MEADE 390 - 90/1000 rifrattore

Anno 2021-2022

Sopra: immagine di repertorio dello strumento originale su AZ mount

INTRODUZIONE

E’ l’inizio degli anni ’90 quando compare il Meade 390/395, un rifrattore acromatico da 90 millimetri di apertura per un metro di focale: un classico verrebbe da dire, con una potenza ottica sulla carta lievemente maggiore rispetto ai diffusi 80 millimetri ma al tempo stesso decisamente più leggero rispetto ai 4 pollici di pari focale dell’epoca.

La macchina pubblicitaria e commerciale Meade del tempo lo propone su due montature leggere e trasportabili, una equatoriale (che designa la sigla 395) ridicolmente inadeguata, e una altazimutale (sigla 390) manuale.

Lo strumento si propone, dati alla mano, come un buon performer planetario e per l’osservazione dei sistemi stellari multipli, della Luna e del Sole in abbinamento a specifici filtri.

E’ solidamente costruito, con un tubo in alluminio dotato di 3 diaframmi interni, un paraluce ben dimensionato anche lui in alluminio, un focheggiatore “Vixen style” con canotto adatto ad accessori ottici con diametro da 31,8mm.

Alla “pesa” misura 98 cm. di lunghezza (con focheggiatore non estratto) e 3,5 Kg di peso (completo di anelli, barra Vixen lunga, cercatore 6x30 e suo supporto)

Benché l’ultimo dato possa lasciare immaginare un utilizzo proficuo su montature anche leggere non consiglio di installarlo su supporti che siano meno robusti e precisi di una Great Polaris o di una EQ5 (molto meglio se in versione vitaminizzata HEQ5).

MOTIVI DELL'ACQUISTO

Considerando la pletora di rifrattori di buon livello a mia disposizione sorge spontaneo il dubbio sui possibili motivi dell’acquisto.

Nel mio caso, ma estendo a molti altri le medesime considerazioni, avere un rifrattore da 9 cm. a fuoco medio/lungo acquistabile con budget risibile e adatto a seguirci durante gli star parties (dove non si sa chi usi il tuo strumento mentre chiacchieri amabilmente con gli amici, oppure chi vi inciampi al buio facendolo rovinare a terra) può rivelarsi una scelta intelligente.

Anche la consapevolezza di poter trasportare senza eccessivi riguardi la strumentazione, oppure di vederla colta da un improvviso acquazzone o sommersa da umidità elevata nel corso della notte, consente di vivere in modo sereno le trasferte.

Il potere di raccolta della luce è modesto e il telescopio non saprà estasiarci con la vista di oggetti esotici del cielo profondo ma, se ci si accontenta di osservare gli ammassi stellari, le stelle doppie, i pianeti, la Luna allora potremo non pentirci troppo del diametro ridotto.

CONSIDERAZIONI SULL’ASSEMBLAGGIO

Se si dispone di un poco di pazienza e si opera una ricerca sul web è possibile imbattersi in alcune discussioni (soprattutto sui forum statunitensi) riguardanti il “nostro” Meade 90/1000.

Se ne parla in ogni modo: dai peggiori commenti di utilizzatori schifati dalle prestazioni indecorose a possessori entusiasti che ne magnificano la solidità costruttiva e ottiche in grado di gestire adeguatamente poteri da 200 ingrandimenti.

Come per ogni cosa è facile che la verità risieda nella “aura mediocritas” latina e per appurarlo non ho potuto che acquistarne uno.

In proposito è interessante valutare la percezione che l’utente medio ha del proprio strumento. Il venditore, persona squisitamente educata e molto disponibile, mi ha assicurato, in fase di contrattazione, che le ottiche fossero collimate e lo strumento capace di prestazioni in linea con il suo diametro e focale. Pochi segni di usura sul tubo ottico (più che normali per uno strumento con trent’anni sulle spalle o quasi) e una richiesta economica talmente bassa da renderlo un “bargain” a cui fosse impossibile resistere mi hanno convinto.

Considerato l’esborso di acquisto, inferiore alla maggior parte degli oculari presenti sul mercato, quanto dirò a seguire non deve essere interpretato come una critica offensiva al suo ex proprietario né come una rivendicazione della perfezione a tutti i costi, bensì come la concreta e imparziale valutazione dello strumento in sé.

Le operazioni di pulizia preventiva, che impongono lo smontaggio degli elementi costituenti il tubo ottico (focheggiatore, cercatore, doppietto frontale, tubo, paraluce) e i primi tentativi di messa a punto del gruppo focheggiatore hanno denunciato una costruzione molto robusta ma estremamente approssimativa. 

Se si tralasciano i problemi di scarsa fluidità del focheggiatore e i basculamenti del suo canotto dovuti ad una tolleranza eccessiva dei suoi elementi costituenti (il gruppo è un clone cinese dei focheggiatori Vixen ma, a dispetto della generale buona riuscita di questi ultimi, presta il fianco ad ogni tipo di critica e serve lavorare lungamente per portarlo ad operare in modo quantomeno accettabile) è nella realizzazione del tubo ottico che emergono i problemi maggiori.

I diaframmi interni, in numero di 3, risultano non concentrici ma fortunatamente il loro conservativo dimensionamento rispetto al fascio ottico fa in modo che tale aspetto non generi oscuramento parziale del doppietto frontale.

Se l’approssimazione di questi elementi è tollerabile appare invece incomprensibile il taglio “posteriore” del tubo in alluminio, proprio dove questi va in battuta sulla ghiera del focheggiatore.

Sopra: il taglio originale della parte posteriore del tubo ottico (in battuta sul focheggiatore).

A Taiwan sembrano aver selezionato appositamente signorine mezze cieche che, una volta equipaggiate con motoseghe da boscaiolo e accette di varia dimensione e peso, sono state autorizzate al taglio dei tubi.

Il risultato appare bizzarro. Se è infatti vero, aspetto non trascurabile, che il “visus ridotto” delle operatrici scongiura che si affettino una mano durante l’operazione, è altrettanto indiscutibile che i tagli operati non siano esattamente ben realizzati...

Con una simile meccanica potremmo installare il migliore doppietto apocromatico al mondo, dotato di correzione lambda/infinito+, ma le prestazioni e lo star test dello strumento risultante sarebbero quantomeno deprecabili.

E tali erano quelle del Meade 390 al suo arrivo nonostante le parole del suo precedente proprietario lo descrivessero come un "buon rifrattore".

Risulta chiaro, non avendo alcun motivo per dubitare della buona fede altrui, che il concetto di “buon rifrattore” sia estremamente variabile e, come più volte ho avuto modo di constatare, dipendente dalla cultura ottica (o meglio dalla sua assenza) della maggior parte degli astrofili.

Cosa è possibile fare in questa situazione? Molto poco o praticamente nulla se non si è disposti a maneggiare un flessibile, squadre e lime per riportare la ortogonalità presunta dei tagli ad una situazione che, pur non perfetta, sia quantomeno adeguata agli altri gradi di libertà dello strumento.

Dico questo perché lo scorrimento del focheggiatore impone una continua variazione del centraggio perfetto dell’asse ottico e quindi, se non si desidera sostituire l’intero gruppo con uno moderno che impone prezzi tre volte superiori a quelli dello strumento completo, si deve fare i conti con questa limitazione che assume a tutti gli effetti una valenza importante tanto da rendere inutile una maniacale sistemazione del resto della meccanica.

PRIMO TEST

Il primo test è stato effettuato a strumento appena ricevuto e nelle condizioni di assemblaggio presentate. L’esito è stato terrificante, tanto negativo da risultare quasi divertente.

La “seconda luce”, a seguito di una prima grossolana sistemata allo strumento, ha esibito un comportamento più decoroso. La serata, non graziata da seeing di buon livello, è stata comunque sufficiente a mettere in risalto alcune caratteristiche fondamentali dell’ottica. Ancora non a posto, questa sembra comunque in grado di generare prestazioni interessanti. Al momento delle osservazioni lo star test evidenziava ancora un marcato astigmatismo (asimmetrico tra l’altro) che imponeva una immagine a fuoco con alcuni tenui “baffi” spuri ma una immagine del disco di Airy sostanzialmente corretta.

La resa appare lievemente più “flou” rispetto ad un “top rated achro” che potrebbe essere rappresentato dall’analogo Vixen 90M, ma anche in queste condizioni quanto visto all’oculare non è stato malaccio.

Per l’occasione ho impiegato un oculare zoom 7.2-21mm. che mi ha permesso di spaziare agevolmente in un range di ingrandimenti adatti alla logica dello strumento e alle sue condizioni (da un minimo di circa 46x ad un massimo di 140x).

Le doppia Albireo ha fatto bella mostra di sé anche se l’anello di diffrazione che circonda il disco di Airy è apparso non simmetrico, aspetto che il seeing ballerino accentuava.

Parimenti la visione di Giove, pur piacevole, appariva priva dell’incisione propria di un rifrattore di riferimento.

Molte e sottili le bande visibili e anche alcune loro indentature con una resa, a 140x, piuttosto piacevole e dettagliata. Appariva però chiaro che l’ingrandimento impiegato fosse un po’ il massimo gestibile e che mancasse un pizzico di luminosità.

Con l’introduzione di un filtro n° 11 (il light green) tendeva a scomparire la poca luce diffusa “cromatica” non corretta e la resa ne beneficiava in modo sostanziale pur al prezzo di un viraggio giallo/verde dell’immagine. Un bel quadretto, degno di essere disegnato, benché di “scala” un poco ridotta e globalmente deficitario di brillantezza e contrasto.

Riportato lo strumento sul banco di lavoro mi sono accorto che la centratura dell’asse del focheggiatore era ancora non corretta e mi sono messo al lavoro per ottenere una condizione migliore.

Sopra: immagine dell'interno del tubo ottico con la disposizione dei diaframmi

SECONDO TEST

Ho potuto disporre di un cielo libero da perturbazioni solo alcuni giorni più tardi e ho eseguito un nuovo star test.

Con il focheggiatore sicuramente meglio allineato ho potuto valutare le condizioni dell’ottica.

L’astigmatismo era ancora presente e così ho provato a ruotare tra loro gli elementi del doppietto alla ricerca di un allineamento migliore. La doppia ghiera di serraggio dell’ottica non facilita l’operazione e servono un paio di micro-ventose in gomma o lattice (oppure più banalmente due pezzetti di nastro adesivo di carta) ma l’operazione può essere compiuta “sotto il cielo”.

Ruota a destra e ruota a sinistra ho raggiunto, dopo molte prove, una posizione di compromesso. L’ottica non è perfetta ma nelle condizioni finali di aggiustamento risulta decorosa e sicuramente usabile anche con qualche velleità in alta risoluzione. Il solo difetto rimasto è un medio astigmatismo che ora è però ben simmetrico con il risultato che l’immagine a fuoco risulta decisamente più contrastata e pulita.

Se non si desidera assistere al degrado delle immagini conviene non spingersi oltre i 180x, che non sono comunque pochi per un 9 cm. non apocromatico tenendo anche conto dell’inevitabile caduta di luce. 

A questo proposito ammetto di sorridere sconsolato ogni qualvolta ricordo le parole dei simpatici bontemponi che spingono a 400 ingrandimenti i loro “mitici” 70 millimetri alla fluorite ricavandone (a parole) immagini mirabolanti (sicuramente osservando il lampione da 1000 watt di fianco a casa...).

Finalmente “a posto” o quasi il 390 mi ha concesso alcune belle immagini di sistemi multipli facili e di contrasto cromatico significativo.

Mi sono concentrato sulla fascinosa Ras Algethi (α Her / α Herculis / Alpha Herculis) che è una stella multipla situata nella costellazione di Ercole e distante 351 anni luce. È conosciuta anche come Rasalgethi (dall'arabo رأس الجاثي ra's al-jaθiyy, Testa dell'Inginocchiato) o, secondo la nomenclatura di Flamsteed, 64 Herculis, mentre in Cina è conosciuta come Ti Tso, "il posto dell'Imperatore", oppure anche come Tsin.) che mi ha deliziato con una alternanza di colori tra primaria e secondaria accese rispettivamente di un convinto giallo arancio e un tenue azzurro. In questa occasione, e così anche per le altre “doppie” osservate, ho trovato particolarmente adatto l’ingrandimento di 140x che si è dimostrato un ideale compromesso tra luminosità dell’immagine, separazione apprezzabile, contenimento delle aberrazioni. 

Il sistema risulta formato da cinque componenti di cui interessano, ai fini osservativi del test, soprattutto le “A” e B” di magnitudo 3,48 e 5,40 con separazione angolare attuale di 4,64”.

Anche la 17 Draconis (multipla con tre componenti di cui la “A” e “B” brillano di magnitudine  5,38 e 6,42 con separazione prossima a 3,2”) ha dato bella mostra di sé con un quadretto piacevolissimo.

Penultima, prima della semper favolosa Albireo, ha meritato attenzione Zeta Corona Borealis, una doppia con componenti di mag. 5,5 e 6,3 separate da 6,3 secondi d’arco.

Nonostante la stanchezza dovuta al periodo lavorativo intenso e snervante mi sono concesso qualche minuto per abbozzare un disegno.

Contrariamente a molti asrofili, solitamente disegno direttamente all’oculare e quanto poi conservo è la bozza originale a cui cerco di dare un minimo di piacevolezza nello stesso momento in cui la ritraggo. Nessuna ricostruzione, correzione o post produzione finalizzata ad ottenere un disegno più “bello” di quanto non si riesca a fare con il blocco di carta sulle gambe, una piccola lucina a “pinza” e le penne e matite a disposizione.

In questo caso ho disegnato direttamente su cartoncino nero avvalendomi sia una china bianca che di alcune matite colorate nel tentativo di restituire le variazioni cromatiche percepibili all’oculare.

La sera, con un seeing medio non ottimale, era purtroppo pesantemente compromessa dal cielo milanese con la sua umidità e quasi completa opacità. In queste condizioni i campi stellari appaiono molto poveri ma quelle ritratte sono effettivamente le stelle visibili, anche in visione distolta, ed è quindi facilmente intuibile quanto i disegni avrebbero potuto maggiormente beneficiare di un cielo limpido e scuro.

Sopra: scketch su cartoncino nero, eseguito durante l'osservazione. China bianca e matite colorate.

Sotto: immagine del Sole ottenuta con uno smartphone Samsung A51 - scatto unico, proiezione di oculare, nessuna post elaborazione.

Anche Giove, la sera successiva e con l’ausilio della montatura Vixen Great Polaris con moti micrometrici manuali, ha segnato un miglioramento globale rispetto alle precedenti osservazioni. Nessuno stravolgimento ma un percepibile incrementato contrasto e una buona dose di dettagli visibili senza grande sforzo. Molto bella, ad esempio, la regione equatoriale che in questo ultimo periodo (ottobre 2021) appare particolarmente densa e movimentata.

Non si raggiungono la prestazioni di un 10 cm. apocromatico o di un 4 pollici classico a lunghissimo fuoco ma non gli si è neppure molto lontani specialmente in condizioni di seeing medio e solo una comparazione “side by side” permette di apprezzare appieno le differenze.

OSSERVAZIONE SOLARE: PRESTAZIONI

In un tardo pomeriggio di inizio ottobre ho avuto anche modo di osservare il Sole con un prisma di Herschel e una serie di filtri verdi o ND. Ho apprezzato alcune macchie presenti tra cui, in particolare, la 2863: piuttosto simmetrica e con un buon contrasto anche se la mancanza del filtro Continuum mi ha reso difficoltosa la percezione della granulosità. L'impego del "verde 58", buon sostituto economico al Baader più selettivo, fa invece emergere i grani della fotosfera in modo più marcato rispetto alla visione in luce bianca.

Scopo prioritario o quasi dell'acquisto del Meade 390 è appunto un redivivo purché blando interesse per l'osservazione estemporanea della "nostra" stella.

Non volendo impiegare il Takahashi FC100N per non esporlo alla canicola l'opzione di un rifrattore di pari focale e diametro similare, che costasse poco e che non avesse in questo tipo di applicazioni problemi da eventuale cromatica residua, mi è parsa scelta adeguata.

Il Meade 390 è stato impiegato, ai fini del test, in abbinamneto ad un prisma di herschel da 31,8mm. prodotto dalla Lunt a cui sono stati inseriti vari filtri per verificare quale tra questi offrisse la resa migliore.

Va innanzitutto detto che, con una focale di 1 metro, risulta possibile inquadrare interamente il disco solare impiegano oculari con focale di circa 25mm. il che permette un "turismo osservativo" piacevole.

Si può poi aumentare l'ingrandimento per studiare con maggiore dettaglio le macchie presenti e la granulosità solare ma per fare questo è opportuno scegliere il filtraggio corretto.

Anche sulla scorta di prove effettuate da altri amatori ho scelto la combinazione del filtro verde nr 58 con l'aggiunta di un UR-IV cut in campo fotografico e senza UV-IR cut in visuale.

In questa configurazione, e accettando la colorazione verde del disco solare, si ottiene un significativo miglioramento del contrasto e l'immagine, che potrebbe anche reggere ingrandimenti medio-elevati, restituisce il meglio di sé con poteri prossimi al centinaio di ingrandimenti. Un oculare da 12mm. (potere di 83x circa) è già sufficiente per estrarre moltissime informazioni e permettere anche disegni piuttosto dettagliati.

La granulazione è visibile anche se non evidentissima, e le macchie e loro sottostrutture ben contrastate e con un dettaglio accettabilmente pulito e privo di effetti "blur".

Per puro divertimento ho voluto anche provare ad effettuare una ripresa nel vicino ultravioletto, regione che abbraccia anche la riga del Calcio K, utilizzando un filtro specifico per la ripresa delle nubi di Venere. Il filtro in questione, un "UV VENUS", possiede una banda passante molto più ampia rispetto a quella propria dell'emissione del CalcioK ma la teoria lo vuole comunque utile nell'evidenziare alcune caratteristiche della fotosfera che tendono ad essere invibili in luce bianca.

I miei test hanno però dato esito molto scadente per fisiologica mancanza di luce e, complice anche un seeing indecoroso, non mi è stato possibile ottenere risultati incoraggianti per cui non pubblico le immagini raccolte.

LA MONTATURA GIUSTA

“Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”.

Fortuna vuole, Dante docet, che io disponga di quella che appare essere la montatura ideale per questo tipo di strumento.

Con le proprie caratteristiche di lunghezza focale e diametro, il Meade 390 OTA richiede una equatoriale con sistema di puntamento automatizzato che abbia una interfaccia estremamente friendly e che permetta di “dimenticare” (o quasi) gli atlanti stellari. Niente risponde meglio a queste esigenze della Vixen Sphinx con starbook (nel mio caso la prima versione, denominata SXW).

E’ leggera, molto robusta, si accontenta di un contrappeso modesto grazie alla distribuzione particolare delle masse appese e, soprattutto, dispone di un “palmare” con carte del cielo e puntamento grafico molto intuitivo.

In abbinamento alla Sphinx, che deve necessariamente essere sostenuta da un treppiedi di buona altezza vista la silhouette allungata del tubo ottico, il Meade 390 è piacevole da usare e si fa perdonare natali non particolarmente fortunati.

Appare ideale per andare a “cacciar stelle” con gli amici, specialmente se questi posseggono magari un buon dobson che hanno voglia di montare, smontare, collimare, e condividere per alternare la visione di qualche campo stellare e ammasso aperto a quella degli oggetti del cielo profondo (tanti) preclusi ai 90 millimetri di apertura del rifrattore.

Sopra: il Meade 390 installato sulla Vixen Sphynx SXW e cavalletto HAL 130 Vixen.

GIOVE E LUNA: IMAGING PLANETARIO

Nonostante il Meade 390 non sia il migliore 90 millimetri sulla piazza le sue prestazioni si dimostrano più che dignitose e anche nell'imaging planetario sa generare risultati apprezzabili sebbene non eclatanti.

In una sera di seeing medio con valore di circa 6/10, quindi appena sufficiente per dedicarsi alla fotografia di un soggetto difficile come Giove, lo ho accoppiato alla nuova camera PlayerOne Neptune C-II a colori, dotata del rivoluzionario (o quasi) sensore IMX 464 e fratello maggiore del tanto decantato 462 in voga negli ultimi mesi tra i fotografi planetari più agguerriti.

La velatura umida del cielo milanese non ha permesso un significativo conrasto con il fondo cielo e l'impiego di una barlow Celestron Ultima 2x, che porta il rapporto focale a f22, si è dimostrata forse un po' troppo "spinta" per le ottiche del Meade che avrebbe forse beneficiato maggiormente di un fattore moltiplicativo 1,5x.

Per mantenere elevato il frame rate sono stato costretto ad alzare il valore di gain oltre la soglia consigliabile e quindi l'immagine finale è risultata più rumorosa di quanto dovrebbe essere.

Nonostante questi doverosi preamboli il risultato ottenuto sul gigante gassoso è accettabile e possiede margini di miglioramento, anche in relazione ai particolari disponibili sulla atmosfera gioviana al momento della ripresa avvenuta la sera del 18 ottobre 2021.

Quanto proposto a seguire è il risultato, senza post processing, di un filmato di 8000 frames di cui ne sono stati tenuti per lo stacking in 40%, il tutto con un FPS operativo di circa 100 immagini per secondo. La durata del filmato, di poco superiore agli 80 secondi, appare forse al limite per la rotazione del pianeta ripreso con una foale di 2 metri.

Sopra: ripresa di Giove del 18/10/2021 attraverso il Meade "390". I pochi dettagli dell'atmosfera gioviana disponibili al momento della ripresa si sommano alla resa "flou" dovuta ad una serie di fattori interni allo strumento e di condizioni "esterne" del cielo. Link di ASTROBIN per una migliore visualizzazione: https://www.astrobin.com/4deu6e/

Emerge chiaramente un certo effetto "sfocato" dovuto sia alla dispersione atmosferica che alla presenza di umidità nel cielo e, ovviamente, alla incapacità del sistema ottico di porre a fuoco perfetto le varie lunghezze d'onda. A questo si aggiunge il residuo di astigmatismo che tende a rendere meno incisi e contrastati i dettagli.

Siamo comunque, non va dimenticato, a cospetto di un economico rifrattore acromatico da soli 9 cm. realizzato oltre 35 anni fa dalla manifattura taiwanese che, come detto, era allora molto meno accurata nel suo operato rispetto a quanto non avvenga oggi.

A confronto è utile valutare cosa si possa ottenere con un maksutov di alta qualità come il Meade ETX 125/1900 che, la sera prima, si era impegnato sul medesimo soggetto planetario. A favore del EXT un seeing migliore e la assenza di barlow pur lavorando con una focale equivalente quasi identica (1900 mm. contro 2000 mm. circa ma con un rapporto di apertura di f15 contro f22).

L'assenza del complesso ottico negativo e una migliore resa globle vengono evidenziati dal risultato finale che, anche grazie alla notevole risoluzione aggiuntiva permessa dai 35 millimetri aggiuntivi del ETX, appare di maggiore qualità.

Sopra: Giove ripreso il 17/10/2021 con un Meade ETX 125 OTA F15 i condizioni di seeing un poco migliori rispetto a quanto disponibile durante le riprese con il rifrattore "390". Link di ASTROBIN per una migliore visualizzazione:https://www.astrobin.com/4c3vm6/

Sotto: un tributo al complesso del pianeta GIOVE e dei suoi satelliti galileiani. L'immagine è un collage di due diverse fotografie. Una di "singolo scatto" con valore di gain alto per evidenziare i quattro satelliti galileiani, l'altra è lo stack di 2000 frames a valori di esposizione corretti per il pianeta, entrambe effettuate con il Meade 390.
Purtroppo Autostakkert mi eliminava sempre il povero Callisto, prospetticamente lontano dal pianeta, per ragioni a me sinceramente ignote... così ho montato le immagini per avere una panoramica simpatica del "quadretto". Seeing appena sufficiente e molta poca trasparenza del cielo dovuta ad elevata umidità. Link di ASTROBIN per una migliore visione: https://www.astrobin.com/tbimpb/

Decisamente più sfortunato sono invece stato durante l'unica ripresa della Luna eseguita per il test. L'umidità eccessiva del cielo e la presenza di ramaglie sul cammino ottico mi ha impedito di raggiungere quanto esprimibile dallo strumento. L'impiego di una camera monocromatica e di un filtro più selettivo, in condizioni di trasparenza elevata, avrebbero portato a risultati ben più convincenti ma la passione degll'astrofilo deve temprarsi in condizioni disagiate e quanto ottenuto rappresenta bene ciò che si possa fare in condizioni molto sfavorevoli.

L'immagine sotto è il risultato dello stacking di poche centinaia di frame con un seeing di 5/10, alta umidità, e l'impiego di una camera planetaria a colori. Anche per questa immagine indico il link di maggiore risoluzione: https://www.astrobin.com/8gbm5u/

CONCLUSIONI

Se la fisica non è una opinione, la meccanica (almeno in uno strumento ottico) le va a braccetto.

I Meade 390/395 nascono intorno ad un doppietto acromatico standardizzato e prodotto in una epoca in cui a Taiwan né le macchine né il controllo di qualità erano pari a quelle odierne.

Può quindi capitare un doppietto “graziato” o uno “sgraziato”. Nel mio caso penso di non essere al cospetto né del primo, né del secondo, ma di un “medium level” che indica quanto diversa sia la qualità di un prodotto giapponese rispetto ad un suo clone taiwanese. Le prestazioni non sono abissalmente differenti ma la base di partenza sicuramente sì.

Chi ne desidera uno si prepari a lavorarci (a meno di essere baciati dalla fortuna) e di divertirsi anche un po’ nel farlo. Se così sarà si potrà disporre di un 90/1000 più che dignitoso da usare senza remore e patemi possibilmente su una montatura robusta così da sfruttarne le potenzialità fin dove si riesce.

Il valore sul mercato è basso, molto. Si può andare dai 50/70 euro di un esemplare “bacato” ai 120/150 (forse) di uno in buono stato o già “sistemato”.

In alternativa esiste il Vixen 90M che espone a minori problemi di qualità e che quasi sempre si offre come prodotto più maturo e qualitativo ma anche più caro e di non semplicissima reperibilità.

Ci potete contattare a:

diglit@tiscali.it

oppure usare il modulo online.

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