CELESTRON C11

Anno 2013 (l'articolo si riferisce ad esperienze di una quindicina di anni prima...)

C11 in configurazione CG-11 - foto non dell’autore.

INTRODUZIONE

Il Celestron C11 è ritenuto, da sempre, uno di quegli strumenti definitivi che, prima o poi, entrano a far parte della vita degli astrofili (o almeno di molti tra questi).

A me è capitato tanti anni fa in sostituzione di un Meade 152 ED f9.

Ero colto dal “desiderio” di diametro e ne acquistai un esemplare in ottime condizioni (sembrava nuovo) con addirittura la sua cassa originale di trasporto.

Avevo intenzione di usarlo in accoppiamento alla mia allora Vixen GP DX che avevo dotato di un solido, quanto brutto e spartano, cavalletto realizzato con gambe in tubolare quadro di ferro.

Fu allora che mi scontrai con il sempiterno adagio “prima una grande montatura, poi un grande strumento”, equazione che avevo tendenzialmente sottovalutato autoconvincendomi della sua inutilità con frasi tipo “tanto devo usarlo solo per il visuale”.

I problemi non tardarono ad evidenziarsi. La Great Polaris DX veniva venduta per un carico massimo di circa 15 chilogrammi e, benché il C11 ne pesasse meno, l’insieme soffriva di una incapacità generale di smorzare in tempo accettabile le vibrazioni indotte dalle operazioni di messa a fuoco. Con i 2,80 metri di focale dello strumento e la sua capacità di reggere con scioltezza ingrandimenti oltre i 300x, lavorare dovendo attendere 4/5 secondi che l’immagine si stabilizzi è davvero frustrante.

Al di la di questo lo strumento, che esibiva lil suo bel trattamento Star Bright, si rivelò compagno difficile. Il potere di raccolta della luce, soprattutto paragonato al mio precedente 8” meade a al 152ED rifrattore, era molto ingolosente e anche il suo superiore potere risolutivo mi fece sognare prestazioni che poi, all’atto pratico, si rivelarono difficilissime da raggiungere.

CONSIDERAZIONI ED ESPERIENZE

Il primo test fu eseguito sulla doppia Delta Cigny, sdoppiata molto bene e con una “luminosa” compagna se paragonata alla visione che offriva il rifrattore. L’immagine però non risultava scevra dai difetti e limiti tipici di questa configurazione ottica. Molta luce diffusa, una certa difficoltà a trovare la migliore focalizzazione (dovuta al quasi mai accettabile livello di quiete atmosferica imposta da un 28 cm.) e una latente tendenza a scollimarsi mi fecero disinnamorare dello strumento. In poche parole: il potere risolutore forse c'è ma l'immagine di un 15 cm. semi apo è ben lontana dall'essere raggiunta...

Una sera di mezza estate, con temperature miti e un cielo pulito e anche quieto, lavorai per circa un’ora alla ricerca della migliore collimazione possibile e godetti di una visione stupenda di Saturno. L’anello C era ben visibile e di colore grigio-azzurro, alcune nette bande si proiettavano sul pianeta, la divisione di Cassini era pulita e scura e anche la visione di 3 suoi satelliti si faceva apprezzare. Riuscii a percepire molto bene non solo l’ombra che il disco planetario proiettava sul pianeta ma anche quella, quasi staccata dagli anelli, che questi rimandano sul globo.

Osservai Saturno per oltre un’ora e poi mi spostai incautamente in altra zona del cielo. Non lo avessi mai fatto! La fortunata alchimia trovata con gli specchi venne beffata dalla meccanica e osservare doppie oltre i 200x divenne pressoché impossibile. Per ottenere nuovamente una immagine decente dovetti rimettere mano alla collimazione e poi, finalmente, ricominciare le osservazioni.

Devo anche dire che, oltre agli spostamenti ovvi che lo strumento subisce puntando a Est e poi a Ovest e viceversa, il tubo ottico risulta piuttosto sensibile alle variazioni termiche che possono avvenire durante una notte di osservazioni. Bastano pochi gradi centigradi a far perdere la “magia”.

Ovviamente questo non ha alcuna importanza nelle osservazioni del cielo profondo, in cui lo strumento offre ottime prestazioni (soprattutto sui soggetti a limitata estensione angolare) ma quando si desidera portare i suoi 11 pollici a indagare stelle doppie sbilanciate o le superfici planetarie il lavoro è lungo e se appena il seeing non è eccellente (cosa che avviene raramente) si rischia che un rifrattore da 13 cm. di ottima fattura offra visioni più dettagliate.

Nel corso della mia “carriera di astrofilo” ho avuto modo di provare anche altri esemplari di C11, appartenenti magari ad amici o semplicemente presenti in alcuni star party e devo dire che, come peraltro accade per ottiche simili di altre case costruttrici, ciò che ho notato è quanto segue:

 

  1. Difficilmente ho trovato ottiche (benché decantate dai rispettivi proprietari) collimate in modo "perfetto".
  2. Raramente ho trovato esemplari in cui il focus shift fosse accettabile.
  3. Quasi mai ho trovato le condizioni meteo che permettessero allo strumento di far valere la sua generosa apertura in osservazioni hi-res visuali.

In visuale il C11 è limitato ma in fotografia rende molto bene. Ne è testimonianza questa ripresa di Saturno (nemmeno una delle migliori ottenute con questo strumento). Foto non dell’autore.

CONCLUSIONI

Oggi un “vecchio” C11, e mi riferisco alle versioni non “HD-EDGE” che vedo utili solo in applicazioni fotografiche (si legga anche l’articolo sui Meade AFC e NO), si può acquistare per cifre prossime agli 800 euro.

Si tratta di una buona occasione per portarsi a casa un’ottica di elevata fattura e generoso diametro che però difficilmente potrà essere messa a operare nelle condizioni migliori, almeno sotto i nostri cieli. Non tanto per problemi insiti nella sua architettura (anche se la meccanica è quella che è il focus shift può essere superato con un focheggiatore esterno) quanto per la reale difficoltà di lavorare in alta risoluzione con uno strumento ostruito da 28 cm.

Lo acquisti quindi chi desidera una potente macchina per riprese planetarie (quindi per lavorare “fermo” in una certa posizione) oppure chi ama le osservazioni degli oggetti del cielo profondo come nebulose planetarie, ammassi globulari, e anche galassie.

Sconsigliatissimo, invece, per gli assidui osservatori di stelle doppie perché, se da un lato è vero che il suo potere risolutore rende accessibili doppie bilanciate (sottolineo il “bilanciate”) molto strette, è altrettanto vero che su sistemi sbilanciati lo strumento rende in modo poco esaltante e soprattutto soffre il passaggio da una porzione di cielo all’altra.

Infine, e per dare ragione alla Celestron che lo proponeva in versione CG-11 sulla bella Losmandy G11, chi lo vuole usare con profitto deve prendere in considerazione l’idea di dedicargli una montatura adeguata. 

No, potete fare meglio della EQ-6....

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