INTES MN-61 DeLuxe

Anno 2013 (l'articolo si riferisce ad esperienze del 2003/2004)

Un Maksutov-newton prestazionale ma poco diffuso.

Foto non dell’autore.

L’MN-61 DeLuxe è un bello strumento.

E’ la prima ovvia considerazione che può essere fatta dopo averlo usato per circa un anno (anche in comparazione con ottiche di diversa tipologia e lignaggio).

Nonostante questo non ha avuto successo e i motivi vanno ricercati e spiegati.

Al di là delle ottime prestazioni ottiche va detto che questo strumento era caro (la versione DX - con ottiche in Sitall e correzione superiore a 1/10 di lambda dichiarata - costava più di 2000 euro) e anche scomodo. Il peso superava i 9 chilogrammi in configurazione finale (anelli, cercatore, barra di sostegno, oculare) - quindi quasi il doppio di un S-C commerciale come il classico C8 e la configurazione newton è dichiaratamente più scomoda da usare se abbinata a una montatura equatoriale.

La montatura minima per lavorarci degnamente è la EQ6 (anche se l’ho visto installato su supporti di minor portata) e la sua scarsa propensione all’utilizzo fotografico per il cielo profondo è altro handicap commerciale da non sottovalutarsi.

Al di la di questo bisogna però ammettere che, otticamente parlando, lo strumento si comportava davvero bene.

L’ostruzione limitata, prossima al 20%, e il campo poco curvo permettono alte performances in campo planetario e una ottima visione a largo campo dei campi stellari.

Foto non dell’autore.

Quando fu in “forza” presso le mie sgrinfie, l’MN-61DX era appaiato sovente al cugino Intes MK-67 (si veda il test breve di questa ottica nel presente sito) e a un Takahashi FS-102 ma ho avuto modo di metterlo a confronto anche con un FS-128 e con Schmidt Cassegrain di apertura compresa tra i 20 e i 28 cm.

In campo planetario, almeno nel suo range di diametro, ha pochi rivali se si escludono i rifrattori apocromatici di alto livello.

Giove, notoriamente test severo per le ottiche, ha sempre mostrato una notevole quantità di dettaglio (compresi quelli a basso contrasto che solitamente sfuggono alle ottiche più ostruite) e l’immagine, in quanto a dettagli, è una giusta via di mezzo tra quanto permette un FS-102 e il suo fratello maggiore FS-128. Il 5 pollici giapponese è meglio, ma il più piccolo 4 pollici appena “sotto” al mak-newton oggetto della prova.

Anche i sistemi multipli premiano l’INTES che riesce a giocarsela con il 5 pollici giapponese anche se l’immagine è meno secca e più tremolante (per via della ostruzione, pur bassa). E’ però un ottimo performer e giunge, almeno sulle doppie non sbilanciate, ad allungare sistemi al di sotto del potere risolutore teorico che è prossimo a 0.8 secondi d’arco.

Una montatura adatta allo strumento (portata oltre i 20 kg.). Foto non dell’autore.

Sul profondo cielo l’Intes pareggia il confronto con un buon rifrattore da 5 pollici anche di altissimo livello. La pulizia dell’immagine generale e la dimensione molto contenuta dei dischi stellari è un vantaggio anche in questo campo di applicazione e si può tranquillamente affermare che il suo schema ottico, limitato da soli 15 cm. (150mm. di apertura x 900mm. di focale), è comunque molto performante sul cielo profondo e permette, specialmente su soggetti stellari (ammassi aperti e globulari) di essere più piacevole e anche performante di un classico schmidt cassegrain da 20 cm.

 

Queste ottime prestazioni si pagano però con un acclimatamento lungo per via, soprattutto, del menisco anteriore e di una intubazione molto spessa (superiore ai 3 mm.) che portano a una notevole inerzia termica.

Le prove condotte tra il Takahashi FS-102, l’Intes MK-67 e il MN-61 diventavano infatti “veritiere” solamente dopo un paio di ore di acclimatamento. Il rifrattore dava quasi tutto già subito, l’MK-67 richiedeva un’ora buona, il mak-newton quasi il doppio. Però, se si ha la costanza e pazienza di attendere, lo strumento non delude.

Personalmente, benché meno specializzato e anche meno “grande”, lo ritengo più “facile” del pur ottimo MN-78 (che ho attualmente).

Le prestazioni di quest’ultimo, quando ben calibrato, collimato e acclimatato, sono superiori ma l’MN-61 tollera perfezione di preparazione minore e questo lo rende più fruibile. Inoltre le sue dimensioni e peso ne fanno un telescopio alla portata di tutti, cosa un po’ meno vera per l’MN-78.

Il focheggiatore di serie. Foto non dell’autore ma del gentile “AstroFabio” che ringrazio.

Oggi vale poco. Anzi, viene valutato poco, cosa molto diversa.

In Italia non ce ne sono molti ma negli States compare di tanto in tanto qualche annuncio con valori prossimi ai 600/700 dollari (versione “standard” e forse un niente di più per la versione “DeLuxe”), quanto o poco più di un semi-apo orientale da 10 cm.

Il secondo è sicuramente più versatile ma l’MN-61 è, obiettivamente, più performante.

Se non si disdegna lo schema newton e se si possiede una montatura in grado di reggere una ventina di chili, il tubo russo può essere una validissima scelta, a un costo contenuto, per entrare in possesso di uno strumento poco diffuso e di sicura sostanza.

Unico neo, a parte quelli derivanti dalla sua mole e costituzione, un focheggiatore a pignone e cremagliera classico che, per quanto robusto, in uno strumento di tale livello dovrebbe a mio modo di vedere essere sostituito (con aggravio di spesa non indifferente) con un cryford moderno più fluido e demoltiplicato.

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