MEADE ETX-70 

Anno 2017

NOTA INTRODUTTIVA

Lo strumento oggetto di questo breve test mi è giunto in regalo da parte del caro amico Francesco Romano a cui cresceva e che voleva avere un parere sulla sua effettiva usabilità.

Avrei ovviamente preferito che mi regalasse un Questar 3,5” (così leggendo l’articolo sorriderà) ma siccome “chi mendica non può scegliere” (a parte il Sig. David Lo Pan de "Big Trouble in the Little China") mi sono prestato con ovvia gratitudine all’uso del piccolo Meade.

Va detto che il listino di vendita del ETX-70 indicava (a quanto mi risulta non è più in commercio a favore della versione da 80 mm.) in circa 280 euro il pacchetto completo di montatura, ottica, pulsantiera (su Ebay è ancora possibile trovarne alcuni a circa 280,00 euro + 60,00 di spedizione dalla Germania oppure su AMAZON circa 200 euro compresa spedizione). Con una cifra commisurata in poco più di 400 euro è oggi possibile acquistare sul mercato dell’usato una solida e precisa montatura giapponese come la Great Polaris Vixen motorizzata in entrambi gli assi e un rifrattore acromatico di buona qualità da 80/910 mm, sempre di casa Vixen. Questo ci da un termine di paragone sulla qualità di ciò che si acquista...

STAR TEST E PRIMO UTILIZZO

Poiché le batterie interne alla base della montatura a forcella del piccolo ETX erano esauste ho pensato di installare l’intero telescopio sulla mia montatura fissa Ioptron CEM-60 usando una piastra a coda di rondine passo Vixen e un adattatore per il morsetto della testa equatoriale.

In questo modo non ero certo di avere la corretta ortogonalità tra la forcellina e il tubo ottico ma potevo operare un test serio in assenza di vibrazioni (a parte delle generate dalla forcelal in ABS).

Per i test ho utilizzato una serie di oculari LE Takahashi con focali comprese tra i 30 mm. e i 2,8mm. (poteri tra 12x circa e 125x circa).

Inquadrata la regione di Arturo (alpha Bootis) con il 30 mm. ho avuto la piacevole sensazione di una visione d’insieme pulita con il fondo cielo ancora un pochino chiaro e blu oltre a qualche stella più debole di campo.

La manopolina del focheggiatore, piccola ma comunque non scomoda in questa configurazione equatoriale, mi ha permesso di lavorare bene e senza apparenti incertezze.

Aumentando l’ingrandimento per verificare collimazione e focalizzazione mi sono accorto, già con il 5mm. che offre circa 70x, di un notevole disallineamento delle ottiche che si palesava sia con centriche fuori asse che con una dose apprezzabile di astigmatismo.

L’immagine a fuoco era ancora discreta (70x sono del resto pochi) ma compariva sia una incertezza sul punto di fuoco corretto che una certa sfrangiatura delle radiazioni rosse e blu. A 125x la cosa è diventata intollerabile con un effetto “coma” di disallineamento molto marcato e un baffetto blu da una parte e rosso (più visibile) dall’altro.

In queste condizioni la visione del pianeta Giove è stata limitata anche se a 70x era possibile distinguere oltre alla SEB e NEB anche la STB e un accenno della NTB oltre ad un inspessimento della calotta polare sud.

L’immagine era ovviamente piccola ma un osservatore allenato riesce comunque ad apprezzare alcuni particolari e sicuramente sarebbe stata visibile l’ombra di un transito se questo fosse stato disponibile.

A 125x l’immagine diventava solamente più grande con un effetto “flou” che la rendeva poco gradevole.

La cromatica residua, se si fa eccezione per quella dovuta ai disallineamenti ottici, è apparsa tutto sommato contenuta e non molto fastidiosa.

Sopra: immagini di INTRA ed EXTRA focale ottenute su uno smartphone

HUAWEI P8 in proiezione di oculare.

TENTATIVO DI "SISTEMAZIONE"

Ritenendo non accettabile il grado di disallineamento ottico ho aperto la ghiera anteriore che ferma il doppietto (un anello in plastica dura serigrafato e dotato di filetto per essere avvitato) e ho avuto accesso alla cella e all’obiettivo.

La prima è un monoblocco in plastica dura sagomato e presenta una tolleranza di quasi 1mm (stimata intorno a 0,8mm. circa) all’interno della quale il doppietto ha modo di traslare in modo significativo. Lo stesso è poi “incollato” alla sede della cella con un filo di adesivo siliconico che il tempo sgretola completamente.

L’obiettivo è di tipo cementato con crown e flint di due spessori significativamente diversi e non offre possibilità di intervento a meno di non scollarlo e poi metterci mano con qualche balsamo.

Per l’intera serata, almeno tre ore buone, sono letteralmente impazzito creando piccoli spessori in carta da posizionare in vari punti della cella sia per trovare un “centraggio” migliore dell’intero gruppo ottico rispetto all’asse del tubo, sia per “inclinare” variamente il doppietto rispetto alla base (dentello) di appoggio della cella.

In alcuni momenti mi è parso di migliorare, in altri la collimazione andava quasi a posto ma insorgeva astigmatismo. Alla fine ho accettato una situazione di compromesso e mi sono ripromesso di tornare a lavorarci in una notte non infrasettimanale.

IL PROBLEMA DI FONDO: LA MECCANICA

Accettati i limiti dell'ottica l’aspetto deleterio della questione è però insito nella meccanica generale del tubo il cui meccanismo di messa a fuoco consiste nello scorrimento (uno sull’altro) di due sezioni distinte che vengono avvicinate o allontanate da un piccola barra filettata (su un solo lato interno!) controllata a sua volta dalla manopolina sulla culatta.

Le tolleranze sono purtroppo tali da inclinare in un senso o nell’altro una porzione di tubo rispetto all’altra alla sola pressione manuale andando quindi a vanificare ogni intervento di sistemazione del complesso cella-obiettivo. E' chiaro che in queste condizioni qualsiasi opera di aggiustamento sulla parte ottica risulta vanificata e quindi si deve accettare di tenere lo strumento "così com'è" e farsene una ragione...

L'aspetto interno del tubo ottico con il "demenziale" sistema di spinta/tiraggio che avviene

con la piccola barra filettata visibile a sinistra.

Alla luce di quanto detto appare logico non poter che confermare quanto di male si legge sul web riguardo il piccolo strumento Meade. Analizzando in sé le ottiche queste non appaiono malvagie né per correzione globale (considerando che si tratta di un f5 acromatico cementato) né per trattamenti antiriflesso e uniformità di lavorazione che appare globalmente convincente.

Ciò che azzoppa in modo considerevole lo strumento è l’economia dei materiali progettuali. Non comprendo come si possano creare dei cerchi graduati in uno strumento del genere e manopoline con serigrafie ricercate quando sarebbe molto più logico investire in un tubo monolitico con un focheggiatore tradizionale.

A fronte dei non pochi problemi generali menzionati ho però apprezzato l’immagine a bassissimo ingrandimento che permetteva (a 12x con campo reale di circa 4° abbondanti) di fruire di 2/3 del campo scevro da aberrazioni geometriche e di poter lavorare bene fino a circa 30-40x.

UN FS-60C e Q TAKAHASHI

Benché scontato ho comunque voluto operare una comparazione tra il “nostro” ETX-70 e un Takahashi FS60 sia in configurazione “C” (quindi focale nativa 355mm.) che “ (che cale a 600mm per un rapporto F10).

Oggetto di comparazione il bel Giove ancora accettabilmente alto nel cielo scuro della prima parte della sera verso la fine di Maggio 2017.

Con il gioiellino nipponico alla fluorite in versione “base” il pianeta gassoso appare spettacolare anche con l’oculare LE 2,8mm che fornisce circa 127x. A Tale potere il povero ETX non riesce nemmeno ad arrivare mantenendo accettabile l’immagine. Scendendo con i poteri a poco meno di 90x (oculare da 4mm.) il Takahashi offre una visione “rasor sharp” dettagliata e minuta, un piccolo scrigno tagliente con le principali bande nettissime e i satelliti come fini punte di spillo bianco. Il rifrattore Meade si deve accontentare di una immagine più flou con un certo alone colorato di blu da un lato e di rosso dall’altro ma riesce comunque a mostrare in modo discreto le due bande equatoriali, il rinforzo ai poli, e un accenno della STB che però è molto più impastata rispetto al doppietto alla fluorite.

Inserendo il “Q module” il 60 millimetri Takahashi diventa una vera e propria “lama”, nei limiti del suo potere risolutore, e si spinge comodamente a 215x circa con un aumento della percezione dei dettagli fini e molti accenni di sotto bande nonché la chiara percezione della duplicità della STB di un paio di festoni nella fascia equatoriale.

Sono ben percepibili anche alcuni vortici biancastri nella SEB oltre alla sua sezione longitudinale visibilmente indentellata. Accessibili anche alcune tenui formazioni nella NTB e zona temperata limitrofa.

E’ indubbio che le ottiche e la meccanica di un Takahashi da 1000 euro solo OTA non siano confrontabili con quelle di un giocattolo cinese che costa un quarto compresa montatura computerizzata ma il divario è risultato davvero schiacciante nonostante il rifrattore giapponese disponesse di 1 cm. di apertura in meno.

Il test comparativo ha messo comunque in evidenza che i maggiori problemi del ETX risiedono principalmente nella sua meccanica (cella, sistema di traslazione del tubo in due sezioni) poiché, se l’intubazione fosse monolitica e ben centrata, anche il Meade avrebbe permesso dettagli interessanti e più puliti.

LA MONTATURA DEL ETX-70 E CONCLUSIONI

Come dicevo non sono immune al fascino di questo strumento che appare onestamente bellissimo se lo si guarda dal solo punto di vista estetico. Purtroppo però un telescopio ha anche il non secondario compito di essere usato (...).

Il piccolo rifrattore da 70mm a corto fuoco è installato sulla ben conosciuta montatura in ABS marchiata Meade. 

Si tratta di una montatura a doppia forcella interamente costruita in materiale plastico ben sagomato, dall’aspetto gradevole e den rifinito se si considera il costo dell’insieme.

L’alimentazione avviene mediante pile da 1,5 volt e tutto lo strumento gode della proverbiale trasportabilità (può anche essere installato su un cavalletto fotografico) che ha reso tanto diffuso il modello da 90 millimetri nato come alternativa economica ai blasonati Questar e come evoluzione del precedente Meade 2045 (uno Schmidt Cassegrain 102/1000).

Dotata di un puntamento computerizzato la montatura appare inservibile se non per l’impiego a basso ingrandimento sia a causa delle vibrazioni che il materiale di cui è composta trasmettono sia per via di un inseguimento altazimutale che avviene a “scatti”.

Le frizioni di blocco/sblocco avvengono con due manopole in DEC e una levetta in AR che lavorano in modo molto approssimativo (serrandole poco slittano, serrandole troppo scricchiolano).

Parimenti alla versione Celestron/Synta SLT nextar (di cui ho già parlato male su questo sito) ritengo queste montature quasi inutili per le limitazioni strutturali di cui soffrono. 

Non comprendo come si possa vendere qualcosa che sia così tanto frustante nell’uso (immagino quello soprattutto itinerante) e a cosa possa realmente servire il sistema di GO-TO abbinato ad ottiche tanto piccole (se non forse nell’aiutare la ricerca di un pianeta come Venere nel cielo diurno). Ritengo personalmente più utile spendere di più per una piccola equatoriale di accettabile precisione a meno che il fine non sia quello di limitarsi alla ripresa del Sole durante trasferte all’inseguimento dei fenomeni di eclisse.

La conclusione finale è quella di non comprare questi strumenti, specialmente nel caso di neofiti, e di rivolgersi piuttosto al mercato dell’usato (spendendo sicuramente di più) ma assicurandosi un telescopio “utile”. Se invece avete proprio voglia di togliervi lo sfizio e giungere (probabilmente) alle mie conclusioni cercate di non pagare questo gingillo più di 50/60 euro. Sul web potrete trovare comunque alcuni siti che spiegano come migliorare gli accoppiamenti e le incertezze di funzionamento dei motori e meccanica delle montature ETX in genere, non so se il lavoro e il tempo profuso nelle migliorie possa avere senso ma tentare non nuoce...

Ci potete contattare a:

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