli oggetti del cielo profondo ma la bella nebulosa ha comunque saputo esibire un certo fascino mostrando alcune percettibili striature e le quattro principali stelle del Trapezio. Anche M43 era visibile, sebbene debole, ma più di tutto mi è piaciuta la “densità” del fondo cielo che è apparsa estremamente uniforme con una buona saturazione di colore restituita alle singole sorgenti stellari. Quanto è quindi “mancato” (ma vorrei non essere frainteso nella critica allo strumento) agli alti ingrandimenti è stato ritrovato con piacere ai medi e bassi poteri in una visione che è superiore a quella che può offrire un acromatico di pari apertura sia per pulizia che per correzione geometrica.

COMPARAZIONE CON IL FC100-N

Per valutare nel migliore dei modi le prestazioni assolute del 130T, principalmente in relazione alle sue caratteristiche di “quasi astrografo” a rapporto spinto (f 6,67 nativo), l’ho messo a fianco del Takahashi FC100-N, punto di confronto assoluto nella classe dei 4/5 pollici un po’ come lo era la camicia bianca di Franco Cerri per il BIO PRESTO.

Benché sapessi che il PrimaLuce non poteva eguagliare la pulizia del Takahashi volevo comprendere, quando posti nelle medesime condizioni osservative, quanta differenza fosse percepibile e se il 130T potesse essere annoverato tra i 5 pollici di buon livello o meno.

Il confronto dello star test e delle immagini di diffrazione ha consegnato in ovviamente la palma al 4 pollici giapponese che esibisce immagini perfette in qualsiasi posizione si ponga il focheggiatore. Anche nel punto di migliore fuoco l’immagine del Takahashi appare più tagliente, incisa e precisa. Le differenze non sono del tutto marginali e selezionano molto bene la vocazione dei due strumenti che hanno natali, progetto e caratteristiche geometriche diverse.

Che il 130T non sia un “fulmine di guerra” in alta risoluzione è assodato ma è altrettanto vero che il FC100-N sprofonderebbe nell’imbarazzo molti rifrattori odierni apocromatici (o pseudo tali) da pollici. 

Nonostante questo la differenza nella resa dei due strumenti è stata non terrificante e comunque diversa da quanto mi sarei atteso.

La minore apertura e il rapporto focale meno spinto generano, all’oculare del FC100N, un disco di Airy più grande rispetto da quello fornito dal PLL (PrimaLuceLab) e con una restituzione più fedele del “bianco” tanto da essere “bianchissimo” se mi si passa il termine (continua a sovvenirmi l'immagine di Franco cerri, sorridente dal cestello della lavatrice). La differente resa porta quasi a percepire il FC100N come più luminoso, cosa che invece si dimostra infondata comparando bene i telescopi e le loro immagini.

Nell'osservazione delle stelle doppie, e si prenda ad esempio la Theta Aurigae, la resa dei due strumenti appare differente con caratteristiche nette. Il FC100N appare più pulito e non mostra luce diffusa né sensazione di “morbidezza” con un contrasto apparentemente superiore. Il 130 mm. invece risulta più sensibile al seeing. I suoi dischi di Airy sono più fini e la separazione, a parità di ingrandimento, appare maggiore ma la qualità globale dell’immagine non è all’altezza del giapponese. Anche la percezione cromatica dei due astri cambia lievemente passando l’occhio da uno strumento all’altro benché si possa dire che nessuno offra una restituzione “distorta” delle cromie stellari.

Dopo aver speso lunghi minuti saltellando tra uno e l’altro, con oculari impiegati che fornissero un ingrandimento simile (per l’occasione due planetary PLL da 5 e 6 mm. per complessivi 172x e 167x e poi 3mm e un orto da 4 per 286 e 250x rispettivamente) mi sono definitivamente convinto della vocazione più fotografica del 130T che gli fa perdere terreno in alta risoluzione.

La sensazione finale è quella di una maggiore pulizia offerta dal 4 pollici giapponese e anche una capacità superiore di aumentare gli ingrandimenti senza colpo ferire. Il PrimaLuceLab tende invece ad essere più “morbido” e con un poco di luce diffusa in più fornendo immagini che prese singolarmente appaiono buone ma che nel confronto diretto con il primo della classe mostrano lalcune ovvie pecche. Questo almeno finché i poteri restano sopra a quota 180x

Al di sotto di tale livello le differenze si assottigliano fino a sparire tanto che ai medi poteri (tra gli 80 e i 120x) la maggiore quantità di luce raccolta dal 13 cm. si traduce in una maggiore percezione delle stelle deboli di campo.

La medesima impressione l’ho avuta osservando Urano, piccolo e distante e non aiutato dal cielo cittadino.

In entrambi gli strumenti, anche a poteri prossimi ai 300x per il 130T e 250x per il FC100N, il pianeta appariva come un semplice pallino rotondo di colore bianco/azzurro/verde indefinito. I 13 cm. del Airy 130T però si sono fatti un poco valere permettendo una immagine più luminosa e gestibile oltre ad una percezione delle tonalità verdi/azzurre che nel FC100 tendevano ad essere più blande.

CONCLUSIONI

Il PrimaLuceLab AIRY 130T sembra essere un discreto rifrattore semi-astrografo con una correzione decisamente apocromatica e una modesta distorsione di campo che può essere ulteriormente migliorata da correttori specifici.

E’ ben rifinito ma ben poco “controllato” dai produttori/venditori (almeno nell'esemplare a me giunto che era stato acquistato nuovo e mai "toccato" dal primo proprietario). In compenso risulta facilmente bilanciabile nonostante il maggior peso nel tripletto frontale ma va tenuto comunque conto che pesa complessivamente oltre 13 kg e quindi richiede una solida montatura.

In alta risoluzione rende un meno di quanto farebbe un top level APO da 5 pollici specializzato (penso ad il classico FS-128 ad esempio) ma è il prezzo da pagare per una vocazione astrofotografica più spinta che oggi risulta più importante per la stragrande maggioranza degli utenti.

Lo ritengo quindi più consigliabile per i fotografi che si vogliano dedicare anche all’osservazione visuale piuttosto che ai visualisti puri i quali potrebbero trovare più appagante un doppietto o tripletto a focale meno spinta (tipicamente un f8). Resta una incognita il controllo di qualità, a mio avviso la parte più carente nell’offerta dello strumento oltre ad un prezzo che, pur competitivo rispetto ai giapponesi e americani di altissima fascia, risulta a mio avviso un po' alto per il tipo di strumento in sé che risulta, come gli analoghi "multi rimarchiati", un clone riverniciato o poco più.

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