MEADE 10" S.C. - F. 6,3 OTA

febbraio 2014

INTRODUZIONE

Nel 2013 ho avuto ben 2 (due) Schmidt Cassegrain di casa Meade da 12”, uno in configurazione ACF (Advanced Coma Free), l’altro “tradizionale” (si veda a questo proposito i due test pubblicati su questo sito). Ambedue hanno dimostrato di avere ottiche di buon livello, focus shift pronunciato, e una certa sensibilità alla perdita di collimazione (anche se limitata). Entrambi, un po’ per via del peso, un po’ per via dell'allora scarso interesse per la fotografia planetaria, hanno preso il “largo” poiché superati quanto a immagine visuale dal rifrattore da 6 pollici a f12, almeno dalla mia postazione che gode di seeing medio.

Non sentivo la mancanza di un altro Schmidt Cassegrain ma, dopo aver messo in vendita per inutilizzo un rifrattore molto raro (tale Zeiss AS-63/840) un noto astrofilo mi ha contattato proponendomi uno scambio con un tubo ottico Meade da 10” e focale nativa f 6,3.

Questi OTA di casa Meade risalenti a un po’ di anni fa e prodotti in quantità ridotta rispetto ai diffusi F10 mi hanno sempre incuriosito e, alla fine degli anni '90, avevano occupato un posto nel mio personale cassetto dei desideri.

Il non averli mai provati mi ha sempre lasciato una inappagata curiosità e la proposta di baratto è stata così accettata, più per “sfizio” che per reale necessità.

DESCRIZIONE

Lo strumento si presenta bene. Il tubo ottico è in ottimo stato di conservazione, senza ammaccature, graffi rilevanti o bucce nella verniciatura, ed è dotato sia di barra passo Losmandy che di Bob’s Knobs e focheggiatore aggiunto Fiss della 3A. Inoltre le ottiche, da poco fatte pulire dall'ex proprietario, appaiono linde e prive di aloni.

Fatta eccezione per l’imballo e la mancanza di cercatore lo strumento si presenta dunque in modo impeccabile e non dissimile da quello del "nuovo".

Il peso è lo stesso delle versioni da 10 pollici aperte a f10, quindi rilevante, così come le parti meccaniche ed estetiche.

La mia attenzione è però attratta soprattutto dalla dicitura impressa sulla ghiera di protezione della cella con viti che regge la lastra di Schmidt e dalla inusuale indicazione "F.6,3". 

La differenza sostanziale con la versione più conosciuta a f10 risiede proprio nella diversa scelta operata dai progettisti per consentire allo strumento un utilizzo fotografico a lunga posa. La focale minore (che passa da 2540 a 1600 mm.) consente inoltre campi più ampi per l’osservazione di oggetti estesi e rende meno problematico il lavoro di inseguimento operato dalla montatura.

Per contro aumenta l’ostruzione lineare che passa dal canonico 0,34-0,35  delle versioni a f10 a un “nuovo” 0,40 (circa) della versione a f6,3 la cui focale viene raggiunta modificando il rapporto di ingrandimento offerto dallo specchio secondario che scende da f5 a f3,15.

Ciò che non si sa (o almeno non lo so io) è se cambia qualcosa anche nei raggi di curvatura (infinitesimali) della lastra correttrice frontale.

A logica, restando inalterato lo specchio primario, questo non dovrebbe essere ma, anni fa, lessi da qualche parte della difficoltà di un astrofilo nel recuperare una lastra di Schmidt per un 8 pollici in configurazione nativa f6,3 il che mi fa pensare che le lastre degli f10 e degli f6,3 non siano intercambiabili.

E’ una pura speculazione accademica, forse anche infondata, ma sarebbe bello scoprirlo.

All’atto pratico, però, questo tubo Meade come performa?

STAR TEST (prime sere di febbraio 2014)

Facendo qualche calcolo e misurando con una accettabile approssimazione l’ostruzione frontale imposta dalla cella e controcella, compreso il paraluce, dello specchio secondario si ottiene un valore prossimo a 0,378 che può essere approssimato per eccesso a 0,38, migliorativo rispetto allo 0,40 postato su alcuni forum. E' un dato interessante, soprattutto in virtù della sensibile riduzione del rapporto focale e della esigenza di un campo di piena illuminazione il più ampio possibile. 

Ho sempre scritto quanto, in campo visuale, sia piuttosto difficile notare differenze significative tra strumenti ostruiti oltre il 35% (quindi fa poca differenza che si sia in presenza di ostruzione lineare da 0,34 o 0,38) mentre diventa ben visibile la differenza quando l’ostruzione lineare scende sotto lo 0,25/0,20 e, soprattutto, quando questa si riduce a zero come accade nei telescopi rifrattori.

E’ utile, a questo proposito, avere a disposizione contemporaneamente un SC come quello in prova (0,38 di ostruzione), un cassegrain puro a ostruzione media (0,30 circa), un maksutov newton a bassissima ostruzione (un Intes MN-78 con valore dichiarato di 0,14) e un rifrattore classico da 15 cm. a ostruzione ZERO.

Ciò che in ambito fotografico ha impatto minore diventa molto più importante nell’osservazione visuale.

Se Saturno offre poca differenza, Giove già permette di apprezzare gli effetti di alto contrasto di una ostruzione nulla (che ricordiamo ha importanza soprattutto per via della “scattered light” secondaria e primaria). La Luna è incline a sopportare (grazie a contrasti intrinsechi alti) bene anche una elevata ostruzione mentre i sistemi doppi sono giudici impietosi e decretano la netta superiorità dei sistemi a rifrazione, anche se di diametro inferiore.

Ora, il nostro Meade si pone nella zona sfavorevole dell'ipotetico grafico tra apertura e ostruzione. E’ dotato da una apertura al limite di quella sfruttabile (in quanto a potere risolutivo) sui pianeti dai nostri cieli italiani medi, raccoglie molta luce ma resta, almeno sulla carta, uno strumento che richiede seeing ottimo per fornire immagini di rilievo in alta risoluzione. Inoltre, per la sua intrinseca caratteristica costruttiva, impone collimazione perfetta un equilibrio ideale, pena il decadimento vertiginoso delle prestazioni. E’, di conseguenza, uno di quegli strumenti che impongono al suo fruitore pazienza, attenzione, e l’attesa della “notte giusta”.

A suggello delle ultime parole scritte devo ammettere che le prime impressioni sulla resa ottica sono deludenti. Ci sono però delle attenuanti alle prestazioni mediocri rilevate nel corso delle due prime serate osservative e sono tutte dipendenti da un seeing atmosferico non superiore ai 3-4/10.

Va detto che l’ottica ha richiesto, dopo il viaggio subito, una ricollimazione eseguita su stella a circa 60° di altezza usando un oculare Takahashi LE da 2,8 mm. (potere di circa 570x) e un diagonale Intes da 2 pollici con ghiera filettata per S-C (resosi indispensabile per la temporanea mancanza del nasello di raccordo che permettesse la visione diretta senza deviatori).

La presenza delle Bob’s Knobs ha reso semplice le operazioni di allineamento anche se mi è parso di notare un lieve astigmatismo (ma ripeto le condizioni erano molto negative e mi riprometto un test migliore) e forse anche una certa aberrazione sferica residua percepibile.

Al fuoco il disco di airy, data la turbolenza, era praticamente inosservabile e il test ha quindi valore relativo.

Ho provato ad osservare e a riprendere solamente Giove con risultati sconfortanti e il pianeta che non permetteva, unitamente alla turbolenza in essere, di fruire con godimento ingrandimenti superiori ai 210 circa dati dal 7,5mm. (che si sono dimostrati comunque eccessivi e forieri di immagine degradata). Decisamente migliore l’immagine a 130x (oculare Takahashi da 12,5mm.) ma direi che il dato è poco significativo considerando che corrisponde al miserrimo valore di 13 ingrandimenti per pollice.

Le prestazioni visuali in alta risoluzione su un soggetto difficile come Giove hanno risentito in modo determinante della turbolenza atmosferica ma va anche detto che, nelle medesime condizioni, il piccolo Takahashi FC100-N (rifrattore alla fluorite da 10 cm. aperto a F10) mostra una immagine del pianeta più dettagliata, pulita e contrastata, anche a dispetto della minore luce raccolta (cosa che a bassi/medi ingrandimenti è più negativa che positiva). Questo con buona pace di chi asserisce che "l'apertura vince sempre"... Del resto, anche dopo l'invenzione dei fazzoletti in cotone qualcuno ostina a soffiarsi il naso usando due mattoni...

Il campo corretto di questo Meade, anche ad alti ingrandimenti (cosa davvero curiosa), appare di primo acchito piuttosto limitato tanto che a 200x circa i satelliti galileiani mostrano un accentuato effetto di coma a partire da oltre la metà del campo inquadrato (che non è certo ampissimo). La situazione appare migliore a ingrandimenti più contenuti dove il maggior campo inquadrato e l'utilizzo di oculari più lunghi a campo medio sembrano ridurre l'effetto. La cosa è illogica ma, dopo una riflessione, comprendo che la differenza non sta tanto nell'ingrandimento usato quanto nel soggetto inquadrato. Il test, effettuato sulle lune di Giove che mostrano un diametro apprezzabile, è reso particolarmente impegnativo dalla turbolenza atmosferica che amplia la dimensione del disco stellare e ne accentua la percezione di una carente simmetria.

Quando il seeing non è perfetto va tutto male e la resa fotografica su un soggetto difficile come Giove è altrettanto deludente. A video, in abbinamento con una barlow 2x Celestron Ultima, si percepiscono solamente le due bande equatoriali principali. Nessun altro particolare trova il fuoco corretto e la resa finale è una immagine impastata e inutilizzabile. Ad ulteriore aggravio della situazione va segnalato che nelle notti invernali della pianura padana la lastra correttrice, priva di adeguato paraluce, si riempie di condensa ogni 4-5 minuti circa vanificando qualsiasi lavoro osservativo o di ripresa.

Le prime negative impressioni devono però essere colte con il giusto spirito e la lunga esperienza maturata con gli Schmidt Cassegrain mi insegna che, per offrire prestazioni degne, queste ottiche devono lavorare in condizioni eccellenti. 

Il tempo meteorologico è però inclemente in questo inizio di anno e sono costretto ad attendere molte notti piovose prima di avere qualche spiraglio di bel tempo.

SECONDA LUCE (fine febbraio 2014)

Sapere attendere si rivela quasi sempre una virtù remunerativa. In amore (purché le cose non diventino secolari), sul lavoro, in astronomia. Così, nella prima serata di buon seeing (stimato intorno ai 6/10) ma soprattutto di basso valore di umidità relativa, ho potuto testare in modo più compiuto il Meade 254 F6.3

La collimazione richiede molta attenzione e svariati controlli. E’ sufficiente una infinitesimale rotazione di una delle viti di regolazione del secondario per mettere in crisi un lavoro ben fatto. Il rapporto focale estremamente tirato per un S-C rende inoltre difficile il raggiungimento del fuoco corretto. Ciò che viene (a mio avviso in modo poco elegante ma molto efficace) denominato “snap test” è superato in maniera rimarchevole ma il punto di fuoco è talmente preciso che si rischia, soprattutto su soggetti a basso contrasto come Giove, di lavorare appena fuori dal fuoco che, con un S-C da 25 cm. aperto a f6, è un disastro.

Quando però tutto concorre a collaborare con l’osservatore lo strumento non delude e, benché si confermi più adatto al cielo profondo, riesce a offrire dignitose immagini in alta risoluzione.

Siamo lontani da quello che può fare un 6 pollici a rifrazione a lungo fuoco, sia ben chiaro, ma l’immagine del gigante gassoso è piacevole, dettagliata e, fino a ingrandimenti medi, anche piuttosto pulita.

Il transito dei satelliti galileiani proietta ombre scure e abbastanza nette (con un leggero effetto flou che dipende soprattutto dalle microvariazioni del seeing in quota) ma non è possibile, se non nei tratti di lembo del pianeta, seguire il transito del satellite vero e proprio.

Piuttosto pronunciate appaiono le indentellature della SEB e molti i particolari che seguono la grande macchia rossa (vari ovali deformati) anche se, differentemente da quanto alla portata del Marcon 300, e del D&G 150 f12, qui non è possibile percepire l’inspessimento di tonalità rossa al centro della tempesta e neppure apprezzare in pieno i filamenti dei festoni nella zona equatoriale.

Ho trovato usabile (con decadimento ancora accettabile della pulizia di immagine) l’oculare da 7,5 mm. (potere di 214x) anche se tendo a preferire l’immagine più secca (e altrettanto ricca di dettagli) offerta dall'economico plossl da 10 mm. che genera poco più di 160x.

A volte leggo di osservazioni mirabolanti eseguite su Giove a poteri di 400/500/600x con strumenti fatti per tutto tranne che per osservare i pianeti. Osservazioni effettuate inseguendo a mano e report che ritraggono macchie di albedo sui satelliti e particolari sul globo degne del telescopio Hubble. Beh.. lascio ai lettori il giudizio.

Castore si offre come coppia di stelle luminose e sufficientemente pulite con due/tre anelli di diffrazione che si impastano a tratti per via della turbolenza. Molto piccolo il disco di Airy ma al fuoco, eseguendo un test ad alto ingrandimento con oculare da 5mm. Takahashi (circa 320x), si nota qualche baffo di troppo se la stella non è perfettamente al centro dell’oculare. Belle invece le stelle viste a ingrandimenti più modesti (Procione, Betelgeuse, Capella, Alhena) ottenuti con il 7,5 mm. e piacevole il campo permesso dall'economico oculare  LX 40mm. Celestron.

Ho appurato che la combinazione di questo oculare con il Meade 254 f6,3 sembra offrire il miglior compromesso tra campo inquadrato e puntiformità stellare al bordo. L’oculare Celestron (che costa poche decine di euro) fornisce 40 ingrandimenti e un campo reale appena superiore a 1° dove, almeno per 4/5, le stelle sono perfettamente puntiformi e tendono a deformarsi solamente a ridosso della zona di limite.

Con questo binomio ho eseguito una rapida osservazione, sotto il cielo biancastro di Milano, della Eskimo Nebula che si è palesata perfettamente in tutto il suo “puffettoso niente” ma apparendo comunque visibile anche all’occhio di mia figlia di 5 anni.

L’osservazione non ha alcune rilevanza ma mi ha fatto sentire come un pilota che guida la propria automobile in un campionato inadatto alle sue caratteristiche.

Certo, Milano offre poche soddisfazioni agli amanti del deep sky e risulta ovvio testare gli strumenti soprattutto sui soggetti di alta risoluzione, ma il Meade 254 f6,3 starebbe credo molto meglio sotto i cieli cristallini delle Alpi Valdostane dove lo porterò prossimamente per un test sul deep sky.

GIOVE IN AFOCALE

Mentre eseguivo i test ottici del Meade ho voluto, trovandomi in tasca la piccola fotocamera compatta Canon Ixus 125-SH, provare a riprendere uno scatto del pianeta Giove.

Non avevo voglia di installare la camera planetaria ASI 1200MM così ho semplicemente accostato l’obiettivo della compatta digitale all’oculare da 12,5mm. (metodo AFOCALE) sorreggendola a mano (...) per vedere cosa ne usciva.

Ho ripreso una decina di scatti (tutti ovviamente mossi) tranne uno che appariva il meno degradato. Il risultato è sicuramente “poor” e potrebbe essere notevolmente migliorato usando un supporto rigido per la fotocamera e lavorando con un autoscatto impostato su qualche secondo di attesa così da eliminare le vibrazioni. Prossimamente lo farò ma per il momento posto il risultato ottenuto. E’ visibile, al limite, l’ombra di transito quasi al meridiano del pianeta di uno dei satelliti galileiani. Per onor di giustizia va detto che l'immagine offerta in visuale a 160x era decisamente migliore, più pulita, molto più ricca di dettagli, e contrastata rispetto al risultato fotografico.

FOTOGRAFIA PLANETARIA

Il Meade 254 f6.3 non è lo strumento più indicato per fotografare i pianeti. E’ vero che ha dalla sua parte una apertura di buon livello ma l'ostruzione che lo affligge rende un poco “flou” le immagini a meno che non si abbia la fortuna di operare in condizioni di seeing quasi perfetto dove il tremolio della luce diffusa intorno e sopra alle superfici planetarie è controllabile e filtrabile bene.

Detto questo si può comunque ottenere qualche risultato accettabile. A questo proposito ho eseguito un test nei primi giorni di giugno 2014 su Saturno, molto basso sull’orizzonte, dalla città di Milano dove il seeing non è generalmente di gran rilievo. Probabilmente se il pianeta fosse transitato almeno a 10/15° più alto il risultato finale sarebbe stato migliore ma le principali features si leggono comunque abbastanza bene. A corollario dell’immagine va detto che l’elaborazione post ripresa, se si fa eccezione per il ritocco dei wavelets di Registax 6.0 e un minimo di controllo del contrasto con Photoshop, è stata avvero poco invasiva. Lavorando con un programma di fotoritocco in modo più marcato avrei sicuramente ottenuto maggiore incisione ma ritengo che l’immagine, in un test, debba essere il più “naturale” possibile.

La barlow usata, una economica 2,5x “apocromatica” da poche decine di euro e il sensore CMOS della QHY5L-II non rappresentano inoltre il “non plus ultra” della correzione.

Operare con una camera monocromatica, filtri RGB e una composizione accurata avrebbe migliorato il risultato finale in modo significativo.

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