MEADE 152-ED e 102-ED semi-apo

Anno 2014 (l'articolo si riferisce ad esperienze di molti anni prima...)

Come i suoi fratelli minori, il 6” ED di casa Meade nasce intorno a un buon doppietto semi apocromatico con un elemento a bassa dispersione. Il progetto, comune agli altri tre fratelli della serie, ha caratteristiche interessanti, soprattutto per via del rapporto focale scelto, pari a f.9, che rappresenta un ottimo compromesso soprattutto in vista di applicazioni in alta risoluzione.

La correzione dell’aberrazione cromatica, almeno sulla carta, è piuttosto buona e il classico star test evidenzia un tenue alone violaceo intorno alle sorgenti più luminose. Non è raggiunta la correzione cromatica di più blasonati concorrenti come Takahashi o Astro Physics dell’epoca (mi riferisco agli FS-152 nipponici e ai 155 EDT americani) ma le prestazioni in campo visuale sono, a progetto, piuttosto buone e sufficienti a non far rimpiangere troppo i mostri sacri dell’epoca.

Il Takahahsi FS-152 su NJP e l'Astro Physics 155 su GE900

L’intubazione è di buon livello, almeno per quanto riguarda il tubo ottico, l’opacizzazione interna, e il dimensionamento dei diaframmi di contrasto. 

Quando si giunge a valutare il gruppo focheggiatore, però, sorgono i primi grossi problemi di questi strumenti. Il generoso focheggiatore da 2”, abbastanza innovativo nel panorama dell’epoca per strumenti a larga diffusione, era realizzato molto male. I materiali impiegati troppo morbidi e le tolleranze di lavorazione molto “ampie” portavano infatti a giochi assiali del canotto di scorrimento e anche a una “gommosità” nel movimento che mal si addiceva alla vocazione in alta risoluzione dello strumento. Fu un peccato perché le buone prestazioni del doppietto fontale venivano sovente penalizzate fortemente dalla impossibilità di mantenere ben allineato il fascio ottico con il centro del porta oculari, introducendo aberrazioni geometriche sconosciute all’obiettivo.

Il focheggiatore ds 2" originale del Meade 152- ED (qui con manopoline sostituite)

Molti degli esemplari ben riusciti hanno subito, per opera dei rispettivi proprietari, upgrade in età avanzata con focheggiatori di buon livello (i Feather Touch e i Moonlite specialmente) che permettono anche l’impiego di demoltipliche particolarmente utili agli alti ingrandimenti.

Il progetto Meade era ambizioso e anche logico: inserirsi con un prodotto estremamente completo nel panorama dei rifrattori apocromatici, all’inizio degli anni ’90 ben poco alla portata degli astrofili medi (con questo è utile ricordare che il pacchetto completo: OTA + montatura, superava per il 6” i quindici milioni di lire). La serie di rifrattori ED Meade nasceva infatti in abbinamento a innovative montature equatoriali alla tedesca dotate di sistema di puntamento automatizzato che avrebbero dovuto rappresentare il non plus ultra tecnico-elettronico. Le LXD 650 e 750 furono montature di “rottura” con il passato e hanno, di fatto, aperto all’astronomia amatoriale le porte dei sistemi go-to (già presenti, con un po’ di limitazioni, nelle serie ULTIMA di Celestron).

La innovativa (per l'epoca) montatura di serie: una LXD 750 (portata circa 25 chili)

Il vero problema di questo grosso rifrattore Meade, come del resto per la versione da 127 mm. e, ancor di più, per il grosso 178 mm., risiedeva nella realizzazione della cella porta ottiche. Una strana, discutibile, e incomprensibile scelta progettuale portò i tecnici di casa Meade ad utilizzare come spaziatori delle ottiche, elementi deformabili in plastica morbida che hanno rovinato la reputazione di questi peraltro bei rifrattori. La variazione di temperatura a cui sono soggetti gli strumenti nei vari momenti della giornata e della notte, portavano una deformazione incontrollata di questi spaziatori che muovevano le ottiche all’interno della cella. In modo impercettibile, sì, ma sufficiente a introdurre aberrazioni geometriche quali astigmatismo e, talvolta, giungendo a scollimare il complesso ottico. Purtroppo, benché le celle fossero collimabili con le classiche tre coppie di viti push-pull, nessuno era in grado, senza smontare il doppietto e lavorare su banco ottico, di collimare le ottiche una volta scollimate. Io stesso ho perso la testa per due settimane nel tentativo (poco fruttuoso) di collimare il mio primo 152 ED (venduto per disperazione a meno della metà di quanto lo pagai all’acquisto durante una delle prime manifestazioni dell’Astron a Novegro – Milano).

Nella mia “carriera” di astrofilo ho avuto la fortuna/sfortuna di possedere ben tre Meade 152 ED. Per l’esattezza due li ho fisicamente acquistati nel corso degli anni (a distanza di un decennio uno dall’altro) mentre il terzo l’ho avuto in prova per un breve periodo.

Nessuno degli esemplari testati (ma nemmeno nessuno di quelli in cui mi è capitato di guardare durante i vari star party) ha mai esibito prestazioni all’altezza delle sue caratteristiche teoriche. Gli strumenti lavoravano in modo accettabile, permettendo discrete osservazioni, ma oltre i 300x non riuscivano a fornire immagini prive di difetti importanti. Aberrazione cromatica non simmetrica, lieve astigmatismo , e talvolta anche aberrazione sferica (peraltro contenuta). Il risultato è che la generosa ottica da 15 cm. non riusciva a sfoderare il suo potenziale e rifrattori di minor diametro ma meglio realizzati spuntavano prestazioni superiori. Ad esempio, il più moderno e orientale Meade 127 tripletto a f 7.5, in barba al minor potere risolutore teorico e a un rapporto focale meno favorevole, sfoggia prestazioni migliori nell’osservazione di stelle doppie con immagini più contrastate e pulite (si legga a questo proposito il test presente su questo sito del 127 tripletto ED).

Il nuovo Meade 127 ED tripletto su montatura HEQ5

In conclusione ritengo questi strumenti adatti solamente se si accetta che il loro impiego non sia quello in altissima risoluzione. Può sembrare un’assurdità trattandosi di rifrattori “ED” da 6” e 1370 mm. di focale, ma la loro resa sui soggetti del profondo cielo è ottima (e degna di riflettori da 25 cm.) mentre su soggetti planetari lavorano bene fino a circa 200x (valore comunque utile a qualche discreta osservazione).

Questa notevole limitazione si traduce in quotazioni decisamente popolari. Uno di questo rifrattori da 15 cm., ben tenuto e con ottiche accettabilmente collimate, non supera i 1.500,00 euro nel mercato dell’usato, meno di un 12 cm. cinese nuovo. A mio avviso, con tutta la simpatia che nutro nei confronti di questi rifrattori, ritengo che il loro valore di utilizzo non superi i 1.200,00 euro, quota a cui si può anche “rischiare” di acquistarne uno senza rimetterci troppo quando decideremo di venderlo per acquistare un vero apocromatico di qualità (che è tutt’altra cosa…).

MEADE 102-ED

L'obiettivo ED del modello 102 con il suo bel trattamento antiriflesso di colore violaceo

Se il grosso 152 non è mai stato in condizioni (tranne forse rari esemplari) di performare al meglio, questo non si può dire del “piccolo” della famiglia: il 102 ED F9.

Questo 4 pollici, che fu tra l’altro il mio primo rifrattore apocromatico (o semi-apo come forse è meglio definirlo) ha sempre sfoggiato prestazioni di ottimo livello. I problemi al focheggiatore sono i medesimi che affliggono il fratello maggiore ma, a parte uno scarso feeling nelle operazioni di messa a fuoco, non ha mai palesato (almeno nell’esemplare che acquistai nel secolo scorso ..) problemi di disallineamento del fascio ottico, né di perdita di collimazione della cella porta ottiche.

Venivo da una positiva esperienza con un onesto e sano Vixen 102M e approdare alla correzione cromatica delle ottiche “ED” fu un vero salto di qualità. Acquistai il tubo ottico, di seconda mano e ben poco usato, alla cifra di 2.400.000 lire, all’epoca quanto un Meade S-C da 8 pollici completo di montatura motorizzata in A.R., ma rispetto a questi il rifrattore mostrava i dettagli sulla  superficie lunare e gioviana con una pulizia di immagine sconosciuta sia al catadiottrico che al Vixen acromatico (che comunque aveva una resa più che piacevole). Era l’anno della cometa Yakutake, forse una delle più spettacolari degli ultimi decenni per via della sua enorme estensione in cielo, e il Meade mi accompagnò per quasi due anni di splendide osservazioni.

La sua apocromaticità non è completa. Ricordo bene un tenue alone violetto intorno a stelle di primissima grandezza e le emulsioni fotografiche che usavo al tempo (la Schotch Chrome ma anche la Fuji) evidenziavano nelle pose lunghe una certa aberrazione cromatica, per quanto contenuta.

Fu questo strumento che mi portò a scoprire il meraviglioso mondo delle stelle multiple (al di la di quelle classiche che osservano anche gli astrofili dilettanti ma che restano eventi sporadici eclissati dalle sempiterne e noiose M27, M51, M31, M13, e altri oggetti “canonici”), e quindi, in un certo senso, gli sono debitore…

E’ ancora attuale? Sicuramente sì. Le sue prestazioni sono del tutto paragonabili a quelle degli attuali doppietti “ED” cinesi come lo Sky-Watcher 100-ED, con in più il vantaggio di una intubazione meglio realizzata e più solida. Inoltre, cosa che me lo fa largamente preferire, è uno strumento vintage con l’indiscutibile pregio di essere stato innovativo e precursore dei tempi, oltre che aver permesso a molti astrofili di entrare nel mondo degli “apo” quando questi erano ancora considerati strumenti “esotici”. Non aveva il blasone né le prestazioni ottiche di Takahashi o Astro Physics, ma era prodotto dalla Meade, allora disponibile presso ogni negozio di astronomia che si rispettasse e i tempi di attesa per averlo corrispondevano a quelli di firmare l’assegno per acquistarlo, all'epoca cosa da non sottovalutarsi (per avere un A-P ci si doveva iscrivere a liste d’attesa di oltre un anno!).

Consigliatissimo tanto che io stesso, se non avessi una sovrabbondanza di rifrattori, ne cercherei e acquisterei uno al volo, cosa che non farei mai con un Synta.

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