CELESTRON C-9.25

Novembre 2017

INTRODUZIONE

Il Celestron C-9.25 è uno strumento che ha segnato un cambiamento nella proposta degli Schmidt Cassegrain commerciali ponendosi come ottica specializzata nelle riprese in alta risoluzione e colmando, al tempo stesso, un “gap” dimensionale storico tra il C8 e il C11.

In commercio da due decadi ha incontrato da subito grande attenzione dal pubblico degli amatori e rimane, ancora oggi, un telescopio molto valido e per certi aspetti preferibile anche al più grande C11.

Identico per meccanica ai suoi fratelli, il C-9.25 si distingue invece per proporzioni e per la focale e rapporto moltiplicativo del suo specchio primario e secondario.

Il primo ha una focale di f2,4 (contro i circa f 1,95 degli SC tradizionali) e il secondo un fattore moltiplicativo di 4,1x contro il tradizionale 5x. Questo, de facto, si traduce in una correzione ottica maggiore a parità di lavorazione essendo più facile correggere un f2,5 rispetto ad un f2. Il rapporto moltiplicativo secondario più basso contribuisce ulteriormente a ridurre l’ampiezza di errore facendo quindi del C-9.25, almeno sulla carta, il migliore degli S-C esistenti a F10 (benché  Takahashi TSC-225 e gli Opticon restino comunque nel loro empireo...).

Se dal punto di vista squisitamente ottico il 235 Celestron rappresenta un compromesso ideale va però segnalato che la sua architettura lo rende meno compatto dei tradizionali F10. E’ lungo come un C11 e non pesa molto di meno (10 kg contro poco più di 12) e questo rende indispensabile, se si vuole sfruttarlo in modo corretto, usare montature della classe dei 20/25 kg di portata dichiarata (quindi le varie EQ6, Ioptron IQ45, e analoghe Celestron) o superiori meglio ancora.

RICORDI E PREGIUDIZI

Il fatto che non abbia mai posseduto un C-9.25 dipende da una pessima esperienza avuta con uno di questi strumenti nel lontano 2003 in occasione della grande opposizione marziana di allora.

Ebbi l’occasione di usarne uno, per circa una mezz’oretta, a St Barthelemy con il proprietario dello strumento che me ne magnificava le prestazioni tessendone ogni tipo di lode.

In realtà, il suo povero C 9.25 appariva poco più che accettabile sia per lavorazione ottica che per collimazione e le immagini che mostrava erano prive di qualsiasi significativo dettaglio alla portata della sua architettura.

Dire a qualcuno che deve porre mano al proprio strumento quando ne decanta a gran voce le qualità è però operazione difficile e al tempo non ne ebbi il coraggio (adesso invece non mi pongo più alcuno scrupolo…) Conclusi, e in questo ammetto superficialità, che il C-9.25 era il solito “fustino da Dixan” buono tutto e a nulla al tempo stesso.

La verità è però ben diversa e, pur con alcuni limiti imposti dalla ampia ostruzione e dalla presenza della lastra correttrice, un C-9.25 ben lavorato e messo in grado di operare al suo massimo sfodera immagini planetarie di ottimo livello pur deludendo sovente nell'osservazione delle stelle doppie.

ACQUISTO

Il C-9.25 è giunto a me per puro caso. Non lo cercavo (avrei semmai preferito un C11 per usarlo sul cielo profondo), ma la vendita di uno strumento importante come il mio FCT-150 ha portato a parziale conguaglio anche il Celestron oggetto di questo articolo.

Il tubo ottico era in condizioni molto buone ma palesava sia una scollimazione importante che un piccolo bozza sul tubo oltre ad uno scellerato montaggio delle barre di sostegno.

La lastra di Schmidt e lo specchio primario apparivano però intonsi e tutto il tubo aveva un aspetto incredibilmente ben tenuto pur essendo dotato di trattamento Starbright (il mio preferito) non XLT e quindi con qualche anno di anzianità.

Prima ancora di provarlo ho smontato le varie componenti dello strumento per ribattere il piccolo “bozzo” sul tubo in alluminio, pulire in modo perfetto il secondario, rimuovere ogni ombra di polvere all’interno, sistemare il focheggiatore esterno aggiunto di tipo Cryford e modificare posizione e fissaggio della piastra Losmandy dedicata.

A fine lavori il telescopio sembrava pronto per l’esposizione al MOMA di New York ma ho preferito tenerlo con me e porlo sotto al cielo notturno.

Immagine sopra: la lastra di Schmidt smontata per ribattere l'interno del tubo

ottico e pulire al meglio gli specchi.

In basso: culatta posteriore dotata del sistema a doppio click-lock di marca PrimaLuceLab.

FIRST LIGHT

Il primo test, effettuato con un acclimatamento di circa 40 minuti e un “delta” di 4 gradi ha mostrato una piuma di calore interna lievemente sfrangiata ed agitazione delle figure di diffrazione, sinonimo di equilibrio termico non raggiunto, oltre ad una lieve ma ben visibile scollimazione.

Ho atteso ancora un’ora, il tempo di una cena tranquilla, e poi sono tornato all’oculare trovando in perfetto equilibrio lo strumento.

Purtroppo l’umidità milanese ci ha messo lo zampino e in una decina di minuti ha appannato la lastra correttrice. In questo lasso di tempo ho avuto però la possibilità di centrare in modo quasi ottimale la collimazione ed eseguire un veloce star test sulla stella Deneb già mediamente bassa.

Lo strumento ha risposto in modo eccellente ad ogni mia domanda mostrando immagini di intra ed extra focale notevolmente pulite, geometricamente corrette, e prive di luce diffusa.

Il risultato è una focalizzazione piuttosto precisa in un unico punto con disco di Airy ben visibile e un paio di anelli di diffrazione più o meno impastati a seconda delle fluttuazioni del seeing.

Gli oculari Takahashi serie LE da 18 - 12,5 e 7,5 mm. hanno permesso la visione chiara e contrastata della Alpha Cygni senza dare spazio a sfrangiamenti e incertezze, un risultato molto positivo per uno Schmidt Cassegrain operante a oltre 300x su una stella di primaria grandezza.

Dopo il breve momento di gloria la lastra Schmidt si è appannata e il dito è scivolato sul tasto “to zero position” che anticipava il ritiro in laboratorio dello strumento.

In alto: targhetta identificativa del trattamento antiriflettente StarBright.

Sotto: situazione della lastra di Schmidt dopo pochi minuti sotto il cielo milanese invernale...

Un detto del Saggio recita: se hai 25 anni e sei single l’indispensabile è una spider, se sei un velista è il vento, se invece vuoi lavorare con un SC dalla pianura ciò di cui hai più bisogno è un paraluce di generose dimensioni.

Per provare lo strumento ho quindi dovuto costruirne uno provvisorio con un cartoncino nero e poi trovare la voglia di trascorrere un paio di ore al freddo umido dell’autunno milanese.

La Luna era ancora lontana dai giorni utili alla sua osservazione ma qualche stella e sistema multiplo si mostravano disponibili ad offrire collaborazione anche attraverso il lattiginoso cielo cittadino.

STELLE DOPPIE

Escludendo la sera del primo veloce test, in cui il tasso di umidità era molto alto ma anche il seeing si presentava ottimale, nelle sere successive ho avuto un grado di turbolenza medio alta con valori di seeing limitati a 4-5/10.

In queste condizioni il Celestron è, in assoluto, il peggiore strumento possibile per l’osservazione di stelle doppie strette (e con il termine includo tutte quelle con separazione angolare inferiore ai 3”, valore lontano anni luce dalla risoluzione teorica del telescopio).

Le immagini stellari, se non a basso ingrandimento e tipicamente non oltre i 100x, sono dei “puffetti” geometricamente corretti ma grandi dieci volte il disco di Airy che li crea rendendo impossibile operare su sistemi multipli.

Si tratta del solo vero “tallone d’Achille degli strumenti SC”, che in altri tipi di osservazione invece riescono a sfoderare immagini e dettagli di ottimo livello.

Affinché le mie parole non siano vacue ho preso in esame alcuni sistemi conosciuti, molto alti sull’orizzonte, dopo aver accuratamente sistemato la collimazione dell’ottica e aver avuto la certezza del buon equilibrio termico dei suoi componenti.

La 52 Cigny, osservata con l’oculare Takahashi LE da 24 mm (per circa 100x), appare tutto sommato bella con la primaria di un colore giallo carico e una piccola secondaria dalla tonalità indefinita ma tendenzialmente grigio/bianca. Si tratta di un sistema molto facile e ben separato.

La SAO 71173, sempre nella costellazione del Cigno, appare molto bella con la primaria fulgidamente bianca e fredda e le secondarie molto separate (siamo tra i 15” e i 22") ed estremamente più deboli (quasi 10° magnitudine entrambe le principali stelle compagne - ce ne sono altre più deboli - con una differenza con la primaria di oltre 5 magnitudini).

In questo caso la raccolta di luce e la ampia separazione permette di esaltare il sistema che risulterebbe al limite percettivo con un apocromatico da 12 o 13 cm. sotto un cielo così bianchiccio.

I problemi sorgono non appena si tenta di sfruttare la teorica “potenza” dello strumento.

La DELTA Cigny, che appare come una doppia perla in un apocromatico da 5 pollici, è attraverso gli specchi del SC Celestron una stella doppia brutta e senza alcuno charme. La secondaria si scorge ma solo a tratti assume una sua connotazione propria mentre l’intero sistema è “sfuocato” e confuso. Per cogliere la debole secondaria bisogna salire con gli ingrandimenti e la qualità dell’immagine, colpa soprattutto del seeing che taglia le gambe ad ogni velleità, decade in modo rapido. L’ultimo oculare ancora “sopportato” è il 12,5 mm. (190x) con cui si può raccontare a qualcuno della duplicità del sistema. Andare oltre equivale ad “impastare il pane”.

Risulta invece “impossibile separare" la MU Cygni. Il sistema doppio è in realtà facile da cogliere nella sua caratteristica saliente (essere ovvero composto da due stelle) ma scorgere una qualche separazione è impresa fuori portata. L’immagine è una “bacchetta” luminosa, sfuocata e tremolante, composta da due astri la cui luce si fonde creando un “blob" deformato nella direzione dei due centri stellari.

Per comparazione posso dire che, nella medesima serata, un rifrattore da 10 cm. separa agevolmente le due componenti vincendo quindi a mani bassi su qualsiasi fronte ma si sa, uno Schmidt Cassegrain non è adatto ai “cacciatori di stelle doppie”!

Ci si può consolare con le sempiterne ALBIREO, SHELIAK, e poche altre ma è indubbio che se si è alla ricerca di un “double stars telescope” il buon Celestron 9.25 (e con esso ovviamente i vari C8, C11, e Meade vari) sia da evitare.

Ciò che emerge dall’osservazione a medio ingrandimento (i 100x canonici) è invece una ampia correzione del campo inquadrato. Il Takahashi LE 24 mm offre circa 50° di FOV che si traducono in un reale 0,5° di cielo a 100x.

A questo potere il campo abbracciato risulta interamente corretto da deformazioni importanti se non al limitare del field stop dove l’occhio coglie alcune deformazioni in una stella di prima grandezza usata a test. Questo si traduce nella generale piacevolezza che il telescopio offre nella visione di ammassi aperti o regioni stellari che richiedano poteri medi e una certa capacità di raccolta di luce.

Stella doppia mediamente stretta (circa 2") vista attraverso il telescopio in condizioni medie. L'immagine è tratta dal web e riadattata per rendere grossomodo l'aspetto all'oculare. Impossibile fare lavori seri sulle doppie in questo modo, del resto è un problema comune agli Schmidt Cassegrain... Al contrario invece rendono piuttosto bene sui pianeti maggiori.

URANO: UN PIANETA DIFFICILE

L’osservazione visuale di Urano è sempre una esperienza affascinante benché non offra grandi particolari. Con aperture squisitamente amatoriali quanto percepibile è solamente il disco e la sua colorazione (che varia dal verde all’azzurro/verde a seconda dell’apertura) e, in rarissimi casi, un accenno di variazione nella luminosità del disco nel caso di macchie o anelli atmosferici estremamente luminosi (ma si tratta di particolari piuttosto dubbi anche se teoricamente osservabili).

Si tratta però di un pianeta lontano ma ancora sufficientemente luminoso per fare bella mostra di sé e non deve mancare nelle osservazioni degli astrofili soprattutto oggi che le montature “goto” ne permettono il puntamento automatizzato.

Con i sui 235 millimetri di apertura il C 9.25 offre una buona raccolta luminosa e rende molto gradevole la colorazione del disco planetario consentendo di salire con gli ingrandimenti senza rischiare di diluire eccessivamente il tono planetario.

Purtroppo, per sostenere poteri superiori ai 200x e prossimi ai 300 (che sono i migliori per l’osservazione di un corpo planetario con un diametro angolare apparente solitamente inferiore ai 4” (tra i 3,4” e i 4,1” delle opposizioni) sono necessarie condizioni di seeing favorevoli che tendono ad essere sempre più rare. 

Ho potuto effettuare solamente due osservazioni del lontano pianeta rotolante attraverso gli specchi dello Schmidt Cassegrain Celestron (sotto un cielo cittadino tra l’altro) ricavandone una impressione generalmente positiva con un disco (soprattutto in una delle due occasioni) accettabilmente “pulito” e con poca luce diffusa sebbene vi fosse un certo effetto di “diluizione” dovuto all’umidità notturna milanese.

Non sono però riuscito a rilevare null’altro che un piccolo o medio disco verde/azzurro quasi privo di gradiente laterale e con un bordo solo lievemente sfumato verso il fondo cielo.

Immagine non dell’autore (presa dal web) che può essere utile a comprendere le potenzialità del C-9.25 su un soggetto planetario difficile come Urano. L’immagine è di Pete Presland.

LUNA

E’ indubbiamente nella visione del nostro satellite che il C 9.25 eccelle fornendo immagini superiori a quelle di un C8 tradizionale con un contrasto insospettabile e la capacità di fare emergere sottili particolari che un 20 cm. SC tradizionale non mostra o sui quali “arranca”. Devo però dire che, dopo aver avuto per anni un CN-212 Takahashi non posso che accettare che lo strumento giapponese, pur con una apertura inferiore, offra un dettaglio appena superiore e una piacevolezza di visione che il C9.25 non eguaglia, almeno dal punto di vista meramente visuale.

Mentre eseguivo alcuni test è giunta però la richiesta di acquisto dello strumento che mi è "scivolato" tra le mani senza che potessi "spremerlo bene". In pochi giorni il Celestron C9.25 ha preso altre strade e l'ho salutato, non a malincuore ma con un pizzico di "amaro in bocca" per non averlo potuto usare in condizioni ottimali.

CONCLUSIONI

Il C9,25 è un buon Schmidt Cassegrain commerciale, superiore alle versioni da 8 pollici ma comunque non esente dai problemi che affliggono la "famiglia". E' potente e sfodera, come hanno dimostrato negli anni molti bravi imager, fotografie molto belle degli oggetti del sistema solare. Per contro paga limiti nell'osservazione visuale dei sistemi doppi sui quali inciampa con prestazioni più che deludenti e soffre di un lento acclimatamento oltre a non tollerare le notti umide che lo rendono inusabile (se non con generosi paraluce e sistemi di riscaldamento elettrico) in pochi minuti. 

Mi sento di consigliarlo soprattutto a chi si vuole dedicare alla fotorafia planetaria o alla osservazione di soggetti ad alto contrasto come la Luna o Saturno, mentre agli amanti dei campi stellari e dei sistemi multipli suggerisco di rivolgersi ad altri strumenti più adatti.

Ci potete contattare a:

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